L'intervento alle emorroidi? Non è più così doloroso

Si chiama HPS, una tecnica che consiste nell’applicazione di suture con lo scopo di riportare i “cuscinetti” nel canale anale, senza nessuna ferita chirurgica. Il chirurgo proctologo Nicola Cracco ci illustra l’intervento

E’ un disturbo di cui non si parla volentieri, ma è molto diffuso a partire dai 20-25 anni, in entrambi i sessi, anche se gravidanza e parto accrescono il rischio nella donna. Sono le emorroidi, un termine anatomico – che definisce i cuscinetti vascolari del canale anale, formati da arterie e vene, che hanno la funzione fisiologica di coadiuvare la continenza fecale – ma che viene usato per indicare uno stato patologico nel momento in cui divengono “sintomatiche”, cioè quando causano un disturbo.

Quando diventano patologiche

Innanzitutto le emorroidi diventano patologiche quando vanno incontro al prolasso (cioè la fuoriuscita dalla loro sede naturale con o senza necessità di riduzione manuale) e/o al sanguinamento. Tuttavia in questi casi non sono dolorose“, precisa il dottor Nicola Cracco, responsabile della Chirurgia proctologica. “Diventano tali solo se si trombizzano, cioè se si formano dei coaguli di sangue all’interno, e quindi si induriscono rendendo impossibile la riduzione del prolasso“.

Due tecniche di intervento a confronto
In questi casi, a seconda dell’entità del disagio provato dal paziente a causa del prolasso e/o della presenza di un sanguinamento abituale (non responsivo a terapia medica) che può provocare anemia, è necessario il trattamento chirurgico. L’asportazione delle emorroidi (emorroidectomia) è l’intervento più antico e anche anche quello che garantisce i migliori risultati a lungo termine. “Si tratta di un intervento che suscita timore nel paziente in quanto doloroso e che richiede alcune settimane di convalescenza – spiega il dottor Cracco -. Ma non è il solo che abbiamo a disposizione, perché da alcuni anni si va consolidando la tecnica HPS (Hemorpex System), assolutamente non dolorosa, efficace e che permette un rapido ritorno alle attività quotidiane”.

 

HPS, suture invece che cicatrici

La tecnica chirurgica HPS consiste nell’applicazione di suture a monte delle emorroidi, cioè nel retto, che hanno lo scopo di riportare i “cuscinetti” nel canale anale. E’ un intervento conservativo, le emorroidi non vengono asportate, e quindi non doloroso“, spiega il dottor Cracco. “Si tratta di una tecnica che funziona e soprattutto non reca danno. Ciò che non conosciamo ancora sono i risultati a lungo termine, in quanto essendo una modalità di intervento relativamente recente, non abbiamo a disposizione sufficiente letteratura medico-scientifica per quantificarli”.

Le emorroidi si possono riformare

Infatti, anche se asportate, le emorroidi si possono riformare. Per l’ emorroidectomia è stato riportato un tasso di recidiva molto basso, intorno al 5% a 5 anni – spiega ancora Cracco -. Può capitare infatti che una volta tolte dalle loro sedi classiche (una a sinistra e due a destra), le emorroidi ricompaiano. Sul tasso di recidiva dopo HPS invece non possiamo dire ancora nulla”.

La prevenzione: bere tanta acqua

Si possono prevenire prolasso e sanguinamento delle emorroidi? “La prevenzione principale consiste in una dieta varia ricca di fibre e con abbondante apporto di liquidi. Questo aiuta a mantenere le feci morbide, evitando così il rischio di prolasso causato dallo sforzo dell’evacuazione ed il sanguinamento. Per quanto riguarda gli alimenti, esiste l’assioma che cioccolato, caffé e cibi piccanti rechino danno alle emorroidi. Ma non è sempre vero, lo può essere per alcune persone e non per altre”, conclude il dottor Cracco.


Causa il cancro e il ciclo doloroso è normale: le fake news sull'endometriosi

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Tutti i luoghi comuni sull’endometriosi, la malattia ginecologica che colpisce in Italia circa 3 milioni donne. Un congresso organizzato dal dottor Marcello Ceccaroni mette in evidenza quanto le false credenze influiscano anche su la cura della malattia

Anche l’endometriosi, la patologia ginecologica che in Italia colpisce 3 milioni di donne, è vittima di fake news. Si tratta di luoghi comuni che diventano spesso un ostacolo nella cura della malattia, tanto sono radicati nelle pazienti e alcune volte portati avanti dagli stessi ginecologi.

 

Si parlerà di questo nel corso del congresso “Nuove strategie terapeutiche, stili e qualità della vita della donna: un approccio armonico alla paziente con endometriosi”, in programma sabato 8 giugno nella Sala Congressi della Cantina della Valpolicella di Negrar (vedi allegato). L‘incontro scientifico è organizzato dal dottor Marcello Ceccaroni, direttore del Dipartimento per la tutela della salute e della qualità di vita della donna, U.O.C di Ostetricia e Ginecologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, Centro di riferimento della Regione Veneto per la cura dell’endometriosi. Il congresso è rivolto a medici di medicina generale e a ginecologi, per fare il punto su alcuni aspetti della malattia – dall’epidemiologia alla diagnosi fino agli stili di vita – su cui persistono errate convinzioni o mancate conoscenze. Facciamo chiarezza con il dottor Marcello Ceccaroni.

 

Mestruazioni dolorose? Le aveva anche la nonna

“E’ un retaggio culturale che ancora adesso persiste a causa del quale molte donne non vengono curate o curate in ritardo – sottolinea il dottor Ceccaroni -. Si dimentica però che le nostre nonne a vent’anni avevano già un figlio o forse due e diventavano madri più volte nella vita. Queste gravidanze, che si succedevano anche a breve distanza l’una dall’altra, erano di per sé una terapia contro l’endometriosi, perché sospendendo il ciclo per ben oltre un anno – anche durante l’allattamento – contribuivano a far regredire la malattia, quindi i sintomi. Oggi la situazione è molto diversa: per molteplici ragioni sociali la donna inizia a cercare una gravidanza intorno a 35 anni. Il che vuol dire che, dalla comparsa della prima mestruazione fino a quell’età, queste donne, nella convinzione che il dolore è ‘naturale’, non si sono mai curate e scoprono la malattia solo perché non riescono a concepire un bambino. Un dato significativo: la mediana dell’età delle donne che operiamo nel nostro Centro è di 38 anni; il 41% ha oltre 40 anni, ma il range va dai 16 ai 58 anni, ben oltre la menopausa. Infatti l’endometriosi quando non viene curata crea dei danni anatomici all’intestino, alla vescica, all’uretere che devono essere risolti chirurgicamente”.

 

Se non si vede la cisti sull’ovaio, non c’è endometriosi

“Purtroppo questa convinzione riguarda i ginecologi. Nonostante oggi sappiamo molto di questa malattia, la diagnosi arriva in media dopo 7 anni durante i quali le pazienti sono vittime di un triste peregrinare da un medico all’altro con la vita devastata dal dolore. Uno degli interventi del convegno, a cura del dottor Luca Savelli dell’Università di Bologna, sarà quello di evidenziare quali sono i segni individuabili con l’ecografia tansvaginale che indicano la presenza di endometriosi al di là della semplice cisti ovarica. Spesso la malattia è così profondamente radicata nel tessuto che la si trova solo cercandola”.

 

 

L’endometriosi è causa di sterilità

“E’ la falsa convinzione a causa della quale molte ragazze giovani con la diagnosi di cisti all’ovaio vengono sottoposte a interventi inutili. Infatti è sterile solo il 25% delle donne affette da endometriosi. La malattia è sì un fattore di rischio di sterilità, perché può deformare o chiudere le tube e se non curata con la terapia ormonale libera delle sostanze che riducono gli ovociti in quantità e in qualità. Ma è un fattore di rischio ben più alto sottoporre la paziente a ripetuti interventi non risolutivi in quanto limitati a togliere le cisti senza andare in profondità. Interventi che causano un impoverimento dell’ovaio, rendendo più difficile il concepimento“.

 

La chirurgia è l’unica soluzione

“Non è vero. La chirurgia è la ‘scialuppa di salvataggio’ sui cui salire solo quando è strettamente necessaria e al momento giusto. Noi vantiamo una casistica di interventi tra le più alte a livello internazionale, ma questo è dovuto al fatto che, essendo il nostro un Centro di terzo livello, accedono dai noi casi estremamente gravi, magari reduci da decine di operazioni chirurgiche inutili e non risolutive. Le pazienti che si rivolgono a noi hanno subito in media quattro interventi, ma il range va da 0 a 20. Questo non significa – precisa il ginecologo- che la malattia si è ripresentata 20 volte, in quanto il tasso di recidiva dopo un intervento radicale è dell’8%. Significa invece che sono state operate fino a 20 volte in maniera non accurata e spesso inutilmente.

 

La terapia ormonale fa più danni che benefici

Altra falsa credenza. Soprattutto per quanto riguarda le pazienti più giovani, sono molto spesso più indicati la terapia ormonale e un follow-up periodico. Oggi abbiamo a disposizione estro-progestinici (la cosiddetta pillola) e progestinici molto efficaci nel bloccare la formazione di tessuto endometriosico e quindi in grado di attenuare la sintomatologia dolorosa. Possono essere assunti fino al momento in cui, alla luce della stabilità della malattia, la donna decide di intraprendere una gravidanza e ripresi dopo il parto e l’allattamento. Se il bambino non arriva, allora si può pensare di rivolgersi ad un Centro Fertilità o di intraprendere la strada chirurgica. E’ bene sapere che anche se si ricorre alla chirurgia è necessario assumere la pillola, perché la donna ha sempre un utero (spesso con adenomiosi) e un ciclo e quindi è a rischio di recidiva.

 

Con la chirurgia e/o la pillola risolvo il problema

“Falso: la pillola come la chirurgia non risolve da sola la malattia, ma, come verrà sottolineato durante alcuni interventi nel corso del congresso, è importante accompagnarla con l’assunzione di integratori e uno stile di vita sano, fatto di diete anti-infiammatorie e di attività fisica. I principi attivi naturali contenuti negli integratori hanno l’obiettivo di ridurre la liberazione di sostanze chimiche (le citochine) all’origine dell’infiammazione, del dolore addominale, muscolare e articolare, della fatica cronica, della febbricola di cui soffrono le donne colpite dalla malattia. Lo stesso per quanto riguarda la corretta alimentazione e l’attività fisica costante. La patologia resta, ma i sintomi vengono tenuti sottocontrollo come accade per qualsiasi malattia cronica”.

 

L’endometriosi causa il cancro all’ovaio

Non è stato provato nessun nesso causale tra l’endometriosi e il cancro all’ovaio, anche se lo stato infiammatorio causato dalla malattia fa sì che le donne affette da endometriosi abbiano un rischio doppio di sviluppare questa malattia. Tuttavia siamo di fronte a un tumore che è poco frequente e colpisce in Italia solo 4mila donne, pertanto il ‘rischio cancro’ non è una ragione indicativa per operare. Anche perché se alcuni studi comprovano questo rischio aumentato, altri associano all’endometriosi forme tumorali ovariche meno aggressive e diagnosticate precocemente, perché la donna si sottopone spesso a controlli dovuti alla malattia”.

 

Un aiuto psicologico? Io non ne ho bisogno

“Le pazienti affette da endometriosi sono protagoniste di storie travagliate, fatte non di rado di diagnosi tardive, di chirurgie multiple, di dolori invalidanti che non vengono creduti, di difficoltà a rimanere incinta, di rapporti sentimentali se non matrimoni che si spezzano, di problematiche lavorative dovute alle numerose assenze. E’ impensabile che tutta questa sofferenza protratta per anni non incida sulla psiche della persona. Per questo è importante che la paziente sia invitata a sostenere un percorso di terapia psicologica e assumere, se è necessario e su indicazione dello psichiatra, il farmaco più adatto. Una paziente con un sostegno psicologico è più collaborante nel cambiare stili di vita, a fare attività fisica e assumere la terapia ormonale”.

 

No assolutamente alla soia

Sarà il dottor Agostino Grassi, nutrizionista di fama internazionale e cultore della dieta mediterranea, ad informare e confutare durante il convegno alcuni luoghi comuni che persistono sul tema alimentazione ed endometriosi. Uno di questi riguarda la soia, dalla quale le pazienti si tengono lontane perché in qualche modo aumenterebbe la malattia. Questa imprecisione è dovuta al fatto che la soia contiene fitoestrogeni, cioè sostanze di origine naturale che assomigliano agli estrogeni (ma non lo sono) e poiché l’endometriosi è sensibile agli estrogeni meglio evitarla. Tuttavia i fitoestrogeni hanno una potenza molto minore e, per quanto facciano bene, non sono ormoni. Inoltre c’è soia e soia. Gli estratti di soia che vengono prescritti e sono efficaci per ridurre le vampate tipiche della menopausa, ad esempio, contengono una determinata quantità di genistina, un estrogeno naturale di cui la soia che acquistiamo al supermercato è quasi priva a causa di processi di raffinazione. Altro luogo comune: il pomodoro meglio mangiarlo perché è ricco di vitamine. Vero, però è un alimento che può, assieme ad altri, ipersensibilizzare al dolore. Anche la spremuta di arance fa bene. Certo. Peccato però che abbia una quantità di carboidrati semplici (zuccheri) che sono tra gli alimenti che favoriscono l’infiammazione. Meglio mangiare le arance con la loro fibra, la quale influisce positivamente sull’indice glicemico di questi alimenti”.

elena.zuppini@sacrocuore.it


Non solo tumori: i tanti danni del fumo ai polmoni

Si celebra oggi la Giornata mondiale senza tabacco, un appuntamento per sensibilizzare contro un killer che, solo in Italia, è considerato responsabile di 93.500 morti all’anno, pari al 14% di tutti i decessi. Un killer che uccide in molti modi diversi…

Si stima che in Italia lo scorso anno siano morte 93mila persone per cause correlate al fumo di sigaretta, pari al 14% dei decessi totali (dati AIOM 2018). Decessi dovuti al fatto che il fumo è uno dei maggiori fattori di rischio per molti tipi di tumore ma anche per patologie respiratorie croniche e patologie cardiovascolari gravi. La maggior parte di queste morti potrebbe essere evitata semplicemente smettendo di fumare. Eppure ancora oggi più di un italiano su cinque è un fumatore, ovvero 11,6 milioni di persone (dati Istituto Superiore di Sanità, maggio 2019).

 

Per sensibilizzare sui danni del fumo e sulla evitabilità delle patologie ad esso correlate, il 31 maggio di ogni anno l’OMS promuove la Giornata mondiale senza tabacco. Un appuntamento che quest’anno è dedicato al tema “Tabacco e salute dei polmoni”. Come risaputo, il fumo è causa dell’85-90% dei tumori del polmone, che rappresentano la quarta neoplasia per incidenza e la prima causa di morte per neoplasia a livello nazionale. Nel 2018 i casi di tumore del polmone in Italia sono stati 41.500 (stime AIOM).

 

Ma tra i danni provocati dal fumo alle vie respiratorie non c’è solo il tumore. Infatti il tabagismo è di gran lunga la principale causa di patologie respiratorie croniche che spesso compromettono gravemente lo stato di salute e lo stile di vita di chi ne è affetto. Non si parla solo di infezioni, tosse cronica e catarro, ma soprattutto di asma e broncopneumopatia cronico ostruttiva (BPCO), caratterizzata da un’ostruzione bronchiale e quindi da una difficoltà respiratoria più o meno grave, patologia che riguarda il 10% della popolazione mondiale.

 

Proprio le malattie respiratorie croniche ostruttive, secondo le stime OMS, nel 2020 saranno la terza causa di morte a livello globale dopo le patologie cardiovascolari e i tumori. Ed anche le spese sanitarie correlate sono imponenti (si calcola che il 56% delle spese sanitarie per patologie respiratorie in Europa sia causata dalla BPCO).

 

Sulle patologie croniche ostruttive, la BPCO in particolare, l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria sta portando avanti da anni uno studio unito ad un lavoro di sensibilizzazione sulla popolazione veronese in collaborazione con l’ateneo scaligero e le istituzioni (vedi articolo correlato). Inoltre la Pneumologia guidata dal dottor Carlo Pomari è uno dei centri europei sede della sperimentazione di un vaccino che ha l’obiettivo di prevenire il riacutizzarsi delle infezioni, ad esempio bronchiti, che colpiscono con frequenza chi è affetto da patologie respiratorie croniche (vedi articolo).

 

Infine un’attenzione particolare al “Sacro Cuore” è dedicata alla tosse, specialmente se persistente, che talvolta rappresenta il sintomo di una patologia cronica. Sempre con il coordinamento della Pneumologia, dall’anno scorso è operativo un Centro della Tosse presso il Centro Diagnostico Terapeutico Ospedale Sacro Cuore, in via San Marco 121 a Verona, che coinvolge un team multispecialistico per lo studio, la diagnosi e la cura di tale malattia.

 

Tornando al fumo di sigaretta, un altro aspetto deleterio da tenere in considerazione è il cosiddetto fumo passivo, che secondo l’OMS è responsabile di quasi un milione di morti all’anno nel mondo. A tal proposito si stima che 165mila bambini minori di 5 anni muoiano per infezioni alle vie respiratorie causate da fumo passivo.

 

Per completare il quadro, al di là dei danni respiratori, il fumo è responsabile o corresponsabile di molti tipi di tumore oltre a quello del polmone: cavo orale e gola, esofago, pancreas, colon, vescica, prostata, rene, seno, ovaie, alcuni tipi di leucemie. In particolare è la principale causa di tumore del pancreas esocrino (13.300 casi stimati nel 2018 in Italia) ed è causa del 40% di tumori al rene nei maschi (13.400 casi nel 2018). Riguardo alle patologie cardiovascolari, infine, il fumo aumenta le probabilità di incorrere in ipertensione, infarto, ictus e coronaropatie.


Legge 219/2017: gli aspetti etici e quelli clinici

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A circa un anno dall’entrata in vigore delle “Norme in materia di consenso informato e di Disposizioni Anticipate di Trattamento” un convegno all’IRCCS di Negrar fa il punto sulle norme introdotte anche in relazione agli aspetti clinici ed etici.

Il 31 gennaio 2018 è entrata in vigore la Legge 22 dicembre 2017, n. 219 sulle “Norme in materia di consenso informato e di Disposizioni Anticipate di Trattamento“. Una legge che sancisce in maniera organica un principio già espresso dalla Costituzione, all’articolo 32: cioè che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. All’interno della stessa norma sono comprese le cosiddette “Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT)”, che estendono il potere decisionale del paziente anche quando egli ha perduto la sua capacità relazionale.

Tale normativa sarà al centro del convegno “La legge, la clinica e l’etica” che si terrà sabato 8 giugno, a partire dalle 8.30, all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria (vedi programma). L’incontro è accreditato ECM per tutte le professioni sanitarie e ha come obiettivo non solo quello di esaminare le innovazioni e le criticità delle nuove disposizioni legislative, ma anche le loro importanti implicazioni cliniche ed etiche.

 

Interverranno infatti come relatori Franco Alberton, medico legale dell’Ospedale di Negrar, Maurizio Chiodi, docente della Facoltà Ecclesiastica di Teologia di Milano e Bergamo, e Gianmariano Marchesi, già direttore dell’Anestesia e Terapia Intensiva adulti dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.

 

 

“La legge 219/2017 segna definitivamente il passaggio dal cosiddetto paternalismo medico alla condivisione con il paziente di tutti i trattamenti sanitari“, spiega il dottor Alberton, responsabile della segreteria scientifica del convegno. “Infatti nonostante il chiaro dettato costituzionale, si manifestavano ancora dubbi ed incertezze applicative, specie in situazioni complesse legate alle fasi terminali della vita. Grazie a questa legge, invece, viene sancito il principio di autodeterminazione del paziente a cui compete, assieme al medico, ogni decisione che interessi la sua salute”.

 

 

Diventa quindi fondamentale che gli operatori sanitari conoscano i doveri e gli obblighi che prevede questa legge, non solo ‘sulla carta’, ma in relazione a situazioni cliniche concrete che emergeranno nel corso del convegno.

 

Si tratta di norme che regolamentano l’ambito sanitario e in particolare una fase delicata della vita di ciascuno di noi, quella terminale per età o per malattia – prosegue il dottor Alberton -. Pertanto non si può prescindere dall’aspetto bioetico. Il medico può trovarsi per esempio di fronte a un paziente che rifiuta terapie salvavita comprese l’alimentazione e l’idratazione o a DAT che prevedono le stesse disposizioni. Esistono poi tutte le problematiche dei trattamenti futili e sproporzionati, quelle che riguardano la palliazione e la sedazione terminale. La volontà del paziente non può essere ignorata – conclude il medico legale – ma nemmeno la deontologia e l’etica di riferimento dell’operatore sanitario. La conciliazione di questi due aspetti è uno dei punti critici della legge“.


Nasce una collaborazione tra il Sacro Cuore e la Repubblica Dominicana

Una delegazione del Paese caraibico, guidata dal vice-ministro della salute, è stata in visita a Negrar per gettare le basi di un accordo di cooperazione sanitaria sui temi delle malattie tropicali, della riabilitazione e della mortalità materno-infantile

Gettare le basi per un accordo di collaborazione in ambito sanitario e socio-sanitario tra la Repubblica Dominicana e l’Opera Don Calabria, avvalendosi dell’esperienza e delle competenze dell’IRCCS ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. È questo l’obiettivo della visita di una delegazione ufficiale del Paese caraibico, guidata dal vice-ministro della salute Francisco Neftari Vasquez, che si è conclusa oggi dopo un fitto programma di incontri svolti tra Verona, Venezia e Negrar (vedi foto qui sotto), dove ha incotrato i vertici dell’Ospedale e alcuni primari.

 

L’idea di questo accordo nasce dal sostegno che l’Opera calabriana fornisce da 4 anni al progetto Esperanza, un’iniziativa che grazie alla solidarietà di tanti veronesi offre un aiuto concreto a centinaia di minori dominicani nella provincia rurale di Monte Plata. “Vivendo ogni giorno accanto ai ragazzi – dice Alessandro Padovani, responsabile dei progetti sociali dell’Opera – i nostri operatori si sono resi conto che uno dei maggiori bisogni espressi dalla popolazione locale è quello di servizi nel campo della salute. Così abbiamo lavorato con le autorità provinciali di Monte Plata, fino a coinvolgere il governo centrale per avviare questa collaborazione”.

 

Tra le principali emergenze sanitarie illustrate dalla delegazione dominicana ci sono l’alto tasso di mortalità materno-infantile, la violenza nei confronti delle donne giovani e il conseguente elevatissimo numero di gravidanze in età adolescenziale, la difficoltà nel gestire alcune malattie come morbillo, malaria, dengue e zika, l’assenza di servizi di traumatologia e riabilitazione efficienti a fronte di frequentissimi incidenti stradali. “Abbiamo bisogno di formare il nostro personale per affrontare al meglio questi problemi adottando le procedure più corrette – ha detto il vice-ministro – per questo la visita in Italia e in particolare all’ospedale di Negrar è stata molto utile perchè abbiamo visto che ci sono grandi professionalità e un’organizzazione che per noi rappresenta un modello da seguire per puntare alla prevenzione oltre che alla cura”.

Proprio la formazione del personale dominicano rappresenta una delle più concrete prospettive della collaborazione che si sta avviando, unitamente allo scambio di competenze sulla diagnosi e la cura delle malattie infettive e tropicali, ambito per il quale l’ospedale calabriano è Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico.

Questo accordo si inserisce in un percorso di cooperazione sanitaria che l’Opera Don Calabria e l’ospedale di Negrar portano avanti da tempo in diversi Paesi del mondo – dice il dottor Claudio Bianconi, referente per i progetti sanitari calabriani, che ha accompagnato i dominicani insieme a don Ivo Pasa, delegato dell’Opera in Italia, e a Francesco Padovani, responsabile del Progetto Esperanza. “Attualmente abbiamo iniziative in Ucraina e Bielorussia, oltre a Brasile, Angola e Filippine dove sono presenti ospedali calabriani che lavorano in sinergia con Negrar”, aggiunge Bianconi.

Oltre al vice-ministro, facevano parte della delegazione della Repubblica Dominicana anche il direttore provinciale della salute di Monte Plata , Dr. Winton Leonel Martinez Reyes, e personale del coordinamento della salute della medesima provincia nonchè personale dell’ambasciata dominicana in Italia. Durante la sua permanenza , la delegazione ha incontrato tra gli altri l’assessore regionale alla sanità Manuela Lanzarin e il sindaco di Verona Federico Sboarina. Al “Sacro Cuore Don Calabria” hanno incontrato anche il ministro della Famiglia e della Disabilità, Lorenzo Fontana, e il sottosegretario alla Salute, Luca Coletto.


Dona il tuo "5X1000" alla ricerca del "Sacro Cuore Don Calabria"

Solo grazie alla ricerca è possibile offrire a chi è ammalato le migliori terapie: contribuire allo sviluppo della ricerca effettuata dal nostro Ospedale è facile e senza oneri, basta una firma nella dichiarazione dei redditi

Con la dichiarazione dei redditi di quest’anno hai la possibilità di sostenere la ricerca dell’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Destinando il “5X1000” per il “Finanziamento per la Ricerca Sanitaria” al nostro Ospedale puoi contribuire direttamente allo sviluppo di progetti di ricerca che hanno come obiettivo terapie innovative per la cura delle maggiori patologie.

 

Oggi l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria è impegnato in diversi ambiti di ricerca tra cui:

Oncologia: valutazione di trattamenti radioterapici somministrati con tecnologie d’avanguardia; sperimentazione sui pazienti (Fase 1) del vaccino contro l’epatocarcinoma (vedi: “Metastasi cerebrali: da “HyperArc” risultati promettenti; “Metastasi spinali: il ‘Sacro Cuore’ ospedale pilota con un’innovativa radioterapia“; “Metastasi cerebrali: il “Sacro Cuore” primo al mondo nell’uso di una nuova tecnica di Radiochirurgia“; “Tumore al seno: la Radioterapia che ha a cuore… il cuore“;”Epatocarcinoma: al “Sacro Cuore” la sperimentazione di un nuovo farmaco”; “Prosegue lo studio clinico sul vaccino contro l’epatocarcinoma“).

Malattie infettive e tropicali: creazione di test diagnostici rapidi e di facile impiego sul campo per patologie endemiche nelle aree tropicali, ma che con l’intensificarsi dei viaggi all’estero e del fenomeno immigratorio sono di interesse sanitario anche in Occidente (vedi: “Malattie infettive e tropicali confermato centro collaboratore dell’OMS“; “Malattia di Chagas: solo l’1% dei malati accede alla diagnosi e alle cure”)

 

Gastroenterologia: individuazione di trattamenti contro le patologie croniche dell’intestino (per esempio la colite ulcerose) per le quali manca ancora una cura efficace (vedi: “La chirurgia nelle malattie infiammatorie croniche dell’intestino“; “Non solo diagnosi: i tanti ruoli del patologo nelle MICI“; “MICI e cancro al colon: quei campanelli d’allarme chiamati displasie

Ortopedia: medicina rigenerativa della cartilagine delle maggiori articolazioni con l’impiego di derivati piastrinici e cellule mesenchimali ricavate dal tessuto adiposo (vedi: “Dal Giappone la tecnica che salva le articolazioni con il grasso“; “Chirurgia della spalla: l’innovazione è “biologica”; “Se il ginocchio fa male, la cura arriva dal tessuto adiposo“)

Oculistica: studio di approcci chirurgici innovativi per le patologie della retina (vedi: “Alla dottoressa Pertile il premio dei chirurghi europei della retina“; “Quel liquido che offusca improvvisamente la vista”; “Retina artificiale: tutto pronto per lo studio preclinico sull’uomo).

Cardiologia: valutazione di trattamenti con l’uso di dispositivi medici delle patologie cardiologiche (vedi: “Pacemaker collegati al cellulare: è del ‘Sacro Cuore’ il primo paziente connesso“; “Cardiologia: oltre mille pazienti controllati a distanza“).

Riabilitazione: per i pazienti mielolesi si ricercano tecniche di riabilitazione fisica e di neuroriabilitazione (vedi: “Innovativo percorso riabilitativo per chi ha perso l’uso delle braccia”; “L’esoscheletro robotico: l’ultima frontiera della riabilitazione“).

Grazie alla donazione del “5X1000” puoi contribuire anche tu allo sviluppo di queste ricerche e cambiare il futuro di molte persone, perché “Insieme nella ricerca più forti nella cura”.

COME DONARE: nel modulo della dichiarazione dei redditi (730, Unico, Cud) metti la tua firma e il codice fiscale 00280090234 dell’Istituto Don Calabria- IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria nello spazio dedicato a “Finanziamento della Ricerca Sanitaria”.

DONA ORA: puoi sostenere la ricerca anche con una donazione (deducibile dal reddito imponibile IRPEF) tramite bonifico (Codice IBAN IT92E0503411702000000003129) con causale “Ricerca Sanitaria”


Cosa accade quando la tiroide non funziona

Dal 20 al 26 maggio si tiene in tutto il mondo la Settimana della tiroide: attenzione ai sintomi e soprattutto alla prevenzione delle principali patologie che può essere fatta tramite l’assunzione quotidiana di sale iodiato per cucinare

Torna anche quest’anno, dal 20 al 26 maggio, la Settimana mondiale della tiroide, promossa dalle associazioni scientifiche di Endocrinologia e dei pazienti più rappresentative per accendere i riflettori sulla salute di una ghiandola tanto piccola quanto fondamentale per il nostro organismo (pesa mediamente solo 20 grammi).

“Amo la mia tiroide e faccio la cosa giusta” è lo slogan dell’edizione 2019. E una delle prime cose giuste da fare è quella di assumere quotidianamente e senza eccedere, il sale iodiato per cucinare, acquistabile in qualsiasi supermercato.

 

“Lo iodio serve alla piccola ghiandola endocrina per sintetizzare gli ormoni tiroidei i quali, a loro volta, regolano il buon funzionamento del muscolo cardiaco e scheletrico, il metabolismo osseo, lipidico e glucidico e sono essenziali per lo sviluppo del sistema nervoso del feto” spiega il dottor Lino Furlani, responsabile del Servizio di Endocrinologia e coordinatore organizzativo nazionale dell’Associazione Medici Endocrinologi (AME).

 

 

La carenza di iodio è all’origine di una delle patologie funzionali della tiroide più diffuse, l’ipotiroidismo, che colpisce circa il 5% della popolazione sopra i 60 anni. Una percentuale che cresce se si comprendono anche i casi di ipotiroidismo subclinico, che non si manifesta con i classici sintomi, ma è rilevabile solo tramite il dosaggio nel sangue del TSH. Inoltre, la carenza di iodio favorisce lo sviluppo di noduli (vedi articolo)

 


TSH

La tirotropina o tireotropina o TSH, appunto, è l’ormone prodotto dall’ipofisi con il compito di regolare la funzione tiroidea (produzione di T3 e T4)Se il TSH è superiore alla norma significa che la tiroide lavora poco, mentre se è inferiore può essere sintomo di ipertiroidismo, cioè di un eccessivo funzionamento della tiroide, l’altra patologia funzionale della ghiandola più diffusa (ne soffre il 3% della popolazione).

 

 

IPOTIROIDISMO

Cause e sintomi

Una delle cause principali dell’ipotiroidismo è la tiroidite autoimmune, conosciuta come ‘morbo di Hashimoto’. Poiché comporta un’insufficiente produzione di ormoni T3 e T4 da parte della tiroide, tutto l’organismo ‘rallenta’ i suoi processi con sintomi quali affaticamento, sonnolenza, aumento di peso, sensazione di freddo.

Terapia

La terapia dell’ipotiroidismo prevede l’assunzione di Levotiroxina, l’ormone sostitutivo per eccellenza. “E’ importante che la terapia sia calibrata bene ed individualizzata”, afferma il dottor Furlani. “Il giudizio del buon compenso funzionale non si basa solo sugli esami del sangue: la cura deve tenere in considerazione anche l’età della persona, il suo stile di vita e altre condizioni fra cui la gravidanza. Bisogna inoltre porre molta attenzione all’interferenza di altri farmaci o sostanze con la terapia: farmaci come gli inibitori di pompa (Omeprazolo e analoghi) o sostanze come la soia devono essere assunti a distanza di 4 – 5 ore dall’ormone tiroideo perché ne potrebbero compromettere l’assorbimento. Sono disponibili diverse formulazioni di ormone tiroideo (compressa, liquida e soft-gel) che permettono di individualizzare la terapia e ne riducono le interferenze di assorbimento”.

 

IPERTIROIDISMO

Cause e sintomi

Anche per lipertiroidismo la causa principale è una sindrome autoimmune che, quando coinvolge l’intera ghiandola, viene definita ‘morbo di Basedow’; l’ipertiroidismo può anche essere sostenuto da un solo nodulo, in un contesto di tiroide plurinodulare, ed in tal caso è conosciuta come “morbo di Plummer”. Nell’ipertiroidismo vi è una iperproduzione di ormone tiroideo, quindi l’organismo funziona in modo accelerato. I sintomi infatti sono: agitazione, ansia, nervosismo, tachicardia, ipercinesia, astenia, dimagrimento, ipersudorazione e minor resistenza allo sforzo”.


Terapia

La terapia può essere farmacologica con l’assunzione di Tiamazolo (oppure Propiltiouracile in casi particolari). Nelle situazioni che non rispondono alla terapia medica si può optare per la chirurgia (vedi video) che prevede l’asportazione della ghiandola in toto (soprattutto nel caso di tiroidi voluminose o con noduli importanti) o per il radioiodio(vedi video), che consiste nella somministrazione orale di una capsula di iodio-131. Lo iodio contenuto nel radiofarmaco ha lo scopo di distruggere i tessuti attivi della tiroide. Una volta effettuata la terapia chirurgica o medico-nucleare è necessario assumere l’ormone tiroideo sostitutivo.

PERSONE A RISCHIO

La valutazione del buon controllo della funzione tiroidea e della sua struttura (Ecografia) è indicata in alcune categorie di persone:

  • Donne in età fertile e in particolare coloro che hanno in programma una gravidanza. Infatti l’ormone tiroideo prodotto dalla madre è responsabile nelle prime settimane di vita della maturazione del sistema nervoso del feto. E’ importante inoltre che la futura mamma inizi prima della gravidanza una supplementazione di iodio (non è sufficiente il sale iodiato) che poi manterrà per tutti i 9 mesi e durante l’allattamento. La gravidanza comporta una perdita di iodio nelle urine che potrebbe mettere a rischio lo sviluppo della tiroide del feto. Durante l’allattamento l’assunzione dello iodio ha anche una funzione di prevenzione delle malattie tiroidee nel bambino.
  • Gli anziani. Spesso i sintomi dell’ipotiroidismo sono confusi con l’astenia propria dell’anziano
  • Le persone che hanno familiarità per malattie della tiroide(disfunzioni e neoplasie tiroidee)

elena.zuppini@sacrocuore.it


I tanti significati del mal di schiena

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La lombalgia è un sintomo e pertanto per essere curata bisogna indagarne le cause. Al “Sacro Cuore Don Calabria” è nato un team multidisciplinare per offrire al paziente un trattamento efficace e personalizzato. Un convegno sul tema venerdì 24 maggio

“Dottore, ho mal di schiena, cosa può essere?”. Una domanda che soprattutto i medici di medicina generale si sentono rivolgere molte volte nel loro ambulatorio, ma la cui risposta richiede un preciso inquadramento clinico per ogni paziente. Infatti la lombalgia è un sintomo che rimanda ad un ampio spettro di patologie, da curare con trattamenti diversi e possibilmente in maniera personalizzata.

 

 

Di “Mal di schiena: dalla diagnosi alla terapia” si parlerà venerdì 24 maggio, a partire dalle 14, al Centro Diagnostico Terapeutico Ospedale Sacro Cuore di via San Marco 121 (Verona), la struttura per l’attività in libera professione dell’Ospedale di Negrar (vedi programma).

 

 

L’incontro è rivolto ai medici di medicina generale e agli specialisti di varie discipline, in quanto solo un approccio multidisciplinare del problema può portare a una sua soluzione. Non a caso gli interventi saranno tenuti dai componenti del team multispecialistico sulla lombalgia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, formato da: radiologo, ortopedico, reumatologo, medico nucleare, terapista antalgico e fisiatra.

 

 

Malattia socio-sanitaria

“La lombalgia cronica è una delle patologie più diffuse – afferma il dottor Antonio Marchetta, responsabile del Servizio di Reumatologia – Si stima che in Italia ne soffrano 7 italiani su 10, con maggiore incidenza nella fascia di età dai 20 ai 50 anni. E’ un problema medico-sociale per i costi diretti ed indiretti, in termini di esami, farmaci, terapia fisiche e riabilitative, assenze lavorative”.

 

Quando rivolgersi al medico

l dolore alla schiena può essere indicativo di una patologia importante. quando è persistente da più di due settimane e notturno. E’ bene rivolgersi al medico soprattutto nel momento in cui è associato a febbre, malessere e perdita di peso immotivata, disturbi neurologici …

 

Le cause

Nel 90% dei casi il dolore lombare ha origini meccaniche, dovute all’osteoartrosi (la degenerazione della cartilagine che riveste le articolazioni della colonna vertebrale), a patologia degenerativa del disco intervertebrale (protrusioni ed ernie discali) o all’osteoporosi(con i classici ‘crolli vertebrali’ soprattutto nelle donne anziane). “Ma il mal di schiena può avere anche cause infiammatorie di origine autoimmune come le spondiloartriti in corso di artropatia psoriasica o di malattie infiammatorie croniche intestinali, o ancora riconoscere una causa infettiva come le spondilodisciti” prosegue il medico.

Da non sottovalutare il fatto che la colonna può essere interessata primitivamente da patologie ematologiche non infrequenti nella età avanzata come il mieloma o linfomi, oppure anche essere sede di localizzazioni secondarie metastatiche in corso di neoplasia della prostata e della mammella.

Inoltre c’è tutto il capitolo del cosiddetto ‘dolore riferito’ cioè una sintomatologia dolorosa che deriva da problematiche viscerali, vale a dire di organi interni contenuti nella cavità toracica e addominale che possono esprimersi o esordire come dolore a livello della colonna (aneurisma della aorta, neoplasie del pancreas, intestino, utero…). Per questo diventa fondamentale fare una diagnosi tempestiva e corretta, affinché il paziente possa essere indirizzato allo specialista competente per una terapia efficace e personalizzata

 

Il ruolo del radiologo

La diagnosi non può prescindere da un iter diagnostico radiologico.“Si parte dalla normale radiografia per poi passare ad esami più sofisticati come la Tac o la Risonanza Magnetica a seconda del tipo di sintomo e in base al sospetto diagnostico. In taluni casi potrebbe essere opportuno eseguire una Densitometria ossea se si sospetta un’osteoporosi con crolli vertebrali oppure uno studio elettrofisiologico per capire se c’è un interessamento del nervo sciatico e a quale livello”, spiega il radiologo Giovanni Foti che assieme al collega Stefano Rodella ha organizzato il convegno. “L’ottimizzazione dell’iter diagnostico allontana il rischio di peggioramento della patologia (pensiamo per esempio alle spondilodisciti) – precisa il dottor Foti – ma anche riduce la sofferenza del paziente e i costi sanitari”.

Le terapie

L’ultima parte del convegno è riservata al trattamento del mal di schiena. L’armamentario terapeutico si avvale di trattamenti farmacologici per alleviare il dolore e ridurre la infiammazione ma anche di procedure mini invasive talora molto efficaci e rapide nel ridurre la sintomatologia dolorosa intensa (infiltrazioni locali, vertebroplastica percutanea e discectomie). Fondamentale, inoltre, è il trattamento fisiokinesiterapico impostato dal fisiatra che deve mirare al ripristino della funzionalità della colonna e al mantenimento del benessere del paziente.


La prevenzione dei tumori entra nel piatto insieme al cibo

Il 40% delle patologie tumorali si potrebbero evitare con una dieta sana come quella mediterranea, se combinata con esercizio fisico e rinuncia al fumo. I consigli dell’oncologa Alessandra Modena per allontanare i fattori di rischio dalla nostra tavola

Circa il 40% dei tumori potrebbe essere evitato con uno stile di vita sano, cioè non fumando, dedicando del tempo della nostra giornata all’attività fisica, mantenendosi normopeso e in particolare facendo attenzione a cosa mettiamo sulla nostra tavola. “E’ risaputo che un modello di alimentazione “sana” è la dieta mediterranea, una piramide alimentare dove predominano frutta e verdura, di cui bisognerebbe assumere almeno cinque porzioni al giorno. E’ una dieta varia ed equilibrata che per alcuni alimenti prevede moderazione e per altri ne sconsiglia fortemente l’assunzione”, afferma la dottoressa Stefania Gori, Direttore dell’Oncologia Medica dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar.

La dottoressa Alessandra Modena dell’Oncologia Medica ci spiega il perché. “Gli alimenti ricchi di grassi e zuccheri sono una delle maggiori cause di sovrappeso e di obesità, fattori a loro volta di rischio di gran parte dei tumori, come quelli della mammella, della prostata, del pancreas e del tratto gastroenterico. Quello adiposo, infatti, non è un tessuto inerte, ma contiene i precursori degli estrogeni. In particolare nelle donne in post-menopausa, l’eccesso di grasso corporeo agisce aumentando il rischio di patologia neoplastica della mammella. E differenti studi hanno dimostrato l’influenza di sovrappeso e obesità non solo sull’incidenza di sviluppare un tumore ma anche sul rischio di recidiva nelle persone che già hanno avuto una neoplasia.”

 

Gli zuccheri. “Il loro consumo deve essere limitato perchè contengono molte calorie e possono influire sul peso corporeo. Inoltre, una dieta ricca di zucchero può favorire il rischio tumorale aumentando la produzione di insulina: elevati livelli di insulina favoriscono la promozione e la progressione delle cellule neoplastiche. E’ bene ricordare che tra gli alimenti ricchi di zuccheri non ci sono solo i dolci, ma anche i carboidrati, di cui sono ricchi il pane e la pasta,che è bene quindi consumare in quantità moderata e possibilmente in forma integrale per aumentare l’apporto di fibre.

 

Fibre. “E’ consigliabile assumere quotidianamente almeno 30 grammi di fibre (solubili e insolubili) in quanto favoriscono un minor assorbimento di zuccheri e grassi da parte dell’intestino”.

 

Carni rosse e carni processate. “Le carni rosse (ovine, suine e bovine) in genere non devono essere eliminate dalla dieta, ma limitate ad un massimo di 500 grammi alla settimana. Dovrebbero invece essere abolite le carni rosse processate (ad esempio salumi, carne in scatola, wurstel), cioè quelle che per essere conservate sono state sottoposte a lavorazione mediante essiccatura, salatura o affumicatura e aggiunta di additivi. E’ stato infatti dimostrato come il consumo giornaliero di 50 grammi di carne processata possa aumentare del 18% il rischio di ammalarsi di tumore al colon. Particolare attenzione va inoltre posta alla modalità di cottura di tali alimenti (ad esempio alla griglia), in quanto alte temperature di cottura causano il rilascio di sostanze chimiche molto dannose per il nostro organismo, come gli idrocarburi policiclici aromatici, i nitriti e i nitrati”.

 

Soia. “La soia contiene isoflovanoidi, sostanze di origine vegetale strutturalmente e funzionalmente simili agli estrogeni prodotti dall’organismo, e quindi è un alimento particolarmente studiato in campo oncologico. Ad oggi i dati relativi alla possibile relazione tra assunzione di soia e carcinoma mammario sono ancora controversi.Alcuni studi effettuati sulla popolazione asiatica hanno dimostrato un possibile effetto protettivo della soia nei confronti del carcinoma mammario. In un più recente studio condotto su cavie (topi), è stato tuttavia sottolineato come gli effetti “benefici” della soia sui tumori mammari ormono-sensibili scomparirebbero nel momento in cui la soia veniva inserita nella dieta “dopo” la diagnosi di tumore al seno. In assenza di evidenze certe, è pertanto consigliabile che le pazienti con diagnosi di tumore al seno ormono-sensibile limitino il consumo di cibi contenenti fitoestrogeni, tra cui la soia”.

 

Alcol. “L’alcol è una sostanza tossica e potenzialmente cancerogena e come tale deve essere assunta con molta moderazione. Il rischio di sviluppare il cancro è dose-dipendente e pertanto si raccomanda di limitarne il consumo, consigliando di non superare i 12 grammi di etanolo al giorno per le donne (un bicchiere di vino) e i 24 grammi per gli uomini (due bicchieri di vino). Vari sono i meccanismi con cui l’etanolo e il suo metabolita genotossico acetaldeide possono favorire l’insorgenza di tumori e tra questi vanno ricordati il danno al DNA e le aberrazioni o i riarrangiamenti cromosomici indotti”.


Malattie reumatiche: attenzione alle "bandierine rosse"

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Le “Red Flags” in Reumatologia sono i sintomi specifici che indicano la probabile presenza di malattie reumatiche. Quali sono? Se ne parlerà in un incontro al “Sacro Cuore” sabato 11 maggio

Le malattie reumatiche sono tra le patologie più diffuse nella popolazione generale – si stima che ne soffrano in Italia 5 milioni di persone – ed anche tra le più complesse da diagnosticare. Ma ci sono delle “red flags”, cioè delle bandierine rosse, intese come sintomi specifici che devono “mettere in allarme”, soprattutto il medico di medicina generale a cui solitamente il paziente si presenta in prima battuta.

 

 

Di “Red Flags in Reumatologia” si parlerà sabato 11 maggio all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, nel tradizionale seminario primaverile (giunto alla XII edizione) organizzato dal dottor Antonio Marchetta (nella PhotoGallery), responsabile della Servizio di Reumatologia del nosocomio di Negrar, e rivolto principalmente ai medici di medicina generale (programma in allegato). Ma quali sono i “campanelli di allarme” più comuni?

 

 

Artriti croniche

Le artriti croniche rappresentano le forme più frequenti e invalidanti di malattia reumatica. Per quanto riguarda lartrite psoriasica vi è sempre un’associazione strettissima con la psoriasi cutanea. La caratteristica manifestazione di questa patologia della pelle molto spesso non è evidente e quindi deve essere ricercata nelle zone meno comuni come le unghie, il cuoio capelluto o i genitali. Nei casi di familiarità può essere anche totalmente assente e la presenza di psoriasi emerge da un’attenta anamnesi. La difficoltà di diagnosi è dovuta al fatto che sono forme sieronegative, con l’assenza del fattore reumatoide e degli anticorpi anti-citrullina nel sangue. Tuttavia un mal di schiena persistente in un giovane adulto, soprattutto se si manifesta di notte o al risveglio, in presenza di psoriasi cutanea o disturbi intestinali, deve fare sospettare una spondiloartrite. Dolori articolari alle mani e ai polsi, gonfiore e ingommamento al risveglio possono essere invece sintomi di un’artrite reumatoide, se accompagnati da alterazioni degli indici di infiammazione, dalla positività del fattore reumatoide e dagli anticorpi anti-citrullina nel sangue.

Un ruolo importante nella diagnosi precoce e nel follow up delle artriti croniche lo riveste l’ecografia osteoarticolare a cui il Centro di Negrar ha attivato da tempo un servizio dedicato. Sempre nell’ambito delle artriti croniche, una sessione dell’incontro è dedicata all’esperienza del Servizio di Reumatologia del “Sacro Cuore Don Calabria” relativamente all’utilizzo dei farmaci biologici e dei loro biosimilari, farmaci che hanno radicalmente cambiato la vita dei pazienti consentendo periodi di remissione della malattia anche di molti anniTra i farmaci più innovativi vi sono le “piccole molecole”, proteine che agiscono a livello intracellulare con meccanismi completamente diversi dai farmaci biologici e proprio per questo rappresentano delle nuove opportunità terapeutiche per i pazienti che non hanno risposto al trattamento proprio con i biologici. Inoltre sono assumibili per via orale.

 

 

Il fenomeno di Raynaud

E’ una condizione molto frequente nelle giovani donne e si manifesta con le caratteristiche mani bianche o blu, dovute a esposizione alla basse temperature o a forti emozioni. Meno frequentemente è causato da farmaci o attività lavorative particolari (uso di martello pneumatico). Al pallore cutaneo intenso (ischemia ) segue una fase di cianosi (colore violaceo da vasodilatazione brusca). Il paziente avverte una sensazione dolorosa intensa con formicolio, perdita temporanea della sensibilità alle estremità delle mani e dei piedi, ma talora anche a livello del naso, delle orecchie e persino della lingua. Il fenomeno di Raynaud deve sempre essere indagato e non può essere considerato come qualcosa di innocuo o incurabile. Infatti molto spesso rappresenta il sintomo di esordio delle connettiviti e della sclerodermia, una condizione molto invalidante se non riconosciuta e trattata precocemente. Molto spesso la sclerodermia può essere diagnosticata con un semplice esame strumentale, la videocapillaroscopia, e la ricerca nel sangue di autoanticorpi specifici.

La gotta

La gotta è una forma di artrite che si manifesta più comunemente negli uomini di media età ed è caratterizzata da episodi di artrite acuta (che si manifesta con forti dolori all’alluce del piede) accompagnati da elevati livelli di acido urico nel sangue. L’eccesso di acido urico è dovuto a una alimentazione ricca di carne e grassi, a un consumo elevato di alcol, di bevande gassate e zuccherate. Influiscono molto uno scarso apporto di acqua durante la giornata e l’assunzione quotidiana di farmaci, quali i diuretici o la aspirina.