I numeri del cancro nel Veneto: ogni giorno 87 nuove diagnosi

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Presentata al “Sacro Cuore” la situazione oncologica nel Veneto: la sopravvivenza ha tassi elevati, il 60,7% degli uomini e il 66,3% delle donne sono vivi a 5 anni dalla diagnosi. Preoccupa l’aumento dei casi di cancro al polmone nelle donne

Il Veneto è una regione virtuosa nell’adesione agli esami di screening anticancro. Nel 2016, il 79% dei cittadini ha eseguito il test per individuare in fase precoce il tumore del colon-retto (esame del sangue occulto nelle feci), più del doppio rispetto alla media nazionale (36%). Il 63% delle donne venete si è sottoposto allo screening cervicale (fondamentale per la diagnosi precoce del tumore della cervice uterina), anche in questo caso più che raddoppiando il dato nazionale (30%), e il 64% delle cittadine ha eseguito la mammografia (44% Italia). Un’attenzione ai programmi di prevenzione secondaria che si traduce in percentuali di sopravvivenza particolarmente elevate: in Veneto il 60,7% degli uomini e il 66,3% delle donne sono vivi a 5 anni dalla diagnosi.

 

La fotografia dell’universo cancro in tempo reale nella regione è raccolta nel volume “I numeri del cancro in Italia 2017″ realizzato dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), dall’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM) e dalla Fondazione AIOM, e presentato oggi all”ospedale Sacro Cuore Don Calabria. In Veneto nel 2017 sono stati stimati 31.750 nuovi casi di tumore (16.550 uomini e 15.200 donne), con una tendenza che rispecchia quella nazionale: un andamento stabile delle nuove diagnosi fra gli uomini e un incremento fra le donne. Nella popolazione generale le cinque neoplasie più frequenti sono quelle del colon-retto (4.500), seno (4.450), polmone (3.400), prostata (2.950) e melanoma (1.500).

 

Facendo gli onori di casa, ha aperto la conferenza stampa il dottor Mario Piccinini, amministratore delegato del “Sacro Cuore Don Calabria: “Questo Ospedale dal 2016 è un Cancer Care Center dotato di un numero verde (800 143 143) per la cura del tumore – ha affermato – Per noi è stato un approdo naturale, perché da tempo seguiamo con attenzione il percorso del paziente oncologico investendo sia in professionalità dedicate, nell’ambito di un approccio integrato e multidisciplinare, sia mettendo a disposizione le migliori tecnologie con importanti investimenti. Ricordiamo, ad esempio, la Radioterapia con 3 Acceleratori Lineari e un sistema di Radiochirugia per le metastasi cerebrali, utilizzato proprio dal “Sacro Cuore Don Calabria” per la prima volta nel mondo; una Medicina Nucleare con due PET-TAC (l’unica nel Veneto) e un Servizio di Terapia Radiometabolica; una Radiologia dotata di apparecchiature di ultima generazione; un Laboratorio di Biologia Molecolare, una chirurgia oncologica all’avanguardia che utilizza il Robot Da Vinci Xi. Il paziente oncologico trova all’interno del perimetro dell’ospedale tutte le specialità per la diagnosi e la cura delle neoplasie fino alla riabilitazione oncologica e alle cure palliative. Agli investimenti tecnologici si sta aggiungendo lo sviluppo nella ricerca testimoniato dal numero crescente di pubblicazioni scientifiche su importanti riviste internazionali. Come ci ha trasmesso il nostro fondatore, la nostra mission è servire il paziente. Oggi possiamo farlo grazie alla ricerca e alla tecnologia. Ma il nostro fine di cura resta la persona ammalata, con le sue fragilità che la mancanza di salute comporta“.

 

Ogni giorno nel nostro territorio sono stimate circa 87 nuove diagnosi di cancro – è intervenuta Stefania Gori, presidente nazionale AIOM e Direttore del Dipartimento Oncologico dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria -. Da un lato, il progressivo invecchiamento della popolazione determina un inevitabile aumento dei nuovi casi. Dall’altro, il cancro rappresenta la patologia cronica su cui le campagne di prevenzione mostrano i maggiori benefici. Ma serve più impegno in questa direzione. Preoccupa in particolare in Veneto il notevole aumento, pari al 43%, delle diagnosi di tumore del polmone fra le donne, passate da 871 casi ogni anno nel periodo 2008-2010 a 1.250 nel 2017. Il vizio del fumo è sempre più femminilee le conseguenze negative sono evidenti, come dimostrano i numeri”. E’ fondamentale pertanto la prevenzione primaria e secondaria (ambito in cui la spesa sanitaria in Italia è ancora bassa) “per ridurre il numero di nuovi casi di tumore e avere così più risorse disponibili per curare, che potrebbero essere utilizzate per migliorare l’accesso di tutti i pazienti alle terapie innovative – continua la presidente AIOM -. Oggi infatti ad armi efficaci come la chemioterapia, la radioterapia e la chirurgia si sono aggiunte le terapie mirate e l’immunoterapia, permettendo di migliorare la sopravvivenza e garantendo una buona qualità di vita”.

 

“Un tumore cambia la vita delle persone, ma è fondamentale sapere che oggi, grazie alla diagnosi precoce e ad armi sempre più efficaci, circa il 60% dei pazienti italiani sconfigge la malattia – ha affermato Fabrizio Nicolis, presidente di Fondazione AIOM –L’Italia, infatti, si colloca nei primi posti in Europa come percentuali di persone sopravviventi a 5 anni dalla diagnosi nelle varie patologie neoplastiche”. La prima forma di prevenzione è uno stile di vita sano, perché non dimentichiamo infatti “che il 40% dei tumori potrebbe essere evitato abolendo il fumo, l’alcol, l’obesità e la sedentarietà. Queste semplici regole possono essere riassunte in un numero: 30.5.0.1, ad indicare 30 minuti di attività fisica quotidiana, 5 porzioni di frutta e verdura al giorno, 0 fumo, 1 bicchiere di vino a pasto. Il Veneto – ha concluso il dottor Nicolis – si colloca tra le migliori Regioni italiane per gli stili di vita, con uno spazio di miglioramento comunque per il consumo di alcol: risulta infatti che in Veneto il consumo sia superiore alla media nazionale (63,8% vs 55,1%, dati PASSI-Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia)”.

 

 

Si stima che nella Regione vivano più di 277.000 cittadini dopo la diagnosi di tumore, una cifra in costante crescita. Oltre alle nuove terapie, anche gli screening svolgono un ruolo fondamentale nel miglioramento dei tassi di guarigione. “Rispetto ai Registri Tumori Regionali, quello del Veneto è il primo con 4 milioni 700 mila persone di copertura, seguito da Friuli Venezia Giulia (1 milione 219 mila), Umbria (890 mila), Basilicata (580 mila) e Valle d’Aosta (131 mila) – ha afferma Lucia Mangone, presidente AIRTUM (Associazione italiana dei registri tumori) – Due fra le neoplasie più frequenti, quelle del colon-retto e della mammella, risentono fortemente dell’efficacia dei programmi di screening. L’andamento dell’incidenza del tumore del colon-retto dipende dell’introduzione dello screening nella popolazione di età 50-69 anni (avviato nelle ASL in anni diversi, tra il 2002 e il 2009), che comporta in una prima fase un aumento del numero dei casi, dovuto all’anticipo diagnostico di neoplasie che altrimenti sarebbero comparse successivamente. L’incidenza del cancro della mammella, dopo la crescita registrata negli anni ’90, si è stabilizzata a partire dal 2002, momento in cui si è esaurito l’incremento diagnostico associato all’introduzione dei programmi di screening mammografico, che in Veneto sono stati avviati a partire dal 1998“.

 

Ha chiuso l’incontro l’assessore regionale alla Sanità, Luca Coletto“In Veneto non esiste un tetto alla spesa oncologica – ha spiegato Luca Coletto, assessore alla Sanità della Regione Veneto e Presidente Agenas (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) -. È una scelta che rivendichiamo con orgoglio e che ci permette di rendere disponibili i farmaci anticancro innovativi a tutti i pazienti. La lotta ai tumori nel nostro territorio raggiunge i livelli più alti a livello nazionale. Da molti anni si parla di Reti Oncologiche Regionali, ma solo poche Regioni, tra cui il Veneto, hanno intrapreso un reale percorso di attivazione. La Rete Oncologica Veneta (ROV) permette a tutte le Oncologie della Regione di lavorare insieme in un unico team che assicura a tutte le persone colpite da tumore la stessa qualità di prestazioni, diagnosi e cura. In caso di necessità, il paziente viene indirizzato al centro più adatto in base alla specifica neoplasia. Nella Regione inoltre sono attive le Breast Unit per le donne colpite da cancro al seno. E, dei 47 Registri Tumori operativi in Italia, quello del Veneto è il più grande: ad oggi, è riuscito a censire e studiare il 96% dell’intera popolazione del territorio (la media nazionale si ferma al 62%)”.

In Veneto nel 2014 (ISTAT, ultimo anno disponibile) sono stati 13.974 i decessi attribuibili a tumore. Nella Regione la neoplasia che ha fatto registrare il maggior numero di decessi è quella del polmone (2.512), seguita da colon retto (1.352), pancreas (1.089), seno (991) e fegato (801).

In allegato alcune schede con i dati principali

I numeri del cancro nel Veneto


Glaucoma: dall'oculista una volta all'anno può salvare la vista

Viene chiamato il ladro silente della vista, perché, nella maggior parte dei casi, quando si manifestano i primi sintomi, ormai il danno è fatto. Si tratta del glaucoma, una patologia dell’occhio che danneggia il nervo  ottico e si ripercuote quindi sulla capacità visiva del paziente. Secondo i dati della Società Oftalmologica Italiana, si stima che il 2% della popolazione italiana sopra i 40 anni abbia la malattia e che l’incidenza aumenti con l’età interessando il 10% dei soggetti over 70. I soggetti glaucomatosi in Italia sarebbero circa 1 milione, e di questi una buona parte non sa di avere la malattia, mentre sarebbero circa 200 mila gli italiani non vedenti a causa del glaucoma.

La parola d’ordine è quindi prevenzione, che consiste nel sottoporsi ad una visita oculistica circa una volta all’anno a partire dai 40 anni –  a meno che non vi siano particolari fattori di rischio che richiedono di anticiparla – completa della misurazione della pressione dell’occhio, causa principale, quando supera determinati parametri, della patologia. Un messaggio che viene ribadito particolarmente nella settimana dall’11 al 17 marzo, dedicata in tutto il mondo alla prevenzione del glaucoma.

Andrea Palamara, oculistca IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar
Dr. Andrea Palamara

“La pressione alta è il principale fattore di rischio per sviluppare la malattia e anche l’unico fattore su cui noi possiamo intervenire”, spiega il dottor Andrea Palamara, responsabile del Servizio Glaucoma dell’Oculistica del “Sacro Cuore Don Calabria”, diretta dalla dottoressa Grazia Pertile. “Quindi per terapia del glaucoma si intende essenzialmente un farmaco o una procedura (laser o chirurgica) per abbassare la pressione dell’occhio al fine di fermare l’evolversi del danno al nervo ottico”. Il Servizio di Glaucoma, in cui opera per la parte diagnostica la dottoressa Silvia Quinternetto, segue  2.500 pazienti all’anno di cui circa 300 nuovi casi.

Dottor Palamara, da cosa è determinata la pressione oculare?

“E’ determinata dalla circolazione all’interno dell’occhio di un liquido (umore acqueo) prodotto da alcune strutture del bulbo oculare e drenato attraverso delle vie di deflusso nel circolo venoso. Se aumenta la produzione del liquido o se è meno efficiente il drenaggio, si verifica un innalzamento della pressione dell’occhio che va a comprimere le fibre nervose retiniche e la testa del nervo ottico, a livello del fondo oculare.  Il danno che ne consegue può restare del tutto asintomatico per lungo tempo e il paziente si accorge di avere un problema alla vista quando ormai la malattia è arrivata a uno stadio avanzato. Per questo è importante la prevenzione.

La pressione alta dell’occhio è la sola causa del glaucoma?

No, ma è la più comune per le forme di glaucoma più diffuse: il glaucoma cronico ad ad angolo aperto e quello ad angolo stretto. Tuttavia è bene precisare che non sempre la pressione oculare elevata è sinonimo di glaucoma. Ci sono persone che sono ipertese oculari, ma non sviluppano mai la malattia e persone che hanno una pressione relativamente regolare ma sia ammalano.

Altre cause e fattori di rischio?

Ci sono forme congenite di glaucoma, per fortuna rare, con delle peculiarità specifiche. I fattori di rischio sono l’età,  la miopia, per il glaucoma ad angolo aperto, e la ipermetropia, per il glaucoma ad angolo stretto; il diabete, a causa di un’alterazione della circolazione, e fattori neurodegenerativi. Infine la familiarità, quindi la predisposizione genetica.

La pressione alta del sangue è un fattore di rischio?

Non è stata provata nessuna correlazione tra l’ipertensione sanguigna e quella oculare. Al contrario, è la pressione bassa ad essere un fattore di rischio. In particolare se la pressione diastolica durante la notte è troppo bassa rispetto a quella oculare, la testa del nervo ottico può avere problemi di flusso ematico ed essere danneggiata in modo grave.

Per accertarci della salute del nostro occhio è sufficiente una visita oculistica all’anno?

Se una persona non ha mai avuto riscontro di patologie oculari nel corso delle visite oculistiche di routine effettuate dall’infanzia in avanti, intorno ai 40 anni dovrà cominciare a sottoporsi a controlli a cadenza circa annuale, proprio per cogliere in tempo i primi segni di una eventuale malattia, prima che si manifesti un danno. In caso di familiarità per glaucoma o di presenza di altri fatttori di rischio, i controlli  dovranno iniziare anche prima, Sarà poi il medico a stabilire, in base al quadro clinico, se è bene fissare delle scadenze più ravvicinate. In caso di sospetto, lo step successivo sarà la diagnostica strumentale ed in primo luogo l’esame del campo visivo.

Di cosa si tratta?

E’ una tecnica computerizzata che testa la soglia di sensibilità visiva dell’occhio, sia centrale che periferica, attraverso la presentazione di più stimoli di diversa intensità luminosa. E’ un esame impegnativo, soprattutto per gli anziani, una sorta di videogioco che richiede attenzione e collaborazione. Vi sono inoltre altre metodiche strumentali che aiutano nella formulazione della diagnosi, tra cui l’OCT, strumento che permette di studiare la conformazione della testa del nervo ottico e di misurare lo spessore delle fibre nervose retiniche.

Una volta accertato il danno, quali sono le terapie?

Come abbiamo detto, l’unica possibilità terapeutica è quella di abbassare la pressione dell’occhio al fine di contenere le conseguenze sul nervo ottico. E lo possiamo fare attraverso la terapia medica oppure tramite procedure laser o chirurgiche. Il percorso terapeutico è dettato dall’entità del danno e del tono oculare riscontrati. Nei casi più semplici si inizia una terapia medica tramite la somministrazione di gocce oculari. Da qualche anno la nostra attenzione si sta concentrando anche sulla “neuroprotezione”, attraverso la somministrazione di sostanze che riducano la vulnerabilità delle fibre nervose.

Quando si ricorre al laser?

Quando la terapia medica, di solito efficace, non risponde. Abbiamo a disposizione diversi trattamenti laser indicati a seconda del tipo di glaucoma. Per esempio, per il glaucoma ad angolo aperto si ricorre alla trabeculoplastica, una procedura che ha come scopo quello di “allargare” le maglie di deflusso dell’umore acqueo. Per il glaucoma ad angolo stretto, invece, procediamo con  l’iridectomia, un intervento che consiste nel forare l’iride con il laser per creare una via di deflusso alternativa nella circolazione dell’umor acqueo all’interno dell’occhio.

Quando interviene la chirurgia?

La terapia chirurgica è di solito la terza opzione, anche se ci sono situazioni per cui la chirurgia è già in partenza la soluzione migliore. Esistono numerose tipologie di interventi, più o meno invasive, di cui il più diffuso è la trabeculectomia.  In caso di glaucomi refrattari o di glaucomi secondari a traumi o ad interventi vitreo-retinici, la chirurgia convenzionale spesso non è sufficiente ed è necessario ricorrere a chirurgie sofisticate, come impianti di valvole drenanti.


Giornata mondiale del sonno: adolescenti deprivati di sonno a rischio di patologie

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Domenica 18 marzo gli specialisti del Centro di Medicina del Sonno incontreranno i cittadini in piazza Bra. Il dottor Rossato: “Troppi adolescenti sono ‘deprivati’ del sonno con conseguenze serie sulla salute e sul rendimento scolastico”

E’ dedicata al ritmo circadiano sonno-veglia la Giornata del sonno che si celebra in tutto il mondo venerdì 16 marzo, su iniziativa della World Sleep Society. Un omaggio ai vincitori del Nobel per la Medicina 2017 – Jeffrey C. Hall, Michael Rosbash e Michael W. Young – premiati con il massimo riconoscimento per le loro scoperte sui meccanismi molecolari che controllano il ritmo circadiano.

 

Ritmo sonno-veglia particolarmente bistrattato dai più giovani, come testimonia il dottor Gianluca Rossato, responsabile del Centro di Medicina del Sonno del “Sacro Cuore Don Calabria” e presidente di InFormaSonno. Il dottor Rossato, con alcuni suoi collaboratori, incontrerà i veronesi domenica 18 marzo (dalle 9 alle 14) in piazza Bra (lato monumento Vittorio Emanuele II) per sensibilizzarli sull’importanza di un buon risposo e sulle patologie legate al sonno, spesso concausa di altre malattie come quelle cardiovascolari (poster allegato e in Photo Gallery una foto del team in una delle precedenti edizioni).

 

 

Nei nostri ambulatori incontriamo sempre più spesso ragazzi ‘deprivati’ del sonno – spiega il dottor Rossato -. Si addormentano alle quattro del mattino se non alle sei, dopo ore e ore trascorse al computer o al cellulare, per alzarsi poco dopo e andare in classe. Presentano gravi problemi di apprendimento scolastico (alcuni lasciano la scuola) e disturbi dell’umore: sono irritabili, scontrosi, in alcuni casi apatici e in altri a grave rischio di depressione“.

 

 

Dottor Rossato, come si interviene con questi pazienti?

Non sono pazienti facili da gestire, in quanto non abbiamo dalla nostra parte nemmeno la farmacologia. Si può prescrivere un ipnotico a chi desidera e vuole dormire. Ma questi sono soggetti che vogliano stare svegli e hanno un bioritmo completamente alterato. Pertanto nessun farmaco può essere efficace. L’assunzione di melatonina prima dell’ora consueta in cui si addormentano può aiutarli, ma non risolve il problema se non si impone a loro determinate norme comportamentali. Una strada impervia quando di fronte ci sono adolescenti che hanno impostato il loro ciclo sonno-veglia addormentandosi alle quattro del mattino e svegliandosi a mezzogiorno, salvo non poterlo fare perché hanno degli obblighi. Per questo in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Provinciale avvieremo nelle prossime settimane un progetto pilota in alcune scuole con una serie di incontri dedicati alle ultime classi delle superiori. Il nostro scopo è sensibilizzare i ragazzi sull’importanza del sonno per la loro salute ma anche per la loro vita in generale. E’ pure l’occasione per testare la dimensione del problema attraverso la somministrazione di questionari”.

 

 

Il progetto sarà presentato venerdì 16 marzo in occasione della Giornata mondiale del sonno sull’emittente veronese Telenuovo, alle 18.10. In studio sarà presente il dottor Gianluca Rossato e il professor Stefano Quaglia, dirigente dell’Ufficio Scolastico Territoriale.

 

 

Riassumiamo queste regole di igiene del sonno che valgono per tutti?

“Andare a letto possibilmente sempre alla stessa ora e dormire le ore di sonno necessarie che variano con l’età. Non esagerare alla sera con cibi pensati, con l’alcol e con il fumo di sigaretta. E’ fondamentale inoltre interrompere dopo le 21 qualsiasi attività che impegni il fisico e la mente. Stop ai telefonini e tablet: la loro luce è simile a quella del sole, blocca la produzione di melatonina”.

 

La fototerapia è efficace per modificare comportamenti sbagliati?

E’ sicuramente un aiuto. Noi consigliamo ai pazienti che tenderebbero a svegliarsi tardi di dotarsi di lampade medicali che emano luce blu (quella del sole) e di sottoporsi alla terapia tutte le mattine almeno per 30 minuti. In commercio ci sono anche dei pratici occhiali che illuminano esclusivamente la retina e permettono, a differenza delle lampade, di muoversi liberamente durante la terapia”.

elena.zuppini@sacrocuore.it


Innovativo percorso riabilitativo per chi ha perso l'uso delle braccia

Il Dipartimento di Riabilitazione si è dotato di macchinari di ultima generazione per la riabilitazione degli arti superiori dedicato a pazienti che hanno subito danni neurologici

Il Dipartimento di Riabilitazione dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretto dal dottor Renato Avesani, dopo l’esoscheletro amplia la sua dotazione tecnologica. Questa mattina (nella Photo Gallery le foto) è stato presentato un innovativo percorso riabilitativo per il recupero funzionale degli arti superiori in pazienti con lesioni di carattere neurologico, dovute a patologie o a traumi (vedi interviste e video dell’inaugurazione).

 

Testimonial dell’evento, Federico Falco, veronese, campione di tennis tavolo paralimpico. Nel 2009, a causa di un tragico tuffo in piscina, Federico ha perso l’uso delle gambe e della braccia, ma nonostante la sua grave disabilità nel 2017 si è laureato medaglia d’oro ai campionati del mondo a squadre e medaglia di bronzo in singolo ai campionati europei (vedi intervista a Federico Falco).

 

Il nuovo percorso riabilitativo è composto da sei postazioni con altrettante macchine di ultima generazione, che hanno il duplice scopo, come ha spiegato il dottor Renato Avesani, direttore del Dipartimento, “di facilitare i movimenti residui e di riabilitare la componente cerebrale interessata al danno”.

 

Infatti il paziente si rapporta con uno schermo svolgendo dei compiti. Come nel caso del “sistema Diego”, questo il nome di una delle macchine, che consente a chi ha avuto danni importanti di sollevare e muovere le braccia in maniera tale da guidare sullo schermo un’automobile impedendole, seppur a velocità sostenuta e con sorpassi azzardati, di entrare in collisione con le altre auto.

 

Grazie a queste dotazioni, il Dipartimento di Riabilitazione del “Sacro Cuore Don Calabria” è l’unico centro nel Veneto, e uno dei pochi in Italia, ad offrire un percorso completo per la riabilitazione dell’arto superiore.

 

“La riabilitazione, seppur parziale, dell’arto superiore dopo eventi di natura neurologica (ictus, traumi cerebrali e midollari) ha sempre rappresentato una sfida enorme per i terapisti – ha proseguito il dottor Avesani – e ad oggi non c’è nulla che risolva interamente il problema. Tale difficoltà risiede nella complessità dell’organizzazione cerebrale che presiede alla programmazione dei movimenti del braccio e in particolare della mano, area che solo per estensione è il doppio di quella preposta al piede. Inoltre, solitamente viene dedicato all’esercizio riabilitativo dell’arto superiore un tempo relativamente scarso ed è molto limitata la varietà di proposte che la riabilitazione manuale può offrire. Questo percorso innovativo inserito nella riabilitazione tradizionale, il paziente usufruisce di un’ampia gamma di proposte terapeutiche calibrate sulle difficoltà personali e può beneficiare di un numero importante di ripetizioni dei movimenti. La variabilità degli esercizi e la loro ripetitività rappresentano elementi fondamentali nella teoria degli apprendimenti motori dopo i danni cerebrali”.

 

Oggi non presentiamo solo delle macchine – ha sottolineato il dottor Mario Piccinini, amministratore delegato dell’ospedale di Negrar – ma ribadiamo la mission del “Sacro Cuore Don Calabria”: il paziente al primo posto in un ospedale sempre all’altezza dei tempi, attento alla formazione degli operatori e alle innovazioni tecnologiche, come lo voleva il nostro fondatore. Solo così si posso offrire al paziente le migliori terapie”.

 

Gli apparecchi riabilitativi hanno avuto un costo complessivo di 480.308 euro sostenuto dall’ospedale di Negrar con contributo di 270mila euro da parte della Fondazione Cariverona. “Ringrazio la Fondazione Cariverona (era prevista la presenza del presidente, Alessandro Mazzucco, che non è potuto intervenire a causa di un impegno improvviso, ndr) per l’attenzione dedicata questo progetto e la per la sensibilità che da sempre dimostra riguardo ad iniziative come queste”.

“Ricerca scientifica sulle nuove tecnologie riabilitative ed applicazione clinica devono andare a pari passo per consentire il miglioramento delle cure – ha sottolineato il professor Nicola Smania, associato di Medicina Fisica e Riabilitazione all’Università di Verona -. E’ questo il senso delle importati collaborazioni che da tempo sono in atto tra l’Ateneo scaligero e la Riabilitazione di Negrar. La combinazione di varie strategie riabilitative sul paziente migliorano sia l’approccio clinico ma danno anche importanti informazioni per il progresso della ricerca scientifica e tecnologica in campo riabilitativo, nata solo pochi anni fa”.

 

Ha concluso gli interventi il presidente del “Sacro Cuore Don Calabria”, fratel Gedovar Nazzari, che ha voluto ringraziare tutti gli operatori del Dipartimento di Riabilitazione che con la loro quotidiana dedizione incarnano lo spirito dell’Opera.

 

L’evento si è chiuso con una breve dimostrazione della grande abilità di Federico Falco nel tennis tavolo. A cimentarsi con lui anche l’amministratore delegato dell’ospedale, il dottor Piccinini


Quel "mal di cuore" che inizia prima della nascita

L’Ambulatorio di Cardiologia Pediatrica si occupa della diagnosi (anche prenatale) e del trattamento delle cardiopatie congenite, difetti cardiaci che si formano in età fetale. Nella maggior parte dei casi sono “benigni o minori”

La Cardiologia del “Sacro Cuore Don Calabria”, diretta dal professor Enrico Barbieri, tra le sue attività comprende anche un ambulatorio di Cardiologia Pediatricatenuto due volte alla settimana dalla dottoressa Laura Lanzoni affiancata dalla dottoressa Lucia Albrigi (vedi foto dell’equipe). Si occupa della diagnosi, del trattamento e del follow up dei pazienti affetti da cardiopatie congenite dalla fase prenatale all’età adulta. Inoltre l’ambulatorio svolge attività di diagnosi per quanto riguarda i disturbi del ritmo cardiaco e dell’interessamento cardiovascolare nelle varie forme di malattie sistemiche (ad esempio coinvolgimento cardiaco da infezione reumatica o Sindrome di Kawasaki). In particolare sono e saranno sempre di più i pazienti cosiddetti GUCH (Grown Up Congenital Heart), un acronimo inglese che sta ad indicare i cardiopatici congeniti adulti, ossia i bambini nati con una cardiopatia congenita che hanno subito uno o più interventi cardiochirurgici e per questo necessitano di essere seguiti dal cardiologo pediatra. Ogni anno viene vista una media di mille pazienti.

 

E’ fondamentale diagnosticare, quando è possibile, le cardiopatie in età prenatale – sottolinea la dottoressa Lanzoni – poiché in questo modo possiamo prenderci cura del benessere psico-fisico della mamma nel restante tempo della gravidanza, ma soprattutto della salute del bambino al momento della nascita, assicurando un parto in un centro che abbia tutte le caratteristiche per trattare queste patologie, in primo luogo la Cardiochirurgia.

 

L’esame d’eccellenza per la diagnosi prenatale della cardiopatie è l‘ecocardiogramma fetale, che viene effettuato anche a Negrar. Viene eseguito dalla 17ma alla 22ma settimana di gestazione ed è indicato qualora ci sia un sospetto clinico da parte del ginecologo curante o se in famiglia sono presenti casi di cardiopatie congenite. “L’origine di queste patologie è complessa ed eterogenea, non ancora completamente conosciuta – rileva la cardiologa -. Esiste una certa familiarità (2,5-4%) e ad esempio vi sono delle patologie cardiologiche associate ad anomalie cromosomiche: nella metà dei nati con sindrome di Down può manifestarsi una cardiopatia”.

 

Le cardiopatie hanno una bassa incidenza sulla popolazione: l’8% ogni mille bambini nati. Il 30-40% di questi sono asintomatici alla nascita. “Non sono grossi numeri – sottolinea la dottoressa Lanzoni – ma sono assolutamente importanti per il neonato e per la sua qualità di vita”. Ogni cardiopatia è un caso a sé. Alcune (quelle che impediscono al bambino di respirare da solo) necessitano di un intervento cardiochirurgico alla nascita o poco tempo dopo. Per altri difetti cardiaci si preferisce attendere che il neonato abbia raggiunto un certo peso prima di intervenire. A volte un solo intervento non basta, mentre in altri casi si procede con metodiche percutanee quando il bambino è già cresciuto. La maggior parte delle cardiopatie sono però patologie “benigne o minori” che devono solo essere controllate nel tempo. Esame fondamentale per la diagnosi è l’ecocardiografia sia bi che tridimensionale ma in alcuni casi è necessaria l’integrazione con altre metodiche come ad esempio la TAC cuore.

 

L’ambulatorio di Cardiologia Pediatrica di Negrar nel corso degli anni ha sviluppato un particolare interesse nell’ambito delle problematiche aritmiche grazie alla collaborazione dell’elettrofisiologo, dottor Alessandro Costa. Infatti, con la collaborazione del reparto di Pediatria e Anestesia, si possono effettuare studi invasivi diagnostici ma anche terapeutici come ad esempio ablazione della vie anomale. Vengono anche effettuati impianti sottocute di loop recorder, dispositivi in grado di monitorare fino a tre anni il ritmo cardiaco. “Anomalie elettriche del cuore possono essere asintomatiche – sottolinea la cardiologa – ma possono manifestarsi in maniera improvvisa con aritmie rischiose per la vita”.

 

Un bambino affetto da cardiopatia o che ha subito un intervento cardiochirurgico per queste patologie può svolgere una vita come gli altri suoi coetanei? “Sicuramente – conclude la dottoressa Lanzoni – se però intendiamo con il termine vita normale andare a scuola, giocare e se sono bambine diventare mamme in età adulta. Possono fare anche sport, ma l’attività agonistica va valutata attentamente nei singoli casi”.

elena.zuppini@sacrocuore.it

* L’equipe dell’ambulatorio di Cardiologia Pediatrica, con il personale infermieristico. Nella foto sono presenti da sinistra: la dottoressa Lucia Albrigi, il professor Enrico Barbieri, la dottoressa Laura Lanzoni e il dottor Alessandro Costa.


Da Negrar a Pyeongchang per assistere gli atleti azzurri alle olimpiadi

Il dottor Filippo Balestreri, in forza al Servizio di Medicina dello Sport del Sacro Cuore, è responsabile medico delle nazionali di sci nordico e pattinaggio di velocità. I “suoi” atleti in Corea, tra cui Arianna Fontana, hanno conquistato sette medaglie

Sulle dieci medaglie portate a casa dagli atleti azzurri alle recenti olimpiadi invernali di Pyeongchang, in 7 c’è anche il suo contributo. Si tratta del dottor Filippo Balestreri, in forza al Servizio di Medicina dello Sport del Sacro Cuore (diretto dal dott. Roberto Filippini), che da alcuni anni è anche il responsabile medico delle nazionali di sci nordico e di pattinaggio veloce su ghiaccio in pista lunga e corta (short track). In questa veste il dottor Balestreri ha accompagnato la spedizione azzurra in Corea del Sud, partecipando così alla sua terza olimpiade dopo Torino 2006 e Vancouver 2010.

 

Tra gli atleti seguiti da lui e dal suo gruppo di lavoro ci sono la portabandiera azzurra Arianna Fontana, vincitrice di un oro, un argento e un bronzo in pista corta, e il fondista Federico Pellegrino che ha conquistato l’argento nella gara sprint (vedi foto 1). E poi Nicola Tumolero (vedi foto 2), clamoroso bronzo nel pattinaggio su pista lunga, e gli atleti del biathlon che hanno portato altre due medaglie di bronzo.

 

“È stata una spedizione molto positiva e all’altezza delle aspettative, anche se alcune medaglie sono arrivate in modo inaspettato e altre invece sono sfumate per un soffio” dice il medico da poco rientrato da Pyeongchang, dove per tutto il tempo della competizione ha “vegliato” sulla salute dei suoi atleti.

 

Dottor Balestreri, in cosa consiste il suo lavoro al seguito della nazionale?

Nel 2003 ho cominciato da solo l’attività medica con le Federazioni. Nel tempo e con l’aiuto dei colleghi Carlo Segattini ed Eugenio Vecchini abbiamo costruito questo gruppo di lavoro che oggi conta sette componenti, tutti veronesi. Seguiamo gli atleti durante tutto l’anno. Li vediamo periodicamente nei ritiri e poi siamo con loro durante le competizioni da dicembre a marzo. Il nostro obiettivo è quello in primis di tutelare la salute e consentire l’espressione piena delle potenzialità degli atleti attraverso prevenzione e cura, partendo dall’alimentazione per finire con la traumatologia e la riabilitazione.

 

Quanti medici del suo gruppo sono venuti in Corea?

A Pyeongchang eravamo quattro medici: altre a me c’erano i colleghi Carlo Segattini, Gianmario Micheloni e Paolo Cannas. Eugenio Vecchini, Francesco Perusi e Francesco Zamboni son rimasti in Italia per l’assistenza agli atleti che non hanno partecipato ai Giochi.

 

Com’è stata l’esperienza olimpica?

Dal punto di vista sanitario direi ottima. Questi atleti si preparano per anni alla competizione olimpica ed essere in piena salute durante l’evento è fondamentale per non sprecare tutto il lavoro fatto. Per questo non sono ammesse leggerezze. A parte due infortuni incorsi a Tumolero in seguito a una caduta nel pattinaggio di velocità e a Bresadola che si è ferito al braccio nella specialità del salto con gli sci, non ci sono stati altri problemi sanitari degni di nota.

 

E dal punto di vista sportivo?

In questo evento ho visto degli impianti davvero fantastici e un’ottima organizzazione. Semmai il problema era il meteo proibitivo con tanto vento e freddo. Ma diciamo che i risultati dei nostri ragazzi ci hanno “riscaldato”.

 

A proposito di risultati, tra i suoi atleti c’è una delle regine di queste olimpiade, cioè Arianna Fontana…

Sono 2-3 anni che seguo direttamente lo short track. Devo dire che Arianna è una vera e propria macchina da guerra. Ha un fisico eccezionale e una grande forza di volontà. D’altra parte non si può stare al vertice per così tanto tempo senza queste capacità. E anche le sue compagne sono state grandi nella staffetta.

 

Anche il fondista Pellegrino ha fatto una grande prestazione.

Conosco Federico fin da ragazzo. E’ un fenomeno, un piccolo computer. Sia lui che la Fontana sono dei grandi professionisti capaci di focalizzarsi sui loro obiettivi e sui grandi appuntamenti. Ma in questa spedizione anche il biathlon e il pattinaggio in pista lunga hanno dato belle soddisfazioni.

 

Oltre a Pyeongchang, lei ha seguito gli atleti anche alle olimpiadi di Torino e Vancouver. Quali sono i suoi ricordi più belli di queste esperienze?

A livello sportivo indubbiamente ricordo l’esplosione del pattinaggio in pista lunga a Torino, con Enrico Fabris e con la staffetta che raggiunsero risultati incredibili e inaspettati. Ma ci sarebbero tante altre storie da raccontare. Anche l’impresa di Pietro Piller Cottrer che vinse l’argento nei 15 km di fondo a Vancouver fu entusiasmante. Ma al di là dei risultati, ad un’olimpiade si vive un clima particolare e bellissimo. Per gli atleti stessi è l’unica occasione di stare insieme anche tra discipline diverse: vedersi in mensa, farsi il tifo a vicenda, guardare le gare sulle televisioni sparse per tutto il villaggio. Sono momenti indimenticabili.

 

matteo.cavejari@sacrocuore.it


La colonscopia: un esame importante di cui non avere paura

In un video il dottor Marco Benini, responsabile del Servizio di Endoscopia digestiva, spiega come si svolge la colonscopia, perché è importante farla per prevenire il tumore al colon-retto e perché non averne timore

La colonscopia è uno degli esami che suscitano più timori in chi deve sottoporvisi. Si teme la preparazione, fondamentale perché l’indagine sia accurata e meno fastidiosa possibile. E si teme che possa essere doloroso.

 

Il dottor Marco Benini, responsabile del Servizio di Endoscopia digestiva del “Sacro Cuore Don Calabria”, spiega in un video come in realtà si tratta di un’indagine che comporta limitati o inesistenti disagi all’utente. Oggi sono in commercio soluzioni per la preparazione a basso volume e l’esame viene eseguito in sedazione (vedi video).

 

Il dottor Benini spiega soprattutto l’importanza di questa metodica per la prevenzione e la diagnosi precoce del tumore al colon-retto. Infatti consente di esplorare in estrema sicurezza il grosso intestino, cioè il cieco, tutto il colon, il sigma e il retto attraverso lo sfintere anale.

Grazie a un tubo flessibile e molto sottile dotato di telecamera all’estremità vengono rilevate eventuali anomalie della parete o polipi che potrebbero evolversi in tumore, esportandoli anche se hanno delle discrete dimensioni.

 

Con 53mila nuove diagnosi di tumore al colon retto stimate nel 2017 in Italia (dati AIOM-AIRTUM), il tumore al colon-retto è il secondo tumore più frequente sia negli uomini sia nelle donne, dopo rispettivamente il cancro alla prostata e alla mammella. L’evolversi delle terapie mediche e chirurgiche ha portato la sopravvivenza a 5 anni al 66% per il cancro al colon e al 62% per il retto, garantendo una buona qualità di vita.

E’ raccomadabile effettuare la colonscopia ogni 5 anni a partire da 50/55 anni, prima se ci sono casi in famiglia di tumore al colon-retto o altri fattori di rischio o comportamenti anomali dell’intestino. In Italia è attivo un programma di screening indirizzato agli uomini e alle donne dai 50 ai 69 anni di età ed è costituito da un test di ricerca del sangue occulto nelle feci con ripetizione regolare ogni due anni. In caso di positività del test, il livello successivo di diagnosi è la colonscopia.

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Febbraio 1946 nasce ufficialmente l'ospedale "Sacro Cuore"

Il 12 febbraio di 72 anni fa, il prefetto di Verona Giovanni Uberti emana un decreto: grazie all’intensificarsi dell’attività sanitaria la Casa Sacro Cuore da ospizio diventa giuridicamente un ospedale

Da pochi giorni l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria ha compiuto 72 anni. Almeno sul piano giuridico, perché il 12 febbraio del 1946 la Casa Sacro Cuore otteneva il riconoscimento come ospedale “a seguito di una visita di sopralluogo da parte del medico provinciale”, come riporta Mario Gecchele, nel libro L’ospedale Sacro Cuore di Negrar (1922-1954), in Storia dell’Opera Don Calabria, volume II/3, 2011 di cui riportiamo ampi stralci (vedi foto degli anni Quaranta).

 

Scrive Gecchele: “…nello stesso anno iniziavano i lavori di profonda trasformazione edilizia, di consolidamento, di ammodernamento e di ingrandimento, che in pochi anni cambiarono il volto al Sacro Cuore aggiungendo soprattutto il grandioso Geriatrico, dedicato a San Giovanni Calabria.

 

Prefetto di Verona era il senatore Giovanni Uberti, ‘carissimo amico’ dell’Istituto Buoni Fanciulli. La direzione dell’ospedale, per ottenere il sospirato, e più volte negato a don Sempreboni (il parroco di Negrar fondatore del Casa di riposo Sacro Cuore, ndr), riconoscimento civile, nella relazione che accompagnava la domanda sottolineava la distanza dell’ospedale di Bussolengo (12 km) senza alcun collegamento, e da quello di Verona (13 Km) con collegamenti inefficienti e faceva presente il lavoro di ammodernamento che aveva visto aumentare il numero di ricoverati ‘da una trentina ad un centinaio’ con direttore il dottor Consolaro e primario chirurgico il dottor Zanuso, con l’aiuto del dottor Clementi per pediatria e il dottor Salgari per radiologia.

 

Nella domanda inoltrata nell’ottobre del 1945, dopo una breve cronistoria dell’ospedale, nella quale si ricordava che già altre volte erano state inoltrate le pratiche per il riconoscimento ed effettuati gli emendamenti suggeriti, si precisava che l’ospedale aveva lo scopo di ‘soddisfare i desideri e i bisogni della popolazione del capoluogo e della zona montana’, data la difficoltà di raggiungere altri ospedali come quello di Bussolengo e di Verona, per la scarsezza e la lentezza dei mezzi di comunicazione.

 

Di fronte alla dichiarazione dell’intensa attività sanitaria dell’ospedale (‘dal 1 Maggio 1944 al 20 Gennaio 1946 abbiamo avuto N. 22.680 presenze giornaliere con una media di N.36 presenze’, con posti letto totali di 55), il prefetto, dopo aver incaricato il medico provinciale di verificare sul posto la situazione, in data 12 febbraio 1946 emanava il decreto con cui ‘l’Ospedale S. Cuore di Negrar è classificato alla terza categoria prevista dall’art. 6 del R.D. 30 Settembre 1938 N. 1631′”.


Maculopatie: gli esami per la diagnosi precoce

Sono patologie a carico della parte centrale della retina che comportano un calo vistoso della vista fino alla cecità. Nel video allegato le strumentazioni tecnologicamente avanzate a disposizione dell’Oculistica di Negrar per la diagnosi e il follow up

Con il termine maculopatie s’intendono tutte le patologie che colpiscono la macula, la piccola porzione della retina (ampia 1,5-2 mm.) che serve alla visione distinta centrale dell’occhio, grazie alla quale noi possiamo “mettere a fuoco” i particolari di un oggetto o anche leggere.

Chi ne è colpito ha una visione dell’immagine distorta (come se vedesse attraverso l’acqua o un vetro smerigliato) e frammentata, tanto che per vedere la parte mancante è costretto a continui movimenti dell’occhio.

Inoltre può verificarsi, per esempio nelle maculopatie degenerative dell’anziano (ne soffre una persona su 20 con età superiore ai 70 anni), un calo della vista che se importante può rendere molto difficoltoso il recupero dell’acuità visiva o la sua stabilizzazione anche con le nuove terapie a disposizione. La maculopatia degenerativa rappresenta la maggior causa di cecità nel mondo occidentale per quanto riguarda la popolazione anziana.

Nel video allegato, il dottor Alessandro Alfano – medico oftalmologo – presenta la strumentazione tecnologicamente avanzata per la diagnosi e il follow up della patologia retinica di cui è dotata l’Oculistica del “Sacro Cuore Don Calabria” diretta dalla dottoressa Grazia Pertile. Come per esempio OTC (Topografia Ottica a luce Coerente) o le particolari “macchine fotografiche” per la video angiografia oculare con fluoresceina o verde di indocina


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Anestesia e analgesia in Ostetricia: cosa sono e quando vengono effettuate

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Sono procedure mediche differenti con obiettivi diversi. Ce lo spiega il dottor Leonardo Bianciardi, anestesista del “Sacro Cuore Don Calabria”, promotore di due giornate di formazione sul tema rivolte agli operatori sanitari

L’anestesia è una procedura medica che suscita nel paziente sempre una certa preoccupazione, ma ancora di più nelle donne partorienti che temono anche per la salute del bambino. “In ostetricia il nostro intervento interessa contemporaneamente due persone, la donna e il bambino. Ma i rischi connessi a questa pratica anestesiologica possono essere ridotti al massimo quando si possiede il quadro completo della storia clinica della donna e della sua gravidanza”, spiega il dottor Leonardo Bianciardi, anestesista del Dipartimento di Anestesia e Rianimazione del “Sacro Cuore Don Calabria”, diretto dal dottor Luigi Giacopuzzi.

 

Dipartimento che proprio sull’anestesia in Ostetricia ha promosso due giornate formative, la prima delle quali si è svolta il 27 gennaio all’ospedale di Negrar con notevole successo di partecipazione. La seconda, dedicata soprattutto a casi specifici di emergenza e urgenza, si terrà sabato 24 febbraio sempre nella sala convegni “Fr. Perez”. Folto il numero dei relatori, provenienti da molte realtà ospedaliere italiane (vedi programma allegato).

 

Dottor Bianciardi, quando si interviene con l’anestesia in ostetricia?

Si parla di anestesia (abolizione della sensibilità, della coscienza e del dolore, associato a rilassamento muscolare) in ostetricia quando si deve effettuare un intervento chirurgico come il taglio cesareo programmato o in urgenzaoppure interventi chirurgici non ostetrici (per esempio appendicite acuta) in donna gravida. L’anestesia può essere loco-regionale o generale. Cosa diversa è l’analgesia (abolizione del dolore) o meglio la parto-analgesia, che viene effettuata quando si desidera ridurre o abolire il dolore durante il travaglio del parto.

 

Cosa determina la scelta tra l’anestesia loco-regionale o l’anestesia generale?

La scelta del tipo di anestesia è legata al tipo di intervento chirurgico da eseguire; per gli interventi di taglio cesareo è dimostrato che l’anestesia loco-regionale è la metodica più sicura per la mamma e il feto; inoltre con tale tipo di anestesia è possibile per la mamma effettuare il cosiddetto pelle-a-pelle immediatamente dopo la nascita Tuttavia, ci sono eccezioni per le quali è necessario eseguire l’anestesia generale.

 

Quali?

Le eccezioni sono legate al tipo di urgenza del parto cesareo, al rifiuto della donna o alla presenza di patologie che controindicano l’utilizzo dell’anestesia loco-regionale.

 

L’anestesia in generale suscita molti timori, ma in particolare in una donna che deve subire un parto cesareo…

E’ una paura comprensibile e un certo livello di stress è inevitabile. Ma l’anestesia in ostetricia non deve far paura. A condizione, però, che si conosca la storia medica della paziente e della sua gravidanza e che la stessa paziente sia completamente informata della metodica anestesiologica scelta.

 

Prima dell’anestesia vengono effettuati particolari esami?

Considerata l’età delle partorienti, in generale vengono eseguiti solamente alcuni esami ematochimici (emocromo, INR/PTT, fibrinogeno).

 

Quali sono le differenze tra l’anestesia e la parto-analgesia?

La parto-analgesia è la tecnica più efficace per ridurre o togliere il dolore del travaglio del partoNon è un’anestesia, perché la donna può muoversi liberamente e assumere la posizione che più gradisce durante il travaglio. Questo è possibile perché i farmaci utilizzati vengono somministrati in dosi molto inferiori rispetto a quelle impiegate per l’anestesia e in relazione allo stato del travaglio. Ci aiuta in questo anche quanto ci riferisce la donna dopo somministrazione, cioè se il dolore persiste, se si è attenuato o se è scomparso.

 

Come viene somministrata la parto-analgesia?

Nella gran parte dei casi si utilizza l’analgesia peridurale, che prevede la somministrazione dei farmaci attraverso un tubicino (catetere) che viene inserito tramite un ago sottile nello spazio peridurale nella zona lombare. I farmaci possono essere somministrati in infusione continua oppure – ed è la soluzione più efficace – a boli programmati. Quando invece il travaglio è molto avanzato e la donna ha raggiunto una dilatazione completa, si può procedere con l’analgesia subaracnoidea o “one shot”. Si tratta di una singola iniezione (sempre nella zona lombare) che consente alla donna di non provare dolore nel poco tempo che la separa dalla nascita del suo bambino.

 

Tutte le donne possono usufruire della parto-analgesia?

Tutte le donne possono farne richiesta. Al “Sacro Cuore Don Calabria” il Servizio è attivo dal 2005 e assicura l’analgesia epidurale gratuita 24 ore su 24 per tutti i giorni dell’anno. Nell’ambito del programma di assistenza alla gravidanza, il tema del controllo del dolore in travaglio di parto verrà affrontato in appositi incontri, nei quali un anestesista fornirà tutte le informazioni riguardanti l’analgesia epidurale. Sono incontri che consentono sia di illustrare in modo esauriente la tecnica, sia di rispondere alle varie domande, chiarendo eventuali dubbi, spiegare in modo chiaro i vantaggi, le indicazioni ma anche i rischi, le controindicazioni e le potenziali complicanze.

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