Arriva l'influenza ed è tempo di vaccino

Con il vaccino contribuiamo a diminuire il contagio e tuteliamo la nostra salute perché previene non solo l’influenza ma anche le complicanze a volte gravi soprattutto nella popolazione più a rischio in primo luogo anziani, malati cronici e neonati

Tempo da cappotti e di influenza. L’autunno e l’inverno portano con loro come ogni anno il virus influenzale, una patologia ancora sottovalutata nonostante i dati parlino chiaro: in Europa tra le malattie infettive l’influenza si distingue per il più alto tasso di incidenza e di mortalità.

Nella stagione 2018-2019 in Italia si sono registrati 8.104.000 casi (Rapporto Epidemiologico InfluNet) con alcune centinaia di decessi imputabili all’influenza in pazienti che però già soffrivano di malattie croniche. Nel Veneto sono state segnalate 400 complicanze, con 100 persone che hanno sviluppato patologie gravi e con oltre 30 decessi collegabili al virus (dati Regione Veneto).”Sono numeri che già da soli dovrebbero convincere ad effettuare il vaccino. Invece siamo ancora lontani dall’obiettivo di copertura minimo nei gruppi di popolazione target, che è del 75%, una percentuale che ridurrebbe significativamente la morbosità, le complicanze e la mortalità per influenza”, spiega il dottor Giuseppe Marasca, infettivologo dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. “Per quanto riguarda una delle fasce di popolazione più a rischio, cioè gli over 65, abbiamo raggiunto su scala nazionale la percentuale del 53,1%”.

 

Dottor Marasca, perché ci si vaccina così poco?

Perché si sottovaluta il problema, anche tra gli operatori sanitari, tra categorie target che si vaccinano di meno. Si lanciano allarmi, anche mediatici, per le infezioni e i decessi causati da febbri estive come la West Nile, ma non si dà la stessa enfasi per l’influenza per la quale a differenza della febbre del Nilo Occidentale, abbiamo un vaccino”.

Nei prossimi giorni in tutte le regioni partirà la campagna vaccinale. Contro quali virus sarà efficace il vaccino di quest’anno?

Il 1 Aprile 2019 l’EMA (European Medicine Agency) ha emanato le disposizioni sui ceppi influenzali da includere nel vaccino antinfluenzale per la stagione 2019-2020. I ceppi sono stati indicati in base ai virus isolati con maggiore frequenza nelle precedenti stagioni influenzali. Poiché la composizione del vaccino viene decisa molto prima dell’inizio dell’epidemia stagionale onde consentire alle case farmaceutiche di produrre il vaccino, può verificarsi che nel frattempo avvenga una mutazione di un virus contro il quale è stato realizzato il vaccino. Un esempio è quanto accaduto nel 2009, anno in cui si è dovuto produrre un vaccino monovalente per contrastare il virus H1N1pdm09 diverso dall’H1N1 presente nel vaccino.

Quest’anno come è composto il vaccino?

Il vaccino è trivalente o quadrivalente. La composizione è data dalla presenza di antigeni contro alcuni ceppi dei virus che hanno segnato la storia dell’influenza.Innanzitutto l’antigene analogo al ceppo A/Brisbane/02/2018 (H1N1pdm09). Ricordiamo che l’H1N1 è il virus della pandemia del 1918, la cosiddetta “Spagnola”, che fu la più grave della storia recente. Si stima che un terzo della popolazione mondiale sia stata infettato tra il 1918 e il 1919 e siano stati 50 milioni i morti. L’altro antigene riguarda il ceppo A/Kansas/14/2017 (H3N2). L’H3N2, fu responsabile della pandemia del 1968 che causò in tutto il mondo 1 milione di morti, soprattutto tra gli anziani. Infine il vaccino contiene l’antigene analogo al ceppo B/Colorado/06/2017 (lineaggio B/Victoria/2/87) a cui si aggiunge nel quadrivalente l’antigene analogo al ceppo il virus del tipo B/Phuket/3073/2013, virus circolati nelle ultime stagioni.

Perché è importante vaccinarsi?

Il vaccino è un atto per la tutela della salute personale e della comunità, in quanto vaccinandosi si contribuisce alla limitazione del contagio. L’influenza può avere delle complicanze come le polmonite batteriche, la disidratazione, il peggioramento di malattie croniche come il diabete, le patologie immunitarie o cardiovascolari o respiratorie. Nei bambini può riacutizzare le sinusiti e le otiti. Le categorie più a rischio sono gli anziani, le donne incinte e i bimbi in tenera età. Tuttavia, i casi gravi di influenza si possono verificare anche in persone sane che non rientrano in alcuna delle categorie a rischio.

Quando è il momento migliore per vaccinarsi?

Da ottobre a dicembre. Tenendo presente che intercorrono circa due settimane perché l’efficacia immunitaria sia completa, è meglio effettuarlo quanto prima in modo tale da essere coperti quando arriva il picco epidemico, che di solito è tra la seconda metà di gennaio e la fine di febbraio. E’ importante che il vaccino non sia somministrato in presenza di febbre.

Per chi è controindicato il vaccino?

Il vaccino antinfluenzale non deve essere somministrato a lattanti al di sotto dei sei mesi (per mancanza di studi clinici controllati che dimostrino l’innocuità del vaccino in tali fasce d’età). La vaccinazione della mamma e degli altri familiari è una possibile alternativa per proteggerli in maniera indiretta. Inoltre non deve essere somministrato a coloro che hanno manifestato reazioni di tipo anafilattico ad una precedente vaccinazione o ad uno dei componenti del vaccino. Comunque è sempre bene consultare il medico prima di sottoporsi alla vaccinazione.

Possono verificarsi reazioni avverse ai vaccini?

Quelli antinfluenzali sono vaccini sicuri. Le reazioni avverse sono soprattutto di tipo locale – come dolenzia e arrossamento nel punto di iniezione – o sistemiche (come ad esempio malessere generale, febbre, mialgie) che si manifestano generalmente entro 6-12 ore dalla somministrazione del vaccino ed hanno una durata di 1 o 2 giorni. Alcuni studi hanno rilevato un’associazione fra vaccino antinfluenzale e la sindrome di Guillain-Barré (GBS), una polineuropatia infiammatoria acuta caratterizzata da debolezza muscolare e lieve insensibilità alle dita degli arti inferiori e superiori. Il rischio è stimato in 1 o 2 casi per un milione di persone vaccinate. Altri studi hanno escluso questa associazione. Secondo quanto riportato dal ministero della Salute, reazioni avverse anche gravi dopo la somministrazione del vaccino sono segnalate ogni anno, ma nella stragrande maggioranza dei casi non è provato un nesso causale tra il vaccino e l’avvento avverso.

Non è raro sentire: ho fatto il vaccino, ma ho contratto lo stesso l’influenza…

Durante la stagione invernale non è in circolazione solo il virus dell’influenza, ma anche antri virus parainfluenzali che non sono coperti dal vaccino.

Il vaccino è la modalità più efficace di prevenzione dell’influenza. Cos’altro si può fare per non contrarre il virus?

Sono molto importanti delle semplici regole igieniche come lavarsi spesso le mani e coprirsi la bocca con un fazzoletto in caso di tosse o si starnuto. Non frequentare i luoghi affollati durante il picco dell’epidemia è un’altra buona regola.

E se si contrae l’influenza?

Restare a riposo e in un luogo caldo. Una persona rimane contagiosa dai tre ai sette giorni dalla comparsa dei primi sintomi. Tornare al lavoro o a scuola prima della guarigione comporta il contagio di altre persone e il rischio di contrarre delle complicanze come bronchiti e broncopolmoniti.

Per quanto riguarda i farmaci?

Sono sufficienti i farmaci per il controllo dei sintomi, come gli antipiretici. Ricordiamo che l’influenza ha origine virale non batterica, quindi gli antibiotici devono essere assunti sono su prescrizione medica e quando c’è un interessamento bronco-polmonare. Anche gli antivirali devono essere prescritti dal medico e sono indicati per le persone già affette da malattie croniche o particolarmente debilitate.

 

Le categorie a cui la vaccinazione è raccomandata e offerta gratuitamente sono:

1. Donne che all’inizio della stagione epidemica si trovino in gravidanza.

2. Soggetti dai 6 mesi ai 65 anni di età affetti da patologie che aumentano il rischio di complicanze da influenza.

3. Soggetti di età pari o superiore a 65 anni.

4. Bambini e adolescenti in trattamento a lungo termine con acido acetilsalicilico, a rischio di Sindrome di Reye in caso di infezione influenzale.

5. Individui di qualunque età ricoverati presso strutture per lungodegenti.

6. Familiari e contatti (adulti e bambini) di soggetti ad alto rischio di complicanze (indipendentemente dal fatto che il soggetto a rischio sia stato o meno vaccinato).

7. Medici e personale sanitario di assistenza in strutture che, attraverso la loro attività, sono in grado di trasmettere l’influenza a chi è ad alto rischio di complicanze influenzali.

8. Soggetti addetti a servizi pubblici di primario interesse collettivo e categorie di lavoratori (Forze di Polizia, Vigili del Fuoco, Polizia Locale e altre categorie).

9. Personale che, per motivi di lavoro, è a contatto con animali che potrebbero costituire fonte di infezione da virus influenzali non umani (allevatori, addetti all’attività di allevamento e trasporto di animali vivi, macellatori e vaccinatori, veterinari pubblici e libero-professionisti).

10. Donatori di sangue E’ previsto, inoltre, che la vaccinazione antinfluenzale sia offerta attivamente e gratuitamente, da parte dei datori di lavoro, ai lavoratori particolarmente esposti per l’attività svolta, anche al fine di contenere ricadute negative sulla produttività.


Ictus, come riconoscere i sintomi e intervenire tempestivamente

E’ la prima causa di disabilità nel mondo. Ma è possibile prevenirlo e anche riconoscere l’insorgere dei sintomi, consentendo un intervento precoce al fine di evitare sequele molto invalidanti e in alcuni casi il decesso

Ieri si è celebrata in tutto il mondo la Giornata dell’ictus Questa patologia è la terza causa di morte (al secondo posto dopo i 65 anni) ma è soprattutto la prima causa di disabilità. Ogni anno si registrano in Italia almeno 200mila nuovi casi e quasi un milione di italiani è invalido dopo la malattia. L’impatto economico di questa patologia risulta particolarmente gravoso: si stima che il costo sul Servizio Sanitario nazionale sia di 16 miliardi e di 5 miliardi sulle famiglie. Circa la metà degli ictus potrebbero essere evitati attraverso il controllo dei fattori di rischio con modificazione degli stili di vita e terapie attualmente disponibili. Purtroppo, un italiano su tre, pur avendolo sentito nominare, ancora non sa cosa sia l’ictus e come prevenirlo e curarlo.

L’ictus è di due tipi: ischemico – cioè secondario alla chiusura di un’arteria che irrora una parte del cervello – o emorragico, dovuto alla rottura di un vaso cerebrale con conseguente formazione di un ematoma.

Per l’ictus ischemico – che rappresenta circa l’85% dei casi – sono disponibili terapie sia mediche che interventistiche. Le terapie interventistiche consistono nell’asportazione del trombo attraverso una procedura simile alla coronarografia. Esse sono efficaci solo nelle prime ore dopo l’inizio dei sintomi, quindi è decisivo che i pazienti giungano in Ospedale in tempi molto brevi. Purtroppo, molto spesso i sintomi dell’ictus non vengono riconosciuti e le persone non possono essere curate adeguatamente.

 

Come riconoscere i sintomi dell’ictus?

Innanzitutto ictus vuol dire letteralmente “colpo”. Infatti i sintomi dell’ictus si realizzano istantaneamente e il deficit compare tipicamente in pieno benessere in tutta la sua drammaticità. I sintomi sono la presenza di un deficit di forza oppure di sensibilità oppure di visione o di equilibrio, soprattutto se compaiono solo in una metà del corpo. Anche l’avvento improvviso di un disturbo del linguaggio, con l’impossibilità di parlare correttamente o di capire quanto venga detto deve mettere in allarme.

Cosa bisogna fare quando si sospetta un ictus?

Chiamare immediatamente il 118 che provvederà a portare il paziente in tempo presso l’ospedale attrezzato per trattare questa malattia.

Si può prevenire l’ictus?

Si stima che molti ictus potrebbero essere evitati grazie al controllo dei valori della pressione arteriosa e trattando con anticoagulanti la fibrillazione atriale. Inoltre, è importante inoltre porre attenzione ai valori della glicemia, del colesterolo e dei trigliceridi e non esporsi al fumo attivo e passivo.

Con la collaborazione del dottor Alessandro Adami, responsabile dello Stroke Center IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria


Tumori neuroendocrini: al "Sacro Cuore" i primi pazienti nel Veneto trattati con il Lutathera

Il radiofarmaco innovativo indicato per i tumori neuroendocrini del pancreas, stomaco e intestino. Gli studi clinici hanno rilevato un significativo aumento della sopravvivenza e del tempo di arresto della progressione della malattia

Sono già due i pazienti trattati all’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, con il farmaco oncologico innovativo ad alto costo lutezio (177Lu) oxodotreotide (nome commerciale Lutathera) per la cura dei tumori che hanno origine dal tessuto neuroendocrino. L‘Ospedale in provincia di Verona è il primo e unico dei tre Centri in Veneto autorizzati dalla Regione per la prescrizione e la somministrazione ad aver avviato il trattamento. Gli altri due centri prescrittori e somministratori sono lo Iov di Padova e il “dell’Angelo” di Mestre. (vedi video integrale della conferenza stampa)

 

“I Centri prescrittori e somministratori sono stati individuati in base alla presenza di requisiti fondamentali per l’erogazione di questo trattamento – ha detto il dottor Mario Piccinini, amministratore delegato dell’Ospedale di Negrar aprendo la conferenza stampa di questa mattina -. Il “Sacro Cuore Don Calabria” è dotato di competenze professionali relative a questi tipi tumori (oncologiche, chirurgiche, di medicina nucleare, radiologia interventistica) e di dotazioni tecnologiche necessarie per l’impiego di questo farmaco. Dal 2015, infatti, è attivo un Servizio di Terapia Radiometabolica – con due stanze di degenza radioprotetta – per l’uso a scopo terapeutico di radiofarmaci, per esempio, per la cura dei tumori della tiroide e delle metastasi ossee causate dal tumore alla prostata. Nella provincia scaligera quello di Negrar è l’unico ospedale con una Terapia Radiometabolica e uno dei pochi in Veneto” (vedi articolo).

 

L’introduzione del Lutathera segna una svolta nella cura dei tumori neuroendocrini del pancreas, intestino e stomaco in fase avanzata, metastatica e non, per i quali prima non esisteva terapia”, ha spiegato il dottor Matteo Salgarello, direttore della Medicina Nucleare con Servizio di Terapia Radiometabolica. “La fase III dello studio Netter-1 che ha autorizzato l’immissione in commercio del radiofarmaco ha rilevato che più del 50% dei pazienti trattati con Lutathera non mostrava significativa progressione di malattia rispetto al solo 10% del gruppo di pazienti a cui è stato somministrato l’analogo della somatostatina, impiegato prima dell’introduzione del radiofarmaco. Questo significa aumento della sopravvivenza e della qualità di vita, perché quando il tumore è ‘fermo’ i pazienti possono condurre una vita del tutto normale”.

“I tumori neuroendocrini (NET- Neuroendocrine Tumours) sono un gruppo eterogeneo di neoplasie che hanno origine dal tessuto neuroendocrino diffuso in vari distretti corporei. Il 60-70% di queste neoplasie si presenta a livello del tratto gastro-entero-pancreatico proprio quelle forme neoplastiche per le quali è disponibile oggi il Lutathera”, ha sottolineato la dottoressa Stefania Gori, direttore Oncologia Medica.

I neuroendocrini sono considerati tumori relativamente rari confrontati con neoplasie non neuroendocrine che colpiscono gli stessi organi, come per esempio il tumore “classico” del pancreas, del colon o dello stomaco. Si stima che siano da 1 a 5 ogni 100mila abitanti le nuove diagnosi all’anno”.

 

Tuttavia se l’incidenza è bassa, non lo è la prevalenza (cioè il numero delle persone che vivono con una diagnosi di NET) che è di 35 casi ogni 100mila abitanti. Poiché i pazienti con questa neoplasia hanno una prognosi più favorevole, con lenta evoluzione della loro malattia, necessitano di una presa in carico multidisciplinare e controlli periodici perché il tumore può ripresentarsi anche dopo molti anni.

 

“Per questo a Negrar dal 2013, nell’ambito del Dipartimento Oncologico, è stato creato l’ambulatorio NET, dove operano medici di diverse specialità per la presa in carico globale del paziente. L’équipe multidisciplinare dell’ambulatorio NET è formata da specialisti anatomopatologi, chirurghi generali e toracici, endocrinologi, diabetologi, gastroenterologi, medici nucleari, oncologi, pneumologi, radiologi interventisti e psicologi. Attualmente il NET segue un centinaio di pazienti“, ha illustrato la dottoressa Letizia Boninsegna, coordinatrice dell’Ambulatorio NET. (vedi articolo)

Che ha aggiunto: “Dal punto di vista del chirurgo l’innovativo radiofarmaco è un alleato per portare i tumori non operabili all’intervento chirurgico. Ho potuto constatare da medico i risultati molto positivi dati dalla terapia radiometabolica. Non con il Lutathera, ma nell’ambito di protocolli sperimentali che hanno portato poi alla ‘nascita’ del Lutathera stesso. Nove nostri pazienti operati e metastatici sono stati sottoposti a terapia radiometabolica sperimentale dopo trattamento con analogo della somatostatina e hanno avuto una media di stabilità della malattia di 36 mesi. Inoltre sei nostri pazienti inoperabili con malattia in progressione locale (quindi non metastatica) sono stati prima trattati con l’analogo della somatostatina e poi fatti entrare in protocolli sperimentali con radiofarmaco. Per cinque di loro il tumore non solo ha arrestato la progressione ma si è ridotto, consentendo di intervenire chirurgicamente in modo radicale. Ad oggi abbiamo una mediana di tempo di libertà di progressione di malattia per questi pazienti di 24 mesi.

 

Come ha spiegato il dottor Giancarlo Gorgoni, direttore della Radiofarmacia con Ciclotrone “il Lutathera è un farmaco nella cui struttura chimica è stato inserito un isotopo radioattivo. Esso è composto dall’analogo della somatostatina DOTA-TATE,- la versione di sintesi chimica dell’ormone somatostatina prodotta dal nostro organismo – marcato con Lutezio 177, che emanando radiazioni Beta meno, ha effetto terapeutico. Il Lutathera è realizzato da un’industria farmaceutica, quindi è protetto da brevetto, che acquista l’isotopo Lutezio117 prodotto da un reattore nucleare e lo coniuga con l’analogo della somatostatina”.

 

“Il Lutathera rientra nella categoria dei farmaci innovativi oncologici ad alto costo, per i quali, in virtù della loro caratteristica di unicità ed efficacia, il ministero della Salute nel 2017 ha istituito un fondo speciale, separato dal Fondo sanitario nazionale, al fine di garantire a tutti l’accesso alle cure – ha spiegato la dottoressa Teresa Zuppini direttore della Farmacia Ospedaliera – Il radiofarmaco Lutathera prevede un trattamento di quattro infusioni per un costo complessivo di oltre 60mila euro, totalmente rimborsabili dal Servizio Sanitario Nazionale. Proprio per l’alto costo sono previste indicazioni prescrittive ben precise e autorizzazioni regionali per l’approvvigionamento che comportano non l’acquisto diretto da parte dell’ospedale, ma attraverso l’ALS di riferimento”.


Da isole a ponti: i gestori calabriani guardano al territorio

Si è concluso San Zeno in Monte il quinto incontro di gestione calabriana al quale hanno partecipato circa 70 amministratori delle attività dell’Opera Don Calabria in Europa

Si è concluso il quinto incontro di gestione calabriana che ha radunato a San Zeno in Monte circa 70 gestori delle attività dell’Opera Don Calabria in Europa, tra cui l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. Quest’anno l’evento si è svolto a San Zeno in Monte, presso la Casa Madre dell’Opera, ed è stato dedicato al seguente argomento: “Da isole a ponti, Gestione e Carisma in rapporto con il territorio”.

 

La prima giornata, giovedì 24 ottobre, ha visto l’intervento del Nunzio Apostolico in Ucraina monsignor Claudio Gugerotti che ha approfondito il tema della carità in san Giovanni Calabria e il suo rapporto con la città di Verona. Molto intense anche le relazioni di Tiziano Vecchiato, della Fondazione Zancan, e del filosofo Roberto Mancini. Il primo ha compiuto un’analisi della situazione dello stato sociale in Italia approfondendo il concetto di “welfare generativo”. Il secondo ha invece delineato la figura dell’amministratore nell’ottica evangelica.

 

Durante la seconda giornata c’è stata una tavola rotonda che ha visto la partecipazione di rappresentanti di vari enti e istituzioni che operano nel territorio veronese e italiano per parlare dell’importanza del “fare rete” per stare al fianco dei poveri e degli ultimi nella società italiana attuale. Sono state due giornate molto produttive, occasione per fare il punto della situazione sulle attività svolte dall’Opera Don Calabria in Europa oggi e confrontarsi sulle sfide future in ambito pastorale, sociale e sanitario.

La Delegazione San Giovanni Calabria comprende le Case e attività presenti in Italia, Romania e Portogallo. Si tratta di 16 comunità religiose, 17 strutture pastorali e 30 strutture educative, oltre all’ospedale di Negrar che collabora con la Delegazione ma dal punto di vista amministrativo si rapporta direttamente con l’Amministrazione Generale della Congregazione.


Se anche il cuore si ammala di diabete

Il diabete è un rilevante fattore di rischio di malattie coronariche e cerebrovascolari, ma purtroppo ancora sottovalutato. L’importanza di alcuni farmaci e soprattutto dello stile di vita

La correlazione tra diabete e malattia cardiovascolare è nota, ma forse non ancora sufficientemente considerata. Alcuni studi già negli anni Novanta attestavano che il diabete aumenta di due-quattro volte il rischio di malattia coronarica e cerebrovascolare.

Tuttavia già da alcuni anni sono in commercio una nuova classe di farmaci(GLP 1 Antagonista e SGLT 2 Inibitore) che oltre ad essere efficace nel mantenere sotto controllo la glicemia, ha una funzione di protezione cardiovascolare. Rimane tuttavia fondamentale lo stile di vita, che significa niente fumo, una dieta equilibrata (che tenga conto della presenza del diabete) e attività fisica costante.

Nel video l’intervista del TGR Veneto al professor Enrico Barbieri, direttore della Cardiologia, e al dottor Luciano Zenari, responsabile del Servizio di Diabetologia, spiegano l’importanza della prevenzione e della diagnosi precoce del diabete.

Il professor Barbieri e il dottor Zenari hanno aderito alla campagna di “Al cuore del diabete”, che ha come obiettivo la sensibilizzazione su diabete e rischio cardiovascolare. L’iniziativa – che vanta il patrocinio della Società Italiana di Diabetologia (SID) e dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD) – ha fatto tappa lunedì 21 ottobre in piazza Bra, nel cuore di Verona .


L'Opera Don Calabria celebra la festa delle missioni

Sono quasi 20mila i bambini e ragazzi aiutati ogni anno in dieci Paesi del mondo dall’associazione Don Calabria Missioni Sostegno Sanità Onlus che domenica 20 ottobre promuove la tradizionale festa missionaria calabriana

“Tutto il mondo è campo di Dio e c’è posto per tutti per fare del bene”. Prende spunto da questa frase di san Giovanni Calabria la Festa delle Missioni dell’Opera calabriana che si svolge domenica 20 ottobre presso la Casa Madre di San Zeno in Monte (Verona) in concomitanza con la giornata mondiale missionaria della Chiesa cattolica. L’evento è organizzato da “Don Calabria Missioni Sostegno Sanità Onlus“, associazione che vede tra i propri sostenitori anche l’IRCCS ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, in particolare per quanto riguarda i progetti di aiuto sanitario alle popolazioni più povere.

 

Al mattino, con inizio alle ore 10, ci saranno le testimonianze di alcuni missionari provenienti dalle realtà dell’India e del Kenya, Paesi ai quali è dedicata quest’anno la festa. Nel pomeriggio ci sarà invece uno spettacolo nel quale si alterneranno danze tipiche e la proiezione di video con canzoni realizzate da bambini e ragazzi delle attività calabriane in terra di missione.

Don Calabria Missioni supporta le attività missionarie dei Poveri Servi e delle Povere Serve della Divina Provvidenza in dieci Paesi del mondo (oltre a Kenya e India ci sono Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay, Filippine, Angola, Romania e Portogallo). In particolare l’associazione nel 2018 ha sostenuto 98 progetti di aiuto in campo sociale, educativo e sanitario a favore di quasi 20mila bambini e delle loro famiglie. La metà di questi progetti sono portati avanti grazie al sostegno a distanza garantito da tanti benefattori e amici dell’Opera calabriana.


Cataratta: ecco cosa sapere sull'intervento

Il dottor Guido Prigione ci spiega come avviene l’intervento di cataratta, che negli ultimi anni ha visto un’evoluzione soprattutto per quanto riguarda le lenti sostitutive del cristallino. Ma a fare la differenza è sempre l’abilità del chirurgo

I primi sintomi, per chi ha sempre visto bene, insorgono tra i 70 e gli 80 anni, per i miopi elevati già verso i 50-60 anni. La cataratta “si presenta” con un calo lento e progressivo della vista (“questi occhiali non vanno più bene”) e con difficoltà di visione notturna: un esempio è l’effetto abbagliante provocato dai fari delle automobili. Se i sintomi sono questi è il caso di rivolgersi all’oculista, perché, forse, la cataratta è ‘matura’.

 

 

“Il temine ‘matura’ si usava alcuni anni fa e indicava il momento ideale in cui intervenire in modo tale da poter facilmente estrarre per intero il cristallino. Le tecniche che usiamo oggi frammentano il cristallino con gli ultrasuoni, di conseguenza attendere che la cataratta assuma la consistenza di un sassolino non è più necessario anzi sottoporrebbe l’occhio a un maggiore insulto infiammatorio con rischi di complicanze evitabili semplicemente intervenendo prima”, spiega il dottor Guido Prigione (nella foto di copertina), chirurgo oftalmologo dell’Oculistica, diretta dalla dottoressa Grazie Pertile, che ogni anno effettua circa 2.500 interventi di cataratta in regime di convenzione col sistema sanitario nazionale.

 

 

Dottor Prigione, cos’è la cataratta?

Si parla di cataratta in presenza di opacità del cristallino, cioè di quella lente, a forma di lenticchia, che si trova all’interno dell’occhio, dietro l’iride, tenuta in posizione da una serie di legamenti sospensori. Con il passare degli anni il cristallino si opacizza, comportando in genere una riduzione dell’acuità visiva (è come se la luce passasse attraverso una finestra sporca), che porta la persona a perdere lentamente la vista. In genere i soggetti miopi riferiscono un peggioramento del loro difetto visivo, mentre gli ipermetropi tendono a vedere meglio senza occhiali.

 

 

In cosa consiste l’intervento?

L’intervento comporta la sostituzione del cristallino che viene estratto attraverso un’apertura rotonda del lato anteriore del sacco che lo contiene, definita capsuloressi. Il facoemulsificatore, uno strumento ad altissima tecnologia che emette ultrasuoni, consente di frantumare e contemporaneamente aspirare il cristallino per lasciare posto alla nuova lente, che verrà quindi iniettata all’interno del sacco originale utilizzato come impalcatura.

 

 

Riguardo alle lenti sostitutive negli ultimi anni si è avuto un notevole progresso tecnologico.

Oggi possiamo impiantare sia le classiche lenti monofocali che le cosiddette IOL (Intraocular Lens) ad alta tecnologia. Si tratta di una serie di cristallini artificiali in grado di corregge potenzialmente tutti i difetti visivi della persona, quindi la miopia, l’ipermetropia, la presbiopia e l’astigmatismo: di fatto, con queste lenti, possiamo rendere la persona indipendente dall’uso di occhiali. Attualmente gli interventi eseguiti in convenzione col Servizio Sanitario Nazionale prevedono solo l’intervento con lenti monofocali, mentre per le lentine Premium ad alta tecnologia è necessario richiedere un intervento in libera professione che nel nostro ospedale viene eseguito in regime di intramoenia dagli stessi chirurghi.

 

 

Le IOL ad alta tecnologia sono indicate per tutti?

No. Per stabilire l’indicazione all’impianto è necessario sottoporre il paziente ad una serie di esami supplementari rispetto a quelli previsti per l’intervento classico, fondamentali anche per la scelta della lente più adatta.

 

 

L’intervento viene eseguito con quale sedazione e richiede ricovero?

Tutti gli interventi di cataratta, indipendentemente dal tipo di lentina da impiantare, sono eseguiti con anestesia topica, con l’utilizzo cioè di semplici colliri anestetici. L’anestesia locale, un’ iniezione di anestetico eseguita vicino al bulbo oculare (simile a quella che viene praticata dal dentista), viene utilizzata solo in rari casi o perché si teme una scarsa capacità di fissazione del paziente oppure se le caratteristiche dell’occhio ci fanno temere la possibilità di incorrere in complicanze in sede di intervento. L’anestesia generale viene proposta ai pazienti claustrofobici che non riescono a sopportare la presenza del telino operatorio davanti al viso. L’intervento viene effettuato in regime ambulatoriale, pertanto il paziente si trattiene in ospedale per la sola durata dell’operazione.

 

 

Sfatiamo alcune false convinzioni. La prima: l’intervento di cataratta è privo di rischi

Non è vero. Come in ogni intervento chirurgico si corre il rischio di contrarre un’infezione. Essendo una chirurgia intraoculare i casi più gravi posso subire un gravissimo danno alla vista. Gli studi internazionali rilevano 1 caso di infezione su circa 8mila occhi operati. E’ chiaro che un paziente anziano e defedato può incorre in un rischio maggiore rispetto a un cinquantenne in buona salute, tuttavia la statistica riguarda tutti. Un altra potenziale complicanza è legata alla possibilità aumentata di avere un distacco di retina entro i primi due anni dall’intervento: tanto più un paziente è giovane e/o miope tanto maggiore sarà il fattore di rischio. Grazie alle nuove tecnologie siamo quindi in grado di operare pazienti che sono all’esordio della cataratta e che desiderano non portare più gli occhiali, ma è fondamentale che sappiano che come per tutti gli interventi anche quello alla cataratta non è privo di controindicazioni.

 

L’intervento di cataratta è un intervento veloce quindi banale

Attenzione a non confondere la relativamente breve durata dell’intervento (in media 10 minuti) con la semplicità dello stesso. Se la procedura è veloce, è merito dell’abilità del chirurgo e delle strumentazioni sempre più avanzate. L’intervento di cataratta richiede una tecnica chirurgica notevole che si acquisisce solo dopo centinaia di interventi e i margini di errore sono pochissimi. Ai miei pazienti spiego sempre che è come fare un giro di pista in macchina: se l’intervento dura poco non è perchè banale ma perchè ci sta operando un pilota di Formula 1.

 

 

L’utilizzo del laser garantisce la buona riuscita dell’intervento

Non è vero. La riuscita ottimale dell’intervento dipende molto dall’abilità del chirurgo. Il laser è un efficace strumento operatorio che può aumentare la precisione di alcune fasi dell’intervento. Studi internazionali hanno tuttavia provato che il suo utilizzo aumenta i costi e i tempi dell’intervento senza un reale beneficio per il paziente. Elementi di certo non trascurabili all’interno di un servizio sanitario nazionale.

                                                                                                                        elena.zuppini@sacrocuore.it


Riabilitazione Ortopedica-IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria

Inaugurato il nuovo reparto di Riabilitazione Ortopedica

Riabilitazione Ortopedica-IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria

Nella Festa di S. Giovanni Calabria è stato inaugurato il nuovo reparto di Riabilitazione Ortopedica: i nuovi posti letto sommati ai precedenti vanno a coprire le esigenze riabilitative dell’alto numero dei pazienti sottoposti a intervento protesico

In occasione della Festa di San Giovanni Calabria, questa mattina all’ospedale di Negrar è stato inaugurato il nuovo reparto di Riabilitazione Ortopedica, diretto dal dottor Roberto Filippini, collocato al terzo piano di Casa Nogarè, una delle strutture della Cittadella della Carità di cui fa parte anche l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. La benedizione inaugurale è stata impartita dal cardinale veronese Eugenio Dal Corso, primo cardinale dell’Opera Don Calabria, che ha ricevuto la porpora cardinalizia da papa Francesco lo scorso 5 ottobre. Ad affiancarlo padre Miguel Tofful, superiore generale dei Poveri Servi della Divina Provvidenza. Il Cardinale ha poi celebrato la Messa nella cappella dell’ospedale. (vedi video e interviste dell’inaugurazione)

 

 

La nuova Unità Operativa copre un area di circa 1000 metri quadri, con 25 posti letto che si aggiungono ai 42 posti letto attuali della Medicina Fisica Riabilitativa, diretta dal dottor Zeno Cordioli. Particolare cura è stata riservata alla scelta cromatica delle pareti, ma anche degli arredi, al fine di creare, per quanto possibile, un ambiente accogliente per una permanenza di alcune settimane. Ogni posto letto è dotato di un monitor televisivo attraverso il quale verranno trasmessi dei video con gli esercizi riabilitativi che il paziente è invitato a fare da solo o quando ritornerà alla propria abitazione.

 

Il reparto comprende inoltre un’ampia palestra attrezzata, un soggiorno, una sala da pranzo, una piccola cucina, un ambulatorio, la zona infermieristica, mentre gli studi medici sono stati collocati al quarto piano.

 

 

“L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria è stato classificato nel 1978 come ospedale generale di zona, per quanto riguarda la parte del “Sacro Cuore”, e come ospedale per lungodegenti e convalescenti per il “Don Calabria” – ha spiegato l’amministratore delegato, Mario Piccinini -. Quindi oggi siamo perfettamente in linea con la forte connotazione riabilitativa della nostra struttura. Ma perché si è reso necessario un nuovo reparto? La nostra Ortopedia è la sesta in Italia per numero di interventi di chirurgia protesica del ginocchio e vanta una casistica di rilievo per la protesi dell’anca. Inoltre la Regione Veneto ha indicato nelle ultime schede ospedaliere l’Unità Operativa del dottor Claudio Zorzi come Centro di riferimento per la revisione delle protesi di anca e ginocchio. Di fronte a questi numeri chirurgici il problema erano appunto i posti di riabilitazione, la cui insufficienza ci costringeva a inviare i pazienti in altre strutture e il più delle volte fuori Veneto. Per questo motivo e in accordo con la Regione abbiamo deciso di creare questo nuovo reparto – esteticamente molto piacevole – che sarà operativo all’inizio del prossimo anno”.

 

 

“E’ un investimento importante non solo dal punto di vista economico ma anche tecnico-riabilitativo con una struttura particolarmente accogliente per chi deve superare un percorso non facile dopo un intervento chirurgico ortopedico – ha detto il direttore della nuova Riabilitazione Ortopedica – Questa struttura è un ampliamento dell’offerta dell’ospedale di Negrar, da sempre un’eccellenza dal punto di vista riabilitativo. Siamo staff nuovo di quattro medici e sei fisioterapisti, molto motivato e in linea con l’amministrazione che ci ha supportato in ogni richiesta e decisione”.

All’inaugurazione è intervenuto anche Luca Coletto, assessore regionale alla Sanità quando venne approvata la delibera relativa al nuovo reparto, e il dottor Claudio Zorzi, direttore dell’Ortopedia e Traumatologia. “Questo è un anello importante per completare l’assistenza dei pazienti ortopedici – ha detto Zorzi -. Ringrazio il dottor Cordioli e il suo staff per la grande collaborazione di questi anni, nel trovare soluzioni a situazioni non sempre facili. Ora abbiamo questi posti letto in più che ci pemettono di lavorara ancora meglio”

 

 

La Festa di San Giovanni Calabria cade quest’anno nel ventesimo anniversario della canonizzazione del Santo veronese. “E’ un momento di gioia, ma anche di profondo ringraziamento alla Divina Provvidenza. L’abbandono a Dio Padre è il fondamento del carisma che Don Calabria ci ha lasciato, affinché possiamo servire le persone all’altezza della loro dignità di uomini e donne – ha detto il presidente dell’Ospedale, fratel Gedovar Nazzari – San Giovanni Calabria ci chiede ancora di “fare bene il bene”, un principio del suo insegnamento che noi possiamo mettere in pratica non solo offrendo ai nostri pazienti terapie innovative, ma anche accogliendoli in ambienti confortevoli, come questo nuovo reparto”.

Nella PhotoGallery le immagini dell’inaugurazione (foto Ennevi)

 

 

 

 


Obesity Day: colloqui informativi con la nostra équipe

Mercoledì 9 e giovedì 10 ottobre al Centro Diagnostico Terapeutico di Verona, il team dei nostri specialisti che si occupano di obesità e sovrappeso sono a disposizione dei cittadini interessati al problema. E’ necessario registrarsi telefonicamente

In occasione dell’Obesity Day, la Giornata di prevenzione dell’obesità che si tiene in tutto il mondo il 10 ottobre, l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria promuove due giorni di colloqui informativi rivolti alle persone con problemi di sovrappeso e a tutti coloro che sono interessati ad avere maggiori informazioni sulla malattia e sugli interventi per affrontarla. Fra questi il supporto psicologico e la chirurgia bariatrica.

 

 

L’appuntamento è per mercoledì 9 e giovedì 11 ottobre dalle 9 alle 17 al Centro Diagnostico Terapeutico di via San Marco 121 (Verona) dove a ricevere i cittadini sarà un team formato da medici gastroenterologi, psicologi, dietisti e chirurghi bariatrici. E’ necessario registrarsi ai numeri 045.6013493/3024 (dalle 8.30 alle 15 dal lunedì al venerdì).

 

L’obesità – che in Italia coinvolge 6 milioni di persone, il 10% della popolazione – non è un problema estetico, ma rientra a pieno titolo nell’elenco delle patologie. Infatti un obeso ha un’aspettativa di vita inferiore di 10 anni rispetto a quella di un coetaneo normopeso, in quanto l’obesità è quasi sempre accompagnata da diabete, ipertensione, patologie cardiovascolari e respiratorie.

 

 

Dieta ipocalorica e costante attività fisica sono le vie maestre per ottenere un calo ponderale. Ma quando i chili in eccesso sono davvero troppi e i vari tentativi per eliminarli sono falliti più volte, può intervenire la chirurgia bariatrica.

 

 

Dal 2015 presso l’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria è stata avviata un’attività per la soluzione chirurgica dell’obesità. Si rivolgono al Centro soprattutto donne (l’età media è di 30 anni) che nonostante molteplici tentativi non sono riuscite a perdere peso o lo hanno riacquistato, spesso con gli interessi, dopo un momentaneo dimagrimento.

 

 

Ma l’intervento fine a se stesso non è risolutivo se non accompagnato da un radicale cambiamento di stile di vita, dove il cibo non può più rappresentare una compensazione emotiva. L’atto chirurgico è infatti preceduto da uno scrupoloso studio psicologico e delle abitudini alimentari per verificare l’idoneità del paziente prima e successivamente all’intervento. A questo proposito l’ospedale di Negrar collabora con l’Unità funzionale di Riabilitazione Nutrizionale della Casa di Cura Villa Garda dove il paziente può svolgere un percorso psicologico e di educazione alimentare di tre settimane.

 

 

 

 


Ottobre rosa: più attenzione agli stili di vita

Il mese di Ottobre è tradizionalmente dedicato alla prevenzione del tumore al seno, di cui si registrano un aumento dei casi ma anche delle sopravvivenza, grazie ai trattamenti e agli screening

Per la prima volta diminuiscono in generale i casi di tumore, ma sono in crescita le donne colpite da cancro al seno, alla cui prevenzione è dedicato il mese di Ottobre. Tuttavia non siamo di fronte a una brutta notizia.

 

Aumentano i casi di cancro alla mammella

“I dati (calcolati al netto dell’invecchiamento della popolazione: dati standardizzati), relativi ai trend temporali nel periodo 2003-2014, indicano che l’incidenza delle neoplasie è in riduzione in entrambi i generi – afferma Stefania Gori, direttore del Dipartimento oncologico dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria e presidente nazionale degli oncologi italiani -. Il tumore della mammella si conferma il più frequente nella popolazione. I casi sono in crescita soprattutto nelle aree del Centro-Nord per l’estensione dei programmi di screening e della popolazione target (da 50-69 anni a 45-74) a cui essi sono sono rivolti. Ma questo aumento non costituisce un fenomeno negativo, perché grazie a tali programmi vengono individuati in fase iniziale e con alte probabilità di guarigione molti tumori che, senza lo screening, sarebbero stati scoperti in stadio avanzato”.

 

Ma cresce la sopravvivenza

Ma veniamo ai dati. Nei giorni scorsi l’Associazione Italiana Oncologia Medica (AIOM) ha presentato l’edizione 2019 del volume “I numeri del cancro in Italia”, il “censimento” sulla malattia tumorale redatto in collaborazione con AIRTUM, Fondazione AIOM, PASSI, PASSI d’Argento e SIAPEC-IAP. Secondo l’indagine si stima che quest’anno siano 371mila le nuove diagnosi, contro le 372mila del 2018, 2mila in meno in 12 mesi. Il tumore più frequente resta quello della mammella con 53.500 casi nel 2019, oltre mille casi in più rispetto al 2018. Tuttavia quest’ultimo rientra tra i tumori che in Italia – insieme a quello della tiroide, prostata, testicolo e melanoma – fanno registrare percentuali più alte di sopravvivenza, che per la neoplasia della mammella è, a 5 anni, pari all’87%. Parallelamente è in calo anche la mortalità in tutte le classi di età, soprattutto nelle donne con meno di 50 anni.

 

Ancora sottovalutata l’importanza di uno stile di vita sano

Risultati positivi raggiunti grazie ai progressi terapeutici (chirurgici farmacologici e radioterapici) e all’adesione allo screening mammografico Ma si potrebbe fare di più sul piano della prevenzione. “Circa il 40% delle neoplasie, tra queste anche il tumore al seno, può essere evitato seguendo uno stile di vita sano (no al fumo, attività fisica costante e dieta corretta) – prosegue la dottoressa Gori – In Italia il 34,5% dei cittadini è sedentario, il 31,6% è in sovrappeso, il 10,9% obeso e il 25,7% fuma. Per invertire la tendenza, serve maggiore consapevolezza anche da parte degli operatori sanitari: solo 1 fumatore su 2 ha ricevuto il consiglio di smettere, suggerimenti sull’attività fisica sono stati forniti solo al 30% dei cittadini e meno della metà delle persone obese o in sovrappeso ha ottenuto dal proprio medico indicazioni per perdere peso”.

 

La “prevenzione su misura”: il test Brca1 e Brca2

Per alcuni tumori oggi esistono anche percorsi su misura. “Il 5-7% dei tumori della mammella e il 10-20% delle neoplasie dell’ovaio sono dovuti a una predisposizione ereditaria, riconducibile in particolare alle mutazioni dei geni Brca1 e Brca2 – continua Gori – Questo significa che, nel nostro Paese, ogni anno circa 3.000 casi di carcinoma della mammella e circa 1.000 dell’ovaio potrebbero essere evitati o individuati in fase molto precoce proprio adottando strategie mirate ed efficaci. È quindi fondamentale che il test Brca venga eseguito nei familiari sani delle pazienti in cui è stata individuata una variante dei geni Brca1/2 e che, in caso di positività, venga loro offerto gratuitamente il programma di prevenzione, eventualmente con l’introduzione di un codice di esenzione per malattie genetiche ereditarie”.

 

Una mutazione importante anche per altri tumori

L’identificazione di una frazione di pazienti con carcinoma prostatico o pancreatico metastatico portatori della mutazione “sta inoltre aprendo nuovi orizzonti anche per quanto riguarda la valutazione dei loro familiari sani: nel caso risultino portatori sani di mutazione Brca, dovranno essere avviati a percorsi di prevenzione. È, quindi, un nuovo mondo in espansione per una prevenzione dei tumori”.

 

Il test al “Sacro Cuore Don Calabria”

Nell’ambito del Centro di senologia, l’Anatomia Patologica, diretta dal professor Giuseppe Zamboni, viene eseguito il test per la ricerca delle mutazioni a carico dei geni BRCA1 e BRCA2. Il test viene effettuato solo dopo consulenza genetica in Oncologia, per valutarne le indicazioni. Per ulteriori informazioni contattare il numero verde del Cancer Care Center 800 143 143.