Le maculopatie: cause, diagnosi e cura

L’Oculistica del “Sacro Cuore” è stata protagonista stamattina del programma Tutta Salute di Raitre. La dottoressa Grazia Pertile in studio e il dottor Antonio Polito in collegamento da Negrar hanno parlato di diagnosi e terapia delle maculopatie

Cosa sono le maculopatie? Quali sono i sintomi e i fattori di rischio? Quanto è importante la diagnosi precoce e quali sono i più moderni trattamenti per affrontare queste patologie? Nel video la dottoressa Grazia Pertile, direttore dell’Oculistica, e il dottor Antonio Polito, responsabile dell’Attività di Retina Medica, rispondono a queste domande durante la trasmissione di Raitre “Tutta salute” condotta dal giornalista Michele Mirabella.


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Al Pronto Soccorso del "Sacro Cuore" record di accessi nel 2019

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Nell’anno appena concluso il Pronto Soccorso di Negrar ha raggiunto quasi 51mila accessi, oltre 9mila rispetto al 2016 Il primario Stefanini: “Numeri che indicano una crescita dell’attrattiva dell’ospedale: i cittadini sanno di trovare nella nostra struttura la risposta ai loro bisogni di salute”

Quasi 10mila accessi in più in tre anni. E’ il trend di crescita registrato dal Pronto Soccorso dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria dal 2016 al 2019: l’anno scorso, infatti, si è chiuso toccando quota 50.972, con un incremento di 9.576 accessi rispetto a tre anni fa. Un record per l’Ospedale di Negrar e per l’équipe di 15 medici diretti dal dottor Flavio Stefanini.

 

A mio parere l’incremento del numero di accessi è determinato da più fattori concomitanti”, spiega il direttore del Pronto Soccorso di Negrar. Innanzitutto l’aumento fisiologico di accessi in tutti i Pronto Soccorso italiani, che ha raggiunto la media annua del 6-7%. La stragrande maggioranza sono codici bianchi e verdi, che per quanto riguarda la nostra struttura nel 2019 sono stati rispettivamente il 43,5% e il 44,7% del totale degli accessi”. La prevalenza di casi non complessi che arrivano in Pronto Soccorso non è sicuramente un fenomeno nuovo. “Da un lato esiste sicuramente un problema di uso improprio del Pronto Soccorso da parte del cittadino. Dall’altro è anche vero che il cittadino non sempre trova risposta in tempi relativamente rapidi sul territorio, quindi si reca nelle strutture di emergenza anche quando di emergenza non si tratta”.

 

Da un fattore di ordine nazionale a uno locale. “Il ridimensionamento del Pronto Soccorso dell’Ospedale Orlandi di Bussolengo – prosegue – ha comportato nell’ultimo anno un allargamento del bacino di utenza del nostro reparto di emergenza e anche un numero maggiore di casi complessi. L’anno scorso i codici rossi sono stati lo 0,5% (nel 2016 erano lo 0,3%) e i codici gialli l’11,1% (2016: 9,6%). Mi preme però sottolineare che abbiamo avuto maggiore affluenza anche da zone i cui Pronto Soccorso sono a pieno regime, come per esempio Verona capoluogo”.

 

Un indicatore, quest’ultimo, che rileva, per il dottor Stefanini, “una crescita dell’attrattiva del nostro ospedale in generale – sottolinea il dottor Stefanini -. L’eccellenza raggiunta, in particolare per quanto riguarda alcune patologie, ha generato un incremento di afflusso al Pronto Soccorso da parte dei cittadini che sanno di trovare nella nostra struttura un certo tipo di risposta”. Una risposta anche per quanto riguarda la tempista: nell’anno appena concluso la media di permanenza dei pazienti in Pronto Soccorso è stata di 2 ore e 46 minuti, mentre per quanto riguarda l’OBI (Osservazione Breve Intensiva), che prevede la permanenza fino a 48 ore prima delle dimissioni o del ricovero, la media è stata di 9 ore e 53 minuti.

elena.zuppini@sacrocuore.it


Le tante cause delle epatopatie: come intervenire

Con l’epatologa Maria Chiaramonte entriamo nel vasto mondo delle malattie del fegato, in particolare delle epatopatie autoimmuni per le quali al Centro diagnostico “Sacro Cuore” è nato ambulatorio tenuto dalla professoressa Annarosa Floreani

Sono definite complessivamente epatopatie o patologie croniche del fegato. Hanno diverse cause, ma un’uguale evoluzione, se non vengono diagnosticate e curate adeguatamente: esse infatti portano allo sviluppo della cirrosi e delle sue complicanze e in seguito all’insorgenza dell’epatocarcinoma, il tumore primitivo del fegato. Il trapianto è l’opzione terapeutica estrema, ma “il bravo epatologo lavora proprio per evitarlo”. Ad affermarlo è la professoressa Maria Chiaramonte, epatologa di chiara fama che ha contribuito allo sviluppo dell’epatologia in Italia, diventando, tra l’altro, la prima donna professore ordinario di Gastroenterologia nel nostro Paese. La professoressa Chiaramonte è stata direttore della Gastroenterologia e Endoscopia digestiva dell’Ospedale di Negrar, a cui continua ad offrire la sua preziosa collaborazione. La Gastroenterologia del “Sacro Cuore Don Calabria” comprende Sezione di Epatologia con ambulatori specificamente dedicati alle epatiti virali croniche, alle epatopatie da alcol e all’epatocarcinoma.

Professoressa, quali sono le cause delle epatopatie?
Fino a pochi anni fa avrei posto tra le cause principali i virus responsabili delle varie epatiti, in particolare i virus dell’epatite B (HBV) e dell’epatite C (HCV). Ma per fortuna non è più così, grazie alla disponibilità dei vaccini contro l’epatite A e B e alla scoperta degli antivirali contro l’epatite B, e più di recente contro, l’epatite C. Sia i vaccini sia gli antivirali hanno determinato una drastica riduzione della diffusione del virus. Basti pensare che oggi tutta la popolazione fino a 35 anni è stata vaccinata contro l’epatite B, una delle cause maggiori dell’epatocarcinoma. Resta una fetta di popolazione che può ancora ammalarsi, in particolare i non vaccinati che hanno comportamenti a rischio (scambio di sangue e di liquidi corporei). Anche le epatopatie da alcol sono in calo. Ma è bene ricordare che le sostanze alcoliche sono un cofattore di sviluppo della malattia di fegato.

Cosa significa?
In tutti i casi di patologie croniche del fegato, l’alcol è sempre un fattore peggiorativo del quadro clinico, anche quando non è la causa primaria dell’epatopatia. Per questo noi epatologi di fronte a una diagnosi di epatopatia diciamo sempre: stop con gli alcolici.
Quali sono quindi le cause emergenti di queste malattie?
Sicuramente la steatosi epatica, più conosciuta come “fegato grasso”, cioè un eccessivo accumulo di tessuto adiposo nelle cellule epatiche. Si stima che il 30% della popolazione adulta sia affetta da steatosi e che la percentuale sia in aumento. Questa è, di fatto, una manifestazione della “sindrome metabolica” cioè la “malattia del benessere” largamente presente nella nostra società, in quanto determinata da uno squilibrio tra la quantità delle calorie introdotte e la quantità delle calorie consumate. Tale squilibrio è causa sia di fegato grasso, ma anche di obesità, di cardiopatie, di ipertensione… Molto interessante è il fatto che solo una parte (circa il 10%) delle persone colpite dalle steatosi sviluppa l’epatopatia e che il fegato grasso è presente anche in uomini e donne normopeso.

Come si spiega?
I recenti studi affermano che la comparsa della steatosi è dovuta a una predisposizione genetica, per questo colpisce anche i cosiddetti “magri”. L’insorgere della malattia epatica, invece, è determinato dalla predisposizione genetica sommata alla presenza di un’infiammazione. Sulle cause di quest’ultima esistono varie ipotesi in studio, tra cui la più interessante è il prevalere nella flora intestinale di batteri nocivi. Ciò che è importante sottolineare è che non bisogna mai sottovalutare l’accumulo di grasso nel fegato e di rivolgersi a un epatologo nel momento in cui la steatosi viene diagnosticata. E’ bene fare lo stesso anche quando gli esami del sangue rilevano un’alterazione dei valori epatici (transaminasi e Gamma GT). Vanno escluse cause come virus, alcol e anche steatosi, ma potrebbe esserci in atto anche una patologia autoimmune del fegato.

Di cosa si tratta?
Hanno origini autoimmuni alcune epatiti, la colestasi biliare primitiva e la colangite sclerosante primitiva. Sono considerate patologie rare, ma lo sono principalmente perché sono sotto diagnosticate. Colpiscono, come la maggior parte delle patologie autoimmuni, prevalentemente la popolazione femminile, ma possono insorgere anche nei neonati, nei bambini e nei giovani maschi. Possono avere un andamento molto severo e spesso sono associate ad altre patologie autoimmuni, come quelle reumatologiche o a carico dell’intestino (morbo di Crohn e colite ulcerosa).

Possono essere curate?
Oggi disponiamo di farmaci molto efficaci, come i cortisonici e gli immunosopressori, e, per quanto riguarda la colestasi biliare primitiva, farmaci che agiscono sulla bile. Il problema più rilevante rimane l’identificazione di tali patologie che necessita di centri altamente specializzati. Al Centro diagnostico dell’Ospedale di Negrar è già attivo un ambulatorio che si occupa proprio di queste patologie tenuto da Annarosa Floreani, professore associato in quiescenza dell’Università di Padova e una dei massimi esperti internazionali delle malattie autoimmuni del fegato. Naturalmente, come per tutte le epatopatie, il successo diagnostico e terapeutico delle malattie epatiche autoimmuni è determinato dalla presa in carico del paziente da parte di un team multispecialistico e con queste caratteristiche vorremmo realizzare un centro.

I farmaci possono essere causa di epatopatie?
Sì, ma di solito sono casi rari che riguardano soggetti particolarmente sensibili, in quanto gli eventuali effetti collaterali sul fegato vengono studiati prima dell’immissione in commercio dei farmaci. Piuttosto pochi sanno dei danni provocati dai fitofarmaci, le cosiddette erbe medicinali. Dai miei pazienti sento spesso affermare: “Sono cose naturali, quindi non fanno male”. Ma si dimentica innanzitutto che la moderna farmaceutica ha origine dalla fitoterapia e che se crediamo che le “erbe” abbiano effetto benefico, significa che le consideriamo delle sostanze attive, quindi possono fare bene ma anche male. Un esempio? La curcuma, spezia oggi di gran moda, ha delle grandi proprietà antinfiammatorie, ma se assunta in dosi eccessive e/o associata ad alcuni farmaci o fitofarmaci , può essere causa di epatopatie.

Lei sostiene che il bravo epatologo lavora per evitare il trapianto. In che modo?
Innanzitutto eliminando le cause dell’epatopatia. E questo è possibile solo facendo prevenzione tramite i vaccini, limitando l’abuso di alcol, promuovendo uno stile di vita ed una dieta equilibrata, educando le persone a un uso corretto dei fitofarmaci. In presenza di un’epatopatia cronica l’obiettivo poi è il blocco della sua evoluzione con la prescrizione di antivirali per la cura dell’epatite B e C e di farmaci per le patologie autoimmuni. Nel caso di malattie genetiche da accumulo di ferro (emocromatosi) e di rame (malattia di Wilson), è fondamentale l’eliminazione di questi minerali. Fondamentale è anche la diagnosi precoce della cirrosi e la correzione di tutti i fattori che possono innescare le sue complicanze. Infine, quando si manifesta l’epatocarcinoma va favorito l’accesso del paziente alle terapie più avanzate. Da tutto questo si evince che un “bravo epatologo” non lavora da solo ma è sempre parte di ben organizzate e complesse strutture interdisciplinari dedicate.

elena.zuppini@sacrocuore.it

PER CONOSCERE DI PIU’

Dall'alcol alle sfere radioattive: i trattamenti locali del tumore epaticoTare: la radioterapia intraepatica per la cura del tumore del fegatoProsegue lo studio clinico sul vaccino contro l'epatocarcinomaLa prevenzione di alcuni tumori inizia dai vaccini

Come eravamo... L'Ospedale come lo ha visto Don Calabria

Il presidente del “Sacro Cuore Don Calabria”, fr. Gedovar Nazzari, racconta con foto d’epoca, come è nata la struttura ospedaliera voluta dal Santo veronese 98 anni fa

“98 Comuni” è il titolo della trasmissione di Telearena da cui abbiamo estratto questo servizio in cui fratel Gedovar Nazzari, presidente dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, racconta l’origine del nostro ospedale.

Da casa di risposo del paese di Negrar rilevata da San Giovanni Calabria a Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico con oltre 2000 dipendenti.


Preparazione meno disagevole per sottoporsi alla colonscopia

Al “Sacro Cuore Don Calabria” ridotti da quattro a uno o due i litri di soluzione da bere per la preparazione alla colonscopia: garantiscono la stessa pulizia con meno disagi per un esame che viene eseguito a Negrar sempre in sedazione vigile

“Ma devo proprio bere tutta questa roba”? Gli occhi sgranati e l’espressione di chi sgomento sa che lo aspettano momenti duri. Sono scene di ‘ordinario terrore’ a cui i gastroenterologi-endoscopisti dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria assistono ogni giorno. Protagoniste molte delle tante persone che devono sottoporsi a colonscopia, circa 4mila ogni anno, e quindi devono affrontare la preparazione: quattro litri di liquido da bere nell’arco di mezza giornata.

Da alcuni anni l’Endoscopia digestiva di Negrar, diretta dal dottor Paolo Bocus, esegue l’esame in sedazione cosciente: il paziente, pur essendo vigile, non percepisce dolore e dopo breve osservazione in un’area apposita può tornare (sempre accompagnato) alla propria abitazione.

La maggiore preoccupazione per chi deve essere sottoposto ad un esame colonscopico rimane di conseguenza la preparazione intestinale. Questa richiede infatti l’assunzione di quattro litri di soluzione a base di polietilenglicole (PEG) nell’arco di mezza giornata, con lo scopo di pulire l’intestino e quindi di permettere una migliore capacità diagnostica con il minimo disturbo per il paziente. Bere quattro litri di soluzione non è affatto agevole e spesso compaiono nausea e/o altri fastidi per cui alcuni pazienti non riescono a completare la preparazione rendendo impossibile l’esecuzione dell’esame.

“Anche alla luce delle innumerevoli richieste da parte dei nostri utenti – spiega il dottor Bocus -, abbiamo deciso di introdurre la preparazione a ‘basso volume’ che, come indicato dalle linee guida europee (ESGE), garantisce una pulizia paragonabile a quelle con ‘alti volumi'(4 litri) specie se divisa in due fasi (la cosiddetta preparazione split). Per sottoporsi alla colonscopia sarà quindi sufficiente assumere una dose ridotta di un solo litro (o due a seconda del prodotto) sempre a base di polietilenglicole (PEG) con acido ascorbico, conservando inalterato il profilo di sicurezza e nello stesso tempo di efficacia, nonostante la minore dose bevuta. La colonscopia è un esame ancora molto temuto – conclude -. Ci auspichiamo che la sedazione accompagnata da una preparazione meno disagevole induca un numero sempre maggiore di persone a sottoporsi a questo importante forma di prevenzione”.

Infatti la coloscopia è un esame endoscopico fondamentale per la prevenzione e la dignosi precoce dei tumori del colon-retto. Si tratta di una delle neoplasie più diffuse in Italia (per il 2019 sono state 49mila nuove diagnosi) la cui percentuale di guarigione è elevata se il tumore è diagnosticato al suo esordio.

 

Per sapere di più:

La colonscopia : un esame iimportante di cui non avere paura


Luciano Recchia: "I miei 44 anni all'Ospedale di Negrar"

Va in pensione i responsabile dell’Ufficio Economato: “La forza del ‘Sacro Cuore Don Calabria’? La qualità dei rapporti umani. Per me l’Ospedale è sempre stato una seconda famiglia perché ho respirato sempre aria di famiglia”

Se avesse ascoltato papà Guido il posto di barbiere del paese di Negrar un giorno sarebbe stato suo. Ma forbici e pettini non erano nei sogni “da grande” di Luciano Recchia e forse nemmeno l’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, dove ha trascorso ben 44 anni. “Un’esperienza indimenticabile”, dice con un pizzico di nostalgia, iniziata quando era poco più che un ragazzino e terminata con il pensionamento nelle scorse settimane. Ora il responsabile dell’Ufficio Economato inizia una nuova vita, in cui avranno la meglio le piste innevate, dove praticare la passione dello sci, il giardino e l’orto di casa, insieme ai viaggi.

 

Luciano Recchia ha valicato la porta dell‘ospedale nel 1975, appena conseguito il diploma di ragioniere. Primo incarico: segretario del Laboratorio di Analisi. “Allora i referti degli esami del sangue venivano scritti a mano e il mio compito era proprio quello. Dopo aver svolto il servizio militare, ottenni il contratto a tempo indeterminato”. Era il 1979, gli anni della presidenza di fratel Pietro Nogarè e della direzione amministrativa di Pierluigi Collavo.

“All’inizio mi collocarono all’Ufficio Contabilità Specialistica – prosegue Recchia – dove venivano registrate le impegnative delle visite e degli esami, con Paolo Zantedeschi. Dopo un anno, per l’aspettativa di un collega, venni spostato all’Ufficio Economato, di cui era responsabile il ragioniere Dante Barbieri. Dante è stato il mio primo maestro. Io ero un ‘bocia’, ma avendo la scrivania di fronte alla sua. potevo attingere a piene mani dal suo modo di procedere, per esempio con i fornitori. Eravamo molto lontani dall’organizzazione amministrativa presente attualmente in ospedale: in una sola stanza, separata da vetrate, era collocato l’Ufficio Contabilità Specialistica, l’Ufficio Personale e l’Economato: sette persone in tutto”. Con la pensione di Barbieri, Recchia diventa responsabile del suo ufficio.

 

Guarda indietro Recchia, ai 44 anni trascorsi e i ricordi mostrano un ospedale che non ha nulla a che fare con quello attuale, se non nello spirito. “La struttura ha avuto uno sviluppo straordinario – riprende -, soprattutto negli ultimi 20 anni. Quando sono arrivato eravamo un ‘ospedaletto’ di provincia. Oggi siamo un punto di riferimento d’eccellenza della sanità regionale e nazionale. Anche nelle mie più rosee previsioni, non avrei mai immaginato simili risultati. Risultati a cui spero, nel mio piccolo, di aver contribuito, come ogni altro collaboratore, e di cui vado orgoglioso”.

 

Un augurio per i suoi, da poco, ex colleghi? “Di vivere l’ambiente di lavoro come l’ho vissuto io – risponde -. Per me l’ospedale è sempre stato una seconda famiglia, perché ho respirato sempre un clima di famiglia. Oggi con oltre duemila collaboratori, questo è sicuramente più difficile da realizzare rispetto a un tempo – conclude -. Ma la qualità dei rapporti umani è e deve restare la forza del ‘Sacro Cuore Don Calabria’. Questo è il mio augurio più grande”.


Il Laboratorio di Casa Perez, uno spazio di autonomia, libertà e solidarietà

Da molti anni un gruppo di ospiti affetti da patologia psichica insieme ad educatori e volontari realizzano presepi e oggetti di uso quotidiano per il mercatino di Natale, sostenendo con il ricavato un bimbo nelle missioni dell’Opera Don Calabria

Presepi, decorazioni, idee per piccoli regali artigianali. Sono i prodotti del tradizionale mercatino di Natale proposto dagli ospiti di Casa Perez insieme ad alcuni volontari ed educatori. Ma i veri prodotti sono anche altri: allenamento all’autonomia, apertura al mondo che sta fuori, ricerca di nuove motivazioni e obiettivi per persone che devono confrontarsi ogni giorno con la patologia psichiatrica.

Quest’anno il mercatino, la cui storia inizia nel lontano 2006, si è svolto in due giornate, la prima fuori dall’ingresso di Casa Clero, la seconda presso l’entrata dell’ospedale Don Calabria. Si tratta di un evento che è il coronamento del Laboratorio portato avanti durante tutto l’anno presso il Centro Sociale di Casa Perez, la struttura che all’interno della Cittadella della Carità ospita persone non autosufficienti con problemi sociali e psichiatrici cronici (74 posti letto), unitamente ad una Residenza Sanitaria Assistenziale per persone con problemi sociali e/o psichiatrici cronici che necessitano di alto impegno sanitario (24 posti letto).

 

UNO SPAZIO DI AUTONOMIA E LIBERTA’

“Il Laboratorio si divide in due fasi – dice l’educatore Giovanni Melotto che cura l’attività insieme a Florio Guardini – abbiamo due ospiti che realizzano i lavori al grezzo con legno di recupero, in genere ricavato dalle cassette di frutta, e poi abbiamo la parte di pittura e rifinitura degli oggetti dove si alternano 8-10 ospiti. Infine c’è la vendita al mercatino che è fondamentale perché rappresenta il momento in cui i nostri “artigiani” vedono valorizzato il frutto del loro lavoro e socializzano con le tante persone che ogni giorno frequentano l’ospedale. I prodotti realizzati sono molto belli, ad esempio alcuni dei nostri presepi vengono esposti in mostre allestite a Verona e provincia. Inoltre alcuni reparti del nostro ospedale vengono da noi a rifornirsi dei pezzi mancanti per il loro presepe di reparto oppure ci chiedono di fornire il presepe completo”.

Oltre al periodo natalizio, gli altri momenti forti per far conoscere gli oggetti del Laboratorio e i loro realizzatori sono i banchetti allestiti a Pasqua e alla Festa della mamma. “Il Laboratorio è prima di tutto uno spazio di autonomia e libertà – prosegue Melotto – un luogo dove gli ospiti possono recuperare alcune abilità del proprio passato, cimentarsi con l’impegno di portare a termine un lavoro e mettersi in relazione con gli altri. Tutto in un contesto rilassato e senza stress perché l’obiettivo è il benessere del paziente e non certo la produzione”.

 

UN’ADOZIONE TARGATA “CASA PEREZ”

Gli oggetti realizzati sono di uso quotidiano come portamestoli, cornicette, attaccapanni, portabustine, bomboniere… (vedi foto). Con i proventi del mercatino gli “artigiani” acquistano il materiale necessario alla produzione e vanno 3-4 volte all’anno a mangiare una pizza nel mondo “di fuori”. Inoltre grazie a questi piccoli ricavi c’è un importantissimo risvolto benefico, in quanto il gruppo del Laboratorio sostiene da alcuni anni un’adozione a distanza di un bimbo in Romania, raggiunto grazie all’associazione Don Calabria Missioni Onlus e in particolare al religioso calabriano fratel Gian Carlo Conato.

 

PICCOLE PROVE DI NORMALITA’

“Dietro ad ogni oggetto realizzato c’è una grande fatica e questo rende ancora più prezioso il Laboratorio – dice Marinela Braho, caposala di Casa Perez – d’altra parte non bisogna dimenticare che con questi ospiti è molto difficile fare programmi in quanto la loro patologia fa sì che ogni giorno si debbano affrontare molte incognite e situazioni imprevedibili. E’ faticoso ma indubbiamente ne vale la pena“.

 

Riguardo all’importanza “terapeutica” del Laboratorio interviene l’altro educatore Florio Guardini. “Gli ospiti quando sono qui si concentrano su un obiettivo costruttivo, distogliendo la mente da pensieri che spesso sono distruttivi a causa delle loro patologie. In tal senso è molto importante porsi degli obiettivi e perseguirli, per quanto piccoli. E’ un po’ un ritorno alla normalità per loro, magari recuperando abilità che avevano prima di cadere nella patologia psichiatrica”. Come nel caso di Mario (nome di fantasia, ndr) che ha riscoperto il suo passato di tornitore, oppure Adolfo che era un insegnante e ha girato il mondo e qui ha scoperto una passione per la pittura.

 

Casa Perez fa parte dell’area socio-sanitaria della Cittadella della Carità insieme a Casa Clero e Casa Nogarè. Venne inaugurata nel novembre 1984, proseguendo e potenziando l’attività di accoglienza per persone con disabilità psichica che l’Opera Don Calabria aveva già iniziato fin dal 1946 in una casa a Porto San Pancrazio, nel comune di Verona. Fin dalla fine degli anni Ottanta agli ospiti della Casa vennero proposte iniziative di tipo laboratoriale, sostenute in particolare dai religiosi don Emilio Comuzzi e fratel Giacomo Cordioli.

 

Oggi oltre al Laboratorio sono portate avanti molte altre attività per gli ospiti come pomeriggi musicali, cineforum, lettura, realizzazione di un giornalino, preparazione del Vangelo della domenica con Suor Rosa Santina, festa dei compleanni una volta al mese, memory.

matteo.cavejari@sacrocuore.it


Un Natale di comunione per accogliere gli ammalati come si accoglie Gesù

Il Casante dell’Opera Don Calabria, padre Miguel Tofful, nel suo messaggio natalizio chiede a tutti gli operatori della Cittadella della Carità di pregare per il XII Capitolo Generale della Congregazione che si svolgerà nella primavera 2020

Un Natale da vivere nel segno della comunione per creare rapporti veri di fraternità nella vita quotidiana. Comunione che, all’interno dell’ospedale, significa prima di tutto “vicinanza” agli ammalati e “umanizzazione delle cure”. E’ questo il cuore del messaggio natalizio che il Casante dell’Opera Don Calabria, padre Miguel Tofful, rivolge a tutto il personale della Cittadella della Carità di Negrar, agli ammalati e alle loro famiglie.

 

Proprio il tema della comunione sarà al centro del XII Capitolo dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, in programma nella primavera 2020, evento per il quale il Casante chiede un particolare ricordo e una preghiera in occasione di questo Santo Natale 2019.

 

Riportiamo alcuni passaggi del messaggio di padre Tofful, mentre in allegato si può leggere integralmente il testo da lui presentato lo scorso 18 dicembre a Negrar durante il tradizionale incontro con i collaboratori dell’ospedale (vedi messaggio integrale). In videogallery, infine, è disponibile il video-messaggio di auguri che il Casante rivolge a tutta la Famiglia dell’Opera Don Calabria nel mondo (vedi video).

 

LE PAROLE DEL CASANTE

“Sia questo il nostro augurio di Natale: che tra noi, famiglia calabriana, che nei nostri rapporti tra Fratelli, Sorelle e Laici, l’Emmanuele possa abitare. Sia Natale nei nostri cuori, nelle nostre relazioni, nei nostri volti, nel nostro lavoro. Sia gioia e pace nelle nostre famiglie, nella Cittadella della Carità … Sia Dio con noi, sia Dio in noi, sia Dio tra noi! “E venne ad abitare in mezzo a noi” si trasformi nel “continui ad abitare in mezzo a noi” attraverso la vicinanza che si fa prossimità di chi incontriamo, a ridurre le distanze di qualunque natura, in nome di una umanizzazione che può davvero parlare a chiunque e in qualunque situazione.

 

Questo Natale aiuti tutti noi a vivere un rapporto di unità e comunione con Colui che nella sua umanità ci ha fatto partecipi della sua divinità, realizzando per noi il suo piano di salvezza. […]

 

Finalmente, colgo l’occasione per chiedere a tutti voi di accompagnare con la preghiera il percorso che stiamo facendo in preparazione al XII capitolo generale, che celebreremo in Aprile del prossimo anno, ed ha come tema “la profezia della comunione”. Alla base di questa profezia c’è l’azione dello Spirito Santo, motore e sorgente di ogni unità e condivisione. Chiediamo perché lo Spirito possa costruire una storia nuova, rinnovando le nostre relazioni e il nostro modo di essere Famiglia Calabriana nella Chiesa, perché sia testimonianza luminosa della Paternità di Dio.

 

Concludo questa mia riflessione e condivisione, desiderando veramente che il Natale ci doni la capacità contemplativa per scoprire Gesù che abita in mezzo a noi e ci chiama ad essere strumenti di comunione vivendo e annunciando il carisma dell’Opera che Dio ci ha donato. Ringrazio di cuore ciascuno di voi per il vostro servizio e missione nella Cittadella della Carità. Auguro a tutti voi e alle vostre famiglie un Buon e Santo Natale! Dio vi benedica. Grazie”. (Padre Migue Tofful)

* In copertina: opera realizzata nell’atelier di Arteterapia del Dipartimento di Riabilitazione dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore – Don Calabria. L’autrice è Valeria, paraplegica a seguito di una patologia.


BRCA1 e BRCA2: anche in Veneto esenzione dal ticket per i portatori sani

Un provvedimento importante che consente di sottoporsi gratuitamente alla sorveglianza intensiva al fine di una diagnosi precoce dei tumori ereditari

Dal primo gennaio 2020, in Veneto, i portatori della mutazione genetica BRCA1 e BRCA2, che comporta un elevato rischio di contrarre una neoplasia – in particolare della mammella e dell’ovaio -, saranno esentati dalla spesa di compartecipazione sanitaria (ticket) al fine di sottoporsi gratuitamente a una forma di screening avanzata. Lo ha deciso la Giunta regionale, su proposta dell’assessore alla Sanità, Manuela Lanzarin, allineando così il Veneto all’Emilia-Romagna, Lombardia, Liguria, Campania, Toscana, Sicilia e Piemonte che avevano già assunto il provvedimento.

I tumori interessati alla mutazione BRCA

Nel 2019, in Italia, sono stimati 53.500 nuovi casi di carcinoma della mammella, il 5-7% è legato a fattori ereditari, il 25% dei quali riferibile a una mutazione BRCA (936). Di 5.300 nuove diagnosi di tumore dell’ovaio stimate nel 2019 nel nostro Paese, il 15% è riconducibile ad alterazioni in questi stessi geni (795). E, nel complesso, fino al 4-5% di tutti i pazienti con carcinoma pancreatico presenta una variante patogenetica di BRCA1 o BRCA2 (675 casi su 13.500 previsti nel 2019). In famiglie con tumori della mammella o dell’ovaio associati a tumori del pancreas, la presenza di mutazione BRCA può arrivare fino al 25%.

Chi deve sottoporsi al test genetico pe rindividuare la mutazione

Il test genetico per l’individuazione delle mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2 viene proposto, anche nel nostro ospedale (vedi articolo; vedi video) e dopo consulenza genetica, alle donne colpite da neoplasia al seno e alle ovaie e agli uomini affetti da cancro mammario con una storia clinica e familiare ben precisa (in genere casi di tumore mammario e/o ovarico in consanguinei in età giovanile). L’esame genetico al momento della diagnosi permette di identificare la mutazione nelle persone malate e di conseguenza di estendere il test ai familiari sani per scoprire se sono portatori della stessa mutazione. In caso di risposta positiva, i familiari possono essere avviati, a seconda delle indicazioni, alla chirurgia profilattica (mastectomia bilaterale o/e l’asportazione chirurgica delle tube e delle ovaie) o alla sorveglianza intensiva.

Test positivo su parenti sani: la sorveglianza intensiva

La sorveglianza intensiva sarà prevista gratuitamente in Veneto dal 1° gennaio 2020 per le donne sane portatrici di BRCA1 e BRCA2 a partire dai 25 anni fino ai 70 e prevede una serie di esami (strumentali ed ematochimici) a cadenza semestrale o annuale in base alla fascia di età di appartenenza. “La sorveglianza intensiva permette la dioreagno si in fase molto precoce di questi tumori, tale da consentire interventi terapeutici risolutivi”, sottolinea la dottoressa Stefania Gori, direttore dell’Oncologia Medica.

Perché fare il test se si è compiti da tumore

“L’individuazione inoltre della mutazione in un paziente di nuova diagnosi condiziona anche la scelta della terapia – continua l’oncologa -. Studi clinici hanno evidenziato che le donne con tumore dell’ovaio portatrici di mutazione BRCA presentano una maggiore sensibilità a combinazioni di chemioterapia contenenti derivati del platino e a terapie mirate che ‘sfruttano’ la mutazione BRCA per potenziare l’efficacia delle cure. Si tratta di molecole che fanno parte della classe dei PARP inibitori, indicate nelle pazienti che hanno risposto alla chemioterapia a base di platino. I PARP inibitori sono efficaci anche nel tumore della mammella in fase metastatica con mutazione BRCA. E per la prima volta nei tumori del pancreas metastatici, insorti in pazienti con mutazioni BRCA, è stato dimostrato un vantaggio in sopravvivenza utilizzando un PARP inebitore.”

Non solo mammella e ovaio

Gli studi sui geni BRCA1 e BRCA2 rappresentano una delle frontiere più avanzate nel campo dell’oncogenetica e la punta di diamante della ‘medicina di precisione’ nella ricerca e sviluppo di nuove terapie personalizzate su base molecolare – conclude Gori -. Da tempo vi sono evidenze sul ruolo dell’alterazione di questi geni nei tumori della mammella e dell’ovaio, e oggi si stanno aprendo prospettive importanti che coinvolgono il carcinoma del pancreas, uno dei più difficili da trattare, e della prostata”.


Il presente e il futuro delle protesi ortopediche

Il dottor Claudio Zorzi, direttore dell’Ortopedia del “Sacro Cuore” in un’intervista al TGR Veneto spiega l’evolversi della chirurgia protesica negli ultimi anni, interventi che interessano sempre di più giovani adulti

Si inizia a fare sport molto presto e si vuole continuare a farlo anche quando, in età adulta, le articolazioni inziano ad essere doloranti. Nel momento in cui la situazione non è più arginabile, grazie alla medicina rigenerativa (come la procedura lipogems), è necessario rivolgersi alla chirurgia protesica che negli ultimi anni, per quando riguarda le tecniche e i materiali utilizzati, ha avuto sviluppi importanti.

Soprattutto nell’ambito della revisione delle protesi, cioè quando diventa necessario, dopo anni, sostituire l’impianto per impoverimento dell’osso interessato. Si tratta di interventi chirurgici complessi, come spiega il dottor Claudio Zorzi, direttore dell’Ortopedia e Traumatologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, in un’intervista al TGR Veneto.

Per l’importante casistica e l’expertice acquisita dai chirurghi ortopedici, la Regione Veneto nelle ultime schede ospedaliere (maggio 2019) ha riconosciuto l’Ospedale di Negrar, centro di riferimento regionale per la revisione di protesi del ginocchio e dell’anca