Preparazione meno disagevole per sottoporsi alla colonscopia

Al “Sacro Cuore Don Calabria” ridotti da quattro a uno o due i litri di soluzione da bere per la preparazione alla colonscopia: garantiscono la stessa pulizia con meno disagi per un esame che viene eseguito a Negrar sempre in sedazione vigile

“Ma devo proprio bere tutta questa roba”? Gli occhi sgranati e l’espressione di chi sgomento sa che lo aspettano momenti duri. Sono scene di ‘ordinario terrore’ a cui i gastroenterologi-endoscopisti dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria assistono ogni giorno. Protagoniste molte delle tante persone che devono sottoporsi a colonscopia, circa 4mila ogni anno, e quindi devono affrontare la preparazione: quattro litri di liquido da bere nell’arco di mezza giornata.

Da alcuni anni l’Endoscopia digestiva di Negrar, diretta dal dottor Paolo Bocus, esegue l’esame in sedazione cosciente: il paziente, pur essendo vigile, non percepisce dolore e dopo breve osservazione in un’area apposita può tornare (sempre accompagnato) alla propria abitazione.

La maggiore preoccupazione per chi deve essere sottoposto ad un esame colonscopico rimane di conseguenza la preparazione intestinale. Questa richiede infatti l’assunzione di quattro litri di soluzione a base di polietilenglicole (PEG) nell’arco di mezza giornata, con lo scopo di pulire l’intestino e quindi di permettere una migliore capacità diagnostica con il minimo disturbo per il paziente. Bere quattro litri di soluzione non è affatto agevole e spesso compaiono nausea e/o altri fastidi per cui alcuni pazienti non riescono a completare la preparazione rendendo impossibile l’esecuzione dell’esame.

“Anche alla luce delle innumerevoli richieste da parte dei nostri utenti – spiega il dottor Bocus -, abbiamo deciso di introdurre la preparazione a ‘basso volume’ che, come indicato dalle linee guida europee (ESGE), garantisce una pulizia paragonabile a quelle con ‘alti volumi'(4 litri) specie se divisa in due fasi (la cosiddetta preparazione split). Per sottoporsi alla colonscopia sarà quindi sufficiente assumere una dose ridotta di un solo litro (o due a seconda del prodotto) sempre a base di polietilenglicole (PEG) con acido ascorbico, conservando inalterato il profilo di sicurezza e nello stesso tempo di efficacia, nonostante la minore dose bevuta. La colonscopia è un esame ancora molto temuto – conclude -. Ci auspichiamo che la sedazione accompagnata da una preparazione meno disagevole induca un numero sempre maggiore di persone a sottoporsi a questo importante forma di prevenzione”.

Infatti la coloscopia è un esame endoscopico fondamentale per la prevenzione e la dignosi precoce dei tumori del colon-retto. Si tratta di una delle neoplasie più diffuse in Italia (per il 2019 sono state 49mila nuove diagnosi) la cui percentuale di guarigione è elevata se il tumore è diagnosticato al suo esordio.

 

Per sapere di più:

La colonscopia : un esame iimportante di cui non avere paura


Luciano Recchia: "I miei 44 anni all'Ospedale di Negrar"

Va in pensione i responsabile dell’Ufficio Economato: “La forza del ‘Sacro Cuore Don Calabria’? La qualità dei rapporti umani. Per me l’Ospedale è sempre stato una seconda famiglia perché ho respirato sempre aria di famiglia”

Se avesse ascoltato papà Guido il posto di barbiere del paese di Negrar un giorno sarebbe stato suo. Ma forbici e pettini non erano nei sogni “da grande” di Luciano Recchia e forse nemmeno l’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, dove ha trascorso ben 44 anni. “Un’esperienza indimenticabile”, dice con un pizzico di nostalgia, iniziata quando era poco più che un ragazzino e terminata con il pensionamento nelle scorse settimane. Ora il responsabile dell’Ufficio Economato inizia una nuova vita, in cui avranno la meglio le piste innevate, dove praticare la passione dello sci, il giardino e l’orto di casa, insieme ai viaggi.

 

Luciano Recchia ha valicato la porta dell‘ospedale nel 1975, appena conseguito il diploma di ragioniere. Primo incarico: segretario del Laboratorio di Analisi. “Allora i referti degli esami del sangue venivano scritti a mano e il mio compito era proprio quello. Dopo aver svolto il servizio militare, ottenni il contratto a tempo indeterminato”. Era il 1979, gli anni della presidenza di fratel Pietro Nogarè e della direzione amministrativa di Pierluigi Collavo.

“All’inizio mi collocarono all’Ufficio Contabilità Specialistica – prosegue Recchia – dove venivano registrate le impegnative delle visite e degli esami, con Paolo Zantedeschi. Dopo un anno, per l’aspettativa di un collega, venni spostato all’Ufficio Economato, di cui era responsabile il ragioniere Dante Barbieri. Dante è stato il mio primo maestro. Io ero un ‘bocia’, ma avendo la scrivania di fronte alla sua. potevo attingere a piene mani dal suo modo di procedere, per esempio con i fornitori. Eravamo molto lontani dall’organizzazione amministrativa presente attualmente in ospedale: in una sola stanza, separata da vetrate, era collocato l’Ufficio Contabilità Specialistica, l’Ufficio Personale e l’Economato: sette persone in tutto”. Con la pensione di Barbieri, Recchia diventa responsabile del suo ufficio.

 

Guarda indietro Recchia, ai 44 anni trascorsi e i ricordi mostrano un ospedale che non ha nulla a che fare con quello attuale, se non nello spirito. “La struttura ha avuto uno sviluppo straordinario – riprende -, soprattutto negli ultimi 20 anni. Quando sono arrivato eravamo un ‘ospedaletto’ di provincia. Oggi siamo un punto di riferimento d’eccellenza della sanità regionale e nazionale. Anche nelle mie più rosee previsioni, non avrei mai immaginato simili risultati. Risultati a cui spero, nel mio piccolo, di aver contribuito, come ogni altro collaboratore, e di cui vado orgoglioso”.

 

Un augurio per i suoi, da poco, ex colleghi? “Di vivere l’ambiente di lavoro come l’ho vissuto io – risponde -. Per me l’ospedale è sempre stato una seconda famiglia, perché ho respirato sempre un clima di famiglia. Oggi con oltre duemila collaboratori, questo è sicuramente più difficile da realizzare rispetto a un tempo – conclude -. Ma la qualità dei rapporti umani è e deve restare la forza del ‘Sacro Cuore Don Calabria’. Questo è il mio augurio più grande”.


Il Laboratorio di Casa Perez, uno spazio di autonomia, libertà e solidarietà

Da molti anni un gruppo di ospiti affetti da patologia psichica insieme ad educatori e volontari realizzano presepi e oggetti di uso quotidiano per il mercatino di Natale, sostenendo con il ricavato un bimbo nelle missioni dell’Opera Don Calabria

Presepi, decorazioni, idee per piccoli regali artigianali. Sono i prodotti del tradizionale mercatino di Natale proposto dagli ospiti di Casa Perez insieme ad alcuni volontari ed educatori. Ma i veri prodotti sono anche altri: allenamento all’autonomia, apertura al mondo che sta fuori, ricerca di nuove motivazioni e obiettivi per persone che devono confrontarsi ogni giorno con la patologia psichiatrica.

Quest’anno il mercatino, la cui storia inizia nel lontano 2006, si è svolto in due giornate, la prima fuori dall’ingresso di Casa Clero, la seconda presso l’entrata dell’ospedale Don Calabria. Si tratta di un evento che è il coronamento del Laboratorio portato avanti durante tutto l’anno presso il Centro Sociale di Casa Perez, la struttura che all’interno della Cittadella della Carità ospita persone non autosufficienti con problemi sociali e psichiatrici cronici (74 posti letto), unitamente ad una Residenza Sanitaria Assistenziale per persone con problemi sociali e/o psichiatrici cronici che necessitano di alto impegno sanitario (24 posti letto).

 

UNO SPAZIO DI AUTONOMIA E LIBERTA’

“Il Laboratorio si divide in due fasi – dice l’educatore Giovanni Melotto che cura l’attività insieme a Florio Guardini – abbiamo due ospiti che realizzano i lavori al grezzo con legno di recupero, in genere ricavato dalle cassette di frutta, e poi abbiamo la parte di pittura e rifinitura degli oggetti dove si alternano 8-10 ospiti. Infine c’è la vendita al mercatino che è fondamentale perché rappresenta il momento in cui i nostri “artigiani” vedono valorizzato il frutto del loro lavoro e socializzano con le tante persone che ogni giorno frequentano l’ospedale. I prodotti realizzati sono molto belli, ad esempio alcuni dei nostri presepi vengono esposti in mostre allestite a Verona e provincia. Inoltre alcuni reparti del nostro ospedale vengono da noi a rifornirsi dei pezzi mancanti per il loro presepe di reparto oppure ci chiedono di fornire il presepe completo”.

Oltre al periodo natalizio, gli altri momenti forti per far conoscere gli oggetti del Laboratorio e i loro realizzatori sono i banchetti allestiti a Pasqua e alla Festa della mamma. “Il Laboratorio è prima di tutto uno spazio di autonomia e libertà – prosegue Melotto – un luogo dove gli ospiti possono recuperare alcune abilità del proprio passato, cimentarsi con l’impegno di portare a termine un lavoro e mettersi in relazione con gli altri. Tutto in un contesto rilassato e senza stress perché l’obiettivo è il benessere del paziente e non certo la produzione”.

 

UN’ADOZIONE TARGATA “CASA PEREZ”

Gli oggetti realizzati sono di uso quotidiano come portamestoli, cornicette, attaccapanni, portabustine, bomboniere… (vedi foto). Con i proventi del mercatino gli “artigiani” acquistano il materiale necessario alla produzione e vanno 3-4 volte all’anno a mangiare una pizza nel mondo “di fuori”. Inoltre grazie a questi piccoli ricavi c’è un importantissimo risvolto benefico, in quanto il gruppo del Laboratorio sostiene da alcuni anni un’adozione a distanza di un bimbo in Romania, raggiunto grazie all’associazione Don Calabria Missioni Onlus e in particolare al religioso calabriano fratel Gian Carlo Conato.

 

PICCOLE PROVE DI NORMALITA’

“Dietro ad ogni oggetto realizzato c’è una grande fatica e questo rende ancora più prezioso il Laboratorio – dice Marinela Braho, caposala di Casa Perez – d’altra parte non bisogna dimenticare che con questi ospiti è molto difficile fare programmi in quanto la loro patologia fa sì che ogni giorno si debbano affrontare molte incognite e situazioni imprevedibili. E’ faticoso ma indubbiamente ne vale la pena“.

 

Riguardo all’importanza “terapeutica” del Laboratorio interviene l’altro educatore Florio Guardini. “Gli ospiti quando sono qui si concentrano su un obiettivo costruttivo, distogliendo la mente da pensieri che spesso sono distruttivi a causa delle loro patologie. In tal senso è molto importante porsi degli obiettivi e perseguirli, per quanto piccoli. E’ un po’ un ritorno alla normalità per loro, magari recuperando abilità che avevano prima di cadere nella patologia psichiatrica”. Come nel caso di Mario (nome di fantasia, ndr) che ha riscoperto il suo passato di tornitore, oppure Adolfo che era un insegnante e ha girato il mondo e qui ha scoperto una passione per la pittura.

 

Casa Perez fa parte dell’area socio-sanitaria della Cittadella della Carità insieme a Casa Clero e Casa Nogarè. Venne inaugurata nel novembre 1984, proseguendo e potenziando l’attività di accoglienza per persone con disabilità psichica che l’Opera Don Calabria aveva già iniziato fin dal 1946 in una casa a Porto San Pancrazio, nel comune di Verona. Fin dalla fine degli anni Ottanta agli ospiti della Casa vennero proposte iniziative di tipo laboratoriale, sostenute in particolare dai religiosi don Emilio Comuzzi e fratel Giacomo Cordioli.

 

Oggi oltre al Laboratorio sono portate avanti molte altre attività per gli ospiti come pomeriggi musicali, cineforum, lettura, realizzazione di un giornalino, preparazione del Vangelo della domenica con Suor Rosa Santina, festa dei compleanni una volta al mese, memory.

matteo.cavejari@sacrocuore.it


Un Natale di comunione per accogliere gli ammalati come si accoglie Gesù

Il Casante dell’Opera Don Calabria, padre Miguel Tofful, nel suo messaggio natalizio chiede a tutti gli operatori della Cittadella della Carità di pregare per il XII Capitolo Generale della Congregazione che si svolgerà nella primavera 2020

Un Natale da vivere nel segno della comunione per creare rapporti veri di fraternità nella vita quotidiana. Comunione che, all’interno dell’ospedale, significa prima di tutto “vicinanza” agli ammalati e “umanizzazione delle cure”. E’ questo il cuore del messaggio natalizio che il Casante dell’Opera Don Calabria, padre Miguel Tofful, rivolge a tutto il personale della Cittadella della Carità di Negrar, agli ammalati e alle loro famiglie.

 

Proprio il tema della comunione sarà al centro del XII Capitolo dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, in programma nella primavera 2020, evento per il quale il Casante chiede un particolare ricordo e una preghiera in occasione di questo Santo Natale 2019.

 

Riportiamo alcuni passaggi del messaggio di padre Tofful, mentre in allegato si può leggere integralmente il testo da lui presentato lo scorso 18 dicembre a Negrar durante il tradizionale incontro con i collaboratori dell’ospedale (vedi messaggio integrale). In videogallery, infine, è disponibile il video-messaggio di auguri che il Casante rivolge a tutta la Famiglia dell’Opera Don Calabria nel mondo (vedi video).

 

LE PAROLE DEL CASANTE

“Sia questo il nostro augurio di Natale: che tra noi, famiglia calabriana, che nei nostri rapporti tra Fratelli, Sorelle e Laici, l’Emmanuele possa abitare. Sia Natale nei nostri cuori, nelle nostre relazioni, nei nostri volti, nel nostro lavoro. Sia gioia e pace nelle nostre famiglie, nella Cittadella della Carità … Sia Dio con noi, sia Dio in noi, sia Dio tra noi! “E venne ad abitare in mezzo a noi” si trasformi nel “continui ad abitare in mezzo a noi” attraverso la vicinanza che si fa prossimità di chi incontriamo, a ridurre le distanze di qualunque natura, in nome di una umanizzazione che può davvero parlare a chiunque e in qualunque situazione.

 

Questo Natale aiuti tutti noi a vivere un rapporto di unità e comunione con Colui che nella sua umanità ci ha fatto partecipi della sua divinità, realizzando per noi il suo piano di salvezza. […]

 

Finalmente, colgo l’occasione per chiedere a tutti voi di accompagnare con la preghiera il percorso che stiamo facendo in preparazione al XII capitolo generale, che celebreremo in Aprile del prossimo anno, ed ha come tema “la profezia della comunione”. Alla base di questa profezia c’è l’azione dello Spirito Santo, motore e sorgente di ogni unità e condivisione. Chiediamo perché lo Spirito possa costruire una storia nuova, rinnovando le nostre relazioni e il nostro modo di essere Famiglia Calabriana nella Chiesa, perché sia testimonianza luminosa della Paternità di Dio.

 

Concludo questa mia riflessione e condivisione, desiderando veramente che il Natale ci doni la capacità contemplativa per scoprire Gesù che abita in mezzo a noi e ci chiama ad essere strumenti di comunione vivendo e annunciando il carisma dell’Opera che Dio ci ha donato. Ringrazio di cuore ciascuno di voi per il vostro servizio e missione nella Cittadella della Carità. Auguro a tutti voi e alle vostre famiglie un Buon e Santo Natale! Dio vi benedica. Grazie”. (Padre Migue Tofful)

* In copertina: opera realizzata nell’atelier di Arteterapia del Dipartimento di Riabilitazione dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore – Don Calabria. L’autrice è Valeria, paraplegica a seguito di una patologia.


BRCA1 e BRCA2: anche in Veneto esenzione dal ticket per i portatori sani

Un provvedimento importante che consente di sottoporsi gratuitamente alla sorveglianza intensiva al fine di una diagnosi precoce dei tumori ereditari

Dal primo gennaio 2020, in Veneto, i portatori della mutazione genetica BRCA1 e BRCA2, che comporta un elevato rischio di contrarre una neoplasia – in particolare della mammella e dell’ovaio -, saranno esentati dalla spesa di compartecipazione sanitaria (ticket) al fine di sottoporsi gratuitamente a una forma di screening avanzata. Lo ha deciso la Giunta regionale, su proposta dell’assessore alla Sanità, Manuela Lanzarin, allineando così il Veneto all’Emilia-Romagna, Lombardia, Liguria, Campania, Toscana, Sicilia e Piemonte che avevano già assunto il provvedimento.

I tumori interessati alla mutazione BRCA

Nel 2019, in Italia, sono stimati 53.500 nuovi casi di carcinoma della mammella, il 5-7% è legato a fattori ereditari, il 25% dei quali riferibile a una mutazione BRCA (936). Di 5.300 nuove diagnosi di tumore dell’ovaio stimate nel 2019 nel nostro Paese, il 15% è riconducibile ad alterazioni in questi stessi geni (795). E, nel complesso, fino al 4-5% di tutti i pazienti con carcinoma pancreatico presenta una variante patogenetica di BRCA1 o BRCA2 (675 casi su 13.500 previsti nel 2019). In famiglie con tumori della mammella o dell’ovaio associati a tumori del pancreas, la presenza di mutazione BRCA può arrivare fino al 25%.

Chi deve sottoporsi al test genetico pe rindividuare la mutazione

Il test genetico per l’individuazione delle mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2 viene proposto, anche nel nostro ospedale (vedi articolo; vedi video) e dopo consulenza genetica, alle donne colpite da neoplasia al seno e alle ovaie e agli uomini affetti da cancro mammario con una storia clinica e familiare ben precisa (in genere casi di tumore mammario e/o ovarico in consanguinei in età giovanile). L’esame genetico al momento della diagnosi permette di identificare la mutazione nelle persone malate e di conseguenza di estendere il test ai familiari sani per scoprire se sono portatori della stessa mutazione. In caso di risposta positiva, i familiari possono essere avviati, a seconda delle indicazioni, alla chirurgia profilattica (mastectomia bilaterale o/e l’asportazione chirurgica delle tube e delle ovaie) o alla sorveglianza intensiva.

Test positivo su parenti sani: la sorveglianza intensiva

La sorveglianza intensiva sarà prevista gratuitamente in Veneto dal 1° gennaio 2020 per le donne sane portatrici di BRCA1 e BRCA2 a partire dai 25 anni fino ai 70 e prevede una serie di esami (strumentali ed ematochimici) a cadenza semestrale o annuale in base alla fascia di età di appartenenza. “La sorveglianza intensiva permette la dioreagno si in fase molto precoce di questi tumori, tale da consentire interventi terapeutici risolutivi”, sottolinea la dottoressa Stefania Gori, direttore dell’Oncologia Medica.

Perché fare il test se si è compiti da tumore

“L’individuazione inoltre della mutazione in un paziente di nuova diagnosi condiziona anche la scelta della terapia – continua l’oncologa -. Studi clinici hanno evidenziato che le donne con tumore dell’ovaio portatrici di mutazione BRCA presentano una maggiore sensibilità a combinazioni di chemioterapia contenenti derivati del platino e a terapie mirate che ‘sfruttano’ la mutazione BRCA per potenziare l’efficacia delle cure. Si tratta di molecole che fanno parte della classe dei PARP inibitori, indicate nelle pazienti che hanno risposto alla chemioterapia a base di platino. I PARP inibitori sono efficaci anche nel tumore della mammella in fase metastatica con mutazione BRCA. E per la prima volta nei tumori del pancreas metastatici, insorti in pazienti con mutazioni BRCA, è stato dimostrato un vantaggio in sopravvivenza utilizzando un PARP inebitore.”

Non solo mammella e ovaio

Gli studi sui geni BRCA1 e BRCA2 rappresentano una delle frontiere più avanzate nel campo dell’oncogenetica e la punta di diamante della ‘medicina di precisione’ nella ricerca e sviluppo di nuove terapie personalizzate su base molecolare – conclude Gori -. Da tempo vi sono evidenze sul ruolo dell’alterazione di questi geni nei tumori della mammella e dell’ovaio, e oggi si stanno aprendo prospettive importanti che coinvolgono il carcinoma del pancreas, uno dei più difficili da trattare, e della prostata”.


Il presente e il futuro delle protesi ortopediche

Il dottor Claudio Zorzi, direttore dell’Ortopedia del “Sacro Cuore” in un’intervista al TGR Veneto spiega l’evolversi della chirurgia protesica negli ultimi anni, interventi che interessano sempre di più giovani adulti

Si inizia a fare sport molto presto e si vuole continuare a farlo anche quando, in età adulta, le articolazioni inziano ad essere doloranti. Nel momento in cui la situazione non è più arginabile, grazie alla medicina rigenerativa (come la procedura lipogems), è necessario rivolgersi alla chirurgia protesica che negli ultimi anni, per quando riguarda le tecniche e i materiali utilizzati, ha avuto sviluppi importanti.

Soprattutto nell’ambito della revisione delle protesi, cioè quando diventa necessario, dopo anni, sostituire l’impianto per impoverimento dell’osso interessato. Si tratta di interventi chirurgici complessi, come spiega il dottor Claudio Zorzi, direttore dell’Ortopedia e Traumatologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, in un’intervista al TGR Veneto.

Per l’importante casistica e l’expertice acquisita dai chirurghi ortopedici, la Regione Veneto nelle ultime schede ospedaliere (maggio 2019) ha riconosciuto l’Ospedale di Negrar, centro di riferimento regionale per la revisione di protesi del ginocchio e dell’anca


ERAS: il paziente protagonista del suo percorso chirurgico

Due video illustrano il protocollo applicato da circa un anno a Negrar dalla chirurgia colorettale e che è stato oggetto di una menzione speciale del premio Sham per la prevenzione dei rischi sanitari

Nell’ambito del 14° Forum Risk Management, promosso dal Governo del Rischio Clinico della Regione Toscana, è stata conferita all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria una menzione speciale del premio Sham 2019, per la prevenzione dei rischi sanitari.

Il prestigioso riconoscimento è andato al protocollo ERAS (Enhanced Recovery After Surgery) applicato da circa un anno all’ospedale di Negrar nell’ambito della chirurgia colorettale (oncologica e non), riguardo al quale pubblichiamo un video esplicativo (vedi i video in fondo a questo articolo).

“Best practice” per prevenire i rischi clinici
Il premio Sham – giunto alla quarta edizione – è istituito dall’omonima assicurazione, una delle maggiori a livello europeo, e persegue l’obiettivo di incoraggiare e valorizzare le “best practice” intraprese dalle strutture sanitarie, volte a favorire la prevenzione dei rischi. Al concorso hanno partecipato 122 progetti presentati da 78 ospedali, 62 pubblici e 16 privati. Il riconoscimento è stato conferito a Firenze durante le giornate del Forum (dal 26 al 29 novembre) ed è stato ritirato dal dottor Davide Brunelli, vicedirettore sanitario del “Sacro Cuore Don Calabria” che ha presentato il progetto.

 

Gli obiettivi del protocollo ERAS
Come viene illustrato dal video, i due principali obiettivi del protocollo ERAS sono quelli di diminuire al minimo la risposta dell’organismo allo stress chirurgico e di accelerare il recupero del paziente ottenendo una riduzione delle complicanze post operatorie, una ripresa funzionale precoce e una durata inferiore della degenza con riflessi vantaggiosi anche sui costi sanitari.

 

Il paziente protagonista
L’attuazione del programma ERAS si fonda su due principi. Innanzitutto quello della multidisciplinarietà. L’applicazione del protocollo viene seguita da un gruppo multidisciplinare e multiprofessionale formato da: chirurgo, anestesista, nutrizionista, fisioterapista, farmacista e personale infermieristico. Inoltre esso prevede il paziente come protagonista: fondamentale è l’educazione del paziente nella fase pre-operatoria sul significato del percorso ERAS, sui vantaggi e sugli obiettivi quotidiani.

 

L’APP per aiutare il paziente
Per ottimizzare l’adesione a questo protocollo da parte del paziente, la Chirurgia generale di Negrar, diretta da dottor Giacomo Ruffo, ha creato anche un’APP. una sorta di diario digitale scaricabile da gennaio sullo smartphone, tablet e computer (vedi articolo).

 

I dati dei benefici del protocollo ERAS
Il miglioramento complessivo delle cure offerte al paziente grazie all’applicazione del protocollo ERAS hanno un riscontro oggettivo nei risultati. Dall’ottobre del 2018 all’aprile del 2019 la chirurgia colorettale ha reclutato 98 pazienti, 45 dei quali hanno aderito al 75% delle “raccomandazioni” (item) del protocollo. In questi pazienti la percentuale di complicanze post operatorie è risultata inferiore della metà rispetto al gruppo di pazienti che ha rispettato meno del 75% degli item. Nei 45 pazienti si è inoltre registrata una riduzione della degenza post operatoria di 4 giorni.

 

Nel video il percorso ERAS nella fasi pre-operatoria, intra-operatorìa e post-operatoria, spiegate dai clinici e dai farmacisti.


Viaggi e malattie tropicali: dalla prevenzione alla ricerca all'IRCCS di Negrar

Nel servizio di Medicina33 del Tg2, il dottor Andrea Angheben e la dottoressa Francesca Perandin presentano le peculiarità del Dipartimento di Malattie infettive e tropicali, diretto dal professor Zeno Bisoffi

Il Dipartimento di Malattie infettive e tropicali dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretto dal professor Zeno Bisoffi, si differenzia dalle altre realtà italiane in quanto accanto a un reparto di degenza è stato istituito un Laboratorio di Biologia Molecolare per lo studio del DNA di virus e parassiti. Quello di Negrar è stato il primo laboratorio in Italia ad introdurre la biologia molecolare per le parassitosi, al fine di fornire metodi diagnostici da applicare nella attività clinica sui pazienti.A “Medicina33”, la trasmissione di salute e benessere del Tg2, il dottor Andrea Angheben, resposabile del reparto di Malattie infettive e tropicali, e la dottoressa Francesca Perandin, responsabile dell’UOS di Microbiologia e SAELMIT, presentano le attività del Dipartimento, soffermandosi su cosa fare prima di un viaggio ai tropici e anche dopo se al rientro subentrano dei sintomi.


In volo come in sala operatoria: a lezione da una freccia tricolore

Il comandante Gianluigi Zanovello al “Sacro Cuore” per alcuni corsi sulle non technical skills, le capacità non professionali fondamentali per affrontare un’emergenza e rimediare all’errore umano.

Che ci azzecca un ex pilota dell’Aeronautica Militare e Civile con un gruppo di medici, infermieri e ostetriche? Ci azzecca, eccome. L’ex pilota in causa è il comandante Gianluigi Zanovello. Membro dell’Aviazione Militare con esperienza pluriennale su veicoli ed elicotteri, ha fatto parte (per dieci anni) della pattuglia delle Frecce Tricolori occupando varie posizioni tra le quali leader della formazione in volo e comandante dell’intero gruppo. Prima di “riporre le ali”, ha volato fino al 2018 per una compagnia aerea civile. Oggi la sua prima occupazione– come cofondatore di Umaniversitas Academy – è quella di insegnare in ambiti del tutto estranei al suo, le “non technical skills”, cioè le capacità che non riguardano strettamente la professione, ma sono trasversali a molti e fondamentali per affrontare in modo efficace le emergenze, ponendo rimedio all’errore umano, sempre in agguato, mai eliminabile del tutto.

 

Una di queste lezioni si è svolta nelle scorse settimane all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria nell’ambito di un corso di formazione promosso dall’Unità Operativa Complessa di Ginecologia ed Ostetrica, diretta dal dottor Marcello Ceccaroni. Il corso sarà ripetuto giovedì 12 e venerdì 13 dicembre, rivolto principalmente al personale del reparto con la partecipazione anche di alcuni anestesisti.

 

I piloti e i medici hanno più punti in comune di quanto si possa pensare.Entrambi abbiamo in ‘affido’ la vita delle persone, a volte in situazioni di emergenza, e il tasso di incidenti dovuto ad errore umano degli equipaggi è lo stesso individuato nei team medici: l’80% “, spiega la dottoressa Silvia Baggio, ginecologa dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. “Tuttavia in aeronautica l’errore umano per ovvie ragioni ha risultati catastrofici e conseguenze dirette sulla sopravvivenza dello stesso equipaggio. Quindi i piloti per primi hanno sentito la necessità di mettere a punto quelle procedure che aiutano innanzitutto la ‘squadra’ a prevenire l’errore e quindi a creare la cultura della sicurezza. E in secondo luogo ad agire sotto il peso dell’emergenza per rimediare all’errore commesso o affrontare l’imprevisto” sottolinea la ginecologa. Tali procedure hanno migliorato nettamente la sicurezza del volo.
Per questo, visti i successi in campo aeronautico, alcune grandi Organizzazioni come l’OMS o Università (Aberdeen, Harvard e Manchester) hanno pensato di trasferire questa nuova cultura alla Sanità.

 

 

Ma quali sono queste non technical skills? “Innanzitutto la consapevolezza della situazione (Situation Awareness)“, risponde Emanuela Bonifacio, caposala della Ginecologia ed ostetricia. “Capire esattamente cosa sta succedendo, focalizzare i punti critici e in base a questi scegliere a chi chiedere supporto”. Alla Situation Awareness si affiancano la Decision Making, cioè la capacità decisionale, la Leadership, la Communication and Teamwork, e la Task Management.

 

 

“Il lavoro di squadra – da sempre promosso da questa unità, in particolare dal direttore dottor Marcello Ceccaroni – assieme alla capacità comunicativa e una leadership oculata ed attenta (non sempre identificabile con la persona di grado più alto) sono considerate la più efficace risposta a quelle situazioni nelle quali lo stress e la velocità di esecuzione obbligata rappresentano una minaccia importante per la sicurezza del paziente”, sottolinea Baggio. Un esempio in ostetricia sono i tagli cesarei di urgenza e l’emorragie post partum.

 

 

Fondamentali per l’apprendimento delle no technical skills sono le simulazioni di casi reali, che verranno effettuate durante i corsi di formazione a Negrar sotto la guida del comandante Zanovello. “Le simulazioni prevedono anche la gestione di elementi esterni all’emergenza che possono essere i parenti della donna o anche un elemento del team che entra in contrasto con il leader mettendo a rischio l’efficacia dell’azione che si sta svolgendo”. conclude la dottoressa Baggio.


Tumore della prostata: l'importanza di un team di specialisti

L’approccio multidisciplinare consente di costruire per il paziente affetto da tumore alla prostata un percorso terapeutico personalizzato: in un convegno a Negrar si farà il punto sulle cure della neoplasia più diffusa tra il sesso maschile

Un uomo su nove nel corso della sua vita si ammala di tumore alla prostata. Questo fa sì che la neoplasia prostatica sia il tumore più diffuso tra il sesso maschile con 37mila nuove diagnosi previste nel 2019. Tuttavia è anche uno dei tumori che ha un indice di sopravvivenza più alto: dopo 5 e 10 anni anni è pari rispettivamente al 92% e al 90%. Un risultato ottenuto grazie alla diagnosi precoce e al progresso delle terapie mediche, chirurgiche e radioterapiche.

Trattamenti che entrano in gioco – da soli o in combinazione – a seconda dell’estensione anatomica e dell’aggressività della neoplasia. A cui si aggiungono altri fattori prognostici quali l’età e la presenza di altre malattie che possono diminuire l’aspettativa di vita in maniera superiore al carcinoma prostatico stesso. Per questo è fondamentale che il paziente venga preso in carico da un team multidisciplinare che valuti attentamente il suo caso e prescriva un trattamento personalizzato.

Al team multidisciplinare nel carcinoma alla prostata è dedicato il secondo convegno nazionale che si terrà venerdì 6 e sabato 7 dicembre nella sala convegni dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Il simposio scientifico – patrocinato da AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e da AIRO (Associazione Italiana di Radioterapia e Oncologia Clinica) – è coordinato da tre primari di Negrar: la dottoressa Stefania Gori, dell’Oncologia Medica, dal professor Filippo Alongi, della Radioterapia Oncologica Avanzata, e dal dottor Stefano Cavalleri, dell’Urologia. Il convegno vede la presenza di oncologi, urologi, radioterapisti, anatomo-patologi e altri specialisti interessati al tumore alla prostata (endocrinologi, andrologi, internisti, cardiologi..) provenienti dalla maggiori strutture ospedaliere italiane (vedi programma).

Il “Sacro Cuore Don Calabria” è un centro di riferimento per il tumore alla prostata con 263 casi solo chirurgici nel 2018. Il paziente viene preso in carico dalla diagnosi, al trattamento fino alla riabilitazione, potendo usufruire di alte professionalità e di tecnologie di ultima generazione come il robot chirurgico Da Vinci Xi e l’acceleratore lineare “Unity“. Inoltre la radiologia esegue la biopsia prostatica in sede di Risonanza Magnetica e presso il Servizio di Terapia Radiometabolica vengono effettuati trattamenti con il radiofarmaco Xofigo per la cura delle metastasi ossee da carcinoma prostatico.

Oggi possediamo molte armi terapeutiche per combattere il tumore prostatico e la ricerca è sempre in evoluzione su questo ambito – spiega la dottoressa Gori -. Rimane fondamentale tuttavia costruire un percorso terapeutico personalizzato per ogni paziente e collaborare all’interno del team multidisciplinare anche con l’endocrinologo e il cardiologo. Infatti in una sessione del congresso, intitolata “Prendersi cura del paziente”, interverranno due endocrinologi-andrologi che affronteranno il tema dell’impotenza nel paziente con carcinoma alla prostata, mentre un cardiologo parlerà della cardiotossicità come effetto della terapia ormonale.La sessione sarà moderata da Edoardo Fiorini, presidente dell’associazione dei pazienti PaLiNUro”.

 

Dottoressa Gori, oltre alla terapia medica, chirurgica e radioterapica, si parla anche di ‘sorveglianza attiva’. In cosa consiste e per quali pazienti è indicata?

La diagnosi precoce di un tumore in fase iniziale può significare per le neoplasie a rischio basso/molto basso (cioè limitate alla prostata, ben differenziate, con un minimo volume tumorale e a bassi valori di PSA) e in uomini con aspettativa di vita superiore a 10 anni, scegliere tra la chirurgia, la radioterapia o la sorveglianza attiva. Con questo termine s’intende il monitoraggio del decorso della patologia per intervenire nel caso di progressione tumorale. Di solito si prevede la valutazione del PSA ogni 3-6 mesi, l’esplorazione rettale ogni 6-12 mesi ed eventualmente il ricorso a biopsie addizionali. L’obiettivo degli oncologi, ma anche dei chirurghi urologi e dei radioterapisti è quello di procrastinare il trattamento chirurgico o radioterapico per evitare gli effetti collaterali conseguenti. Naturalmente la scelta della sorveglianza attiva va comunque ampiamente condivisa con il paziente che dovrà essere informato sui rischi e sui benefici”.

 

Nella malattia metastatica, quali terapie abbiamo a disposizione?

Oltre all’ormonoterapia, cioè la soppressione della produzione degli ormoni androgeni, che rappresenta il trattamento di prima scelta consentendo solitamente di ottenere un controllo della malattia per un tempo compreso tra i 18 e i 24 mesi, oggi sono disponibili la chemioterapia e l’ormonoterapia alternativa. Non dimenticando nel caso delle metastasi ossee, i farmaci che inibiscono l’eccessivo riassorbimento osseo e il conseguente danno scheletrico (con dolore e fratture patologiche) la radioterapia e la terapia radiometabolica”.

 

Dal 2015 il Servizio di Medicina Nucleare dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretta dal dottor Matteo Salgarello, effettua trattamenti con il radiofarmaco Xofigo. Questo radiofarmaco oltre ad avere un’azione sulla sintomatologia dolorosa, ha dimostrato di aumentare la sopravvivenza dei pazienti trattati e di avere un ottimo profilo di tollerabilità rispetto ai trattamenti radiometabolici del passato.

 

Dottor Cavalleri, l’intervento di prostatectomia è ancora visto con molto timore da parte dei pazienti per le eventuali sequele temporanee o permanenti (incontinenza urinarie e disfunzione erettile). Ci sono delle novità in proposito?

“La prostatectomia radicale è un intervento che prevede l’asportazione della prostata, dei tessuti vicini e dei linfonodi regionali al fine di prevenire eventuali recidive, pertanto il rischio di un interessamento dei nervi dell’apparato uro-genitale non è inconsistente. In un centro ad alto volume come il nostro grazie all’elevato expertise dei chirurghi urologi e all’utilizzo del Robot Da Vinci la chirurgia della prostata è solo mini-invasiva. Tale metodica, quando è possibile praticarla, aumenta la possibilità di preservare una normale funzione urinaria e sessuale dopo l’intervento. L’importante è che dopo l’intervento eseguire un trattamento di fisioterapia per la riabilitazione del pavimento pelvico”.

 

Professor Alongi, la radioterapia ha un ruolo chiave nella cura dei tumore alla prostataSicuramente, anche grazie all’avvento di apparecchiature che consentono di irradiare con alte dosi ed estrema precisione il tumore risparmiando i tessuti sani.

Questo si traduce per il paziente in maggiore efficacia e minori effetti collaterali. Un esempio di questi macchinari è “Unity”, l’acceleratore lineare integrato con la Risonanza Magnetica ad alto campo (1,5 tesla), che nell’Europa del Sud (vedi articolo) dispone solo l’ospedale di Negrar. In pazienti con tumore localizzato alla prostata, la radioterapia oggi rappresenta un’alternativa non invasiva all’intervento chirurgico radicale. Inoltre a radioterapia ha un ruolo importante anche in altri stadi della malattia tumorale a scopo adiuvante, cioè dopo l’intervento chirurgico, e anche in presenza di metastasi, per controllare sia i sintomi sia la malattia insieme ai farmaci. In particolare in questo ambito, come avviene per casi selezionati di singole o poche metastasi nelle sedi linfonodali o ossee, la radioterapia ablativa stereotassica può contribuire ad aumentare la sopravvivenza”.