In volo come in sala operatoria: a lezione da una freccia tricolore

Il comandante Gianluigi Zanovello al “Sacro Cuore” per alcuni corsi sulle non technical skills, le capacità non professionali fondamentali per affrontare un’emergenza e rimediare all’errore umano.

Che ci azzecca un ex pilota dell’Aeronautica Militare e Civile con un gruppo di medici, infermieri e ostetriche? Ci azzecca, eccome. L’ex pilota in causa è il comandante Gianluigi Zanovello. Membro dell’Aviazione Militare con esperienza pluriennale su veicoli ed elicotteri, ha fatto parte (per dieci anni) della pattuglia delle Frecce Tricolori occupando varie posizioni tra le quali leader della formazione in volo e comandante dell’intero gruppo. Prima di “riporre le ali”, ha volato fino al 2018 per una compagnia aerea civile. Oggi la sua prima occupazione– come cofondatore di Umaniversitas Academy – è quella di insegnare in ambiti del tutto estranei al suo, le “non technical skills”, cioè le capacità che non riguardano strettamente la professione, ma sono trasversali a molti e fondamentali per affrontare in modo efficace le emergenze, ponendo rimedio all’errore umano, sempre in agguato, mai eliminabile del tutto.

 

Una di queste lezioni si è svolta nelle scorse settimane all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria nell’ambito di un corso di formazione promosso dall’Unità Operativa Complessa di Ginecologia ed Ostetrica, diretta dal dottor Marcello Ceccaroni. Il corso sarà ripetuto giovedì 12 e venerdì 13 dicembre, rivolto principalmente al personale del reparto con la partecipazione anche di alcuni anestesisti.

 

I piloti e i medici hanno più punti in comune di quanto si possa pensare.Entrambi abbiamo in ‘affido’ la vita delle persone, a volte in situazioni di emergenza, e il tasso di incidenti dovuto ad errore umano degli equipaggi è lo stesso individuato nei team medici: l’80% “, spiega la dottoressa Silvia Baggio, ginecologa dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. “Tuttavia in aeronautica l’errore umano per ovvie ragioni ha risultati catastrofici e conseguenze dirette sulla sopravvivenza dello stesso equipaggio. Quindi i piloti per primi hanno sentito la necessità di mettere a punto quelle procedure che aiutano innanzitutto la ‘squadra’ a prevenire l’errore e quindi a creare la cultura della sicurezza. E in secondo luogo ad agire sotto il peso dell’emergenza per rimediare all’errore commesso o affrontare l’imprevisto” sottolinea la ginecologa. Tali procedure hanno migliorato nettamente la sicurezza del volo.
Per questo, visti i successi in campo aeronautico, alcune grandi Organizzazioni come l’OMS o Università (Aberdeen, Harvard e Manchester) hanno pensato di trasferire questa nuova cultura alla Sanità.

 

 

Ma quali sono queste non technical skills? “Innanzitutto la consapevolezza della situazione (Situation Awareness)“, risponde Emanuela Bonifacio, caposala della Ginecologia ed ostetricia. “Capire esattamente cosa sta succedendo, focalizzare i punti critici e in base a questi scegliere a chi chiedere supporto”. Alla Situation Awareness si affiancano la Decision Making, cioè la capacità decisionale, la Leadership, la Communication and Teamwork, e la Task Management.

 

 

“Il lavoro di squadra – da sempre promosso da questa unità, in particolare dal direttore dottor Marcello Ceccaroni – assieme alla capacità comunicativa e una leadership oculata ed attenta (non sempre identificabile con la persona di grado più alto) sono considerate la più efficace risposta a quelle situazioni nelle quali lo stress e la velocità di esecuzione obbligata rappresentano una minaccia importante per la sicurezza del paziente”, sottolinea Baggio. Un esempio in ostetricia sono i tagli cesarei di urgenza e l’emorragie post partum.

 

 

Fondamentali per l’apprendimento delle no technical skills sono le simulazioni di casi reali, che verranno effettuate durante i corsi di formazione a Negrar sotto la guida del comandante Zanovello. “Le simulazioni prevedono anche la gestione di elementi esterni all’emergenza che possono essere i parenti della donna o anche un elemento del team che entra in contrasto con il leader mettendo a rischio l’efficacia dell’azione che si sta svolgendo”. conclude la dottoressa Baggio.


Tumore della prostata: l'importanza di un team di specialisti

L’approccio multidisciplinare consente di costruire per il paziente affetto da tumore alla prostata un percorso terapeutico personalizzato: in un convegno a Negrar si farà il punto sulle cure della neoplasia più diffusa tra il sesso maschile

Un uomo su nove nel corso della sua vita si ammala di tumore alla prostata. Questo fa sì che la neoplasia prostatica sia il tumore più diffuso tra il sesso maschile con 37mila nuove diagnosi previste nel 2019. Tuttavia è anche uno dei tumori che ha un indice di sopravvivenza più alto: dopo 5 e 10 anni anni è pari rispettivamente al 92% e al 90%. Un risultato ottenuto grazie alla diagnosi precoce e al progresso delle terapie mediche, chirurgiche e radioterapiche.

Trattamenti che entrano in gioco – da soli o in combinazione – a seconda dell’estensione anatomica e dell’aggressività della neoplasia. A cui si aggiungono altri fattori prognostici quali l’età e la presenza di altre malattie che possono diminuire l’aspettativa di vita in maniera superiore al carcinoma prostatico stesso. Per questo è fondamentale che il paziente venga preso in carico da un team multidisciplinare che valuti attentamente il suo caso e prescriva un trattamento personalizzato.

Al team multidisciplinare nel carcinoma alla prostata è dedicato il secondo convegno nazionale che si terrà venerdì 6 e sabato 7 dicembre nella sala convegni dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Il simposio scientifico – patrocinato da AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e da AIRO (Associazione Italiana di Radioterapia e Oncologia Clinica) – è coordinato da tre primari di Negrar: la dottoressa Stefania Gori, dell’Oncologia Medica, dal professor Filippo Alongi, della Radioterapia Oncologica Avanzata, e dal dottor Stefano Cavalleri, dell’Urologia. Il convegno vede la presenza di oncologi, urologi, radioterapisti, anatomo-patologi e altri specialisti interessati al tumore alla prostata (endocrinologi, andrologi, internisti, cardiologi..) provenienti dalla maggiori strutture ospedaliere italiane (vedi programma).

Il “Sacro Cuore Don Calabria” è un centro di riferimento per il tumore alla prostata con 263 casi solo chirurgici nel 2018. Il paziente viene preso in carico dalla diagnosi, al trattamento fino alla riabilitazione, potendo usufruire di alte professionalità e di tecnologie di ultima generazione come il robot chirurgico Da Vinci Xi e l’acceleratore lineare “Unity“. Inoltre la radiologia esegue la biopsia prostatica in sede di Risonanza Magnetica e presso il Servizio di Terapia Radiometabolica vengono effettuati trattamenti con il radiofarmaco Xofigo per la cura delle metastasi ossee da carcinoma prostatico.

Oggi possediamo molte armi terapeutiche per combattere il tumore prostatico e la ricerca è sempre in evoluzione su questo ambito – spiega la dottoressa Gori -. Rimane fondamentale tuttavia costruire un percorso terapeutico personalizzato per ogni paziente e collaborare all’interno del team multidisciplinare anche con l’endocrinologo e il cardiologo. Infatti in una sessione del congresso, intitolata “Prendersi cura del paziente”, interverranno due endocrinologi-andrologi che affronteranno il tema dell’impotenza nel paziente con carcinoma alla prostata, mentre un cardiologo parlerà della cardiotossicità come effetto della terapia ormonale.La sessione sarà moderata da Edoardo Fiorini, presidente dell’associazione dei pazienti PaLiNUro”.

 

Dottoressa Gori, oltre alla terapia medica, chirurgica e radioterapica, si parla anche di ‘sorveglianza attiva’. In cosa consiste e per quali pazienti è indicata?

La diagnosi precoce di un tumore in fase iniziale può significare per le neoplasie a rischio basso/molto basso (cioè limitate alla prostata, ben differenziate, con un minimo volume tumorale e a bassi valori di PSA) e in uomini con aspettativa di vita superiore a 10 anni, scegliere tra la chirurgia, la radioterapia o la sorveglianza attiva. Con questo termine s’intende il monitoraggio del decorso della patologia per intervenire nel caso di progressione tumorale. Di solito si prevede la valutazione del PSA ogni 3-6 mesi, l’esplorazione rettale ogni 6-12 mesi ed eventualmente il ricorso a biopsie addizionali. L’obiettivo degli oncologi, ma anche dei chirurghi urologi e dei radioterapisti è quello di procrastinare il trattamento chirurgico o radioterapico per evitare gli effetti collaterali conseguenti. Naturalmente la scelta della sorveglianza attiva va comunque ampiamente condivisa con il paziente che dovrà essere informato sui rischi e sui benefici”.

 

Nella malattia metastatica, quali terapie abbiamo a disposizione?

Oltre all’ormonoterapia, cioè la soppressione della produzione degli ormoni androgeni, che rappresenta il trattamento di prima scelta consentendo solitamente di ottenere un controllo della malattia per un tempo compreso tra i 18 e i 24 mesi, oggi sono disponibili la chemioterapia e l’ormonoterapia alternativa. Non dimenticando nel caso delle metastasi ossee, i farmaci che inibiscono l’eccessivo riassorbimento osseo e il conseguente danno scheletrico (con dolore e fratture patologiche) la radioterapia e la terapia radiometabolica”.

 

Dal 2015 il Servizio di Medicina Nucleare dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretta dal dottor Matteo Salgarello, effettua trattamenti con il radiofarmaco Xofigo. Questo radiofarmaco oltre ad avere un’azione sulla sintomatologia dolorosa, ha dimostrato di aumentare la sopravvivenza dei pazienti trattati e di avere un ottimo profilo di tollerabilità rispetto ai trattamenti radiometabolici del passato.

 

Dottor Cavalleri, l’intervento di prostatectomia è ancora visto con molto timore da parte dei pazienti per le eventuali sequele temporanee o permanenti (incontinenza urinarie e disfunzione erettile). Ci sono delle novità in proposito?

“La prostatectomia radicale è un intervento che prevede l’asportazione della prostata, dei tessuti vicini e dei linfonodi regionali al fine di prevenire eventuali recidive, pertanto il rischio di un interessamento dei nervi dell’apparato uro-genitale non è inconsistente. In un centro ad alto volume come il nostro grazie all’elevato expertise dei chirurghi urologi e all’utilizzo del Robot Da Vinci la chirurgia della prostata è solo mini-invasiva. Tale metodica, quando è possibile praticarla, aumenta la possibilità di preservare una normale funzione urinaria e sessuale dopo l’intervento. L’importante è che dopo l’intervento eseguire un trattamento di fisioterapia per la riabilitazione del pavimento pelvico”.

 

Professor Alongi, la radioterapia ha un ruolo chiave nella cura dei tumore alla prostataSicuramente, anche grazie all’avvento di apparecchiature che consentono di irradiare con alte dosi ed estrema precisione il tumore risparmiando i tessuti sani.

Questo si traduce per il paziente in maggiore efficacia e minori effetti collaterali. Un esempio di questi macchinari è “Unity”, l’acceleratore lineare integrato con la Risonanza Magnetica ad alto campo (1,5 tesla), che nell’Europa del Sud (vedi articolo) dispone solo l’ospedale di Negrar. In pazienti con tumore localizzato alla prostata, la radioterapia oggi rappresenta un’alternativa non invasiva all’intervento chirurgico radicale. Inoltre a radioterapia ha un ruolo importante anche in altri stadi della malattia tumorale a scopo adiuvante, cioè dopo l’intervento chirurgico, e anche in presenza di metastasi, per controllare sia i sintomi sia la malattia insieme ai farmaci. In particolare in questo ambito, come avviene per casi selezionati di singole o poche metastasi nelle sedi linfonodali o ossee, la radioterapia ablativa stereotassica può contribuire ad aumentare la sopravvivenza”.


Radioterapia Oncologica Avanzata IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar

Radioterapia: risultati incoraggianti per i primi trattamenti con "Elekta Unity"

Radioterapia Oncologica Avanzata IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar

Nel servizio di “Medicina33” del Tg2, il professor Filippo Alongi spiega l’innovativo macchinario Elekta Unity e i risultati raggiunti con i primi cicli di terapie sui pazienti

Sono cinque i trattamenti già conclusi con “Elekta Unity”, il sistema di radioterapia oncologica di massima precisione avviato per la prima volta in Sud Europa dall’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Nel servizio di “Medicina33, la rubrica di salute del TG2, andato in onda giovedì 28 novembre, il professor Filippo Alongi, spiega le grandi potenzialità del macchinario ibrido, composto da un acceleratore lineare e da una risonanza magnetica ad alto campo (1,5 Tesla), la stessa usato a scopo diagnostico (vedi servizio televisivo).

 

 

Con il professor Alongi, direttore della Radioterapia Oncologica Avanzata e associato all’Università di Brescia, la testimonianza del primo paziente trattato, affetto da tumore alla prostata. Dopo tre settimane dalle 5 sedute giornaliere di radioterapia effettuate, al signor Furlan è stato comunicato che i valori del PSA nel sangue si sono dimezzati. Gli altri trattamenti conclusi riguardano altri 3 pazienti colpiti da tumore alla prostata e altri due ai linfonodi addominali. Sono in corso nuovi cicli radioterapici con “Unity”.

 

 

Dopo un’attenta valutazione multidisciplinare- spiega il prof. Alongi-, abbiamo proposto a signor Furlani ppiù opzioni: sorveglianza attiva, intervento con il robot chirurgico o trattamento radioterapico radicale. Il paziente, alla luce della non invasività della cura radioterapica e della tecnologia ad alta precisione proposta, ha deciso di essere trattato con radiazioni. Il trattamento è stato effettuato in 5 sedute giornaliere contro le 6-7 necessarie nei trattamenti tradizionali”.

 

Per garantire ancora maggiore precisione, al paziente sottoposto al trattamento prostatico è stato precedentemente introdotto un gel spaziatore che è andato a posizionarsi tra la prostata e il retto, distanziandolo. “Il gel spaziatore è perfettamente visibile nelle immagini fornite dalla Risonanza Magnetica e si riassorbe alcune settimane dopo la fine del trattamento. In questo modo il retto viene protetto dalle alte dosi di radiazioni e dalle possibili sequele, mentre la vicina prostata riceve la dose efficace per neutralizzare il tumore”, sottolinea Alongi.

 

 

Una possibile soluzione alternativa all’intervento chirurgico

Sono circa 37mila all’anno le nuove diagnosi di tumore alla prostata, il cancro più diffuso nel sesso maschile. L’intervento chirurgico è il trattamento più praticato, ma nonostante l’utilizzo di metodiche chirurgiche robotiche mini-invasive, permane, anche se ridotto rispetto al passato, il rischio di incorrere in conseguenze – temporanee o permanenti – come l’incontinenza vescicale e la disfunzione erettile, che alcune volte incidono pesantemente sulla qualità di vita del paziente.

“Anche con i precedenti sistemi eravamo già in grado di effettuare una Radioterapia Stereotassica Corporea (SBRT-Stereotactic Body Radiation Terapy) capace di ottenere la necrosi del tumore utilizzando un’elevata dose di radiazioni – prosegue il professor Alongi -. Ora con “Elekta Unity” effettuiamo tutto questo con ancora maggior precisione. La Risonanza Magnetica incorporata mette a disposizione del radioterapista oncologo immagini di altissima qualità e definizione che lo guidano nella scelta in tempo reale del piano terapeutico al fine di offrire un trattamento efficace e personalizzato al paziente. In casi selezionati, in diversi distretti corporei, la Radioterapia sostituisce la chirurgia (infatti si parla anche di Radiochirurgia se effettuata in singola seduta) in modo completamente non invasivo, indolore e senza effetti collaterali importanti».

 

 

La Risonanza Magnetica: immagini ad altissima definizione senza ulteriori radiazioni

La ripetizione della RM ad alto campo a ogni seduta (giornaliera) e in corso di trattamento è totalmente sicura per il paziente, in quanto non è soggetto a radiazioni ionizzanti (raggi X) come avviene per la TC o altre metodiche radiologiche usate per produrre immagini che facciano da guida al trattamento. Ricordiamo infatti che la Risonanza Magnetica utilizza campi magnetici e non radiazioni ionizzanti.

Non solo prostata

Il sistema Elekta Unity è applicabile sui tumori di diversi distretti anatomici. “Il vantaggio maggiore è soprattutto per la radioterapia dei tessuti molli, in particolare degli organi addominali quali pancreas, fegato, linfonodi e prostata, le cui lesioni tumorali, con i sistemi tradizionali, sono spesso non del tutto distinguibili rispetto ai tessuti sani da escludere dalle radiazioni», precisa lo specialista.


Poveri Servi della Divina Provvidenza

Verso il Capitolo dei Poveri Servi: incontro con il cardinale Zuppi

Poveri Servi della Divina Provvidenza

L’arcivescovo di Bologna martedì 26 novembre è a San Zeno in Monte per parlare di “Don Calabria profeta di comunione”. L’evento si svolge in occasione del 112° anniversario di fondazione dell’Opera calabriana ed è in preparazione al Capitolo Generale 2020

Sarà il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, il relatore d’eccezione per la 99ma Giornata di Studi Calabriani in programma martedì 26 novembre alle ore 18 a San Zeno in Monte, presso la Casa Madre dell’Opera Don Calabria.

Il neo cardinale, creato da Papa Francesco lo scorso 5 ottobre insieme, tra gli altri, al veronese dell’Opera Don Calabria monsignor Eugenio Dal Corso, affronterà il tema “Don Giovanni Calabria profeta di comunione”. Sarà anche l’occasione per celebrare i 112 anni dalla fondazione dell’Opera Don Calabria, che avvenne il 26 novembre 1907 quando i primi Buoni Fanciulli di don Calabria andarono ad abitare in una piccola casa di Vicolo Case Rotte, vicino a San Giovanni in Valle.

L’evento è organizzato dal Centro di Cultura e Spiritualità Calabriana e si colloca nel cammino di preparazione al XII Capitolo generale della Congregazione fondata dal santo veronese, che si svolgerà a maggio 2020 e sarà dedicato proprio al tema della comunione. L’ingresso è libero e aperto a tutti.

S. Em. il Cardinale Matteo Zuppi, 64 anni, è stato nominato vescovo nel 2012 da Papa Benedetto XVI e dal 2015 guida l’arcidiocesi di Bologna. Ha conosciuto l’Opera Don Calabria durante gli anni trascorsi a Roma nel lavoro pastorale in diocesi e nel 2017 era già stato a San Zeno in Monte su invito della Congregazione per celebrare la festa liturgica di San Giovanni Calabria, l’8 ottobre di quell’anno.


Giacomo Ruffo direttore della Chirurgia generale IRCCS Sacro Cuore Don Calabria presenta l'APP per la chirurgia colorettale

Nasce un'APP per il paziente sottoposto a chirurgia colorettale

Giacomo Ruffo direttore della Chirurgia generale IRCCS Sacro Cuore Don Calabria presenta l'APP per la chirurgia colorettale

L’applicazione digitale è stata realizzata dalla Chirurgia generale e presentata dal direttore Giacomo Ruffo durante il convegno nazionale sulla chirurgia del tumore al retto che si è tenuto a Verona.

 

Un’App che aiuta il paziente ad affrontare l’intervento chirurgico nelle migliori condizioni fisiche e lo supporta, in diretto contatto con il medico, prima del ricovero e dopo la dimissione. A realizzarla, nell’ambito della chirurgia colo-rettale, è la Chirurgia Generale dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretta dal dottor Giacomo Ruffo (vedi video-intervista in fondo a questo articolo).

L’applicazione digitale è stata presentata nel corso del congresso nazionale sulla chirurgia del tumore del retto che si è tenuto oggi presso il Palazzo della Gran Guardia a Verona.

Il meeting scientifico, giunto alla quarta edizione e organizzato dal dottor Ruffo, ha avuto tra i temi principali la qualità di vita del paziente sottoposto a chirurgia per tumore del retto. Si tratta di una delle neoplasie più diffuse nei Paesi Occidentali: nel 2019 sono previste in Italia 15mila nuove diagnosi, 1.200 nel Veneto, 200 quelle stimate nella provincia di Verona.

Nonostante l’approccio chirurgico mini-invasivo (chirurgia laparoscopica e robotica) si sia, ormai da alcuni anni, imposto come la metodica più efficace e conservativa per il trattamento di questa neoplasia, persiste un tasso di sequele funzionali relative ad alterazioni della sfera sessuale, urologica e relative alla continenza.

Su questo tema si sono confrontati i maggiori specialisti italiani e personalità di rilievo internazionale. Tra questi Cobi Reisman, presidente della Società europea di sessuologia, e Anthony Antoniou e Joannis Constantinides del St’s Marks Academic Institute di Londra, realtà di riferimento mondiale per la chirurgia del retto.

L’App “Colorectal Digital Checklist”, che sarà scaricabile da ogni piattaforma digitale a partire da gennaio, è uno strumento digitale che aiuta il paziente ad aderire in maniera ottimale al protocollo ERAS (Enhanced Recovery After Surgery) che ha come obiettivo principale il miglioramento del recupero dopo la chirurgia accelerando la ripresa post-operatoria e riducendo le complicanze cliniche.

Il protocollo ERAS è stato introdotto a Negrar da circa un anno per quanto riguarda la chirurgia colo-rettale. Ogni anno la Chirurgia Generale di Negrar effettua 500 interventi di resezione intestinale, dovuta a tumori del colon retto, malattie infiammatorie croniche dell’intestino, endometriosi. Il protocollo sarà esteso a breve anche alla chirurgia ginecologica, urologica e toracica. Il protocollo viene applicato grazie alla collaborazione di un team multidisciplinare e composto da chirurgo generale, anestesista, farmacista ospedaliero, dietista, fisioterapista e personale infermieristico. L’anestesista in particolare ha un ruolo fondamentale sia nella fase intra-operatoria sia in quella post-operatoria per la gestione del controllo del dolore.

 

Che cos’è l’APP

L’App “Colorectal Digital Checklist” – applicazione per smartphone, tablet e computer, dotata di tutti i dispositivi per la protezione dei dati – è una sorta di diario digitale che assume una funzione sia nella fase pre-operatoria sia in quella post-operatoria.

Prima dell’intervento

Nel periodo pre-operatorio l’applicazione fornisce una serie di informazioni per l’educazione del paziente e ricorda quotidianamente (mediante una notifica) gli obiettivi da raggiungere. Il paziente viene educato attraverso informazioni utili sul regime alimentare da seguire, sul significato e sulla modalità di assunzione di alcuni integratori e sulle modalità di ottimizzare lo stato fisico pre-operatorio attraverso alcuni esercizi aerobici e non, che vengono spiegati attraverso immagini e video. Il paziente quindi compilerà l’adesione o meno ai vari obiettivi giornalieri con la possibilità di riportare eventuali problematiche e invierà il tutto al medico.

Durante la degenza

Nella fase post-operatoria, durante la degenza ospedaliera, il paziente viene educato all’utilizzo quotidiano dell’APP per riportare una serie di parametri che andranno monitorati anche dopo la dimissione.

 

Dopo le dimissioni

Una volta a casa il paziente compila quotidianamente il questionario relativo a specifici parametri (presenza di febbre, controllo del dolore, validità dell’alimentazione e modalità di canalizzazione) e lo invia al medico. In caso di parametri anomali il paziente sarà contattato direttamente dal medico. Il paziente in caso di dubbi può scrivere tramite l’applicazione al medico, il quale viene allertato tramite una nodifica. Una volta accertato dal medico un ottimale stato post operatorio, il paziente esce dall’applicazione e tutti i dati vengono trasferiti sulla cartella clinica elettronica in totale sicurezza. Di solito questo avviene in concomitanza con il controllo post operatorio, dopo cinque giorni.

foto di copertina: il dottor Giacomo Ruffo, direttore della Chirurgia generale

Nella PhotoGallery alcune delle immagini del congresso e la presentazione della App

1. Mario Piccinini, amministratore delegato dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria

2. Carlo Sartori, medico chirurgo a Negrar e presidente onorario del Congresso

3. Nicolò De Manzini, direttore della Chirurgia generale dell’AOU di Trieste

4-7 Il dottor Ruffo presenta la APP

8. Il Congresso dall’alto

9. Il dottor Ruffo con i giornalisti

10. Cobi Reisman, presidente della Società europea di Sessuologia


Quali sono i fattori di rischio dei tumori?

Ecco i principali fattori di rischio delle malattie tumorali, ma è bene ricordare che la malattia neoplastica è per definizione a “genesi multifattoriale”, esiste quindi un concorso di cause che la determinano.

 

Le cause note delle alterazioni del DNA nella genesi del cancro sono di vari ordini: si ipotizza cause di tipo ambientale, genetiche, infettive, legate agli stili di vita e fattori causali.

Negli Usa (fonte American Association For Cancer Reasearch) il fumo di tabacco da solo è responsabile del 33% delle neoplasie;

un altro 33% è legato ai cosiddetti stili di vita (dieta, sovrappeso, abuso di alcol e inattività fisica).

I fattori occupazionali sono causa del 5% delle neoplasie.

Le infezioni sono responsabili di circa l’8% dei tumori (Papilloma virus 16-18 per cervice uterina, Epstein-Barr per lesioni linfoproliferative e del cavo orale, Herpes-virus 8 per sarcoma di Kaposi e linfomi; Helicobacter pylori per carcinoma dello stomaco e linfoma MALT, virus dell’epatite B e C per carcinoma epatocellulare). Le infezioni parassitarie da Trematodi sono chiamate in causa per il colangiocarcinoma e quelle di Schistosoma per carcinoma alla vescica.

Le radiazioni ionizzanti e l’esposizione ai raggi UVA sono responsabili del 2% dei tumori e l’inquinamento ambientale contribuisce per un altro 2%.

L’ereditarietà ha un’incidenza molto bassa nella genesi tumorale: meno del 2% della popolazione è portatrice di mutazioni con sindromi ereditarie di rischio neoplastico. Noti sono i geni BRCA1 e 2 che aumentano il rischio di cancro alla mammella e all’ovaio; PALB 2 e MSH2 e MLH1 per tumori del colon-retto non poliposici (HNPCC).

La lista dei fattori di rischio chiamati in causa nell’eziologia dei tumori è molto ampia e in continua evoluzione: non è facile determinare un singola fattore di rischio associato a una sola sede tumorale perché la malattia neoplastica è per definizione a “genesi multifattoriale”. Esiste quindi un concorso di fattori di rischio che si sommano e si moltiplicano nel determinare la malattia. A questi va ad aggiungersi le capacità di reazione dell’organismo sia con meccanismi di difesa immunitaria sia come processi di riparazione del DNA.

(Fonte: I numeri del cancro in Italia 2019, versione per pazienti e cittadini a cura della Fondazione AIOM), presieduta dalla dottoressa Stefania Gori


Alcol e violenza sulle donne: un binomio fatale

Il 23% dei casi di violenza di genere da parte del partner avviene sotto l’effetto dell’alcol e un terzo delle donne maltrattate ha come primo riferimento il Pronto Soccorso. Venerdì 15 novembre un convegno a Negrar

L’immagine della locandina scelta per il convegno “Donna alcol e violenza”, in programma venerdì 15 novembre all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, sono delle porte. “Porte che devono essere aperte alla donna, vittima di violenza quando arriva in Pronto Soccorso e decide di dire basta. Ma anche le porte che hanno dato origine alla sua sofferenza e che la donna deve chiudere, per ricominciare a vivere” spiegano Egle Ceschi e Francesca Martinelli, rispettivamente educatrice del Servizio di Alcologia e assistente sociale dell’ospedale di Negrar, organizzatrici dell’incontro.

 

 

La giornata è aperta alla cittadinanza e vedrà il confronto tra gli attori della rete del territorio che si occupano di violenza di genere: medici di pronto soccorso, psichiatri, psicoterapeuti e, tra le associazioni, il Telefono Rosa e il Centro Petra del Comune di Verona. E’ prevista anche le testimonianze di una donna vittima di violenza e di un’altra che lo è stata da bambina. Inoltre racconterà la sua vicenda anche un uomo maltrattante, inserito in un percorso di recupero (il programma in allegato).

 

 

Il 23% dei casi di violenza sono sotto l’effetto dell’alcol

Sul binomio alcol e donna, le dottoresse Ceschi e Martinelli hanno già dedicato lo scorso anno un ciclo di tre incontri, focalizzati sull’abuso di alcol nell’età adolescenziale, adulta e nella vecchiaia. Quest’anno l’attenzione si sposta sul fatale legame tra alcol e violenza. I dati dell’ISTAT (2014) danno un’idea di quanto l’alcol abbia un ruolo nella violenza di genere. Nel 23% dei casi di violenza perpetrati dal partner, l’autore era sotto l’effetto dell’alcol. La percentuale scende al 17,1% quando l’artefice non è il marito, il fidanzato o il compagno. Ma la quota di non risposte è più elevata in quest’ultimo caso (13,1%).

 

L’alcol usato dalla donna per giustificare la violenza

“L’idea di questo convegno nasce dal nostro lavoro quotidiano, durante il quale non di rado incontriamo casi di violenza domestica in cui l’alcol è un fattore determinante”, spiegano Ceschi e Martinelli. “Ma – sottolineano – l’obiettivo di questa giornata non è quello di stigmatizzare i ruoli: la donna vittima e l’uomo carnefice. Bensì di identificare il senso di responsabilità di ciascuno. Perché è vero che l’alcol agevola un comportamento dannoso da parte dell’uomo, ma spesso è anche un elemento usato dalla donna per giustificare la violenza fisica e psicologica del partner”. “Beve, per questo mi picchia”, sono le parole di molte donne che arrivano al Pronto Soccorso o al Servizio di Alcologia con i segni della violenza.

 

 

Il futuro compromesso per i figli

Con questa giustificazione – proseguono – la donna non prende atto del problema, trascinando così nel baratro anche i figli. Figli che vedono non solo compromesso il loro presente, ma sono a rischio, in età adulta, di riprodurre nella loro relazione di coppia e nella loro famiglia le stesse problematiche. Solo prendendo in carico l’intera famiglia, come facciamo nel Servizio di Alcologia, si può spezzare questa catena di comportamenti sbagliati”.

 

Il ruolo del Pronto Soccorso

L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria è uno dei sottoscrittori del protocollo “per la segnalazione e la presa in carico urgente di donne vittime di violenza”. A firmarlo nel 2017 anche Ulss 9 Scaligera-Distretto Ovest Veronese, i Comuni della stessa zona, e la Clinica Pederzoli di Peschiera. L’obiettivo è quello di “assicurare interventi urgenti di presa in carico e inserimento in strutture protette delle donne vittime di violenza affinché possano determinarsi nella scelta di uscire dalle situazioni di violenza”. Una parte codifica la prassi operativa dei Pronto Soccorso, il primo riferimento, dicono i dati, per un terzo delle donne vittime di violenza in Italia.

 

Si può chiedere la protezione senza denuncia

“Nel biennio 2017/2018, il 18% delle richieste di intervento dell’assistente sociale da parte dei sanitari del Pronto Soccorso di Negrar ha riguardato la valutazione di un percorso di sostegno e tutela delle donne vittime di violenza – spiega la dottoressa Martinelli -. Purtroppo è solo la punta dell’iceberg. Abbiamo donne che arrivano in Pronto Soccorso con segni evidenti di percosse che magari durano da anni e dichiarano ancora di essere cadute dalle scale. E’fondamentale che la donna sappia che può avere accesso, insieme ai suoi figli, a un percorso di protezione indipendentemente da un eventuale denuncia all’autorità giudiziaria”.

 

 

Un percorso fatto di porte che si aprono, grazie a una rete di servizi e di istituzioni sul territorio che hanno l’obiettivo “non solo di accompagnare la donna a non essere più vittima di violenza, ma anche l’uomo a riabilitarsi dal ruolo di esecutore”.Non a caso al convegno interverrà Nicoletta Regonati della Casa per l’uomo di Montebelluna, una delle prime realtà volte alla riabilitazione del maltrattante. Inoltre la consigliera della Regione Veneto, Orietta Salemi, illustrerà l’orientamento normativo regionale in materia di “codice rosa”.

elena.zuppini@sacrocuore.it

(nella foto le dottoresse Egle Ceschi e Francesca Martinelli)


Tumore al polmone: dallo screening alle novità terapeutiche

Il 13 e 14 novembre al “Sacro Cuore” si terrà la terza edizione del convegno sul carcinoma polmonare e le novità terapeutiche emerse nell’anno in corso, in particolare i farmaci a bersaglio molecolare e quelli immunoterapici

 

Il tumore al polmone si conferma la prima causa di morte oncologica in Italia, con 33.838 decessi nel 2016 (ultimi dati disponibili). La sopravvivenza a 5 anni è del 16%una percentuale condizionata soprattutto dal fatto che la gran parte dei carcinomi polmonari vengono diagnosticati in fase avanzata e solo nel 30% dei casi è indicato il trattamento chirurgico. Il tumore al polmone è quindi una delle maggiori sfide dell’oncologia oggi in ambito di prevenzione e di trattamento. Negli ultimi anni la ricerca clinica ha registrato risulti significativi grazie all’introduzione dei farmaci a bersaglio molecolare e immunoterapici

Proprio i trattamenti del tumore polmonare e soprattutto le novità terapeutiche emerse nell’anno in corso saranno al centro della seconda edizione del congresso nazionale sulla neoplasia polmonare non a piccole cellule che si terrà mercoledì 13 e giovedì 14 novembre all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria sotto la direzione scientifica della dottoressa Stefania Gori, direttore dell’Oncologia Medica. Patrocinato dall’Associazione Italiana Oncologia Medica (AIOM) e Associazione Italiana Radioterapia e Oncologica Clinica (AIRO), il congresso vede la partecipazione di relatori provenienti dalle maggiori strutture ospedaliere oncologiche italiane (in allegato il programma)

 

Dottoressa Gori, qual è l’andamento del tumore al polmone in Italia?
Nel 2019 sono stimate 42.500 nuove diagnosi (mille in più rispetto al 2018) con un aumento del 2,2% nella popolazione femminile e un calo dell’1,6% in quella maschile. Un trend dovuto, purtroppo, alla diffusione del fumo fra le donne, un tempo brutta abitudine tipicamente maschile. Si tratta della seconda neoplasia più frequente negli uomini e la terza nelle donne. Il fumo di sigaretta è il più rilevante fattore di rischio per l’insorgenza del carcinoma polmonare: ad esso è attribuibile l’85-90% dei casi. I fumatori hanno un rischio 14 volte superiore rispetto ai non fumatori di contrarre la neoplasia e di 20 volte superiore se la quantità di sigarette fumate al giorno supera la ventina.


La sopravvivenza è condizionata dalla diagnosi che il più delle volte avviene quando il tumore è in fase avanzata. Perché non viene introdotto lo screening, come per il tumore del colon o della mammella?

Studi condotti su soggetti apparentemente sani, senza alcun sintomo o malattia, lo screening, tramite radiografia del torace ed esame citologico dell’espettorato, non ha prodotto una significativa riduzione della mortalità. Risultati diversi hanno invece prodotto i numerosi studi condotti su persone ad alto rischio con età superiore ai 50 anni e forti fumatori. L’utilizzo della TC spirale ha determinato l’individuazione di piccole neoplasie polmonari in persone asintomatiche, che hanno potuto essere così avviate a intervento chirurgico. Nonostante i risultati incoraggianti, dagli studi in corso, soprattutto in Europa, si attendono risposte su varie questioni ancora aperte: la valutazione dei costi e benefici dell’esame, il tasso dei falsi positivi e il peso delle “sovradiagnosi” oltre agli effetti collaterali dovuti alle radiazioni della TC, ripetute nel tempo. Quello dello screening rimane quindi un tema aperto e in corso di valutazione presso il ministero della Salute.

 

Quali sono oggi le armi terapeutiche a disposizione contro il tumore al polmone?

La scelta terapeutica è dettata da molti fattori. Innanzitutto dalle caratteristiche cliniche del paziente, poi dal tipo istologico del tumore (a piccole cellule e a non piccole cellule), dalle peculiarità molecolari e dallo stadio della malattia. In base a tutte queste componenti vengono impiegate la chirurgia, la radioterapia e la terapia medica, da sole o in associazione. Il trattamento per ogni singolo paziente deve essere deciso in un contesto multidisciplinare affinché abbia la massima efficacia. Nell’ambito del Dipartimento Oncologico dell’IRCCS di Negrar opera un gruppo multidisciplinare del quale fanno parte: anatomopatologo, oncologo, chirurgo toracico, pneumologo, radiologo, geriatra, medico nucleare e radioterapista.

 

Quali sono le novità per quanto riguarda le terapie?

Sicuramente l’introduzione nella terapia medica di farmaci a bersaglio molecolare e immunoterapici di nuova generazione che agiscono stimolando l’attivazione del sistema immunitario del paziente contro le cellule tumorali. Recentemente si sono ottenuti interessanti risultati in termini di aspettativa di vita in casi di tumore localmente avanzato con l’impiego di un farmaco immunoterapico, utilizzato come terapia di mantenimento dopo chemio e radioterapia. Inoltre per i pazienti con malattia in stadio metastatico fino a qualche anno fa l’unica opzione terapeutica possibile era la chemioterapia. Invece oggi, in base alle caratteristiche del tumore, alcuni casi possono essere trattati in prima linea con farmaci a bersaglio molecolare o immunoterapici con vantaggi in sopravvivenza e qualità di vita. Durante il convegno si parlerà inoltre dei risultati emersi dagli studi clinici che hanno valutato nei pazienti metastatici l’associazione di chemioterapia e immunoterapia.


In Amazzonia il terzo incontro degli ospedali calabriani

I rappresentanti delle strutture sanitarie dell’Opera Don Calabria, tra le quali l’IRCCS di Negrar, si sono incontrati il 5 e 6 novembre per gettare le basi di una più stretta sinergia fra le strutture sanitarie che si ispirano al Carisma calabriano

 

Una rete capace di creare collaborazioni e sinergie tra gli ospedali che si ispirano al Carisma di San Giovanni Calabria. È questo l’obiettivo del Sistema Calabriano di Sanità, di cui fa parte anche l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. Ed è con tale prospettiva che nei giorni scorsi i rappresentanti degli ospedali e dell’Amministrazione Generale dell’Opera Don Calabria si sono riuniti a Marituba, in Amazzonia, per un incontro intitolato “Prendersi cura della vita facendo parte dell’Opera Don Calabria” (vedi galleria fotografica e interviste video).

 

L’evento, giunto alla sua terza edizione, si è svolto martedì 5 e mercoledì 6 novembre con la partecipazione di circa cinquanta fra medici e dirigenti amministrativi delle quattro strutture dei Poveri Servi della Divina Provvidenza: oltre al Sacro Cuore erano presenti l’ospedale “Divina Provvidenza” di Marituba (Brasile), la “Bro. Francisco Perez Clinic” di Manila (Filippine) e il “Divina Provvidenza” di Luanda (Angola). C’era inoltre rappresentata la diocesi brasiliana di Teixeira de Freitas, con il vescovo calabriano mons. Jailton Lino, i cui ospedali sono entrati a far parte della rete sanitaria dell’Opera.

 

Per l’IRCCS hanno partecipato all’incontro il presidente fratel Gedovar Nazzari, il direttore amministrativo Claudio Cracco e il vice direttore sanitario dottor Davide Brunelli, oltre al dottor Claudio Bianconi che si occupa dei progetti di cooperazione internazionale sanitaria.

 

Il tema principale affrontato durante la prima giornata, con un intervento del vescovo di Castanhal mons. Carlos Verzelletti, è stata la “Nuova Carta degli Operatori Sanitari”, fortemente voluta da Papa Francesco e pubblicata nel 2016 dal Dicastero Vaticano per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Una carta che, alla luce dei mutamenti scientifici e clinici successivi all’anno della prima comparsa, si propone di apportare, sempre in riferimento al Magistero della Chiesa, nuovi elementi che tengano conto della ricerca in campo biomedico, farmacologico e bioetico. Altre riflessioni hanno riguardato la situazione sanitaria in Amazzonia, dove le strutture religiose sono colonna portante del sistema di assistenza, e la spiritualità calabriana vista in rapporto al prendersi cura degli ammalati.

 

Durante la seconda giornata c’è stata una tavola rotonda sul tema della progettazione internazionale in ambito sanitario, con partecipazione del vicario generale della diocesi di Milano, don Mario Antonelli in rappresentanza della Fondazione Candia, di Franca Farina per l’associazione “Amici di monsignor Pirovano” di Erba (Como), di Alessandro Galvani per l’UMMI e di fratel Matteo Rinaldi per la Congregazione dei Poveri Servi. Al pomeriggio c’è stato un interessante momento di confronto e scambio sui temi della gestione e della formazione fra i quattro ospedali dell’Opera.


Claudio Zorzi presidente del Congresso nazionale degli Ortopedici

Si sta svolgendo a Roma il Congresso della Siot dove si parla anche degli interventi di revisione delle protesi per i quali il “Sacro Cuore Don Calabria” è centro di riferimento regionale

Negrar fa scuola nel campo dell’Ortopedia. Il 104° Congresso nazionale della SIOT (Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia), che si conclude domani a Roma, vede come presidente il professor Claudio Zorzi, direttore dell’Ortopedia e della Traumatologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. Insieme a lui alla presidenza e alla vicepresideza il gotha dell’Ortopedia Triveneta, a dimostrazione dell’eccellenza raggiunta dalle strutture ospedaliere della regione in questo campo.

 

La presidenza del simposio scientifico è formata oltre che dal professor Zorzi, anche da Pietro Ruggieri, direttore dell’Ortopedia e dell’Oncologia Ortopedica dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Padova.

 

I vicepresidenti sono invece Araldo Causero, direttore della Clinica Ortopedica dell’Università di UdineBruno Magnan, direttore dell’Ortopedia e della Traumatologia dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Verona, e Alberto Momoli che dirige lo stesso reparto, ma al “San Bortolo” di Vicenza.

La SIOT è la più importante società scientifica italiana di Ortopedia e Traumatologia e rappresenta circa 3.500 soci. Il congresso, verterà su due temi: l’oncologia ortopedica e la revisione delle protesi delle grandi articolazioni. In proposito il “San Bortolo” e il “Sacro Cuore Don Calabria” sono centri di riferimento regionali per la sostituzione delle protesi di anca e ginocchio, con circa 150 interventi ciascuno.

L’aumento di persone che in età giovanile si sottopongono a protesi e l’allungamento della vita media fanno sì che per molti pazienti si renda necessaria la sostituzione dell’impianto. Si tratta di un intervento molto più complesso del primo che richiede un centro chirurgico altamente specializzato dove il paziente viene preso in carico da un’équipe multidisciplinare, coordinata dall’ortopedico, e composta da anestesisti-rianimatori, infettivologi, chirurghi vascolari, cardiologi e fisiatri.

 

Per quanto riguarda l’oncologia, essa sta assumendo sempre più rilevanza nell’ambito ortopedico non solo per quanto riguarda i tumori primitivi, ma anche e soprattutto per il trattamento delle lesioni metastatiche sull’osso.