Morbo di Crohn e Colite Ulcerosa: i pazienti si incontrano al "Sacro Cuore"

Sabato 13 maggio l’incontro primaverile dell’Associazione AMICI in collaborazione con il Centro multispecialistico per le Malattie retto-intestinali di Negrar

In prossimità della Giornata mondiale delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI), che si celebra il 19 maggio, il “Sacro Cuore Don Calabria” (Sala Perez) ospita il tradizionale incontro primaverile dedicato ai pazienti affetti da queste patologie.

L’appuntamento è in programma sabato 13 maggio, con inizio alle 9.30, ed è promosso dall’associazione A.M.I.C.I in collaborazione con i medici del Centro multispecialistico Malattie retto-intestinali dell’ospedale di Negrar, di cui è responsabile il dottor Andrea Geccherle. Saranno presenti anche il presidente nazionale dell’Associazione, Salvo Leone, e la responsabile provinciale, Nadia Lippa.

Durante la mattinata si parlerà di diritto alle cure in un momento di difficoltà economica del Servizio sanitario nazionale, con l’intervento del dottor Fabrizio Nicolis, direttore sanitario dell’ospedale di Negrar. Ma anche dell’importanza di una corretta alimentazione e dell’attività fisica per i pazienti affetti dal morbo di Crohn o dalla Colite ulcerosa. Interverranno in proposito le dottoresse Manuela Fortuna ed Emanuela Capoferro sempre del “Sacro Cuore Don Calabria”,


Psicologi a confronto sull'accoglienza del dolore

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Accogliere il dolore altrui destabilizza anche coloro che svolgono una professione di aiuto. Una risorsa arriva dalla “fusione” di due modelli della psicologia cognitivo-comportamentale come spiegherà l’esperto Martin Brock al “Sacro Cuore”

La perdita e il lutto sono esperienze destabilizzanti non solo per coloro che le vivono, ma anche per chi svolge una professione di aiuto, come gli psicologi e gli psicoterapeuti.

Immergersi in un’esperienza di dolore risveglia paure comuni a tutti gli esseri umani, che possono essere sottoposti alla tentazione di allontanarle, ergendo barriere emotive, quando invece è fondamentale per accogliere la sofferenza altrui accettare i propri “demoni”.

Di perdita e lutto dalla prospettiva degli psicologi e psicoterapeuti si parlerà venerdì 12 maggio in un workshop esperenziale promosso all’ospedale di Negrar dal Servizio di Psicologia clinicadel “Sacro Cuore Don Calabria”, diretto dal dottor Giuseppe Deledda (in allegato il programma).

Per la prima volta in Italia vengono proposti come complementari due modelli terapeutici della Psicologia cognitivo-comportamentale: l’ACT (Acceptance and Commitment Therapy) e e l’CFT (Compassion Focused Therapy) grazie alla presenza come relatore del dottor Martin Brock, dell’Università di Derby (Inghilterra).

Con più di 40 anni di esperienza clinica, Broke è docente del Post-Laurea Compassion Focused Therapy e del Master in psicoterapia cognitivo comportamentale. La giornata formativa alternerà momenti teorici ad esercizi esperienziali. Interverrà oltre al dottor Deledda, presidente del Gruppo di interesse speciale “ACT for Health”per ACT Italia e Association for Contextual Behavioral Science (ACBS), anche la dottoressa Lisa Rabitti, che si occupa di cure palliative presso l’Auls Reggio Emilia e di ricerca presso l’Unità di Psico-oncologia dell’IRCCS Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia.

“L’approccio cognitivo-comportamentale ACT – spiega il dottor Deledda, coordinatore veneto della Società italiana di Psico-Oncologia – è basato sull’incremento della flessibilità psicologica, partendo da un atteggiamento di accettazione e sulla messa in atto di comportamenti coerenti con i propri (e del paziente) obiettivi e valori. Tale metodo – sottolinea lo psicologo – si è mostrato efficace per la gestione della relazione con il paziente e per fornire risposte coerenti con la domanda del paziente e in sintonia con gli obiettivi di cura. Inoltre l’approccio ACT è applicato con buoni risultati per la prevenzione del burn-out degli operatori che lavorano in ambito sanitario”.

All’interno del modello della Terapia Focalizzata sulla Compassione CFT, le condizioni per il cambiamento non possono prescindere da una sensibilità verso la propria sofferenza e quella degli altri, accettandola senza averne paura e senza respingerla. “All’interno dei modelli dell’ACT e del CFT – conclude Deledda – il dolore viene visto come esperienza umana universale che, se da un lato rappresenta una sfida emotiva, dall’altro offre l’opportunità di familiarizzare con le proprie emozioni difficili, a servizio di ciò che si considera importante nella propria vita”.


Gli esami che "fotografano" la malattia di Alzheimer

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La diagnosi precoce è un fattore determinante per l’efficacia delle terapie che rallentano il decorso di questa malattia: il ruolo della Radiologia e della Medicina Nucleare in un convegno al “Sacro Cuore” venerdì 12 maggio

Oggi circa 50milioni di persone nel mondo soffrono di demenza (un milione in Italia, 600mila sono colpiti da Alzheimer), un numero che è destinato a salire con l’invecchiamento della popolazione. Si stima che nel 2015 le persone ammalate saranno 131 milioni, con un aggravio sulla qualità di vita delle famiglie, della spesa sanitaria e sociale.

Nonostante l’importante impegno della ricerca internazionale, ad oggi non esistono terapie farmacologiche che possano guarire la malattia di Alzheimer, la forma più diffusa di demenza.

I pochi farmaci disponibili – in particolare gli inibitori dell’acetilcolinesterasi che hanno lo scopo di mantenere la disponibilità di acetilcolina, un neurotrasmettitore che invia messaggi da una cellula all’altra – rallentano solamente la progressione della malattia. Come del resto la terapia comportamentale che ha l’obiettivo di conservare le abilità residue del paziente. Entrambe le “cure” sono efficaci nella misura in cui vengano intraprese all’esordio della patologia.

Da qui l’importanza di una diagnosi precoce a cui contribuiscono le nuove tecniche radiologiche e la Medicina Nucleare.

Di “Decadimento cognitivo: aspetti clinici e radiologici” si parlerà venerdì 12 maggio nella sala “Fr. Perez” del “Sacro Cuore Don Calabria” in un convegno (in allegato il programmapromosso dal dottori Giovanni Carbognin e Alberto Beltramello, rispettivamente direttore del Servizio di Radiologia e consulente scientifico di Neuroradiologia dell’ospedale di Negrar (nella foto)

L’incontro, che ha inizio alle 14.30, vedrà una prima parte sull’aspetto clinico della malattia che sarà trattato da geriatri, neurologi e psicologi. Mentre la seconda parte sarà dedicata alle metodiche di diagnosi strumentale e conclusa dal professor Giovanni Frisoni, dell’Università di Ginevra, uno dei maggiori esperti mondiali sulla malattia di Alzheimer.

“Il compito della diagnostica per immagini è innanzitutto quello di escludere patologie trattabili – spiega il dottor Carbognin -. Gli stessi sintomi dell’Alzheimer (perdita di memoria, disorientamento spazio-temporale, difficoltà di linguaggio…) possono essere causati per esempio da neoplasie cerebrali o da ematomi subdurali dovuti anche a piccoli traumi. Ma anche da carenza di vitamina B12 o di acido folico, segnalata dagli esami di laboratorio che vengono prescritti in genere dalle Unità di Valutazione Alzheimer quando si presentano pazienti con sintomi che potrebbero essere ricondotti alla malattia”.

La diagnosi radiologica dell’Alzheimer – prosegue il dottor Beltramello – viene effettuata con la Tac e soprattutto con la Risonanza Magnetica per indagare tutto l’encefalo, ma in particolare per verificare l’esistenza di atrofia dell’Ippocampo, quella parte del cervello situata nel lobo temporale che ha un ruolo importante nella memoria a lungo termine e nelle funzioni cognitive. Atrofia causata dalla deposizione sui neuroni della proteina beta-amiloide, considerata ad oggi la responsabile della morte dei neuroni e quindi della demenza“.

Un apporto importante per la diagnosi precoce viene dato dalla Medicina Nucleare, come spiegherà il dottor Matteo Salgarello, direttore del Servizio a Negrar. “Con la Pet si può studiare non solo il metabolismo neuronale nell’area temporo-parietale, ma grazie a nuovi radiofarmaci oggi siamo in grado di rilevare i depositi di beta-amiloide al loro esordio e di conseguenza di intervenire con le terapie disponibili per rallentare la malattia”, conclude il dottor Beltramello.


Anziani e carenze alimentari: un problema da gestire

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Si svolge mercoledì 10 maggio al “Sacro Cuore” il convegno intitolato “La gestione della malnutrizione nel paziente anziano”. L’organizzazione è a cura del network geriatrico veronese con il patrocinio dell’Health Aging Center dell’Università scaligera

Ridotta autonomia nei movimenti, problemi di masticazione, patologie croniche, malesseri intestinali, decadimento cognitivo; ma anche difficoltà di deglutizione, riduzione delle abilità sensoriali, depressione… sono davvero tante le situazioni che possono influire negativamente sulla corretta alimentazione di una persona anziana. La conseguenza è che nella terza età si riscontra con maggior frequenza il problema della malnutrizione per difetto, cioè molti anziani hanno delle carenze alimentari che si riflettono sul loro stato di salute e sulla loro capacità di rispondere ai percorsi di cura e recupero in caso di malattia.

 

Proprio la gestione della malnutrizione nel paziente anziano sarà al centro di un convegno in programma mercoledì 10 maggio al Centro di Formazione dell’ospedale Sacro Cuore-Don Calabria. In particolare si parlerà di valutazione dello stato nutrizionale dell’anziano e di linee guida da seguire per intervenire su questo problema che se non trattato rischia di avere pesanti ripercussioni sulla qualità della vita del paziente e anche sulla qualità delle cure che gli sono fornite. L’appuntamento è promosso dal Network Geriatrico Veronese, con il patrocinio dell’Healthy Aging Center, ovvero il centro di ricerca e cura dell’invecchiamento in salute dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata e dell’Università di Verona, diretto dal prof. Mauro Zamboni (vedi programma).

 

E’ fondamentale che ogni struttura geriatrica sia in grado di fare una corretta valutazione dello stato nutrizionale dei propri pazienti in modo da intervenire tempestivamente sulle eventuali carenze e limitare così ulteriori complicanze – spiega la dottoressa Emanuela Turcato, responsabile della Geriatria del Sacro Cuore e componente del Network Geriatrico Veronese – per questo motivo è importante promuovere momenti di confronto tra le strutture e tra i professionisti chiamati a prendersi carico di questi pazienti”.

 

L’incontro del 10 maggio è un vero e proprio corso itinerante che si rivolge a medici, infermieri e dietisti. Una prima edizione si è già tenuta in aprile presso l’Azienda ospedaliera di Verona, mentre altre repliche saranno fatte nei prossimi mesi nei vari ospedali della provincia veronese.


Lo sport fa bene anche per patologie croniche e degenerative

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Parte un ciclo di incontri organizzati dal Servizio di Medicina dello sport e dedicati al tema dell’attività fisica in presenza di malattie come diabete, ipertensione e molte altre. Primo appuntamento l’8 maggio al Centro Polifunzionale Don Calabria

L’attività fisica fa bene e aiuta a prevenire svariati tipi di patologie, questo ormai è risaputo. Ma cosa fare se la malattia c’è già, e magari si tratta di una patologia cronica e/o degenerativa come il diabete, l’ipertensione e così via? “Di sicuro la presenza di una malattia di questo tipo non deve scoraggiare chi vuole intraprendere un’attività sportiva, sia a livello agonistico che non”, risponde il dottor Roberto Filippini (nella foto di Renzo Udali), responsabile del Servizio di Medicina dello Sport all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria.

 

“Il problema semmai è un altro – prosegue Filippini – ovvero: come fare per capire fino a che punto ci si può spingere con l’attività fisica in relazione alla malattia? Per rispondere a questa domanda di solito ci si rivolge allo specialista esperto nella patologia in questione. Questo è sicuramente corretto ma non sufficiente. Infatti per programmare un’attività fisica adeguata è opportuno integrare il parere dello specialista con quello del medico dello sport. Ed è altrettanto importante che queste due figure professionali siano in rete tra loro“.

 

Di sport in presenza di malattie si parlerà a partire da lunedì 8 maggio in un ciclo di incontri presso il Centro Polifunzionale Don Calabria di via San Marco a Verona, organizzati dalla Medicina dello Sport del “Sacro Cuore” in collaborazione con l’associazione Medici Sportivi scaligera. Si tratta di incontri formativi rivolti iai medici dello sport, ai medici di base e agli specialisti delle patologie che verranno di volta in volta trattate.

 

Il primo appuntamento, in programma appunto l’8 maggio, è dedicato a patologie renali e sport. Il secondo, in programma il 5 giugno, approfondirà il tema delle patologie endocrinologiche. Dopo la pausa estiva gli incontri riprenderanno a ottobre con focus su patologie neurochirurgiche, diabete, sindromi aritmiche e infine ipertensione. Tutti gli incontri iniziano alle ore 20 (vedi programma).

 

“Ogni serata prevede l’intervento di un esperto che illustra le problematiche specifiche delle patologie trattate, seguito da un dibattito e dalla presentazione di casi clinici – dice il dottor Filippini, che è anche presidente dei Medici Sportivi veronesi – L’obiettivo è di offrire indicazioni ai medici sulla linea da seguire per il rilascio dell’idoneità medico-sportiva, agonistica e non, per i pazienti affetti dalle malattie trattate, con particolare attenzione alle linee guida nazionali e internazionali”.

 

Il Centro di Medicina e Traumatologia dello Sport dell’ospedale Sacro Cuore – Don Calabria si trova a Verona, in via San Marco 121. Si tratta di una struttura in grado di offrire un servizio integrale non solo all’atleta professionista ma anche alle società, alle associazioni sportive e ai singoli che operano nei settori amatoriale e dilettantistico. Nel corso del 2016 il Centro ha erogato 18.524 prestazioni di Medicina dello Sport, rilasciando oltre diecimila certificati di idoneità sportiva agonistica e più di duemila certificati di buona salute destinati all’attività sportiva non agonistica, in gran parte per bambini. Tra i servizi offerti, oltre alle certificazioni, ci sono gli accertamenti cardiologici di primo e secondo livello, valutazioni funzionali generali e specifiche dell’atleta, ambulatorio di traumatologia sportiva con servizio di riabilitazione ortopedica.


A Negrar il Festival della prevenzione e dell'innovazione oncologica

Dal 7 al 10 maggio l’evento promosso dagli Oncologi italiani: di fronte all’ingresso di Casa Perez stazionerà un motorhome punto di raccolta di molte iniziative e dove alcuni oncologi saranno a disposizione della popolazione

Arriva questa domenica a Negrar, in provincia di Verona, la tredicesima tappa del primo “Festival itinerante della prevenzione e dell’innovazione oncologica”, l’evento dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), che riunisce circa 3mila oncologi di tutta Italia e di cui è presidente eletto la dottoressa Stefania Gori(nella foto), direttore dell’Oncologia Medica dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria-Cancer Care Center.

Un’iniziativa itinerante partita da Reggio Emilia lo scorso dicembre e che interessa 16 città italiane (Negrar è la sola tappa in Veneto insieme a Vicenza) con l’obiettivo di presentare ai cittadini “il nuovo corso dell’oncologia”, fatto di prevenzione primaria (corretti stili di vita), screening (fondamentali per individuare i tumori in fase precoce) e armi innovative contro il cancro, come l’immuno-oncologia e le terapia a bersaglio mobile.

“La conoscenza delle caratteristiche immunobiologiche delle cellule tumorali consente di scegliere per ogni paziente la terapia medica più efficace per la sua malattia – sottolinea la dottoressa Gori -. Oggi abbiamo a disposizione oltre alla chemioterapia, anche l’ormonoterapia, i farmaci a bersaglio molecolare e l’immunoterapia”.

Una rivoluzione quest’ultima nel campo delle cure che ha aperto scenari impensabili fino a poco tempo fa. Forme tumorali metastatiche ora possono essere affrontate con successo, non solo per quanto riguarda il melanoma, ma anche per il cancro del polmone, del rene e ci sono buone prospettive per le neoplasie testa collo, vescica…

Grazie alla diagnosi precoce, all’evolversi della chirurgia oncologica, della Radioterapia e alle nuove armi farmacologiche il 60% dei pazienti sconfigge la malattia – sottolinea l’oncologa – percentuale che raggiunge il 70% nelle neoplasie più frequenti. Il messaggio che deve arrivare alla cittadinanza è che il tumore oggi è una patologia trattabile, non deve fare più paura“.

Dal pomeriggio di domenica 7 fino a mercoledì 10 maggio in via Ghedini, difronte all’entrata di Casa Perez, stazionerà un motorhome (un pullman) dove oltre ad essere disponibile materiale informativo, lunedì e martedì dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 18 e mercoledì dalle 10 alle 12 alcuni oncologi forniranno informazioni a tutti coloro che sono interessati alla propria salute.

Perché tutte le evidenze scientifiche dimostrano come l’attività fisica, una corretta alimentazione basata sulla dieta mediterranea, un consumo moderato di alcol e l’astenersi dal fumo siano alcuni pilastri fondamentali della prevenzione oncologica. Scienziati e ricercatori lo ripetono da tempo: 4 casi di tumore su 10 possono essere evitati seguendo uno stile di vita sano.

L’evento prevede inoltre molte iniziative in collaborazione con il Comune di Negrar distribuite nell’arco delle giornate del Festival.

Si inizia domenica alle 17.30 alla presenza dell’assessore alla Sanità della Regione Veneto, Luca Coletto, con l’animazione a cura delle associazioni “InVita un Sorriso” e “Essere clown”, mentre alle 18 il Corpo Bandistico Comunale di Negrar offrirà alla cittadinanza un concerto.

Lunedì dalle 10 alle 17.30 presso il motorhome sarà allestito uno stand informativo della Lega italiana per la lotta contro i tumori. Martedì 10 maggio passeggiata della salute in collaborazione con l’associazione Nordic Walking L’Officina ASD e descrizione del territorio a cura di Gerardo Richetti. La partenza è prevista al motorhome alle 18 in direzione di Villa Rizzardi e visita al giardino di Pojega.

In Italia nel 2016 sono stati stimati 365.800 nuovi casi di tumore (189.600 negli uomini e 176.200 nelle donne), in Veneto 31.400 (16.300 uomini e 15.100 donne). I tumori più frequenti nella Regione sono quelli del seno (4.400 casi stimati nel 2016), colon retto (4.400), polmone (3.300) prostata (2.900) e vescica (2.100).

“Considerando i casi di tumore diagnosticati nel biennio 2008-2009, la sopravvivenza in Veneto è del 60% nei maschi e del 65% nelle femmine – sottolinea il primario dell’Oncologia di Negrar -. Per quanto riguarda gli uomini, la sopravvivenza è passata dal 41% nel 1992-1995 al 51% nel 2008-2009, aumentando di 10 punti percentuali. Anche nelle donne l’incremento, pari a 9 punti percentuali, è risultato statisticamente significativo e ha portato le guarigioni dal 54% al 63%”. Le sedi a miglior prognosi sono testicolo (96%), prostata (96%) e tiroide (91%) nei maschi; tiroide (95%), linfoma di Hodgkin (93%), melanoma della cute (90%) e mammella (90%) nelle femmine.


"Il medico a casa tua" con gli esperti del "Sacro Cuore"

Ritornano su Telepace le trasmissioni di informazione medico-scientifica con i medici dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Sabato 6 maggio si parlerà della malattia di Alzheimer e delle terapie oggi disponibili per affrontare la patologia degenerativa

Ritorna da sabato 6 maggio “Il medico a casa tua”, il ciclo di trasmissioni di informazione medico-scientifica realizzato da Telepace in collaborazione con l’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria e condotte da Marina Zerman.

Le trasmissioni vanno in onda settimanalmente nella provincia di Verona e Roma il sabato alle 15. Le repliche: sabato alle 23.35, lunedì alle 15.25, mercoledì alle 18.30. Solo su Verona anche martedì alle 22 e mercoledì alle 11. Il programma è visibile in streaming in tutta Italia su www.telepaceverona.it e www.telepace.it.

Si inizia quindi sabato 6 maggio con l’intervista in studio del dottor Claudio Bianconi (nella foto con la giornalista Marina Zerman), direttore della Neurologia dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, che parlerà di “Alzheimer: una sfida per la medicina”. Il contribuito esterno vedrà invece la dottoressa Paola Poiese, psicologa e psicoterapeuta del Centro Decadimento Cognitivo, che illustrerà le terapie occupazionali per il mantenimento della capacità residue della persona affetta da Alzheimer.

Nelle puntate successive si parlerà della diagnosi e della terapia del tumore della prostata; delle malattie del sonno; della chirurgia senologica per le neoplasie del seno e di ricostruzione dopo l’intervento; delle patologie della tiroide e infine della riabilitazione dopo l’incidente anche con i nuovi dispositivi tecnologici. A seguire si parlerà di immigrazione e salute e in chiusura di endometriosi.

Ogni puntata sarà postata sulla pagina Facebook dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria.


L'igiene delle mani, il primo scudo contro i germi farmaco-resistenti

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Oggi si celebra la Giornata mondiale dell’igiene delle mani, un gesto apparentemente banale, ma che da solo può prevenire il 30% della infezioni legate all’assistenza ospedaliera

“Salva delle vite: cura l’igiene delle mani”. Con questo slogan l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) rilancia quest’anno, nella Giornata mondiale dell’igiene delle mani che si tiene il 5 maggio, la campagna di prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza sanitaria a cui aderisce anche l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria (in allegato il poster).

Secondo l’OMS, il lavaggio attento delle mani negli ospedali e nelle RSA, oltre ad essere un indicatore della qualità dell’assistenza, è uno scudo contro la diffusione delle infezioni ospedaliere e in particolare quelle dovute a germi resistenti agli antibiotici, quindi più difficili da curare.

Gli esperti dell’OMS ricordano che sono 5 i momenti fondamentali nell’assistenza al paziente in cui è necessaria un’igiene delle mani molto attenta: prima di toccare il paziente; prima di iniziare qualsiasi procedura; dopo aver toccato sacche o altri contenitori contaminati dai fluidi corporei; dopo essere venuti in contatto con il soggetto e, infine, anche quando si è stati a contatto con ciò che è vicino al letto del paziente.

Circa il 30% delle infezioni correlate all’assistenza sono considerate prevenibili da programmi di igiene delle mani.

Anche se in Italia non esiste un sistema di sorveglianza continuativo, sono stati condotti numerosi studi multicentrici di prevalenza. Sulla base di questi e delle indicazioni della letteratura, si può stimare che in Italia il 5-8% dei pazienti ricoverati contrae un’infezione ospedaliera.

Ogni anno, quindi, si verificano in Italia 450-700mila infezioni in pazienti ricoverati in ospedale (soprattutto infezioni urinarie, seguite da infezioni della ferita chirurgica, polmoniti e sepsi). Di queste, dato che circa il 30% sono potenzialmente prevenibili, 135-210mila possono essere evitate ponendo in essere una corretta igiene delle mani. Dato che l’1% delle infezioni correlate all’assistenza si stima porti a morte, 1.350-2.100 decessi sarebbero prevenibili in un anno.

Per la buona riuscita della campagna, suggeriscono i membri del Comitato Infezioni Ospedaliere, è necessario che essa diventi pratica quotidiana, ovvero che vi sia la costante attenzione di tutti gli operatori sanitari e dei dirigenti, sostenuta dalla certezza, oramai dimostrata, dell’importanza chiave di alcuni piccoli gesti per il destino dei pazienti che trovano ospitalità e cura presso l’Ospedale Sacro Cuore – Don Calabria, Casa Perez e Casa Nogaré.

Comitato Infezioni Ospedaliere della Cittadella della Carità


Se il bambino tarda a nascere ci pensa un “palloncino”

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Anche l’induzione di travaglio può essere naturale grazie a un catetere di Foley, una metodologia che sarà illustrata sabato 6 maggio in un convegno organizzato dal dottore Marcello Ceccaroni, direttore della Ginecologia e Ostetricia

Il titolo sembra contenere una contraddizione in termini: “Partorire naturalmente: l’induzione di travaglio”. Eppure nella logica dell’umanizzazione delle cure anche un travaglio indotto può essere naturale.

Di questo si parlerà sabato 6 maggio nella sala Congressi della Cantina Valpolicella (via Ballarin 2, a Negrar, vedi programma) dove il tema sarà trattato dal punto di vista dei medici e delle ostetriche, figure essenziali quest’ultime che affiancano la donna per tutto il tempo della gravidanza, durante il parto e nelle prime settimane dopo la nascita.

L’appuntamento scientifico è organizzato dal dottor Marcello Ceccaroni (nella foto), direttore del Dipartimento per la tutela della salute e della qualità della vita della donna dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, e avrà inizio alle 8.30. Fra i relatori anche i professori Pantaleo Greco e Federico Mecacci, rispettivamente dell’Università di Ferrara e di Firenze, e il dottor Giuseppe Battagliarin dell’ospedale di Rimini.

L’induzione di travaglio è una procedura che viene effettuata ogniqualvolta la continuazione della gravidanza, anche pretermine, rappresenti un pericolo per la mamma o il bambino. Oppure quando la gestazione è giunta alla 41° settimana, un limite di tempo che già di per sé è un rischio per il nascituro.

“Dal 2012 assieme al responsabile del modulo di Ostetricia, il dottor Sante Burati, abbiamo introdotto a Negrar una metodologia di induzione che ha l’obiettivo di dilatare il collo dell’utero in modo naturale e soprattutto non doloroso per le partorienti, rispetto alle vecchie tecniche, come la dilatazione manuale da parte dell’ostetrica – spiega il dottor Ceccaroni -. Si tratta dell’introduzione di un catetere di Foley (una sorta di palloncino) che viene riempito progressivamente di una certa quantità d’acqua e lasciato nel corpo della donna al massimo 48 ore con lo scopo di sollecitare le contrazioni”.

Durante il convegno l’ostetrica Annapaola Isolan presenterà i dati dello studio realizzato assieme alle colleghe Alessandra Cavalleri, Paola Vicentini e Tania Iurati, condotto su 4.684 parti avvenuti al “Sacro Cuore-Don Calabria” dal 2012 al 2016. La ricerca ha rilevato che l’utilizzo del Foley ha ridotto del 27% il rischio di taglio cesareo nelle donne in cui l’induzione di travaglio era indicata per motivi fetali, dimostrandosi una metodica indolore e a vantaggio del benessere della mamma e del bambino.

L’introduzione di questa metodologia ha portato alla realizzazione di un protocollo per l’induzione di parto suddiviso in varie fasi e condiviso fin dall’inizio con la partoriente. Il primo step è proprio l’introduzione del Foley, il cui utilizzo non è solo quello di indurre le contrazioni, ma anche, nel caso in cui fallisse, di favorire l’effetto dei farmaci, come le Prostaglandine (seconda fase), poco efficaci in assenza di dilatazione del collo dell’utero. L’induzione prosegue poi con la rottura delle membrane e se è necessario con la somministrazione di un altro farmaco, l’Ossitocina.


La complessità del dolore nell'anziano oncologico

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Quello multidisciplinare è l’unico approccio per dare una risposta efficace a un problema così complesso come quello del dolore oncologico nelle persone anziane. Se ne parla in un convegno giovedì 27 aprile al “Sacro Cuore Don Calabria”

Quella del controllo del dolore è sempre una sfida difficile, qualsiasi età abbia il paziente sofferente. Ma lo è ancora di più quando si tratta di una persona anziana e la questione diventa ulteriormente complessa nel momento in cui l’anziano è un paziente colpito da tumore.

Proprio di terapia del dolore nell’anziano oncologico si parlerà giovedì 27 aprile all’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, nell’ambito degli incontri di aggiornamento del Dipartimento Oncologico (vedi Cancer Care Center), diretto dalla dottoressa Stefania Gori. (vedi programma allegato).

Un tema che interessa una grande fetta di popolazione in quanto con l’aumento della vita media la maggior parte dei pazienti affetti da tumore fanno parte della cosiddetta terza età.

“L’argomento sarà affrontato in maniera multidisciplinare con il contributo di medici geriatri, oncologi, esperti in cure palliative, radioterapisti e algologi – spiega la dottoressa Gori -. Conoscere la fisiopatologia dei differenti tipi di dolore, i metodi di valutazione in tipologie diverse di popolazione, le terapie antalgiche attualmente disponibili (farmacologiche e non farmacologiche) è condizione essenziale per poter assistere al meglio i malati con dolore in ogni momento della loro storia di malattia”.

Ma perché la terapia dei dolore nei pazienti anziani oncologici è particolarmente complessa? “Per le comorbidità e la fragilità che spesso condizionano il quadro clinico; ogni fase del percorso diagnostico-terapeutico è resa difficile dalla scarsità di elementi obiettivi e talora da situazioni di inaffidabilità descrittiva del paziente, che rendono incerta l’interpretazione del tutto”, risponde la dottoressa Emanuela Turcato, responsabile della Geriatria, che aprirà e concluderà l’incontro.

“Nell’anziano il dolore acuto è accompagnato da aspetti fisici ed emozionali disturbanti perché fortemente intrisi di ansia, depressione, alterazioni del sonno che si influenzano e si esacerbano scambievolmente – prosegue – In altri casi esiste un dolore negato, quello scontato, quello misconosciuto, talora accompagnato da un’esagerata riluttanza a somministrare antidolorifici maggiori, una sorta di ‘oppio-fobia’. Infine, l’anziano con decadimento cognitivo può convivere con il dolore manifestandolo solo indirettamente”.

A tutto questo va aggiunto, sottolinea la geriatra, che “una volta definita la presenza di dolore, di una sede precisa e di una diagnosi clinica, la decisione di trattamento è subordinata ad una valutazione globale del rischio di effetti collaterali, che nei pazienti con rilevanti comorbidità e pluritrattati è sempre presente. Per questo l’approccio multidisciplinare può essere di grande aiuto nello sconfiggere una sintomatologia così complessa ed invalidante”.

“Il sollievo del dolore nel paziente oncologico, anziano e giovane, è un compito che spetta a tutta l’équipe curante – afferma il dottor Roberto Magarotto, responsabile dell’Unità cure palliative e di supporto del Dipartimento Oncologico -. Esso inizia dall’operatore, che mobilizza e accudisce il paziente, nell’evidenziare il dolore da movimento o da procedura; continua con l’infermiere che aiuta il malato a precisare l’intensità del suo dolore, superando resistenze e paure e lo tiene monitorato nel tempo; infine l’intervento antalgico si concretizza col medico che sulla base del quadro clinico e della sua conoscenza della psicologia del paziente imposta una terapia del dolore la più facile da gestire e la meno gravata da effetti collaterali. La filosofia dell'”Ospedale senza dolore” vuol dire proprio questo: che in qualsiasi reparto il paziente oncologico sofferente venga accolto, il suo dolore sia trattato con la medesima professionalità”.