Il defibrillatore "salvavita" che si indossa come un giubbetto

Un corpetto in grado di salvare le persone a rischio di arresto cardiaco. Si tratta del defibrillatore indossabile, una versione innovativa del dispositivo impiantabile che ha il compito di erogare uno shock elettrico quando registra un’aritmia cardiaca potenzialmente fatale o un vero e proprio arresto del cuore. La Cardiologia dell’IRCCS di Negrar lo utilizza temporaneamente per quei pazienti che, seppur critici, potrebbero recuperare attraverso terapia farmacologica una funzione cardiaca tale da non dover necessitare dell’impianto definitivo di un defibrillatore.

“Sono in genere persone affette da recentissimo infarto miocardico oppure da cardiopatia dilatativa o da scompenso cardiaco con severa perdita della funzione contrattile del cuore”, spiega il direttore Giulio Molon. “Una categoria particolare sono i pazienti reduci da infarto acuto con grave danno cardiaco per i quali, secondo le linee guida internazionali, non è indicato l’impianto del defibrillatore nei primi 40 giorni dopo la diagnosi – prosegue – Trascorso questo periodo il paziente viene rivalutato e se la contrattilità cardiaca non ha avuto un decisivo recupero viene avviato ad impianto di defibrillatore. Senza la disponibilità del defibrillatore indossabile questi pazienti sarebbero costretti ad una prolungata degenza ospedaliera sotto stretto monitoraggio, invece possono condurre una vita del tutto normale”.

Il defibrillatore indossabile è costituito da un corpetto di stoffa all’interno del quale sono inserite tre piastre, due posteriori e una anteriore, quest’ultima posizionata sotto l’emitorace sinistro. Il tutto è collegato al defibrillatore vero e proprio che registra l’attività cardiaca ed è in grado di erogare la scossa elettrica in caso di necessità attraverso, appunto, le piastre. Grande quanto una borsetta, da portare a tracolla o in cintura, è fondamentale che il dispositivo venga indossato per tutto l’arco della giornata, ad eccezione del momento del bagno o della doccia. Le due batterie, intercambiabili, si ricaricano come un comune cellulare.

“Quando il defibrillatore intercetta l’aritmia – continua il dottor Molon – emette un allarme sonoro e una vibrazione. Se il paziente è cosciente, egli stesso interrompe autonomamente la terapia, schiacciando i due pulsanti situati sul defibrillatore. Se invece ha perso conoscenza, il defibrillatore eroga la scossa elettrica per risolvere l’aritmia. Con questo sistema il rischio che l’apparecchio possa emettere una scarica senza che sia necessario è veramente bassissimo”. Un’ulteriore sicurezza è data dal collegamento in telemetria. “Il defibrillatore è inoltre controllabile da remoto, esattamente come un defibrillatore impiantabile, e questo è utile perché possiamo sapere se ci sono problemi tecnici o erogazione di scariche, ma anche se il paziente lo utilizza per un tempo inferiore a quello che dovrebbe; ovviamente in entrambi questi casi interveniamo, contattando il paziente telefonicamente oppure invitandolo ad un controllo in ospedale per chiarire questi problemi”

Ogni anno sono molti i pazienti che si rivolgono alla Cardiologia dell’IRCCS di Negrar per anomalie elettriche o rischio di aritmie potenzialmente pericolose. Nel 2023 sono stati effettuati 70 impianti di defibrillatori e 239 di pace maker.


Un progetto per due centri di riabilitazione in Ucraina con il supporto del "Sacro Cuore"

Tre operatori del “Sacro Cuore” sono stati in Ucraina, nella regione di Ivano Frankivs’k, per un progetto di cooperazione sanitaria finanziato dal Ministero degli Esteri italiano. Obiettivo del progetto è accompagnare l’apertura di due centri di riabilitazione nel Paese martoriato dalla guerra. Ecco il racconto di ciò che hanno trovato…

Realizzare due nuovi centri riabilitativi nella regione di Ivano Frankivs’k, in Ucraina, promuovendo la formazione del personale locale e fornendo una consulenza per l’acquisto degli ausili necessari. E’ questo l’ambizioso obiettivo del progetto “Health care for safety and rehabilitation” finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, che vede come capofila l’associazione Missione Calcutta di Bergamo in collaborazione con Focsiv e come partner tecnico l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar.

Nell’ambito di questa iniziativa lo scorso 2 luglio si sono recati in Ucraina la dottoressa Elena Rossato e Massimo Mengalli, rispettivamente direttore e coordinatore della Riabilitazione a Negrar, e il dottor Claudio Bianconi, responsabile per i progetti internazionali del Sacro Cuore. I tre hanno visitato le strutture dove sorgeranno i nuovi reparti di riabilitazione, ossia la clinica diocesana “St. Luke” di Ivano Frankivs’k e l’ospedale pubblico di Yasynia, nella vicina regione della Transcarpazia, dove si trovano molti sfollati fuggiti dalle zone del fronte in cui imperversa la guerra con la Russia.

Il viaggio è servito per incontrare il personale locale e i partner di progetto, per vedere gli spazi e valutare quali siano le apparecchiature da acquistare per i nuovi reparti. Si è parlato di revisione dei percorsi formativi in riabilitazione per il personale tecnico e medico anche in un incontro con il rettore dell’università di Ivano- Frankiv’s e con la titolare della locale cattedra di Medicina Fisica e Riabilitazione.

La trasferta a Ivano Frankivs’k rientra fra le azioni svolte dal Sacro Cuore nel farsi carico della supervisione del processo di apertura dei due reparti di riabilitazione e della formazione online e in presenza di medici e fisioterapisti. Già nel mese di giugno era arrivato a Negrar un primo gruppo di quattro medici dalla St. Luke Clinic per svolgere un periodo di conoscenza e formazione. Poi a luglio sono arrivati 4 fisioterapisti ucraini che hanno svolto un tirocinio presso il reparto di Medicina Fisica e Riabilitazione del “Sacro Cuore”, cui si aggiungeranno altri 4 fisioterapisti e 2 medici a settembre. Ulteriori due fisioterapisti e due medici arriveranno invece a novembre.

L’apertura dei due nuovi reparti di riabilitazione è prevista per il prossimo ottobre alla clinica St. Luke e a febbraio del prossimo anno all’ospedale di Yasynia. Una volta avviati i reparti ci sarà un’altra visita da parte del personale di Negrar per completare il lavoro di supervisione e tutoraggio.

 

Nei giorni scorsi abbiamo incontrato la dottoressa Rossato, il dottor Bianconi e il coordinatore Mengalli e abbiamo posto loro alcune domande sull’esperienza vissuta in Ucraina all’inizio di luglio…

Che realtà avete trovato negli ospedali visitati?

Dallo scoppio della guerra, nel 2022, l’attività della riabilitazione si è quasi del tutto orientata sul trattamento e il recupero dei soldati feriti al fronte. Di conseguenza è molto difficile accedere alla riabilitazione per i tanti pazienti affetti da altre patologie, ad esempio neurologiche. Senza dimenticare che già prima c’erano delle difficoltà oggettive in questo campo.

Quali difficoltà?

Da quanto abbiamo potuto vedere e conoscere, la riabilitazione in passato era una disciplina poco considerata in ambito medico qui in Ucraina. Solo da pochi anni esistono percorsi specifici per la formazione di fisioterapisti e fisiatri. In precedenza ad occuparsi della riabilitazione era il medico specialista per la patologia del paziente, ad esempio l’ortopedico per chi aveva patologie ortopediche o il neurologo per chi aveva patologie neurologiche ma non esistevano delle vere prese in carico della disabilità.

Quali sono le sfide di questo progetto?

La prima sfida è quella di promuovere un cambiamento culturale nel modo di guardare alla riabilitazione. Non si tratta solo di somministrare esercizi a un paziente malato, ma di pianificare percorsi di reinserimento e di ritorno ad una qualità di vita che sia la migliore possibile. E in questo processo il paziente deve essere parte attiva del recupero, così come i suoi familiari. Sono aspetti che in Italia diamo per assodati, ma che nel contesto ucraino vanno consolidati. Tra l’altro questo approccio si riflette anche nell’organizzazione negli ambienti e nella scelta degli ausili.

E per quanto riguarda i feriti di guerra?

Questa è sicuramente l’emergenza del momento che assorbe moltissime energie al personale sanitario. Si possono osservare traumi di ogni natura compresi gravi traumi psicologici a cui bisogna far fronte se si vuole ottenere una riabilitazione efficace. Tra le principali problematiche fisiche vi sono le amputazioni che possono interessare più arti e per le quali va pensato anche un percorso di protesizzazione efficace per tornare ad avere una buona qualità di vita.

Nella vita quotidiana si percepisce che il Paese è in guerra?

La zona di Ivano Frankivs’k è lontana dal fronte, tuttavia si percepisce chiaramente che il Paese è in guerra. Mentre eravamo là per ben due volte è suonato l’allarme aereo, anche se poi per fortuna non sono cadute bombe. Appena si esce dalla città ci sono molti check point dove soprattutto la popolazione ucraina viene continuamente controllata. La corrente elettrica va e viene e spesso alla sera il buio è totale. La gente va avanti lo stesso e cerca di vivere normalmente anche se non ci sono prospettive concrete di ripartenza.

Cosa vi ha colpito di più?

Le lunghe file di foto dei caduti al fronte. A Ivano Frankivs’k c’è un’intera via con questi grandi manifesti, ma in ogni paese e villaggio si trovano piazze e luoghi dedicati alla memoria dei giovani soldati morti.


Virus Mpox: "Situazione da monitorare, ma nessun allarme"

La dottoressa Concetta Castilletti, biologa e ricercatrice del “Sacro Cuore”, spiega in un’intervista al giornale L’Arena cos’è il virus monkeypox, il cosiddetto vaiolo delle scimmie per il quale l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato lo stato di emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale. “C’è una nuova variante e bisogna monitorare con attenzione – dice Castilletti – ma la situazione è ampiamente sotto controllo e non c’è alcun allarme”.

Nei giorni scorsi l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che l’aumento dei casi di monkeypox, il cosiddetto vaiolo delle scimmie, costituisce un’emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale. Il problema riguarda in primis alcuni Paesi africani dove il virus è endemico, ma l’emergere di una nuova variante particolarmente contagiosa e in apparenza più grave ha spinto l’OMS ad alzare il livello di attenzione. Tuttavia gli esperti sottolineano che la situazione è ampiamente sotto controllo ed anzi la dichiarazione dell’emergenza permetterà di avere tutti gli strumenti per limitare ulteriormente la diffusione del Mpox.

Qui sotto riportiamo un’intervista alla dott.ssa Concetta Castilletti, biologa e ricercatrice, responsabile dell’Unità Operativa Semplice di Virologia e patogeni emergenti dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria, che spiega cos’è il virus Mpox, come si manifesta, come si trasmette e quali armi abbiamo a disposizione per combatterlo.

L’intervista è stata pubblicata sul quotidiano “L’Arena” il 19 agosto 2024.

 

È stata la doccia fredda della viglia di Ferragosto: una nuova emergenza sanitaria globale, dichiarata dall’Organizzazione mondiale della Sanità non più tardi di mercoledì 14. Oggetto delle preoccupazioni della sanità di tutto il mondo è l’epidemia di Mpox, il vaiolo delle scimmie. Il virus, inizialmente trasmesso da animale a uomo, che ora si sposta e prolifera però quasi esclusivamente da uomo a uomo, gira già da parecchi anni e non è nuovo a focolai, anche importanti. In precedenza, lo aveva fatto nel luglio 2022 quando l’epidemia aveva colpito quasi 100mila persone, principalmente uomini gay e bisessuali, in 116 paesi tra cui anche l’Italia e il veronese, e ha ucciso circa 200 persone.

Ora, però, la nuova variante – la clade 1, di cui è stato recentemente accertato il primo caso in Europa, in Svezia – si presenta come maggiormente virulenta, in grado di diffondersi da uomo ad uomo attraverso contatti stretti, tanto che in Africa un’alta percentuale di ammalati è composta proprio da bimbi e neonati. Tuttavia, al di fuori delle aree africane maggiormente colpite, non c’è alcun motivo di allarmarsi. E, paradossalmente, il fatto che l’Oms abbia designato quest’epidemia di mpox come un’emergenza globale, è una buona notizia. Innanzitutto per l’Africa e per i territori colpiti, che riusciranno così a ricevere maggiori e migliori strumenti per combattere il proliferare dei contagi; dai vaccini agli antivirali specifici realizzati in questi anni. Inoltre per la popolazione mondiale e dunque per tutti noi: un virus lasciato a briglie sciolte, senza le opportune misure di contenimento, è sempre un rischio che è bene contrastare. A ribadirlo, e a rassicurare i veronesi sul rischio attualmente bassissimo sul territorio, è Concetta Castilletti, biologa e ricercatrice, responsabile Unità Operativa Semplice di Virologia e patogeni emergenti dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria. La sua Uos dipende dal Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali diretto dal professor Federico Gobbi. E Castilletti si sta occupando proprio dello studio del vaiolo delle scimmie anche per mettere a punto dei farmaci specifici.

È davvero un segnale positivo e che non deve necessariamente allarmarci che l’Oms abbia dichiarato lo stato di emergenza non solo nel continente africano ma nel resto del mondo perché ciò consente a loro di far arrivare adeguati strumenti sanitari e i vaccini per contrastare l’epidemia e a noi di essere pronti a riconoscere e affrontare adeguatamente e con tempistiche ridotte eventuali casi”, spiega Castilletti. “Nei territori colpiti effettivamente la popolazione sta correndo dei rischi anche perché questa nuova variante pare si stia diffondendo con estrema velocità. Da noi, ad oggi, il rischio è estremamente basso e non sono ancora arrivate disposizioni a livello regionale ma siamo pronti e questo è un bene: i laboratori sono pronti ad analizzare campioni che dovessero arrivare, i medici sia del pronto soccorso che dei reparti specifici sono pronti a fare diagnosi”, sottolinea Castilletti che nel 2022 era a capo del laboratorio centro di riferimento regionale insieme al laboratorio di Padova per l’epidemia di vaiolo delle scimmie. Due anni fa, i casi diagnosticati nel Veronese  erano stati circa una ventina, non tutti di importazione ma anche con trasmissione in loco. Con questo nuovo ceppo, il contatto con la persona ammalata deve comunque essere stretto ma bastano poche particelle virali per ammalarsi “ed è dunque ancora più importante fare sorveglianza. Fondamentale è anche la ricerca: abbiamo in corso indagini genetiche per conoscere di più sul virus e su ciò che provoca nei suoi ospiti, che di fatto ora sembra essere praticamente quasi esclusivamente l’uomo”, riassume la biologa ricercatrice.

Le armi a disposizione di scienza e medicina contro questo nuovo ceppo di mpox, comunque, ci sono e non sono spuntate. “I vaccini, quelli che io e il resto del personale sanitario a rischio abbiamo già fatto, sono efficaci nel proteggere dalle forme più gravi, che comunque rimangono una percentuale molto bassa. Inoltre, ci sono antivirali specifici”, conclude Castilletti.

Il virus che causa mpox, il vaiolo delle scimmie, nella nuova variante clade 1si manifesta spesso con una sintomatologia simile  al vaiolo ma molto meno grave. C’è una prima fase in cui la persona affetta manifesta sintomi respiratori lievi e febbre dopodiché compaiono pustole tendenzialmente dolorose che possono rimanere localizzate in alcune aree del corpo, come le zone genitali e intorno all’ano, oppure diffondersi capillarmente a tutto il corpo. Basta pochissimo virus per trasmettere l’infezione e dunque per non essere ritenuto più contagioso, nel soggetto devono essersi rimarginate tutte le lesioni cutanee. In alcuni casi, si possono sviluppare forme gravi di malattia, come sepsi e broncopolmonite; a più alto rischio sono i bambini, le donne in gravidanza e le persone con Hiv. È allo studio attualmente anche il tasso di mortalità di questa variante, che sembra nettamente maggiore rispetto al 2022. Due anni fa, infatti, la letalità era vicina allo zero, inferiore a 1 su 100. Ora invece sembra assestarsi a numeri più elevati che vanno dal 4 al 10 per cento. Si tratta di dati rilevati in un Paese come l’Africa dove il tasso di letalità anche per patologie comuni è circa 6 volte superiore rispetto a territori più evoluti sotto il profilo sanitario. C’è un vaccino a disposizione a cui però non è attualmente necessario e nemmeno consigliato sottoporsi in Italia se non per soggetti a rischio di contrarre l’infezione, mentre la campagna vaccinale va eseguita nelle aree interessate dai focolai di vaiolo: attualmente, in Africa, stanno circolando contemporaneamente tutte e due le varianti del virus. “Abbiamo un vaccino che funziona discretamente bene mettendo al riparo dalle forme più gravi. Rispetto al vecchio vaccino antivaiolo, che aveva però parecchi effetti collaterali, è realizzato con un virus diverso e molto attenuato che non è in grado di moltiplicarsi”, sottolinea Castilletti.

(Articolo di Ilaria Noro)


Da Casa Nogarè ad Oncologia: coperte fatte a mano per esprimere il calore della vicinanza

Cinque nonne della casa di riposo Nogarè sono state protagoniste del progetto “Gomitolorosa”: mercoledì 8 agosto hanno consegnato i loro lavori a maglia all’Unità Operativa di Oncologia. Coperte di lana dedicate ai pazienti che accedono al day hospital per sottoporsi alle terapie mediche. Non si tratta di semplici coperte, ma ma strumenti per esprimere il calore della vicinanza a chi vivendo la difficoltà della malattia.

La più giovane ha 79 anni, la meno giovane 95: Pierina Bonometti, Rosina Ligabò, Iones Maria Biondani, Rosa Pimazzoni e Silda Lorenzato. Sono le cinque nonne della casa di riposo Nogarè protagoniste del progetto “Gomitolorosa”, che lo scorso mercoledì 8 agosto hanno consegnato i loro lavori a maglia all’Unità Operativa di Oncologia. Coperte di lana dedicate ai pazienti che accedono al day hospital per sottoporsi alle terapie mediche. Ma basta leggere il biglietto con cui hanno accompagnato i loro doni per comprendere che quelle da loro create non sono delle semplici coperte, ma uno strumento per esprimere il calore della vicinanza a chi sta vivendo la difficoltà della malattia.

Il biglietto che ha accompagnato il dono delle coperte

“Si dice che le cose fatte a mano siano fatte con il cuore… se poi è il cuore di una nonna vale il doppio. Le nonne della Casa di riposo Fr. Pietro Nogarè hanno realizzato queste coperte con impegno e amore per donare conforto e calore nei momenti un po’ più difficili… Ciascuno ha la propria croce da portare, ma se di tanto in tanto facessimo come il Cireneo il peso si farebbe più sopportabile”.

L’anima di questo progetto è l’educatrice professionale Laura Dall’Ora che ha trovato lo spunto per realizzarlo dall’attività di Gomitolorosa. Si tratta di un’Associazione nazionale che recuperando la lana in esubero, altrimenti destinata ad essere bruciata, non solo fa qualcosa di utile per l’ambiente, ma sostiene anche il lavoro a maglia come strumento terapeutico per il recupero individuale del benessere psico-fisico. Inoltre, collaborando con associazioni e gruppi amatoriali, produce manufatti rivolti al mondo della solidarietà sociale. Oltre ai propri, Gomitolorosa sostiene anche progetti proposti da enti esterni che rispettino tuttavia la sua mission, come appunto quello di Casa Nogarè per il quale l’Associazione ha donato 100 gomitoli di lana.

Da sinistra: Silda Lorenzato, Rosa Pimazzoni, Laura Dall’Ora (educatrice professionale), Marinella Braho (caposala piano terra di Casa Nogarè), Iones Maria Biondani, Rosina Ligabò, Martina Brigo (coordinatrice infermieristica dell’area socio-sanitaria), Pierina Bonometti

“Il lavoro a maglia è una forma di terapia occupazionale che è spesso inserita in veri e propri percorsi di cura alla luce dei tanti benefici che apporta a vari livelli”, spiega Dall’Ora.

E’ incredibile infatti come la realizzazione di una coperta o di una sciarpa possa ess,ere una terapia per la mente e il corpo.  Per esempio, regala buonumore: i movimenti ripetuti tipici dello ‘sferruzzare’, aumentano la produzione di endorfine, sostanze chimiche prodotte dal cervello che sono alla base della sensazione di benessere; migliora la concentrazione e la memoria quindi rallenta i decadimento cognitivo. E infine combatte l’artrosi delle mani, aiutando le dita a rimanere agili e meno rigide con l’avanzare dell’età.

“Naturalmente il progetto non sarebbe stato possibile se le ospiti non avessero manifestato l’interesse, se non una vera passione, per il lavoro a maglia – sottolinea l’educatrice – Sono cinque le signore che hanno realizzato materialmente le coperte, ma attorno a loro si è creato un gruppo di altri ospiti che con la loro presenza hanno sostenuto il progetto e condiviso gli obiettivi. Conoscere la finalità della creazione delle coperte e il valore di esse come ponte di solidarietà tra la casa di riposo e l’ospedale hanno reso gli ospiti motivati e consapevoli di essere ancora utili, attivi e preziosi per la comunità”.

L’entusiasmo di certo non manca tra le cinque signore. Rosina racconta di aver imparato a lavorare a maglia in collegio dalle suore dove ha appreso anche l’arte del cucito, diventando così brava da realizzare da sola lenzuola e tovaglie ricamate per il suo corredo matrimoniale. Mentre per Pierina saper lavorare a maglia era una risorsa: quando da giovane c’era bisogno di indumenti caldi, ma c’erano pochi soldi per acquistarli. Per le altre è una passione che nutrono da sempre sottolineando che la loro capacità va ben al di là delle “semplici coperte”.

Nel pieno rispetto delle regole d’oro dell’ospitalità, oltre a ringraziare per quanto ricevuto, il direttore dell’Oncologia, dottoressa Stefania Gori, e il suo staff hanno voluto ricambiare il dono, regalando alle signore una borsa intrecciata a mano con dentro alcune delizie dolciarie. Come le coperte anche questa non è un “semplice” borsa, ma racconta una storia: quella di una signora che ha sviluppato una neuropatia periferica alle mani come effetto indesiderato della chemioterapia e che per non arrendersi al disturbo ha messo in moto la creatività e la manualità. Dalle quali sono nate alcune borse date poi in dono all’Oncologia. “Si dice che le cose fatte a mano siano fatte con il cuore…”.


La radioterapia per il trattamento degli spasmi muscolari nelle lesioni cerebrali e midollari

L’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar è il primo centro al mondo a proporre un trattamento innovativo per la spasticità all’interno di uno studio clinico. Eccellenza a livello nazionale per la neuroriabilitazione, nel 2023 ha accolto 103 persone affette da gravi lesioni cerebrali e spinali e ha dato il via a un nuovo protocollo sperimentale per il trattamento delle problematiche che fanno seguito a queste lesioni.

L’uso della radioterapia di ultra-precisione ad alte dosi di radiazioni (radiochirurgia stereotassica) come

trattamento della spasticità e degli spasmi muscolari provocati da lesioni cerebrospinali. Una nuova metodica in corso di sperimentazione all’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria contro un disturbo che non sempre può essere trattato con le terapie tradizionali ma che arriva a colpire fino al 90% delle persone affette da malattie che danneggiano le terminazioni nervose che controllano i movimenti muscolari.

Sono circa 100 milioni le persone nel mondo che convivono con le conseguenze di patologie cerebrospinali o di traumi al cervello e al midollo a seguito di incidenti. Tra queste la spasticità e il dolore correlato sono una complicanza comune e debilitante a lungo termine. Si stima che questa colpisca il 65-78% dei pazienti con lesioni croniche del midollo spinale e il 25% degli individui che hanno avuto un ictus grave. Ad oggi i trattamenti convenzionali prevedono interventi chirurgici invasivi o trattamenti per via orale con un’efficacia tuttavia limitata e spesso con effetti collaterali indesiderati. I ricercatori dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar hanno invece definito un nuovo protocollo sperimentale per il trattamento non invasivo, più conservativo e a bassa tossicità della spasticità per mezzo della radiochirurgia stereotassica che prevede l’impiego della radioterapia per agire sui nervi spinali selezionati bloccando la conduzione elettrica responsabile degli spasmi.

UN TRATTAMENTO INNOVATIVO PER LA SPASTICITÀ
Dr.ssa Elena Rossato

“La spasticità è una condizione caratterizzata da un aumento eccessivo e anomalo del tono muscolare. In particolare, consiste in spasmi di uno solo o di più muscoli scheletrici che possono provocare rigidità durante il movimento con disagio o dolore e difficoltà motorie ai quattro arti, nella respirazione e nel riposo notturno – spiega la  dottoressa Elena Rossato, direttore del Servizio di Medicina Fisica e Riabilitazione La spasticità ha quindi un grande impatto negativo sulla qualità di vita dei pazienti e interferisce fortemente con la loro capacità di compiere attività quotidiane come ad esempio il trasferimento dalla sedia a rotelle. Per questo motivo, la spasticità ha diverse conseguenze sociali e riabilitative con un alto tasso di procedure infermieristiche e ricoveri ospedalieri”, sottolinea.

Dr. Luca Nicosia

“Quello che è stato avviato all’IRCCS di Negrar è un protocollo che prevede l’utilizzo della radiochirurgia stereotassica per trattare pazienti affetti da spasmi invalidanti – afferma il dottor Luca Nicosia, radioterapista oncologo del Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata, diretto dal prof. Filippo Alongi -. I trattamenti ad oggi disponibili per questa condizione prevedono l’utilizzo di farmaci, gravati da effetti collaterali e da una progressiva perdita di efficacia, o di interventi chirurgici che, oltre a richiedere una specifica competenza, sottopongono pazienti molto fragili a operazioni importanti con potenziali conseguenze debilitanti. L’impianto nell’addome della pompa di baclofene richiede, ad esempio, un intervento che potrebbe esporre i pazienti a complicazioni, inoltre deve essere ricaricato periodicamente e può essere soggetto a infezioni – dichiara -. In aggiunta a ciò, i pazienti potrebbero diventare progressivamente resistenti al trattamento. Altre terapie come l’iniezione della tossina botulinica intramuscolare o le iniezioni perineurali di alcol sono limitate nella dose e devono essere ripetute nel tempo, mentre soluzioni come la neurolisi chirurgica, le neurotomie selettive e le rizotomie sono caratterizzate da sessioni chirurgiche prolungate, complicazioni e richiedono un’équipe esperta – aggiunge -. La radiochirurgia stereotassica rappresenta, invece, un’opzione non invasiva e con una elevata precisione che prevede una singola seduta di trattamento radioterapico della durata di 40 minuti, ripetibile ma solo su altre sedi. La radiochirurgia stereotassica è tipicamente utilizzata per intervenire su tumori solidi primari e metastatici e per il trattamento di malattie non oncologiche come l’oftalmopatia di Graves, le aritmie cardiache e la nevralgia del trigemino”.

IL PROTOCOLLO SPERIMENTALE

“Il nostro è il primo centro al mondo a proporre questa terapia innovativa all’interno di un progetto di ricerca multidisciplinare che coinvolge oltre alla radioterapia oncologica anche la fisiatria, la neurologia e l’anestesia per provarne l’efficacia – riprende il dottor Nicosia . Nel 2022 abbiamo trattato 4 pazienti affetti da spasticità con uso della radiochirurgia stereotassica, ottenendo risultati importanti con una riduzione o risoluzione della spasticità e nessuna tossicità correlata, come riportato nello studio pubblicato su Radiotherapy & Oncology. Gli esiti positivi raggiunti ci hanno portato ad avviare l’attuale sperimentazione che prevede di arruolare 10 pazienti adulti, affetti da spasticità diffusa e non trattabile con le terapie tradizionali”. “L’obiettivo primario dello studio sarà quello di stimare la riduzione della frequenza e dell’intensità degli spasmi dopo il trattamento monitorandola a 1, 3, 6 e 12 mesi dopo la radiochirurgia stereotassica – conclude la dottoressa Rossato -. Tra gli obiettivi secondari, inoltre, ci saranno anche quelli di valutare la tossicità acuta e tardiva, il tasso di ricaduta della spasticità e descrivere la variazione nella qualità di vita del paziente dopo il trattamento e il miglioramento del carico di lavoro dei caregiver”.


Il Presidente Sergio Mattarella ha incontrato l'Opera Don Calabria in Brasile

Tre rappresentanti dell’Opera Don Calabria in Brasile hanno incontrato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante la sua visita di Stato nello scorso mese di luglio. E’ stato un incontro molto cordiale durante il quale il Presidente ha potuto conoscere le attività e i progetti di sviluppo dell’Opera nel grande Paese sudamericano.

Lo scorso mese di luglio, a Salvador de Bahia, il Delegato dell’Opera in Brasile, padre Jaime Bernardi, e padre João Pilotti hanno avuto l’opportunità di incontrare il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella durante la sua visita di Stato nel Paese sudamericano. Insieme a loro c’era anche la dottoressa Rosa Egidia Crispino, presidente della Corte dei Conti del Parà e amica dell’Opera.
All’incontro erano presenti la figlia del presidente, Laura Mattarella, e l’ambasciatore italiano in Brasile Alessandro Cortese. Con grande emozione i religiosi calabriani hanno portato il saluto del Casante ed hanno potuto presentare l’attività della Congregazione in Brasile, evidenziandone la lunga storia e i profondi legami con l’Italia, oltre ai progetti di sviluppo che si stanno portando avanti in ambito sociale, educativo e sanitario. In particolare dal punto di vista sanitario è in corso un progetto che riguarda la rete sanitaria di Marituba, nella regione amazzonica, realtà con la quale l’IRCCS di Negrar collabora da quasi 20 anni.

Il Presidente ha ascoltato con attenzione e ha mostrato di apprezzare il lavoro che si fa in favore dei più bisognosi, secondo il carisma di don Calabria.

Vedi scheda sulle attività dell’Opera Don Calabria in Brasile

Durante la sua visita il Presidente Mattarella è stato anche in Rio Grande do Sul dove ha manifestato tutta la solidarietà dell’Italia con la popolazione locale colpita dalla recente tremenda alluvione. Inoltre il Presidente ha sottolineato il forte legame tra il popolo brasiliano e quello italiano, ricordando come in questo 2024 ricorrano i 150 anni dall’inizio dell’immigrazione italiana in Brasile e gli 80 anni dall’invio della spedizione brasiliana in Italia in supporto agli alleati durante la seconda guerra mondiale.

Un’amicizia, quella con l’Opera calabriana, che era iniziata nel 2019 quando il Presidente aveva visitato l’Ospedale Divina Provvidenza di Luanda, in Angola (vedi articolo dedicato). E che ora, con questo incontro in Brasile, si arricchisce di un nuovo capitolo.

Sulla collaborazione tra IRCCS di Negrar e ospedale di Marituba si veda anche:

L’ospedale di Marituba compie 25 anni

Un ospedale sognato dai poveri

Una risonanza magnetica per l’ospedale di Marituba


Gli ospiti di Casa Perez trasformano le matite spuntate in doni per i pazienti della Pediatria

Il nuovo progetto realizzato dagli ospiti-artisti di Casa Perez: partendo da “mozziconi” di matite donate hanno creato delle confezioni personalizzate da regalare con un album da colorare ai piccoli degenti della Pediatria. E in programma c’è un’altra iniziativa: dei kit per la creazione di collane e braccialetti. Tutto questo grazie alla fantasia e alla grande professionalità del gruppo degli educatori che supportano gli ospiti in tutte le attività

Un po’ tutti almeno una volta nella vita ci siamo sentiti matite messe da parte, non più in grado di dare colore. Ma anche le matite spezzate hanno ancora la possibilità di colorare e insieme possono perfino riprodurre l’arcobaleno. A dircelo sono gli ospiti di casa Perez (struttura socio-sanitaria residenziale della Cittadella della Carità), uomini e donne con disagio psichico (ma non solo), che San Giovanni Calabria definiva le “nostre perle”, in un mondo nel quale – oggi più che mai –  erano considerate solo matite spuntate.

Una rappresentanza di ospiti-artisti di Casa Perez

Con il supporto degli operatori del Centro sociale di Casa Perez e in collaborazione con il Centro Solidarietà San Giovanni Calabria, gli ospiti e i loro educatori  hanno infatti dato vita al progetto “Un arcobaleno… + 1”, grazie al quale matite non più usate sono diventate doni per i piccoli degenti della Pediatria.

Un circuito virtuoso, da dono a dono, perché le matite “rigenerate” sono il frutto del coinvolgimento di tanti collaboratori della Cittadella della Carità che hanno risposto all’appello di portare i colori inutilizzati presso il punto di raccolta all’esterno dell’Ufficio Aiuti Umanitari. E poiché il passa parola è il miglior strumento di diffusione delle notizie (belle o brutte che siano), si sono creati dei punti di raccolta spontanei,  anche fuori dall’aerea ospedaliera.

Una volta raccolte, le matite sono state “rimesse a nuovo” e collocate in una scatolina realizzata a mano. Otto: sette  come i colori dell’arcobaleno, più una matita simbolo del cuore di chi dona. Ogni scatola è stata poi personalizzata con una frase, frutto anche questo della collaborazione di tanti operatori della Cittadella che hanno inviato le citazioni del “cuore”, tratte da una poesia o da una canzone

Infine poiché una matita ritorna ad essere tale solo se fa il suo lavoro, ad ogni “astuccio” è stato allegato un album da colorare. Et voilà, il capolavoro è completo.

Non rimane che consegnarlo. Lo hanno fatto gli stessi ospiti di Casa Perez, i quali, accompagnati dagli animatori, si sono recati in Pediatria. I preziosi doni sono stati accolti con grandi sorrisi da parte dei piccoli pazienti, che avranno il modo così di scacciare la noia della degenza ospedaliera con “momenti colorati”.

La raccolta delle matite non si ferma qui. Anzi c’è spazio per un nuovo progetto battezzato “Una matita tira l’altra”, una sorta di spin off di “Arcobaleno… + 1”. Perché infatti buttare i pezzettini ottenuti dalla messa a misura delle matite se si può ricavare un kit per la realizzazione di braccialetti e collane? Basta un piccolo forellino per ogni ritaglio e un filo, e i piccoli degenti dell’ospedale possono creare da soli i loro “gioielli”.

Gli ospiti di Casa Perez non sono nuovi a queste iniziative. Il laboratorio artigianale del Centro sociale è una fucina di creazioni originali in legno e in altri materiali naturali, che raggiunge la massima produzione in occasione del Natale, della Pasqua, della festa del papà e della mamma. Ma si possono avere anche oggetti su ordinazione per compleanni, battesimi e comunioni. Il ricavato della vendita in occasione dell’allestimento dei banchetti di beneficenza va a coprire il costo delle materie prime e con quel che resta si va tutti in pizzeria!

Tutto questo è possibile grazie all’équipe degli educatori: Giulia Dalle Pezze, Stefania Fidesser, Florio Guardini, Chiara Righetti, Daniela Zaninelli e la volontaria Nele. Con il supporto di Alessandra Bisin, responsabile dell’Ufficio Aiuti umanitari. “Il nostro motto è ‘Fare per essere, essere per fare’ – dicono gli animatori – Ogni ospite mette qualcosa di suo a seconda delle sue abilità. E’ importante per le persone con questo tipo di disabilità (ma in realtà è importante per tutti!) avere uno scopo per cui alzarsi la mattina. Il loro impegno diventa maggiore quando sanno che quello che stanno facendo andrà in quel reparto piuttosto che in un altro. Sono felici perché si sentono utili per qualcuno”. E non più matite spuntate.


Prendersi cura della pelle in estate: alcuni consigli

In estate la nostra pelle è molto più esposta al sole rispetto alle altre stagioni, vuoi perchè ci si scopre di più vuoi per il molto tempo trascorso all’aria aperta, specialmente durante le vacanze. Che si tratti di una giornata in piscina o di una camminata in montagna, la presenza del sole è sempre gradita e anche benefica per le ossa e per il sistema immunitario, oltre che per l’umore.

Ma la radiazione solare, tanto più in tempi di global warming, può essere molto insidiosa per la pelle, provocando irritazioni e invecchiamento precoce fino a favorire l’insorgenza di alcuni tipi di tumore tra cui il melanoma. Per questo è fondamentale seguire alcune semplici norme di prevenzione e protezione. Nel video qui sotto la dottoressa Federica Tomelleri, responsabile della Dermatologia, propone alcuni consigli per godere appieno delle giornate estive senza mettere a repentaglio la salute della pelle (intervista fatta nel programma “Dica33” di Telearena).

 


Patologia Neonatale, lettura ad alta voce e vestitini confortevoli per la cura dei bimbi e dei loro genitori

Anche leggere ad alta voce un libro da parte dei genitori e dei vestititi morbidi e confortevoli rientrano nella cura dei bimbi ricoverati nella  Patologia Neonatale della Pediatria, diretta dal dottor Paolo Bonetti, che ha aderito al progetto “Nati per leggere” e iniziato una collaborazione con l’associazione “Mani di mamma”.

La Patologia neonatale è un Nido speciale: nelle 5 cullette termiche del reparto di Pediatria al quarto piano  dell’Ospedale Sacro Cuore trascorrono il loro primo mese di vita i bimbi che sono venuti alla luce prematuramente o con qualche problema di salute e per questo non sono stati dimessi.

Le giornate per mamma o papà trascorrono lente accanto al loro piccolo scrutando ogni suo respiro e movimento.  Spesso l’occhio cade sul cellulare per un momento di distrazione. Perché invece non sostituire il telefono con un libro da leggere ad alta voce? E’ quello che hanno pensato gli operatori della Pediatria coordinati da Giulia Camilla Munini e supportati dal primario Paolo Bonetti, forti anche  dell’esistenza di studi che provano scientificamente gli aspetti benefici della lettura condivisa fin dalla tenerissima età del bambino. E’ nata così l’idea di allestire in Patologia Neonatale una piccola libreria, con i libri regalati dai clienti delle Librerie Giunti e dati in dono all’Ufficio Aiuti Umanitari dell’Ospedale.

Il progetto si ispira a “Nati per leggere”, il programma pedagogico sviluppato assieme all’Associazione Culturale Pediatri, l’Associazione Italiana Biblioteche e il Centro per la Salute del Bambino. Esso propone alle famiglie con bambini fino a 6 anni di etàattività di lettura che costituiscono un’esperienza importante per lo sviluppo cognitivo dei bambini. E’ comprovato che le letture quotidiane fanno acquisire al bambino un vocabolario più ricco, sviluppa una migliore capacità di espressione e maggiore curiosità di scoprire il mondo (www.natiperleggere.it).

“La relazione con il bambino passa anche attraverso la parola, i suoni e il tono della voce – spiega Munini -. La voce della mamma ha sul piccolo un effetto rilassante, normalizza la frequenza cardiaca e attiva l’attività cerebrale. E’ un’esperienza importante anche per i genitori, perché si tratta di un momento condiviso che sarà ricordato per tutta la vita e soprattutto l’inizio di una bella abitudine che può proseguire per tutta l’infanzia”.

Ma l’attività di lettura non è la sola iniziativa nata all’interno della Patologia Neonatale. “Abbiamo dato vita a una collaborazione con “Mani di Mamma”, l’associazione fondata da mamme di bambini nati prematuri che realizza corredini per i neonati pretermine, donandoli poi alle Terapie Intensive Neonatali, alle Patologie Neonatali ma anche ai Nidi grazie alla collaborazione di 70 ospedali italiani”, racconta la coordinatrice infermieristica.

Con l’aiuto di volontari, vengono creati cappellini, scarpine, piccoli golfini e sacchi nanna che ricreano la pancia della mamma, utilizzando filati e tessuti in fibre naturali. Per i lavori a maglia viene impiegata solo pura lana merino. “Sono attenzioni che rientrano nell’umanizzazione delle cure – sottolinea – Perché se da una parte rispondono all’esigenza del reparto di avere dei vestitini composti da filati adatti alla pelle di questi bimbi fragili e resistenti anche alla sterilizzazione, dall’altra, oltre a fornire conforto fisico ai bambini, agiscono positivamente sui genitori in quanto donano un aspetto di normalità in un contesto a volte difficile”.  Per conoscere di più www.manimamma.it


L'IRCCS di Negrar nel progetto nazionale #Conciliamo sul benessere lavorativo degli operatori

L’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar – come casa filiale dell’Istituto Don Calabria – è tra gli enti che sono stati ammessi al Progetto #Conciliamo, l’iniziativa della Presidenza del Consiglio – Dipartimento Politiche per la Famiglia, finalizzata ad incentivare l’introduzione nei luoghi di lavoro di politiche che favoriscano la conciliazione tra i tempi di vita e quelli professionali.

L’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar – come casa filiale dell’Istituto Don Calabria – è tra gli enti che sono stati ammessi al Progetto #Conciliamo, l’iniziativa della Presidenza del Consiglio – Dipartimento Politiche per la Famiglia, finalizzata ad incentivare l’introduzione nei luoghi di lavoro di politiche che favoriscano la conciliazione tra i tempi di vita e quelli professionali.

“E’ un progetto che ci rappresenta, perché quando lo abbiamo analizzato ai fini di una possibile candidatura, abbiamo riscontrato che buona parte delle azioni richieste erano già in atto nel nostro ospedale e nelle nostre strutture socio-sanitarie adiacenti, che fanno parte della Cittadella della Carità”, sottolinea l’Amministratore Delegato, dottor Claudio Cracco “Grazie a #Conciliamo abbiamo l’opportunità di far emergere e valorizzare le attuali politiche di Welfare in atto, con lo scopo di migliorare ulteriormente il benessere lavorativo dei nostri collaboratori, il quale è determinato anche dalla possibilità di dedicare il giusto spazio alla famiglia, soprattutto in presenza di figli in età scolare, di genitori anziani e di disabili”.

Tra le iniziative introdotte all’IRCCS di Negrar nel corso degli anni e dedicate principalmente agli operatori sanitari sono previste la possibilità nei primi anni di vita dei bambini di lavorare in settori con minor gravosità di turni e il part time per le mamme che rientrano dalla maternità. “In generale circa il 65% dei nostri 2.300 dipendenti sono donne, maggioranza che riguarda soprattutto coloro che lavorano nell’assistenza – sottolinea l’AD -. Molte di loro sono madri, molte altre lo diventeranno. Quindi l’agevolazione del lavoro femminile per noi oltre ad essere un dovere, è una necessità. Un’agevolazione che passa anche attraverso la tutela del diritto di trascorrere i tempi del riposo con la famiglia. Per questo le molte coppie che lavorano nella Cittadella della Carità hanno la possibilità di godere di turni di lavoro ad hoc finalizzati all’armonizzazione degli orari con quelli del coniuge o alla programmazione combinata dei periodi di ferie e di riposo, che viene favorita anche se la moglie o il marito sono impiegati in un’altra realtà”. Tutto questo è possibile grazie ai coordinatori tecnico- infermieristici che ogni mese redigono il turno lavorativo dei propri collaboratori conciliando le prioritarie esigenze dell’assistenza, della cura e dell’attenzione all’ammalato con quelle dell’operatore.

“Il mutamento dei bisogni all’interno del contesto lavorativo ha avuto una notevole accelerazione nel periodo pandemico, quando il Covid ha rimesso al centro della nostra vita valori quali famiglia, affetti, tempo da dedicare ad altro oltre al lavoro – conclude il dottor Cracco – E’ a questa esigenza di “altro” che ogni organizzazione lavorativa oggi viene chiamata a rispondere se vuole fidelizzare i propri collaboratori, sviluppandone le competenze, e attrarne di nuovi. La partecipazione al progetto #Conciliamo da parte nostra è un ulteriore incentivo a far sì che l’ambiente lavorativo della Cittadella della Carità rimanga, nonostante il personale in continuo aumento, a misura di persona, in cui le esigenze del singolo possano trovare spazio a beneficio di tutta l’organizzazione”.