Neurologia: il dottor Bianconi passa il testimone di direttore al dottor Marchioretto

Il dottor Bianconi dopo 16 anni alla guida di Neurologia, che nasceva come reparto con il suo incarico, va in pensione. Al suo posto è stato nominato il dottor Fabio Marchioretto, da 17 anni all’ospedale di Negrar

Dicembre ha segnato l’avvicendamento alla direzione dell’Unità Operativa di NeurologiaDopo 18 anni di collaborazione con il “Sacro Cuore Don Calabria”, tra cui 16 di primariato, il dottor Claudio Bianconi ha lasciato l’incarico per raggiunti limiti di età e alla guida del reparto è stato nominato il dottor Fabio Marchioretto.

 

Il dottor Marchioretto, nato a Verona nel 1967, si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Verona nel 1993 e nella stessa sede universitaria si è specializzato nel 1997 in Neurologia. Ha iniziato la sua attività professionale con l’ospedale “Sacro Cuore Don Calabria” nel gennaio 2001. Già nel Consiglio direttivo con la carica di consigliere della Società Italiana Studio Cefalee (SISC-Sezione Triveneto), il nuovo primario è responsabile del Centro cefalee della Neurologia che si occupa della diagnosi e della cura delle cefalea e del dolore cranio-facciale secondo le linee guida dell’International Headache Society. Dal 2003 è responsabile del Centro Sclerosi Multipla, sempre all’interno della Neurologia, Centro accreditato dalla Regione Veneto per la somministrazione di terapie immunomodulanti. Dopo tre mandati triennali con la carica di tesoriere è ora componente del Direttivo dell’Ordine dei Medici chirurghi ed odontoiatri di Verona con la carica di segretario.

 

Il dottor Bianconi, 65 anni, veronese, lascia l’incarico di direttore della Neurologia, assunto il 1° gennaio del 2002 per guidare il reparto che nasceva proprio sotto la sua direzione. Laurea in Medicina e chirurgia all’Università di Padova nel 1979, ha conseguito la specializzazione in Neurologia presso l’Ateneo scaligero. Prima di iniziare il suo percorso professionale al “Sacro Cuore Don Calabria”, come responsabile del Servizio di Neurologia, il 16 ottobre del 2000, ha lavorato negli ospedali di Arzignano, Zevio e Bussolengo.

 

 

Con la pensione per il dottor Bianconi inizia una nuova avventura: proseguirà infatti con maggiore assiduità e con altri incarichi l’attività sanitaria che ha svolto in questi anni nell’ambito della cooperazione internazionale. L’Opera Don Calabria gli ha affidato il compito diseguire non solo le iniziative sanitarie nelle sedi dove è presente (Angola, Brasile, Filippine, India e Santo Domingo) ma anche le nuove collaborazioni, come per esempio quelle con il Congo, il Sud Sudan e l’Ucraina.

nella foto da sinstra: il dottor Claudio Bianconi e il dottor Fabio Marchioretto


Che cos' è Mycobacterium chimaera

La carta di identità del Mycobacterium che sta suscitando allarme a causa del decesso di alcuni pazienti sottoposti a intervento a cuore aperto, ma il rischio di infezioni è stimato in 1 caso ogni 10.000 interventi. I sintomi e le terapie a disposizione

Il Mycobacterium chimaera è un microrganismo della famiglia dei micobatteri non tubercolari, presente nel terreno, nell’acqua e negli impianti idrici urbani. Normalmente non causa patologie, tuttavia in determinate situazioni sfavorevoli può trasformarsi in un pericoloso agente patogeno, soprattutto nei pazienti immunodepressi. Essendo dotato di una spessa parete cellulare è in grado di resistere a molti trattamenti farmacologici.

Il M. chimaera è stato descritto per la prima volta nel 2004 da un gruppo di ricercatori veneti e sino al 2013 veniva identificato sporadicamente in pazienti affetti per lo più da patologie polmonari nell’ambito degli isolamenti del cosiddetto Mycobacterium avium complex (MAC) di cui fanno parte il M. intracellulare e il M. avium (dal 2004 anche il M.chimaera).

 

M.chimaera e gli interventi di cardiochirurgia

Nel marzo 2013 un gruppo di ricercatori della Università di Zurigo pubblicò un articolo relativo a due casi di sepsi da M.chimaera e endocardite occorsi nella estate del 2011 in due pazienti che nel 2008, il primo, e nel 2010, il secondo, erano stati sottoposti ad interventi di cardiochirurgia con uso di circolazione extracorporea. Nell’articolo gli autori ipotizzavano che la fonte dell’infezione potesse essere ospedaliera e procedettero al campionamento sia dell’acqua dei lavabi presenti nelle sale operatorie sia delle acque di condensa dei macchinari per la circolazione extracorporea, senza peraltro poter trovare alcun riscontro positivo. Riscontro che risultò invece positivo in uno studio successivo, pubblicato su un’importante rivista internazionale di malattie infettive (Clinical Infectious Diseases) nel marzo del 2015, da cui emerse come la fonte del contagio fossero proprio gli aerosol sviluppatisi attraverso dispositivi tecnici contaminati, i cosiddetti apparecchi per ipotermia, le Heat-Cooler Units (HCU). Apparecchi che servono a regolare la temperatura del sangue durante l’intervento nelle operazioni a cuore aperto. Studi successivi evidenziarono come il problema non fosse limitato alla sola Zurigo.

 

Il rischio di infezione: 1 su 10.000 interventi

Ad oggi sono stati identificati nel mondo 185 casi di infezioni da M.chimaera, di cui 10 in Italia, legati all’uso di HCU in corso di interventi di cardiochirurgia. Il problema è apparso così serio che il Lancet, lo scorso luglio 2017, ha pubblicato un articolo il cui titolo recitava “Global outbreak of severe Mycobacterium chimaera disease after cardiac surgery“, siamo insomma di fronte ad un evento globale di infezioni gravi in pazienti che sono stati sottoposti in passato a interventi di cardiochirurgia. Tali cifre vanno però messe in relazione con il numero di procedure di circolazione extra-corporea eseguite ogni anno nel mondo che è di oltre 1.500.000 di cui 40.000 in Italia. Il rischio per intervento è quindi relativamente modesto, stimato in 1 ogni 10.000 interventi.

 

Come si riduce il rischio di infezione

A partire già dal 2015 numerose agenzie governative e intergovernative quali lo stesso Ministero della Salute e lo European Centre for Disease Prevention and Control hanno diramato direttive e diffuso raccomandazioni al fine di ridurre ulteriormente il rischio di infezione. Tra queste, per esempio l’indicazione a posizionare le HCU al di fuori delle sale operatorie o comunque separare tali unità dal flusso di aria all’interno delle sale. In nessun paese del mondo i dispositivi HCU sono stati ritirati, perché il ritiro dei macchinari e la sostituzione degli stessi non risolverebbe il problema delle infezioni ospedaliere, che sono correlate alla criticità delle corrette procedure di decontaminazione da parte delle strutture sanitarie, poiché la contaminazione può verificarsi in qualunque momento (nel sito produttivo, in fase di preparazione della macchina prima di un intervento, durante il periodo di stazionamento della macchina in ospedale tra un intervento e l’altro). Il rischio che si verifichi un caso di infezione da M.chimaera può essere ridotto adottando rigorosamente le procedure di decontaminazione suggerite dai fabbricanti di HCU e raccomandate dal Ministero della Salute.

 

I sintomi

I sintomi dell’infezione da M.chimaera compaiono a distanza di mesi o anni dall’intervento chirurgico, con una mediana di 17 mesi e un range tra 3 e 72 mesi. I segni e i sintomi sono generalmente aspecifici e comprendono affaticamento, febbre e perdita di peso che perdurano da oltre due settimane e che non sono correlabili ad altre manifestazioni patologiche. Altri segni clinici importanti sono la splenomegalia (ingrossamento della milza) e la corioretinite (infiammazione che colpisce la zona posteriore dell’occhio). Il paziente con infezione da M.chimaera presenta una sintomatologia significativa e persistente nel tempo, che non deve essere confusa, visto anche il periodo dell’anno, con quella più banale di una sindrome influenzale.

 

Come avviene la diagnosi

La diagnosi definitiva si basa sull’isolamento del micobatterio. Purtroppo, essendo il M.chimaera un batterio a lenta crescita, possono essere necessarie fino a 8 settimane di coltura per giungere alla diagnosi.

 

La terapia

La terapia è complessa e di lunga durata (un anno e oltre) e si basa sull’utilizzo di una combinazione di antibiotici – da 4 a 5 in base alla gravità del quadro clinico – che comprende un macrolide, rifamicina, etambutolo, moxifloxacina o clofazimina con l’aggiunta eventuale di amikacina per via parenterale.

 

Per chi ha subito un intervento cardiochirurgico

Cosa si raccomanda alle persone che hanno subito un intervento chirurgico a cuore aperto negli ultimi anni? A chi possono rivolgersi? Ai circa 10.000 pazienti che hanno subito in Veneto un impianto (valvole cardiache artificiali o materiale protesico all’aorta) con un intervento a cuore aperto tra l’1 gennaio 2010 e il 31 dicembre 2017 la Regione Veneto invierà una scheda informativa contenente le informazioni sui sintomi e l’indicazione dei numeri di telefono da contattare per qualsiasi evenienza e per gli eventuali approfondimenti clinici necessari.

 

Ha collaborato il dottor Giuseppe Marasca, infettivologo dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria per le malattie infettive e tropicali


Giardinaggio e bricolage, ma sempre proteggendo gli occhi

Diminuiscono gli infortuni sul lavoro grazie alle normative, ma si verificano spesso incidenti domestici con conseguenze anche gravi alla vista a causa dell’utilizzo di attrezzi, come il decespugliatore, senza l’apposita protezione

Che la propria casa non sia il luogo più sicuro in fatto di incidenti è ormai assodato. Cadute, ferite, ingestione di corpi estranei, soffocamento, avvelenamenti e intossicazioni sono sempre in agguato. E i problemi aumentano quando si aggiungono i lavori in giardino e il ‘fai da te’. In questi casi a forte rischio è anche la vista. Lo sottolinea la dottoressa Grazia Pertile, direttore dell’Oculistica dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, che non di rado incontra sul tavolo operatorio persone con gravi danni agli occhi dovuti a una certa superficialità nell’uso di attrezzi da giardinaggio o per piccoli lavori di bricolage.

“Negli ultimi anni è diminuita significativamente l’incidenza degli infortuni sul lavoro a danno degli occhi, grazie all’introduzione delle norme di sicurezza – afferma -. Al contrario si verificano spesso incidenti in ambito domestico dovuti all’utilizzo, per esempio, di decespugliatori, senza indossare l’apposita maschera di protezione”. Nel tagliare l’erba, il decespugliatore solleva anche piccoli sassi o del pietrisco che possono entrare nell’occhio con la velocità di un proiettile.

“Quando accade è necessario intervenire chirurgicamente per togliere il corpo estraneo dal bulbo oculare – prosegue la dottoressa Pertile -. Nel caso in cui sia toccata solamente la superficie, l’intervento è relativamente semplice. Ma a causa dell’alta velocità in cui viene sollevato, il sassolino o il pietrisco potrebbe penetrare in profondità. Se ad essere colpita è la parte anteriore dell’occhio, la lesione può essere riparata con la sostituzione del cristallino o, eventualmente, con il trapianto di cornea. Se invece ha raggiunto la retina, vi è un rischio molto più alto di compromissione della vista”.

Quindi è fondamentale indossare sempre la maschera di protezione, anche quando si intende utilizzare il decespugliatore per pochi minuti. La stessa raccomandazione vale per chi si cimenta con il bricolage, maneggiando dei piccoli saldatori, che possono “sparare” schegge di metallo direttamente negli occhi. “Essendo quello del “Sacro Cuore Don Calabria” un centro chirurgico altamente specializzato – continua – trattiamo i casi più complessi inviati spesso da altri ospedali, che riguardano pazienti già sottoposti ad un primo intervento di sutura delle ferite del bulbo oculare. L’obiettivo è sempre il recupero ottimale della vista. Ma a volte il danno è così grave che è da considerarsi un successo anche solo la conservazione dell’anatomia dell’occhio”.

Più ardua è la prevenzione degli incidenti che riguardano i bambini. “Gli oggetti appuntiti sono sempre un potenziale pericolo– sottolinea l’oculista -. Matite, forbici, forchette, bastoni ma anche spigoli di giocattoli rigidi possono danneggiare gravemente l’occhio. Negli ultimi anni abbiamo visto anche alcuni casi di gravi danni causati da proiettili sparati da fucili ad aria compressa. Nel cercare di creare un ambiente sicuro per i bambini e i ragazzi, una particolare attenzione deve essere riservata a questi oggetti, perché un momento di gioco non diventi la causa di danni permanenti alla vista”.

elena.zuppini@sacrocuore.it

Per approfondire il tema puoi seguire sul canale Yuotube dell’ospedale l’intervista della dottoressa Grazia Pertile ospite a Uno Mattina (vedi video)


Helicobacter Pylori: perché causa il tumore dello stomaco

Il dottor Paolo Bocus, direttore della Gastroenterologia, spiga l’importanza della diagnosi e del trattamento dell’Helicobacter Pylori nella prevenzione del tumore dello stomaco

L’infezione da Helicobacter Pylori (Hp) è il principale fattore di rischio per l’ulcera peptica ma anche per il tumore allo stomaco. I tumori allo stomaco diagnosticati nel 2017 sono stati circa 13.000, la maggior parte dei quali in stadio avanzato. Proprio per questo motivo la prevenzione basata anche sull’eradicazione dell’HP rappresenta una modalità di lotta di questo tumore.

Il un video il dottor Paolo Bocus, direttore della Gastroenterologia e Endoscopia digestiva, spiega che cos’è questo particolare batterio, come si rileva la sua presenza nello stomaco e le terapie a disposizione per eradicarlo.

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Biopsia prostatica in sede di Risonanza magnetica

Una nuova tecnologia acquisita al “Sacro Cuore Don Calabria” che consente di fare la biopsia con notevole precisione e con numero di prelievi minore rispetto alla procedure precedenti. I dottori Cavalleri e Carbognin la spiegano in un video

Il tumore della prostata è la neoplasia più frequente nel sesso maschile: nel 2018 sono attesi in Italia circa 35mila nuovi casi. Si stima che sia presente senza sintomi specifici 15-30% dei soggetti oltre i 50 anni e in circa il 70% degli ottantenni. La sopravvivenza a 5 anni è il 91%.

L’esame istologico è un passaggio fondamentale nel percorso che porta alla diagnosi di una neoplasia della prostataStoricamente il sistema più usato per tale biopsia è quello a guida ecografica, che prevede un numero piuttosto elevato di prelievi “random” (6-12)per avere maggiori probabilità di individuare cellule tumorali nelle lesioni sospette. Con l’obiettivo di velocizzare i tempi e aumentare l’accuratezza dei prelievi, negli ultimi anni si sono sviluppati diversi sistemi di biopsia prostatica RM guidata, cioè effettuata sulla base delle indicazioni fornite da una precedente risonanza magnetica.

 

Una delle più recenti evoluzioni di questo sistema è rappresentata dalla biopsia prostatica “in bore”, cioè effettuata direttamente nel magnete dove il paziente viene sottoposto alla risonanza. Tale sistema permette di fare la biopsia con notevole precisione, in tempi ristretti e con un numero di prelievi assai minore rispetto alle altre procedure.

Da alcuni mesi questa tecnologia viene adottata anche al “Sacro Cuore Don Calabria”, che è uno dei primi ospedali italiani a poterne disporre. Nel video il dottor Stefano Cavalleri, direttore dell’Urologia, e il dottor Giovanni Carbognin, direttore della Radiologia, mostrano come funziona questo tipo di biopsia.

Video a cura di matteo.cavejari@sacrocuore.it ed elena.zuppini@sacrocuore.it


L'ospedale "Sacro Cuore-Don Calabria" è Amico dei bambini

Con la cerimonia di oggi in Sala Perez l’Unicef ha nominato ufficialmente l’IRCCS di Negrar “Amico dei bambini”, a conclusione di un impegnativo percorso che ha coinvolto oltre 300 tra medici, infermieri e operatori dell’intera struttura

Si è svolta oggi presso l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore-Don Calabria di Negrar (VR) la cerimonia di nomina, da parte dell’UNICEF, dell’Ospedale ad “Amico dei bambini” per la promozione, la protezione e il sostegno dell’allattamento materno (vedi foto).

 

Sono intervenuti: Norberto Cursi, presidente del Comitato UNICEF di Verona; Elise Chapin, coordinamento Programma UNICEF Italia Insieme per l’Allattamento; Chiara Bosio, coordinatore operativo del Programma veneto “Ospedali e Comunità Amici del bambino OMS/UNICEF- Coordinamento e sviluppo rete per l’allattamento materno”; Elisa Pastorelli, consulente tecnico-scientifico dello stesso Programma; Mario Piccinini, amministratore delegato dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria; dottor Marcello Ceccaroni, direttore della Ostetricia e Ginecologia; dottor Antonio Deganello, direttore della Pediatria; dottoressa Ermanna Fattori, pediatra.

 

Un Ospedale Amico compie una trasformazione dell’assistenza a mamme e bambini nel proprio punto nascita, applicando i “Dieci passi per la promozione, la protezione ed il sostegno dell’allattamento” e superando una serie di visite di valutazione. Il percorso per diventare Ospedale Amico ha coinvolto non solo i reparti di Ostetricia e Neonatologia dell’Ospedale di Negrar, ma tutto il personale che viene a contatto con donne in gravidanza, bambini e le loro famiglie. Più di 300 operatori dell’Ospedale hanno partecipato ad uno dei corsi di formazione, da chi ha fatto un orientamento a chi ha affinato le tecniche pratiche per aiutare le mamme. In questo periodo, l’Ospedale ha sviluppato ed attuato protocolli specifici sull’alimentazione dei bambini e si è impegnato a rispettare il Codice Internazionale sulla Commercializzazione dei Sostituti del Latte Materno, proteggendo così sia famiglie sia operatori da pressioni commerciali.

 

L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria ha iniziato il percorso di riconoscimento nel 2012 con l’adesione al Programma della Regione Veneto “Ospedali e Comunità Amici del Bambino OMS-UNICEF-Coordinamento e sviluppo rete per l’allattamento materno” che ha l’obiettivo di accompagnare nell’iter di riconoscimento UNICEF le strutture venete aderenti.

 

“E’ stato un percorso lungo ed impegnativo, che ci ha permesso di perfezionare ed implementare, grazie alla procedura codificata dell’UNICEF, le buone pratiche per la promozione dell’allattamento materno che già venivano attuate nel nostro ospedale”, sottolineano i dottori Antonio Deganello, direttore della Pediatria e Neonatologia, e Marcello Ceccaroni, direttore dell’Ostetricia e Ginecologia. “Il valore aggiunto dell’adesione a questo progetto lo abbiamo constatato già nel corso dei sei anni che ci hanno portato alla nomina di ‘Ospedale Amico dei Bambini’: le mamme intervistate, come prevede la procedura UNICEF, hanno dichiarato ‘che si sono sentite coccolate’ da tutto il personale, apprezzando così l’assistenza ricevuta durante la gravidanza, la degenza per il parto e nei primi mesi di vita del bambino. Inoltre, grazie ai protocolli per il sostegno all’allattamento e alla formazione degli operatori, il tasso di allattamento esclusivo al seno al momento della dimissione è passato nella nostra struttura dal 65% nel 2012 all’oltre 80%”.

 

L’iniziativa internazionale “Baby Friendly Hospital – Ospedale Amico dei Bambini” è stata lanciata nel 1991 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dal Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF) per assicurare che tutti gli ospedali accolgano nel miglior modo possibile i bambini neonati e divengano centri di sostegno per l’allattamento. In Italia sono attualmente riconosciuti 27 ospedali che con le 7 Comunità Amiche dei Bambini e i 3 Corsi di Laurea Amico dell’Allattamento, formano il programma UNICEF: Insieme per l’Allattamento. In Veneto sono 7 gli ospedali che hanno ottenuto il riconoscimento San Bonifacio, Bassano, Bussolengo/Villafranca, Feltre, Mestre, Santorso e Negrar.

Foto 1: il presidente dell’ospedale fratel Gedovar Nazzari con Norberto Cursi, presidente del comitato Unicef di Verona

Foto 3: Mario Piccinini, amministratore delegato dell’ospedale

Foto 6: dottor Antonio Deganello, direttore della Pediatria

Foto 7: dottor Marcello Ceccaroni, direttore dell’Ostetricia e Ginecologia

Foto 8: dottoressa Ermanna Fattori, pediatra

Foto 9: Chiara Bosio, coordinatore operativo del Programma Veneto “Ospedali e Comunità amici del bambino OMS/Unicef

Foto 10: Elise Chapin, coordinamento programma Unicef Italia “Insieme per l’allattamento”

Foto 11: Elisa Pastorelli, consulente tecnico-scientifico del programma regionale


I diversi approcci psicoterapeutici in oncologia

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Venerdì 30 novembre e sabato 1° dicembre il “Sacro Cuore Don Calabria” ospita l’incontro della Sipo del Veneto-Trentino Alto Adige: una due giorni di confronto tra psico-oncologi sui differenti approcci psicoterapeutici in ambito oncologico.

Sull’utilità dell’intervento psicologico in ambito oncologico vi è ormai un ampio consenso da parte della comunità scientifica. Ancora oggi la malattia tumorale, forse più delle altre, comporta diverse problematiche psicologiche. Come, per esempio, i disturbi dell’adattamento alla malattia ma anche alle cure; le sindromi psicopatologiche quali i disturbi dell’umore e dell’ansia e altri disturbi minori. Tuttavia è ancora questione di dibattito, su quale sia la metodologia psicologica più idonea ed efficace, tra l’utilizzo del counselling o quello delle tecniche psicoterapeutiche specifiche.

Proprio la condivisione delle metodologie che appartengono ai diversi approcci psicoterapeutici in ambito psico-oncologico sarà il tema centrale del convegno che si terrà venerdì 30 novembre e sabato 1 dicembre presso l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. L’incontro è organizzato dalla Società Italiana di Psicooncologia (SIPO) -Sezione Veneto-Trentino Alto Adige in collaborazione con l’Ordine dei Psicologi del Veneto, della Provincia di Trento e della Provincia di Bolzano e con l’Ospedale di Negrar. (programma in allegato).

“Il convegno si svilupperà a partire da un caso clinico condiviso, che verrà analizzato da psico-oncologici appartenenti a diversi orientamenti teorici e psicoterapeutici”, spiega il dottor Giuseppe Deledda, responsabile del Servizio di Psicologia clinica del “Sacro Cuore Don Calabria” e coordinatore regionale SIPO Veneto-Trentino Alto Adige. “Sarà interessante sperimentare come i diversi orientamenti affrontano la stessa problematica psicologica – prosegue – e come vengono valutati gli esisti delle diverse psicoterapie”.

Al convegno interverranno psicoterapeutici specializzati in psicoterapia umanistico-esistenziale, psicoterapia psicodinamica, psicoterapia sistemica-relazionale, psicoterapia cognitivo-comportamentale di seconda generazione e di terza generazione, psicoterapia interazionista-costruttivista e psicoterapia della gestalt. Al professor Paolo Gritti, presidente nazionale della SIPO, è invece affidata la lettura magistrale “Psicoterapie in oncologia: pathos e logos”.


Vene varicose: la scleroterapia, ecco come funziona

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Si tratta di un metodo assolutamente indolore che occlude la vena servendosi di un farmaco in schiuma. Al “Sacro Cuore Don Calabria” un corso rivolto agli specialisti sullo stato dell’arte di questa terapia ‘antica’, ma in continua evoluzione

La scleroterapia è, insieme alla chirurgia ed alle tecniche ablative (laser e radiofrequenza a microonde), una delle tre opzioni terapeutiche di cui dispone oggi il flebologo per il trattamento della malattia varicosa degli arti inferiori. Pur avendo origini antiche, la scleroterapia trova oggi rinnovato interesse grazie all’utilizzo dei farmaci sclerosanti sotto forma di schiuma e all’uso routinario dell’ecografia.

 

Il principio è sempre lo stesso: occludere le vene della circolazione superficiale (tronchi safenici – grande e piccola safena – e rami collaterali) che non sono più in grado di svolgere la funzione di ritorno del sangue verso il cuore. Questo accade quando, a causa di una debolezza congenita, le valvole, di cui sono dotati i vasi, diventano incontinenti dilatando di conseguenza la vena, che assume una forma tortuosa e fa ricadere il sangue verso il basso.

 

Questo “ristagno” di sangue determina i sintomi della malattia varicosa: gambe gonfie, pelle pigmentata di rosso, comparsa di dermatiti ed eczemi e, negli stadi più avanzati, formazione di ulcere. Possono manifestarsi anche flebiti, perché dove il sangue ristagna, facilmente coagula.

 

“Lo stato dell’arte della scleroterapia” sarà oggetto del corso riservato agli specialisti che si terrà venerdì 30 novembre e sabato 1 dicembre all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Promosso dal dottor Paolo Tamelliniresponsabile della Unità Operativa Semplice di Flebologia della Chirurgia Vascolare, e inserito nel programma didattico della Scuola Italiana di Flebologia, l’appuntamento scientifico prevede nel pomeriggio del primo giorno gli interventi degli specialisti sulla diagnosi e sul trattamento con farmaci sclerosanti delle varici degli arti inferiori; nella mattinata del giorno successivo saranno trattati dei casi clinici in diretta video dalla sala operatoria (programma in allegato).

 

Tra gli interventi degli specialisti anche quello del dottor Lorenzo Tessari, medico veronese a cui si deve il cosiddetto “metodoTessari” per la creazione della schiuma sclerosante. Questa viene ottenuta mescolando il farmaco con l’aria atmosferica o con gas biocompatibili, tramite due siringhe collegate tra loro da un rubinetto a tre vie.

 

La schiuma è decisamente più efficace del farmaco liquido – spiega il dottor Tamellini -. Mentre questo si diluisce nel sangue e scorre via con lo stesso, la schiuma ristagna e sposta, per così dire, il sangue, restando più a lungo a contatto della parete della vena. Di conseguenza con farmaci a concentrazione più bassa e in volumi molto minori, si riesce a trattare tratti molto lunghi del vaso. La schiuma inoltre è visibile all’ecografia, pertanto si riesce a monitorare in tempo reale il percorso del farmaco stesso”. Il trattamento è assolutamente indolore, viene effettuato in ambulatorio e non richiede anestesia. Il paziente può tornare da subito alle sue normali attività.

I relatori affronteranno anche alcune tecniche cosiddette “miste”, quali la MOCA (Ablazione Endovenosa Meccano-Chimica) e la SFALT (Sclero Foam Assisted Laser Treatment). La prima comporta la chiusura della vena attraverso l’introduzione di un catetere rotante che, danneggiando lo strato più interno del vaso, permette al farmaco sclerosante iniettato di essere più efficace. La seconda sfrutta l’azione sinergica del laser e della schiuma sclerosante per giungere allo stesso risultato.

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Al Pronto Soccorso dove le donne vittime di violenza chiedono aiuto

Al “Sacro Cuore Don Calabria” opera un’équipe formata alla presa in carico delle donne oggetto violenza: un approccio multidisciplinare con lo scopo di mostrare alla vittima che una via di uscita c’è sempre

Valentina (nome di fantasia) è una giovane donna separata con due figli. Ha conseguito due lauree, un Master e lavora per una grande azienda. Quando arriva al Pronto Soccorso di Negrar ha il bavero del trench firmato sporco di sangue e agli orecchi due grossi brillanti. “Adesso basta!”, sono le parole che pongono fine ad anni di violenza da parte del marito, ora ex. L’ultima ragione per picchiarla, l’ha trovata nel coraggio della donna di rivendicare gli alimenti per i loro figli, non versati da mesi per “mancanza di disponibilità”. Quel coraggio l’ha tirato fuori di fronte all’ennesima auto di grossa cilindrata, passione per la quale lui non badava a spese La reazione della madre dei suoi figli? Un affronto, quindi, e ancora, giù botte.

In occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulla donnaabbiamo voluto raccontare una delle tante storie raccolte in questi anni dagli operatori del Pronto Soccorso dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Una storia che rompe gli schemi della “leggenda” per cui la violenza di genere nasce nel disagio economico e nell’ignoranza.

 

Nel 2018 sono già 19, due in più rispetto all’anno scorso, le donne che prese in cura dai sanitari hanno riferito di atti di violenza da parte di un membro del nucleo familiare, quasi sempre il marito o il compagno. Otto sono straniere e undici italianeSono invece 50 coloro che sono state vittime di colluttazione, aggressione e percosse in generale. Tra queste anche una percentuale di donne che seppur vittime di violenza di genere, hanno negato l’evidenza.Visi e nomi differenti, italiane e straniere, ceti sociali più o meno abbienti, laurea e diploma di scuola media, dirigenti e casalinghe: cambia l’ambientazione, ma la violenza fisica e psicologica è sempre la stessa. Anche la paura è sempre la stessa. “Si stima che trascorrano sette anni prima che la donna chieda aiuto – afferma il direttore del Pronto Soccorso, Flavio Stefanini -. E le ragioni sono le più disparate: il terrore delle ritorsioni da parte del compagno, i problemi economici, la sudditanza psicologica, il timore di non saper prendesi cura da sola dei figli minori..”.

 

L’IRCCS di Negrar è uno dei sottoscrittori del protocollo “per la segnalazione e la presa in carico urgente di donne vittime di violenza”. A firmarlo nel 2017 anche Ulss 9 Scaligera-Distretto Ovest Veronese, i Comuni della stessa zona, e la Clinica Pederzoli di Peschiera. L’obiettivo è quello di “assicurare interventi urgenti di presa in carico e inserimento in strutture protette delle donne vittime di violenza affinché possano determinarsi nella scelta di uscire dalle situazioni di violenza”. Una parte codifica la prassi operativa dei Pronto Soccorso, il primo riferimento, dicono i dati, per un terzo delle donne vittime di violenza in Italia. Al protocollo si affiancano da tempo dei corsi del Coordinamento Regionale Emergenza Urgenza (CREU) con l’obiettivo di formare gli operatori alla presa in carico della donna, avviandola, con la collaborazione delle forze dell’ordine e dei servizi sociali, a un percorso di protezione immediato e non, presso le case di pronta accoglienza. Un compito non facile, perché gli operatori devono anche confrontarsi con donne, spesso straniere, che tendono a giustificare la violenza come un sistema di vita legato alla storia culturale.

 

Al Pronto Soccorso del “Sacro Cuore Don Calabria” opera un’équipe formata a questo scopo. E’ composta oltre che dal direttore, il dottor Stefanini, dalla dottoressa Cinzia Ferraro, dal caposala Ivano Giacopuzzi e anche dall’assistente sociale Francesca Martinelli. “La logica di un approccio multidisciplinare, sia medico che sociale – spiega la dottoressa Martinelli – è quella non tanto di convincere la donna a sporgere denuncia, la cui decisione può avvenire in un secondo momento. Ma di informarla che una via di uscita c’è, per lei e per i suoi eventuali figli, grazie a un rete di servizi dedicati sul territorio. Che esiste un circuito di protezione che può usufruire subito, ma anche nel tempo quando avrà maturato la decisione di prendere in mano la propria vita. Che la legge è dalla sua parte e la aiuterà in questo percorso”. E’ bene ricordare, infatti, che la donna può fare richiesta per l’assegno di mantenimento per i minori a carico; può avvalersi del patrocinio gratuito di assistenza legale; può usufruire di astensione dal lavoro retribuita (per un massimo di tre mesi su base giornaliera e nell’arco di tre anni) e della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a part time; infine il giudice su istanza di parte può assumere il provvedimento di allontanamento da casa il maltrattante. Tutte informazioni, insieme agli indirizzi del Centri anti-violenza (telefono Rosa e Petra), che vengono date alla donna al momento delle dimissioni dal Pronto Soccorso.

elena.zuppini@sacrocuore.it


Si parla di apnee del sonno all'aperitivo con gli esperti

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Venerdì 30 novembre al Centro Diagnostico Terapeutico si terrà un incontro dedicato alla Sindrome delle apnee ostruttive del sonno con gli interventi degli specialisti di Negrar e dell’Associazione Apnoici Italiani

E’ un aperitivo insolito quello che si svolgerà venerdì 30 novembre a partire dalle 19 presso il Centro Diagnostico Terapeutico di via San Marco 121. Una volta posati i bicchieri, si parlerà infatti della Sindrome delle apnee ostruttive del sonno (Obstruction Sleep Apnea Syndrome-OSAS), una vera e propria patologia che in Italia coinvolge il 10% della popolazione adulta e il 1-6% di quella pediatrica. Molto spesso la sindrome viene derubricata come semplice russamento, ma in realtà comporta ricadute pesanti sulla salute – è uno dei fattori di rischio per le malattie cardiovascolari – e la qualità di vita di chi ne soffre.

 

L’appuntamento è promosso dall’Associazione Apnoici Italiani in collaborazione con il Centro di medicina del sonno dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria e l’associazione InformaSonno.Aprirà la serata Luca Roberti, presidente dell’Onlus nazionale nata per sensibilizzare la popolazione sul problema delle apnee notturne e per supportare coloro che ne sono affetti. Seguiranno poi le relazioni degli specialisti dell’ospedale di Negrar per illustrare il percorso di trattamento delle apnee. Interverranno: il dottor Gianluca Rossato (neurologo), il dottor Davide Tonon (tecnico di neurofisiologia), la dottoressa Daniela Turetta (otorinolaringoiatria), di dottori Stefano Orio e Letizia Lonia (dentisti) e il dottor Roberto Rossini (chirurgo bariatrico). (programma in allegato)

 

Le apnee si manifestano con un forte russamento e la sospensione del respiro per alcuni secondi più volte durante la notte. Questo comporta una serie di microrisvegli, che sono all’origine di sonnolenza e difficoltà di concentrazione durante il giorno,condizione particolarmente rischiosa per coloro che svolgono lavori pericolosi o si mettono alla guida per lunghi tragitti. Si stima infatti che in Italia un migliaio di morti e 120mila feriti sulle strade ogni anno siano causati da incidenti dovuti a colpi di sonno, dietro i quali, in molti casi, si nascondono le apnee notturne. Dal 2017 sono in vigore le nuove normative per il rilascio o il rinnovo della patente che inseriscono le OSAS tra le patologie da indagare, come sarà illustrato durante l’incontro.

 

Dopo la diagnosi, che viene effettuata tramite la polisonnografia, il trattamento delle apnee prevede un approccio multispecialistico per la scelta della migliore terapia in base alle cause e alla gravità della malattia. La ventilazione meccanica durante il sonno, tramite un’apposita maschera, può essere sostituita, nelle forme lievi e moderate, da un dispositivo di avanzamento mandibolare, creato dal dentista. Il Mad, questo il nome del dispositivo, mantenendo la mandibola in posizione avanzata impedisce alla lingua, rilassata durante il sonno, di andare ad ostruire la via area e provocare così le apnee notturne.