Quali sono i bisogni dei malati oncologici? I pazienti lo raccontano

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Il 20 settembre, nell’ambito della II Giornata della Società italiana di Psiconcologia, Verona ospita un evento aperto alla cittadinanza: un confronto tra pazienti, psiconcologi e oncologi sui bisogni della persona affetta da tumore

Fanno tappa anche a Verona le iniziative per la seconda Giornata nazionale della Società Italiana di Psiconcologia (SIPO), promosse in tutta Italia.

Per la provincia scaligera l’appuntamento rivolto alla cittadinanza si terrà mercoledì 20 settembre con inizio alle 15, al Circolo Ufficiali di Castelvecchio, sul tema “I bisogni psico-sociali dei pazienti e dei loro caregivers” (in allegato i programma).

L’evento è organizzato dalla SIPO Sezione Veneto-Trentino Alto Adige, in collaborazione con il Servizio di Psicologia Clinica dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar e l’Unità dipartimentale Psicologia Clinica sede di Borgo Trento dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, assieme all’Ordine degli Psicologi del Veneto.

“E’ un pomeriggio rivolto a tutti, non necessariamente solo a coloro che sono coinvolti nella malattia oncologica. Si tratta di un momento di confronto tra psiconcologi, oncologi, altri operatori e pazienti che ha l’obiettivo di approfondire i bisogni psico-sociali delle persone colpite da cancro e dei loro familiari”, spiega il dottor Giuseppe Deledda, coordinatore della SIPO Veneto-Trentino Alto Adige e responsabile del Servizio di Psicologia Clinica di Negrar.

La Psiconcologia nacque trent’anni fa per dare risposte adeguate a pazienti affetti da una patologia di cui si taceva il nome e veniva definita ‛il brutto male’. Oggi grazie ai progressi della medicina è aumentata notevolmente la sopravvivenza da tumore, ma il cancro resta una malattia che segna profondamente la vita delle persone e nello stesso tempo sono nati altri bisogni dovuti, per esempio, alla cronicizzazione delle neoplasie. Molte persone convivono per lunghi anni con il cancro e con la necessità di sottoporsi periodicamente alle cure e con conseguenze sul piano familiare e lavorativo.

“Nel Veneto la sezione di SIPO è attiva da decenni – continua la dottoressa Luisa Nadalini, responsabile dell’Unità Semplice Dipartimentale di Psicologia Clinica Borgo Trento e già componente del direttivo di SIPO Veneto dal 2002 al 2016 -. Nella nostra realtà regionale oltre ai Servizi di Psicologia Clinica, che si occupano specificamente di malati oncologici, operano psicologi inseriti in vari reparti soprattutto di Oncologia ed Ematologia, molti con una formazione specifica”.

Il pomeriggio (dalle ore 14.45) al Circolo Ufficiali sarà scandito da vari interventi legati dal “filo rosso” del vissuto della malattia narrato da parte del paziente e degli operatori.

La narrazione attraverso le parole, strumento di cura privilegiato per gli psiconcologi: in proposito sarà presentato in anteprima un racconto letterario di cura psiconcologica. Ma saranno sottolineate altre modalità espressive riguardo l’esperienza della malattia: come i disegni dell’album illustrato “Il Vaso di fiori”, dedicato alle mamme che devono intraprendere un trattamento chemioterapico e ai loro bambini. Sarà dato spazio anche alla fotografia, come strumento per riprendere contatto con il proprio corpo modificato a causa del cancro, attraverso le foto realizzate da una paziente di 23 anni che ha ritratto le donne operate al seno, le quali tramite quelle immagini hanno riscoperto una bellezza che pensavano perduta. Proprio l’attenzione al corpo, tramite l’alimentazione e la riabilitazione, riguarderà l’ultimo intervento del pomeriggio, durante il quale sarà presentata l’esperienza del Progetto Convivio dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata.

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Laser e sclerosanti: le terapie senza dolore delle vene varicose

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Una patologia antica, le cui terapie sono in continua evoluzione come spiega il chirurgo vascolare Paolo Tamellini, promotore del convegno che si terrà il 22 settembre al “Sacro Cuore”

Già Hippocrate (460-377 a. C.), proprio quello del giuramento, parlava di gambe congestionate, violacee, edematose. Mentre la più antica documentazione scritta di un trattamento chirurgico delle varici porta la firma di Aulo Cornelio Celso (25 a.C. – 50 d.C.).

Pochi accenni storici per una malattia, quella varicosa, con cui l’uomo ha dovuto sempre convivere e che oggi può essere definita “sociale”, visto che colpisce il 25-30% della popolazione. Ma se le origini si perdono nel tempo, le tecniche, chirurgiche e non, per curare questa patologia sono costantemente in evoluzione.

Di “Malattia varicosa oggi: nuove frontiere per un problema antico” si parlerà infatti venerdì 22 settembre all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, in un convegno promosso dal dottor Paolo Tamellini (foto in Photo Gallery), dell’Unità operativa complessa di Chirurgia Vascolare, diretta dal dottor Antonio Janello, e rivolto a specialisti e medici di medicina generale (in allegato il programma del convegno).

Oggi abbiamo diverse modalità d’intervento – spiega il medico – dalla chirurgia, alla terapia con il laser o con la radiofrequenza a microonde e anche con farmaci sclerosanti. A seconda dei casi possiamo utilizzare separatamente i trattamenti oppure combinandoli fra loro per raggiungere il miglior risultato clinico ed estetico”.

Dottor Tamellini, in cosa consiste la patologia che comunemente viene chiamata “vene varicose”?

“Si tratta di una malattia funzionale, perché comporta un sovvertimento della circolazione venosa degli arti inferiori. Le vene sono dotate di valvole che hanno il compito di rinviare il sangue verso il cuore e di impedire che il sangue ricada verso il basso, seguendo la legge di gravità. Se per una debolezza congenita queste valvole si ‘allentano’ e diventano incontinenti, le vene, invece di essere ‘autostrade’ che portano il sangue al muscolo cardiaco, di dilatano, assumono una forma tortuosa e il sangue ricade verso il basso. I sintomi infatti sono gambe gonfie, pelle pigmentata di rosso, a causa di uno stravaso di globuli rossi, comparsa di dermatiti ed eczemi varicosi e negli stadi più avanzati formazione di ulcere. Infine possono manifestarsi anche flebiti, perché dove il sangue ristagna, facilmente coagula“.

Quali vene sono interessate?

“Quelle della circolazione superficiale: la safena grande, la safena piccola e i rami collaterali. L’arrivo del sangue agli arti inferiori è riservato a un solo canale, le arterie. Il ritorno, invece, è affidato alle vene in superficie e quelle profonde, cioè all’interno dei muscoli. Ma i due sistemi, superficiale e profondo, sono in comunicazione. Pertanto se è presente un danno cronico alle vene superficiali a risentirne è anche il circolo profondo, con conseguenze più serie. Infatti mentre le due safene si possono togliere, non si può fare altrettanto per le vene profonde”.

Quella varicosa può essere chiamata una malattia sociale…

“Colpisce una ampia fetta di popolazione (25-30%), in ugual misura uomini e donne, di qualsiasi età. Le donne sono più sensibili al problema sia per le gravidanze, che rappresentano uno stress per la circolazione degli arti inferiori, sia per una questione estetica: non fa piacere avere le vene superficiali, magari a forma bitorzoluta. Può essere un problema solamente di natura estetica, ma è solo l’esame dell’EcoColorDoppler che può escludere un deficit funzionale della circolazione”.

Una volta diagnosticata la malattia, quali sono le terapie?

“La vera innovazione terapeutica risale agli inizi del 1900, con l’intervento chirurgico di stripping, ancora maggiormente utilizzato. La vena viene incannulata da cima a fondo con catetere e viene ‘strappata’ con i suoi rami. Non è un intervento banale per i paziente, che deve sottostare a circa un mese di convalescenza. Per questo, quando è possibile, vengono preferite le tecniche chirurgiche mini-invasive“.

Di cosa si tratta?

La nostra Chirurgia Vascolare utilizza il laser, ma è utilizzabile anche la radiofrequenza (microonde). In ambulatorio (non più in sala operatoria come per la chirurgia tradizionale) e in anestesia locale, viene punta la vena e inserito un catetere che all’estremità emette un raggio laser che emana energia termica. Il tutto avviene sotto guida ecografica. La vena si surriscalda e cicatrizzandosi si chiude, tanto che a distanza di due anni non è più visibile all’ecografia”.

Quali sono i vantaggi rispetto alla chirurgia tradizionale?

“Studi internazionali, finora disponibili, riportano per il laser e la radiofrequenza risultati analoghi per efficacia, sovrapponibili alla chirurgia tradizionale. La differenza sostanziale è il post operatorio. Il trattamento è solo circoscritto alla vena. Non sono coinvolti i tessuti circostanti, quindi non compaiono ematomi. Non essendoci sanguinamento, il laser è indicato anche per coloro che assumono farmaci anticoagulanti. Non vengono applicati punti di sutura e il paziente senza dolore, può ritornare a casa dopo un’ora. Ho avuto pazienti che nel pomeriggio si sono recati al lavoro”.

Per quanto riguarda la terapia con farmaci sclerosanti?

“La scleroterapia è un terapia antichissima in flebologia. Negli ultimi anni, tuttavia, il sclerosante liquido viene sostituito da una schiuma, che si ottiene lavorando il farmaco con l’aria. Mentre il farmaco liquido si fluidifica nel sangue e scorre via con lo stesso, la schiuma ristagna e sposta per così dire il sangue, restando più a lungo vicino alla parete della vena. Di conseguenza con farmaci a concentrazione più bassa e in volumi molto minori, si riesce a trattare tratti molto lunghi. La schiuma inoltre è visibile all’ecografia, pertanto si riesce a monitorare in tempo reale il percorso del farmaco stesso”.

Quando è indicata la scleroterapia e quando il laser?

“La terapia con sclerosanti viene utilizzata quando si è in presenza di vene dal percorso tortuoso, perché la fibra del laser è rettilinea e poco flessibile. Inoltre il laser risulta dannoso se le vene sono troppo superficiali, si rischierebbe di bruciare la pelle. Le tre tecniche – chirurgia, laser e sclerosanti – possono essere associate nello stesso trattamento, sempre in un contesto ambulatoriale, al fine di ottenere il migliore risultato anche su situazioni complicate”.

Nell’ambito della malattia varicosa possiamo attenderci altre novità?

“Siamo solo agli inizi: sono allo studio metodiche non termiche, tali da non richiedere nemmeno l’anestesia locale (ad esempio colle). Certamente la cura delle varici oggi è possibile in un contesto assolutamente ambulatoriale con un minimo impatto sulla qualità di vita e sulla ripresa delle ordinarie attività. Questo si traduce in un vantaggio per il paziente oltre che in un sensibile risparmio economico per la collettività”.

elena.zuppini@sacrocuore.it


Visite gratuite per la diagnosi precoce di tumori del cavo orale

Anche l’Orl di Negrar partecipa alla Settimana per la diagnosi precoce dei tumori del cavo orale con visite gratuite, ma su prenotazione, che si terranno il 18, 21 e 22 settembre dalle 8.30 alle 12.30 ai Poliambulatori

In occasione della terza Settimana nazionale della diagnosi precoce dei tumori del cavo orale, lunedì 18, giovedì 21 e venerdì 22 settembre, i medici dell’Unità operativa complessa di Otorinolaringoiatria dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretta dal dottor Sergio Albanese, sono a disposizione nei Poliambulatori (Casa Nogaré) dalle 8.30 alle 12.30 per visite gratuite di controllo della salute della bocca.

Non è necessaria l’impegnativa del medico di medicina generale, ma solo la prenotazione presso il CUP dell’Ospedale al numero 045.601.32.57 (dal lunedì al venerdì, dalle 8. alle 18. Il sabato dalle 8 alle 13).

La Settimana è promossa dall’Associazione Otorinolaringologi Ospedalieri Italiani (AOOI) per sensibilizzare la popolazione sull’importanza della prevenzione e della diagnosi precoce dei tumori del cavo orale (lingua, gengive, guance, palato e labbra), che hanno un’incidenza abbastanza alta: 4 casi ogni 100mila abitanti.

«Il 65% di questi tumori è dovuto al fumo, la cui azione è potenziata dall’abuso dell’alcol – spiega il dottor Albanese -. Il picco di incidenza della malattia si verifica intorno ai 50-60 anni, ma negli ultimi anni purtroppo si è avuta una brusca impennata dei casi che coinvolgono persone giovani: oggi il 6% dei tumori riguarda pazienti sotto i 40 anni».

In un’alta percentuale di casi l’insorgenza dei carcinomi del cavo orale è infatti provocata al virus dell’HPV (Papilloma virus), lo stesso che causa il cancro alla cervice uterinala cui trasmissione avviene per via sessuale.

“Fondamentale la prevenzione – prosegue il medico – attraverso un corretto stile di vita. Quindi niente fumo, poco alcol, una dieta ricca di frutta e verdura e un’attenzione particolare alla cura dell’igiene orale. Importante, inoltre, evitare i rapporti sessuali orali non protettiSe si è soggetti a uno dei fattori di rischio, le visite otorinolaringoiatriche periodiche sono fortemente raccomandate“.

Infatti la diagnosi precoce per questo tipo di carcinoma è semplice e non richiede metodi invasivi. “Se il cancro viene diagnosticato nella fase iniziale o addirittura pre-tumorale – conclude il dottor Albanese – è possibile una chirurgia conservativa senza conseguenze invalidanti e la sopravvivenza libera da malattia raggiunge anche l’80%”.


Professionalità e umanità al servizio degli ammalati negli ospedali calabriani

Un video raccoglie le immagini e le interviste realizzate durante il primo incontro degli ospedali calabriani nel mondo, tenutosi a Negrar, con la partecipazione dei direttori dei nosocomi di Negrar, Luanda, Marituba e Manila

Programmazione, collaborazione e attenzione alle persone ammalate secondo gli insegnamenti di san Giovanni Calabria. Sono queste le parole d’ordine emerse durante il primo incontro degli ospedali dell’Opera Don Calabria nel mondo, che si è tenuto a Negrar il 28 e 29 agosto scorsi.

Nel video qui sotto (vedi videogallery) abbiamo raccolto le interviste ai dirigenti delle quattro strutture che erano presenti a questo incontro a suo modo “storico”:

– Fratel Gedovar Nazzari e Mario Piccinini, rispettivamente Presidente e Amministratore Delegato dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar

– Gustavo Bonassi, direttore dell’ospedale Divina Providencia di Marituba (Brasile)

– Alves Tchilunda, direttore dell’ospedale Divina Providencia di Luanda (Angola)

– Jeffrey Singzon, direttore della Bro. Francisco Perez Clinic di Manila (Filippine)

 

Il video è aperto dal Superiore generale dell’Opera Don Calabria, padre Miguel Tofful, anch’egli presente all’evento insieme al Consiglio generale della Congregazione e agli economi di tutte le Delegazioni e Missioni calabriane nel mondo. Inoltre la parte finale dell’evento ha visto una nutrita partecipazione dei primari e del personale dell’ospedale di Negrar.

 

Per maggiori informazioni sull’evento si può vedere questo link:

Al Sacro Cuore il primo incontro degli ospedali calabriani


"Sofia, un tragico caso di malaria imprevedibile"

Il dottor Zeno Bisoffi interviene sulla tragica vicenda della piccola Sofia, deceduta a causa della malaria senza essere stata all’estero: “Forse una zanzara uscita dalla stiva di un aereo o da una valigia di ritorno da Paesi endemici”

E’ un vero e proprio caso di malaria “criptica”, quello che ha ucciso la piccola Sofia di Trento, deceduta la notte tra sabato e domenica scorsi nella Clinica di Malattie infettive e tropicali dell’ospedale di Brescia. Criptica, infatti, è la definizione che usano gli specialisti quando si trovano di fronte a casi rarissimi di malaria non associata a viaggi in Paesi endemici, come quella, appunto, che ha colpito la bambina di soli 4 anni la cui ultima vacanza è stata al mare, ma a Bibione.

“Nei quasi trent’anni di attività del nostro Centro abbiamo trattato oltre 1.500 pazienti affetti da questa patologia, ma sono stati tutti casi di malaria ‘di importazione’, cioè contratta da viaggiatori o da migranti provenienti dai Paesi endemici e che dopo un periodo di incubazione si è manifestata in ItaliaMa non abbiamo mai visto casi di malaria criptica, rarissima anche nel nostro Paese“, spiega il dottor Zeno Bisoffi, direttore del Centro per le Malattie Tropicali dell’ospedale “Sacro Cuore Don Calabria“.

Ricordiamo infatti che la malaria è una malattia infettiva, ma non contagiosa provocata da un protozoo, il plasmodio. Ne esistono cinque specie umane, delle quali la più pericolosa è Plasmodium falciparum che ha colpito Sofia Le zanzare che trasmettono la malaria appartengono al genere Anophelesautoctono nei Paesi tropicali e sub-tropicaliLe specie di Anopheles in grado di trasmettere efficacemente il P. falciparum sono probabilmente inesistenti in ItaliaAllora come ha potuto la piccola Sofia contrarre la malattia? “Con gli elementi che abbiamo possiamo fare solo delle ipotesi”, risponde il dottor Bisoffi. Vediamo quali.

Trasmissione del parassita tramite una zanzara autoctona

“Di zanzare del genere Anopheles esistono varie specie. Alcune non sono più in grado di trasmettere la malaria. Altre sono adattate a trasmettere alcune forme di malaria benigna, cioè non mortale, come quella da Plasmodium vivaxL’ultimo caso registrato in Italia di malaria benigna sicuramente trasmessa da Anophelesautoctona risale al 1997 nella Maremma Toscana, in provincia di Grosseto, e si è risolto positivamente. Da allora qualche altro raro caso possibile o probabile, sempre della stessa specie “benigna”, si è sporadicamente manifestato. Ad oggi non siamo in grado di escludere con assoluta certezza che da noi esistano zanzare Anopheles capaci di essere veicoli anche della malaria da Plasmodium falciparum, la forma più grave che purtroppo ha colpito la bambina, ma lo riteniamo estremamente improbabile“.

Zanzare provenienti dall’estero con aerei o bagagli

E’ un’ipotesi plausibile, anche se negli ultimi 20 anni i casi di malaria dovuta a punture di zanzare uscite dalla stiva di un aereo proveniente dall’Africa o da un bagaglio possono essere stati al massimo una decina. Non conosco gli spostamenti della bambina nel periodo compatibile con l’incubazione della malattia (in genere due settimane), ma se fosse transitata nei pressi di uno scalo di aerei provenienti da Paesi malarici, potremmo essere di fronte a un caso di ‘malaria da aeroporto’ oppure contratta da una puntura di zanzara infetta uscita da qualche bagaglio”.

Ha contratto la malaria in ospedale

“Le cronache riportano che in un precedente ricovero della bambina, pochi giorni prima per diabete infantile, nel reparto di Trento fossero presenti due ragazzi ritornati dall’Africa con la malaria. Ripeto: la malattia non è contagiosa nemmeno se si fossero verificati dei contatti, anche molto stretti, tra i pazienti, cosa che può capitare tra i bambini. Il contagio può avvenire solo tramite via ematica, ma da un lato non risulta che sia stata praticata trasfusione, dall’altro mi pare poco plausibile che si sia verificata una puntura accidentale da ago infetto, grazie alle procedure di sicurezza che si applicano normalmente in ospedale. Tuttavia, suppongo che l’indagine interna preveda l’analisi del DNA del Plasmodium che ha infettato i bambini (che sono guariti) e di quello che ha causato la morte della piccola Sofia, per escludere ogni ipotesi di relazione tra i tre casi. Sulla possibilità della presenza in ospedale di una zanzara infetta arrivata con bagagli, credo che nessuno possa saperlo, ma è stata ordinata, come da procedura, la disinfezione del reparto”.

Ritardo diagnostico

Purtroppo quando si tratta di malaria il ritardo diagnostico trasforma una malattia curabile e banale in una malattia che può diventare mortale. Se la diagnosi viene effettuata nel primo o al massimo nel secondo giorno di febbre la probabilità di guarigione è pressoché totale. In questo caso la bambina sembra sia arrivata in ospedale dopo quasi una settimana di febbre. Ma nella tragica vicenda di Sofia, il ritardo diagnostico non è imputabile a nessuno. Io stesso con 35 anni di esperienza nell’ambito della malattie tropicali, e in particolare della malaria, di fronte a una bambina con la febbre alta ma non di ritorno dall’Africa, mai avrei pensato in prima istanza a una simile patologiaAnzi. mi sento di elogiare i colleghi dell’ospedale Santa Chiara di Trento che hanno fatto la diagnosi in tempi strettissimi. Purtroppo la malaria aveva già causato la complicanza cerebrale“.


elena.zuppini@sacrocuore.it


L'Opera Don Calabria programma il triennio 2018-2020

Arrivano da molti Paesi del mondo i responsabili delle varie Delegazioni e Missioni calabriane che in questi giorni sono riuniti a San Zeno in Monte, nella Casa Madre, per un importante incontro di formazione e programmazione

Una settimana di formazione e confronto tra i responsabili delle Delegazioni e delle Missioni dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, Congregazione fondata da San Giovanni Calabria, con l’obiettivo di fare il punto della situazione e programmare le attività del prossimo triennio, fino al Capitolo generale che si terrà nel 2020. L’incontro, denominato “Consulta dei Delegati e degli Economi” , è iniziato sabato 19 agosto e proseguirà fino al 26 agosto a San Zeno in Monte (Verona), presso la Casa Madre dell’Opera calabriana.

 

“Si tratta di un evento molto importante che va nella direzione della collegialità”, dice il Superiore generale padre Miguel Tofful.“L’obiettivo di questi giorni – aggiunge padre Tofful – è di confrontarci sui temi della spiritualità e su quelli più pratici della gestione delle attività, cercando di progettare il futuro in modo condiviso e coerente con la nostra missione di stare vicino ai poveri e ai sofferenti affidandoci alla Provvidenza di Dio Padre. Poi queste linee comuni saranno tradotte da ogni Delegazione e Missione nelle programmazioni locali”.

 

I Poveri Servi sono presenti in undici Paesi del mondo e le comunità sono organizzate in sei Delegazioni e una Missione. In ogni territorio, poi, sono presenti le Case filiali che svolgono le attività in vari campi, da quello sanitario come l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria a quello educativo, da quello pastorale a quello vocazionale. Ecco un elenco delle Delegazioni/Missioni:

 

– DELEGAZIONE SAN GIOVANNI CALABRIA (comprendente 14 comunità distribuite in Italia, Romania e Portogallo)

– DELEGAZIONE N. SENHORA APARECIDA (21 comunità in 8 Stati del Brasile)

– DELEGAZIONE MARIA INMACULADA (8 comunità in Argentina, Paraguay e Uruguay)

– DELEGAZIONE MAMA MUXIMA (11 comunità in varie regioni dell’Angola)

– DELEGAZIONE ISH KRIPA (9 comunità in 5 Stati dell’India)

– DELEGAZIONE MARY MOTHER OF THE POOR (4 comunità nelle Filippine)

– MISSIONE ST. JOSEPH (2 comunità in Kenya)

 

Alla Consulta che si sta svolgendo in questi giorni a Verona partecipano I responsabili di tutte queste entità territoriali. Insieme a loro ci sono il Superiore generale e il suo Consiglio che hanno un compito di coordinamento e supervisione delle varie realtà. Tra loro anche fratel Gedovar Nazzari, presidente dell’ospedale di Negrar, che riveste anche il ruolo di Economo generale della Congregazione.

 

I primi giorni dell’incontro sono stati dedicata alla formazione e in particolare al tema della “leadership”. A questa parte hanno partecipato anche la Madre Generale e alcune Sorelle delle Povere Serve della Divina Provvidenza, altra Congregazione fondata da don Calabria. Nella parte finale, invece, i Delegati e gli Economi si confronteranno sul Piano di Gestione del triennio 2018-2020 della Congregazione calabriana.


Metastasi cerebrali: il "Sacro Cuore" primo al mondo nell'uso di una nuova tecnica di Radiochirurgia

Con l’innovativo software “HyperArc” si aprono nuovi scenari terapeutici per i pazienti colpiti da numerose metastasi cerebrali e candidabili finora al solo trattamento palliativo

Il “Sacro Cuore Don Calabria” di Negrar (Verona) è il primo ospedale al mondo ad utilizzare una rivoluzionaria tecnica di Radiochirurgia che apre nuovi scenari terapeutici per i pazienti colpiti da numerose metastasi cerebrali e candidabili, nella maggior parte dei casi, alla sola terapia palliativa.

 

Un trattamento – quello applicato per la prima volta dal centro di Negrar – di cui potrebbe beneficiare una crescente percentuale di pazienti affetti da tumore. Infatti, grazie ai miglioramenti terapeutici in campo oncologico, si assiste ad un aumento della sopravvivenza da cancro, ma anche ad un contestuale incremento del rischio di sviluppare metastasi encefaliche, fenomeno che si verifica nel 20-40% dei casi.

 

Nei giorni scorsi i primi pazienti con varie lesioni metastatiche all’encefalo sono stati sottoposti a Negrar ad una seduta – assolutamente non invasiva – di radiochirurgia attraverso un acceleratore lineare di ultima generazione, dotato di un innovativo sistema chiamato HyperArc.

 

Il software HyperArc – prodotto da Varian, una multinazionale dedicata allo sviluppo tecnologico in radioterapia con sede a Palo Alto – aumenta le libertà di movimento della macchina erogatrice di radiazioni ionizzanti ad alta energia consentendo ad essa di colpire contemporaneamente con estrema precisione diverse metastasi in una sola seduta della durata di circa dieci minuti.

 

Un tempo molto ridotto rispetto ad altri trattamenti tradizionalmente utilizzati e dedicati specificamente alle lesioni cerebrali multiple, che spesso richiedono una seduta di circa un’ora per ciascuna delle metastasi.

 

“Finora per la gran parte dei pazienti con numerose metastasi era indicata la radioterapia palliativa che implica l’irradiazione a basse dosi dell’intero encefalo, e quindi anche del tessuto sano, per lenire e prevenire i sintomi neurologici – spiega il professor Filippo Alongi, direttore della Radioterapia Oncologica e docente all’Università di Brescia (nella foto) -. Con questa nuova tecnica l’obiettivo diventa duplice: in casi selezionati sarà possibile non solo impattare sulla qualità, ma anche sull’aumento dell’aspettativa di vita del paziente, tenendo conto che il trattamento è ripetibile più volte ed è ben tollerato”.

 

HyperArc è in grado di sincronizzare in estrema sicurezza (vedi Video Gallery) la rotazione rapida e precisa ad arco dell’acceleratore lineare con il movimento robotico e pendolare del lettino consentendo di colpire separatamente, con un’alta densità di radiazioni, ciascuna delle metastasi, senza bloccare e riposizionare la macchina. Riposizionamento che senza HyperArc può avvenire solo manualmente da parte dell’operatore, ma è solitamente poco raccomandato in quanto non garantisce una precisione tale da scongiurare l’eventuale collisione della macchina con il lettino, quindi con il paziente.

 

“L’importanza rivoluzionaria di questa nuova modalità terapeutica è evidente. Pur avendo iniziato ad agosto con i primi pazienti al mondo, i nostri risultati preliminari – afferma Alongi – sono già attesi al congresso della Società americana di Radioterapia oncologica (ASTRO) che si tiene a San Diego negli Stati Uniti a settembre e al Congresso Austriaco di Radioterapia ad ottobre”.

 

HyperArc è l’ennesimo sviluppo straordinario della radiochirurgia, chiamata così perché grazie a un bisturi virtuale, costituito da un fascio mirato di radiazioni, è in grado di ottenere risultati sovrapponibili a quelli della chirurgia intracranica, senza però necessitare di anestesia o essere gravata da un periodo post operatorio tipico dell’intervento chirurgico. Dopo solo pochi minuti di trattamento il paziente può tornare a casa.

 

La Radioterapia Oncologica dell’ospedale “Sacro Cuore Don Calabria” tratta ogni oltre 1.200 pazienti, il 40% dei quali è sottoposto a terapia stereotassica e a radiochirurgia. Inoltre sono più di 50 gli studi gli studi pubblicati annualmente su riviste scientifiche internazionali con un Impact Factor di oltre 230.

 

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Al "Sacro Cuore" il primo incontro delle direzioni degli ospedali calabriani

Due giornate (il 28 e il 29 agosto) a cui parteciperanno i vertici della Congregazione e quelli dell’ospedale di Negrar, Marituba, Luanda e Manila per tracciare le linee guida di gestione del settore sanitario dell’Opera Don Calabria

Non solo “Sacro Cuore Don Calabria” e non solo Negrar. I Poveri Servi della Divina Provvidenza – la Congregazione fondata da San Giovanni Calabria – gestiscono quattro ospedali nel mondo: quello di Negrar, a pochi chilometri da Verona, il Divina Providencia a Marituba, in Brasile, e a Luanda, in Angola. Infine la Brother Francisco Perez Clinic di Manila, nelle Filippine.

Oggi e domani, martedì 29 agosto, i rappresentanti delle quattro realtà sanitarie si riuniranno a Negrar in occasione del primo incontro delle direzioni degli ospedali calabriani. Un appuntamento voluto dall’Amministrazione generale dell’Opera calabriana, in particolare da fratel Gedovar Nazzari (economo generale della Congregazione e presidente dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria), a cui parteciperanno il Consiglio generale dei Poveri Servi con il Casante, don Miguel Tofful, il Consiglio di direzione del nosocomio di Negrar, gli Economi delle Delegazioni dei Paesi in cui si trovano gli ospedali e i direttori degli ospedali stessi.

“Saranno due giorni molto importanti – spiega fratel Gedovar – il cui obiettivo è quello di creare maggior sinergia e condivisione fra gli ospedali gestiti dall’Opera. In questo non partiamo da zero. Da anni è in atto una proficua collaborazione tra le strutture. Per esempio molti medici e infermieri di Negrar si sono recati per un certo periodo in Brasile o in Angola e viceversa. Ma la Sanità è sempre più un settore complesso e oneroso a fronte di una progressiva riduzione delle risorse. Quindi per servire al meglio le persone che hanno bisogno di assistenza sanitaria, sono indispensabili preparazione tecnica e professionale e strategia di azione. In Italia come in ogni parte del mondo. Da qui la necessità di rafforzare la cooperazione già in atto e tracciare le linee guida per la gestione del settore sanitario dell’Opera, tenendo conto della diversità di ciascuna struttura e delle peculiarità dei Paesi dove ogni ospedale offre il suo servizio”.

Paesi molto differenti come gli stessi ospedali: “Il ‘Sacro Cuore Don Calabria’ si trova in Italia in cui esiste uno dei migliori sistemi sanitari del mondo. Dove la Sanità pubblica è un diritto e un valore sancito dalla Costituzione – sottolinea Nazzari -. Gli altri ospedali sorgono in luoghi isolati, servono una popolazione molto povera e i rispettivi Stati non considerano la Sanità pubblica una priorità. Inoltre mentre le strutture di Marituba e Luanda sono dotate ciascuna di un centinaio di posti letto, con specializzazioni anche chirurgiche, quella di Manila è un poliambulatorio che fornisce una sanità di base“.

Quale sarà il contributo di ciascun ospedale? “Sicuramente l’esperienza gestionale del ‘Sacro Cuore Cuore Don Calabria’, che nell’ultimo decennio ha saputo imporsi tra le eccellenze nazionali, è fondamentale per stabilire un percorso nell’ambito della sanità dell’Opera – risponde il presidente -. Ma anche l’apporto degli altri ospedali è molto importante, soprattutto nel recuperare il significato di fare sanità all’interno dell’Opera, guidati dal carisma calabriano”.

“Nei Paesi industrializzati la Sanità spesso assume come unico indirizzo l’efficienza, sia nell’ambito amministrativo che clinico – prosegue -. Perdendo un po’ di vista un aspetto cruciale: chi opera in sanità a che fare con uomini e donne, persone impastate di razionalità, ma anche di spiritualità e sentimenti. In altre parole, la persona nella sua complessità che è al centro del carisma calabriano. L’esperienza di operatori sanitari che lavorano in Paesi poveri dove le risorse sono limitate e viene meno l’efficientismo e il predominio tecnologico in medicina – conclude fratel Nazzari – possono aiutarci a mantenere vivo questo aspetto del carisma”.

La prima delle due giornate dell’incontro al “Sacro Cuore Don Calabria”, sarà focalizzata essenzialmente sulla presentazione della gestione dell’ospedale di Negrar, mentre il 29 agosto sarà dedicato in mattinata alla visita del nosocomio e nel pomeriggio alla condivisione dei progetti dei rispettivi ospedali.

elana.zuppini@sacrocuore.it

In Photo Gallery le immagini degli ospedali di Marituba, Ruanda e Manila

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Infezioni cutanee: come riconoscerle e come curarle

L’estate crea le condizioni ideali per la diffusione delle infezioni della pelle da cui sono colpiti soprattutto i bambini. La dermatologa Federica Tomelleri: “Non sono pericolose, ma in genere molto contagiose, è bene curarle appena si presentano”

Tra le poche cose spiacevoli che riserva la bella stagione, non ci sono solo il caldo, l’eritema solare e le zanzare, ma anche le infezioni cutanee che d’estate, causa la pelle nuda e le alte temperature, registrano un notevole aumento, in particolare tra i bambini. Spesso compaiono senza dare nessun disturbo (prurito o dolore) e quindi perseguono indisturbate il loro contagio in famiglia o nei luoghi comunitari come le piscine e le spiagge. Come riconoscerle e, soprattutto, come si curano?

“Didatticamente possiamo suddividere le infezioni cutanee in tre grandi famiglie: le virali, le batteriche e le micotiche”, spiega la dottoressa Federica Tomelleri, responsabile del Servizio di Dermatologia dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria (nella foto di copertina).

INFEZIONI CUTANEE VIRALI

Tra le virali primeggiano soprattutto le verruche e, in età pediatrica, i molluschi contagiosi (Photo Gallery 1). “Quest’ultimi si presentano in forma di piccole papule in rilievo sulla pelle con un’ombelicatura centrale. Rimangono a livello superficiale, non sono pericolose ma – sottolinea la dottoressa – sono altamente contagiose, quindi vanno trattate prima che si verifichi una disseminazione in ambiente familiare. Di solito il contagio avviene nelle situazioni di convivenza promiscua, come la piscina, la scuola materna, i grest. Non danno né dolore né prurito, tanto che i genitori non si rivolgono immediatamente al medico, perché il bambino non si lamenta”.

L’eliminazione di ciascun mollusco avviene per via meccanica attraverso un procedimento che si chiama curettage. “I dermatologi in ambulatorio procedono con un piccolo bisturi – prosegue Tomelleri – previa applicazione di una crema antisettica e anestetica, quindi il bimbo non sente un particolare fastidio. Le verruche (le quali oltre ad essere contagiose, se plantari, sono anche dolorose) vengono trattate con le metodiche classiche: la crioterapia (cioè la ‘bruciatura’ con il freddo dell’azoto liquido, ndr) o il bisturi elettrico”.

INFEZIONI CUTANEE BATTERICHE

In estate le infezioni cutanee batteriche trovano l’ambiente ideale per diffondersi. Il clima caldo-umido facilita la proliferazione della naturale flora batterica della nostra pelle, in particolare aumenta la presenza di streptococchi e stafilococchi. “Abbiamo quindi le piodermiti – prosegue il medico dermatologo – come le follicoliti batteriche (Photo Gallery 2), che si verificano quando i follicoli piliferi, le piccolissime sacche alla radice del pelo o del capello, si infettano formando delle papule, un arrossamento o causando prurito.

Un altro tipo di piodermiti sono le dolorose cisti sebacee quando vanno in suppurazione. Poi, soprattutto tra i bambini, è diffusa l’impetigine bollosa (Photo Gallery 3)”. Di solito questa infezione cutanea si presenta inizialmente attorno al naso e alla bocca con piccole papule rosse che si trasformano in vescicole contenenti un liquido sieroso che in seguito diventa torbido. Le vescicole rompendosi lasciano il posto a piccole ferite che vengono ricoperte da croste giallo-marroni, molli, da cui può uscire pus. Le lesioni si estendono quindi in altre zone del corpo.”Le piodermiti si curano solo con l’antibiotico applicato localmente o assunto per bocca“, indica la dottoressa Tomelleri.

INFEZIONI CUTANEE MICOTICHE

Infine le dermatofizie, infezioni micotiche occasionali causate dal contatto con spore fungine (muffe o miceti) che possono trovarsi nel terreno, sulla cute degli animali domestici e non.

“Anche in questo caso d’estate il rischio di contagio aumenta a causa della pelle nuda più facilmente aggredibile da attacchi esterni – riconferma la dermatologa – . La più frequente delle dermatofizie è la Tinéa Corporis (Photo Gallery 4), che si manifesta con una o più chiazze circolari con un orlo periferico rilevato. Può presentarsi in tutte le parti del corpo là dove la spora fungina si inocula. La terapia per le infezioni micotiche sono gli antifuginei locali o per bocca”.

Si possono prevenire?

Si possono adottare degli accorgimenti – risponde la dermatologa – ma in estate sono difficili da rispettare, come, per esempio, indossare le ciabatte in piscina per scongiurare le verruche. In famiglia sarebbe buona regola non condividere gli asciugamani, soprattutto se un componente presenta delle infezioni, ed è raccomandabile la detersione dopo la convivenza in un ambiente comunitario, non necessariamente con un detergente specifico.

Un detergente delicato – sottolinea e conclude Tomelleri – è invece fondamentale per coloro che soffrono di patologie croniche cutanee, come la dermatite atopica molto diffusa tra i bambini. La compromissione della barriera cutanea, rende questi soggetti più esposti a tutte le infezioni della pelle. Quindi deve essere usata una detersione delicata per irrobustire la cute da attacchi esterni“.

elena.zuppini@sacrocuore.it


Con il defibrillatore contro le morti improvvise nello sport

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Dal 1° luglio anche le società sportive dilettantistiche devono dotarsi di defibrillatore, ma il vero problema è formare persone che sappiano cosa fare in caso di arresto cardiaco. I consigli del cardiologo e del medico sportivo

14 aprile 2012. A Pescara, durante una partita di serie B, si accascia a terra il giocatore del Livorno Piermario Morosini che muore poco dopo a causa di un arresto cardio-circolatorio dovuto ad una cardiomiopatia aritmogena. Nei giorni successivi la Procura della Repubblica di Pescara apre un’inchiesta sui soccorsi, contestando ai medici presenti al campo il mancato utilizzo del defibrillatore nei tentativi di rianimazione del giocatore.

 

A seguito di questo episodio, nel 2013 un decreto ha stabilito per tutte le società sportive professionistiche l’obbligo di dotarsi di un defibrillatore. Ed ora, a partire dal 1° luglio 2017, l’obbligo è stato esteso anche alle società dilettantistiche. Il nuovo decreto, varato congiuntamente dai Ministeri della Salute e dello Sport, impone che ogni impianto sportivo dove si svolgono delle competizioni, anche a livello dilettantistico, deve essere dotato di un defibrillatore semiautomatico. E sta ai gestori dell’impianto, in accordo con le società che lo utilizzano, la responsabilità di garantire che durante ogni gara sia presente almeno una persona formata all’utilizzo dello strumento salvavita. Sono invece esclusi dall’obbligo gli sport considerati a basso stress cardio-circolatorio (vedi lista degli sport esenti).

 

“Sicuramente la scelta di rendere obbligatorio il defibrillatore anche per le competizioni dilettantistiche è molto importante.Infatti se casi come quello di Morosini, per quanto molto rari, possono capitare tra i professionisti che sono super-controllati dal punto di vista sanitario, a maggior ragione possono succedere tra i dilettanti, anche se la visita medico-sportiva obbligatoria per tutti rappresenta sicuramente un importante strumento di prevenzione”, afferma il dottor Roberto Filippini, responsabile della Medicina dello Sport dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria (foto 1 Udali).

 

Al di là dell’acquisto del defibrillatore, il vero nodo critico della nuova norma è rappresentato dalla formazione del personale addetto all’uso dello strumento salva-vita. “A cosa serve avere a disposizione un defibrillatore, se non ci sono persone capaci di utilizzarlo e di gestire la situazione quando un atleta è colpito da un arresto cardiaco?” afferma il dottor Giulio Molon, responsabile della Struttura semplice di Elettrofisiologia e Cardiostimolazione di Negrar (foto 2). Il dottor Molon, da tempo è impegnato in progetti di “Città Cardioprotetta” al fine di sensibilizzare la popolazione sul fatto che “‘l’arresto cardiaco è un evento improvviso e imprevedibile che può accadere e pertanto ciascuno di noi dovrebbe essere in grado di intervenire se vi assiste”. Grazie ai progetti di cui è stato consulente, nel Veronese circa 600 persone hanno partecipato ai corsi BLSD (Basic Life Support – Defibrillation) e sono stati installati nei vari comuni una settantina di DAE, Defibrillatori Automatici Esterni.

 

I corsi BLSD sono rivolti in particolare a chi opera nelle società sportive – aggiunge il cardiologo – durano in genere solo cinque ore.Non si tratta solo di imparare ad usare il defibrillatore, che in realtà è programmato per guidare passo per passo colui che lo utilizza. Ma è fondamentale che le persone siano formate ad avviare la ‘catena della sopravvivenza’: ossia chiamare il 118, iniziare il massaggio cardiaco, procedere con la respirazione bocca a bocca ed utilizzare il defibrillatore, che solo in caso di arresto cardiaco emette la scarica elettrica necessaria per “resettare” il cuore. In questi casi nel cuore infatti vi è un’aritmia con battiti talmente veloci da non permettere contrazioni cardiache efficaci, in pratica il cuore si ferma. Il defibrillatore elimina l’aritmia così da far ripartire il cuore con il suo battito normale. L’obiettivo della rianimazione è tenere l’atleta in vita e con il cervello ben ossigenato fino a quando arriva l’ambulanza!”. Solo qualche dato per capire l’importanza di “sapere cosa fare”. Meno del 5% delle persone colpite da arresto cardiaco sopravvive se non trattata in tempo; la percentuale sale al 10-20% in presenza di testimoni che si attivino, arriva fino al 60% se è possibile utilizzare il DAE.

 

Il decreto prevede che il defibrillatore sia presente nell’impianto sportivo, per cui sta alle società che usano l’impianto accordarsi sull’acquisto e sulla manutenzione. Dove non c’è un impianto, ad esempio per gli sport che si svolgono sulla strada come il ciclismo, non c’è obbligo di defibrillatore. Inoltre la legge prevede che lo strumento e il personale capace di usarlo siano presenti durante lo svolgimento di una gara, pena la sospensione della stessa, mentre l’obbligo non è previsto per gli allenamenti. “In effetti questa è una contraddizione, perché incidenti come quello di Morosini possono capitare anche in allenamento – puntualizza Filippini – per questo vale la pena fare una riflessione su quale personale vada formato all’uso del defibrillatore. Tra i più indicati potrebbero esserci gli allenatori e gli accompagnatori, che sono presenti anche durante gli allenamenti, oltre naturalmente al massaggiatore sportivo per le società che ne hanno uno. Tutto sommato anche gli arbitri e i giudici di gara potrebbero fare i corsi BLSD, visto che durante le competizioni sono sempre presenti”.

 

“L’arresto cardiaco può accadere anche in cuori normalissimi oppure che hanno delle anomalie molto lievi e difficilissime da cogliere con le diagnostiche a cui sono sottoposti gli atleti,anomalie che diventano importanti in situazioni dove il cuore è sottoposto a grande stress” interviene ancora Molon. E per quanto riguarda le cause? “Dietro l’arresto cardiaco ci possono essere anomalie non note: coronarie che nascono in maniera anomala o cardiomiopatie ipertrofiche non diagnosticate, displasia aritmogena del ventricolo destro, sindrome del QT lungo o sindrome di Brugada”.

 

In realtà la visita medico sportiva obbligatoria per chi pratica sport sia a livello agonistico sia non agonistico è già di per sé uno strumento molto importante per individuare le maggiori situazioni di rischio cardiaco. “Con l’introduzione delle visite i casi di arresto cardio-circolatorio sono in diminuzione – dice Filippini – La visita agonistica è ovviamente più approfondita e a livello cardiaco prevede sia un elettrocardiogramma a riposo sia sotto sforzo. Invece a livello non agonistico viene fatto solo l’elettrocardiogramma a riposo, già sufficiente a individuare le anomalie più significative. Naturalmente con l’avanzare dell’età è opportuno che i controlli vadano più a fondo, per questo noi consigliamo dopo i 35-40 anni, a seconda del tipo di sport, un test da sforzo al cicloergometro“.