Accreditamento istituzionale: il "Sacro Cuore" promosso a pieni voti
Si è conclusa con l’assegnazione del massimo punteggio la visita degli ispettori regionali per il rinnovo dell’Accreditamento regionale, la verifica dei requisiti che deve avere una struttura per operare nel Ssn. Un risultato che è sinonimo di qualità
Promosso a pieni voti. 100/100 è infatti il punteggio complessivo finale assegnato all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria dal Gruppo tecnico multidisciplinare di valutazione della Regione Veneto per il rinnovo dell’Accreditamento istituzionale.
Dal 13 al 15 giugno un gruppo di 17 valutatori regionali dell’Ulss 20, 21 e 22 ha effettuato la verifica sia con la direzione sia recandosi personalmente in ogni Unità operativa. Il massimo punteggio conferma il risultato raggiunto tre anni fa, quando è avvenuta l’ultima verifica come stabilisce la legge.
L’Accreditamento istituzionale è il processo con il quale le strutture autorizzate, pubbliche e private, e i singoli professionisti che ne facciano richiesta, acquisiscono lo status di soggetto idoneo ad erogare prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e sociali per conto del Servizio sanitario nazionale.
Secondo i criteri stabiliti dalla legge regionale 22/2002, l’Accreditamento è la verifica di tutti i requisiti necessari a una struttura per operare nella rete sanitaria pubblica del Veneto.
A conclusione della tre giorni, i valutatori hanno espresso personalmente alla direzione un giudizio ampiamente positivo, sia per la soddisfazione dei requisiti regionali, sia per l’accoglienza e la professionalità riscontrata durante la visita in tutto il personale.
“È senza dubbio un ottimo risultato – afferma l’amministratore delegato, Mario Piccinini – raggiunto con la partecipazione e la collaborazione di tutto il personale, nessuno escluso. Per noi è la conferma del buon lavoro finora svolto e un incentivo a proseguire in questa direzione. Per le persone che scelgono di curarsi nella nostra struttura si tratta un’ulteriore garanzia di qualità”.
Tumore al seno: il "Sacro Cuore" quinto ospedale veneto per numero di interventi
Sono 300 gli interventi chirurgici di tumore al seno eseguiti all’anno dall’Unità di Chirurgia Senologica, il 70% di tipo conservativo. Un traguardo numerico che è sinonimo di qualità. Ecco perché
Con circa 300 interventi oncologici annui, il “Sacro Cuore Don Calabria” si colloca al quinto posto tra gli ospedali veneti che trattano chirurgicamente il cancro alla mammella. Un risultato numerico che è sinonimo di qualità, raggiunto nonostante la struttura di Negrar non sia Centro di Screening, a differenza dell’Istituto oncologico veneto, dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona e degli ospedali di Treviso e Vicenza che precedono il nosocomio calabriano per numero di interventi.
“Nella logica del Cancer Care Center, qual è l’ospedale di Negrar, l’approccio anche per il tumore al seno è quello multidisciplinare“, spiega il dottor Alberto Massocco, responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgica Senologica. “Ogni paziente viene presa in carico da un team di specialisti, coordinati dal Dipartimento oncologico, di cui fanno parte radiologi, anatomopatologi, oncologi, chirurghi senologi, chirurghi plastici, radioterapisti e medici nucleari. È scientificamente provato che i Centri dove viene praticata quotidianamente questa collaborazione registrano un numero superiore di guarigioni».
L’approccio multidisciplinare consente innanzitutto un percorso diagnostico-terapeutico molto rapido: dalla diagnosi all’intervento chirurgico passano nella maggioranza dei casi al massimo due settimane, con la possibilità di accedere al percorso anche tramite il Numero Verde per la cura del tumore 800 143 143. Inoltre sono possibili procedure che tengano conto anche della qualità della vita della paziente e dell’impatto che un intervento al seno può avere su una donna.
«Il 70% degli interventi che pratichiamo è di tipo conservativo – sottolinea Massocco – e quando si richiede la mastectomia quello di Negrar è uno dei pochi centri in Italia a praticare la ricostruzione definitiva della mammella nello stesso intervento in cui viene effettuata la mastectomia grazie all’uso di una membrana di derma rigenerato di origine animale. Un procedimento che viene eseguito in stretta collaborazione con i chirurghi plastici ed è indicato quando è possibile conservare il complesso areola-capezzolo”, spiega Massocco.
Inoltre, la collaborazione con gli anatomopatologi consente l’esame intraoperatorio del linfonodo sentinella, cioè il primo linfonodo dell’ascella che potrebbe ricevere le cellule cancerose. “Il prelievo del linfonodo sentinella è una procedura standard – spiega il chirurgo – ma non in tutti gli ospedali viene analizzato nell’arco di 40 minuti durante l’intervento. Questo permette nel caso di positività di togliere subito gli altri linfonodi senza sottoporre la paziente a un ulteriore intervento se fosse necessario“.
Quando è indicata la radioterapia intraoperatoria è prevista la presenza in sala operatoria anche dei radioterapisti.
La Chirurgia Senologica del Sacro Cuore Don Calabria esegue anche la mastectomia bilaterale profilattica nelle donne portatrici dei geni Brca1 e Brca2. L’accesso all’intervento avviene dopo consulenza genetica.
Il ritorno della paziente alle quotidiane attività dipende dal tipo di intervento. «Un intervento di quadrantectomia (l’asportazione di una porzione di ghiandola mammaria, la cute sovrastante ed una porzione della fascia del muscolo grande pettorale, ndr) con il prelievo del linfonodo sentinella richiede una degenza di uno o due giorni ed una settimana di convalescenza – conclude il dottor Massocco -. La mastectomia con ricostruzione prevede un ricovero di circa 6 giorni ed una convalescenza di circa un mese e mezzo».
La Chirurgia Senologica fa parte di Senonetwork, rete che comprende i centri italiani a maggior volume di attività.
elena.zuppini@sacrocuore.it
La terapia del sorriso con i clown in corsia
I “clown-dottori” sono presenti al Sacro Cuore tutte le sere dal lunedì al venerdì, principalmente nei reparti dove ci sono bambini, come otorinolaringoiatria e pediatria, ma talvolta anche in Medicina generale e Gastroenterologia
“Entro nella stanza dove è ricoverato un bambino nuovo che non conosco. Mi avvicino e mi inginocchio di fianco a lui. Solo allora scopro che è cieco. Inizia a toccarmi con allegria, partendo dalla parrucca e dal naso finto. Quando arriva agli occhialoni, me li toglie e se li mette. Si gira verso la mamma e dice convinto: ʽEcco mamma, adesso ci vedoʼ. Mi hanno detto che si è tenuto gli occhiali addosso per un’intera settimana”.
Il clown si commuove mentre racconta questa storia che ha vissuto tempo fa durante il suo turno di servizio in Pediatria. I clown sono ormai da 15 anni una presenza colorata e rassicurante nelle corsie del Sacro Cuore. Vanno a trovare i pazienti, soprattutto bambini ma non solo, tengono loro compagnia e cercano di donare un sorriso pur nella malattia. Sempre con discrezione e in punta di piedi.
Attualmente i clown sono presenti in ospedale tutte le sere dal lunedì al venerdì, generalmente in sei per turno dalle 19.30 alle 21. Due di loro visitano i bambini ricoverati nel reparto di Otorinolaringoiatria (ORL) e quattro vanno in Pediatria. L’unica eccezione è il martedì, quando i clown prestano servizio in Medicina generale e Gastroenterologia con gli adulti. Inoltre una o due volte a settimana alcuni vengono al mattino, sempre nel reparto di ORL dove fanno compagnia ai bambini in attesa di operazione, e in Pediatria dove accompagnano i nuovi arrivati in attesa di ricovero.
Sono diverse le associazioni di clown presenti sul territorio che di tanto in tanto prestano servizio al Sacro Cuore, ma quella più consolidata all’interno del nosocomio è l’associazione “InVita un Sorriso – clown dottori onlus”. “Quando abbiamo iniziato nel 2001 eravamo in 11. Oggi siamo in 167 e operiamo in varie realtà sociali e sanitarie – dice Daniela Brunaccini, alias dottoressa Spumiglia, presidente dell’associazione -. Il nostro servizio è totalmente volontario. Ci sono medici, infermieri, impiegati, professionisti, pensionati, studenti… anche persone che ci hanno conosciuto mentre erano ricoverate e poi hanno deciso di diventare clown-dottori”.
Cosa fanno in concreto i clown in corsia? “La discrezione è una parte fondamentale del nostro lavoro – dice la “dottoressa Spumiglia” -. Parliamo con il personale ospedaliero che ci indica in quali stanze possiamo entrare, ovviamente solo se i pazienti e i loro familiari sono d’accordo. Con i bambini stiamo in stanza una ventina di minuti. Si scherza, si fanno piccole magie, magari si regala un palloncino o un giochetto. Non entriamo mai nello specifico della malattia. Con gli adulti invece è diverso. Con loro parliamo molto e soprattutto ascoltiamo”.
Per diventare “clown-dottore” si frequenta un corso (l’associazione ne organizza due all’anno). Dieci incontri dove gli aspiranti clown vengono formati su vari aspetti, primo fra tutti la relazione con il paziente. Un’altra parte fondamentale del percorso formativo è l’affiancamento in corsia a un collega clown, assolutamente indispensabile prima di potersi muovere in autonomia.
Racconta un altro clown: “Entriamo in una stanza dov’è ricoverata una signora di una certa età. Siamo in due. Vicino a lei c’è la figlia che ci saluta. La signora si gira verso di noi tutta seria e ci apostrofa con una frase di Charlie Chaplin: ʻUn giorno senza sorriso è un giorno persoʼ. Io guardo la mia collega. ʻSì è vero – dico – comunque in fatto di sorrisi per oggi siamo a buon puntoʼ. La signora ci guarda e il suo volto serio si addolcisce. A questo punto interviene la figlia. ʻVoi siete a buon punto– dice – ma per mia madre questo è il primo sorriso della giornataʼ“.
Melanomi: quando il sole diventa un nemico
Tre illustri ortopedici statunitensi a Negrar per apprendere una tecnica innovativa di chirurgia rigenerativa della cartilagine del ginocchio riguardo alla quale il Sacro Cuore annovera la più ampia casistica
L’ospedale Sacro Cuore Don Calabria fa scuola anche negli Stati Uniti nell’ambito della chirurgia rigenerativa ortopedica, in particolare per il trattamento dei difetti della cartilagine.
Nelle scorse settimane tre tra i più illustri chirurghi ortopedici statunitensi hanno assistito ad un intervento chirurgico nel corso del quale il dottor Claudio Zorzi, direttore dell’Ortopedia e Traumatologia di Negrar, ha utilizzato un’innovativa tecnica di chirurgia rigenerativa che sfrutta il tessuto adiposo per la cura della condropatia degenerativa della cartilagine del ginocchio, una sofferenza del rivestimento dell’articolazione dovuta ad usura da sovraccarico. Colpisce con sintomi dolorosi in particolare gli sportivi, ma non solo, e se non curata porta all’artrosi del ginocchio e all’intervento di protesi.
Gli ospiti americani in sala operatoria erano i dottori Champ Baker della Hughston Clinic di Columbus (Georgia), Claude T. Moorman della Duke University di Raleigh (North Carolina) e Robert Stanton di Fairfield del Connecticut. Ad affiancare il dottor Zorzi erano presenti i colleghi Vincenzo Condello, Vincenzo Madonna e Arcangelo Russo.
Il dottor Zorzi è stato uno dei primi ortopedici ad applicare questa tecnica e dispone della più ampia casistica, avendo trattato e seguito nel successivo follow up circa 200 pazienti in due anni.
Si tratta di una tecnica che utilizza il tessuto adiposo come naturale e fisiologico contenitore di cellule mesenchimali adulte (MSC). Essendo cellule staminali adulte, quindi capaci di differenziarsi in cellule connettivali, esse sono un accelerante rigenerativo nei processi di riparazione del tessuto danneggiato della cartilagine.
Al paziente viene prelevata per liposuzione una piccola quantità di grasso dall’addome o dalla coscia, che viene successivamente microfratturata attraverso un dispositivo medico ideato e brevettato dalla Lipogems, un’azienda italiana che opera nel campo delle biotecnologie, da cui la tecnica prende il nome.
Una volta ridotto in piccole dimensioni e privato dei frammenti oleosi ed ematici, il tessuto adiposo viene iniettato nell’articolazione colpita da degenerazione della cartilagine. Di fatto si tratta di un autotrapianto del grasso del paziente. Le cellule mesenchimali contenute in esso, attraverso complessi biochimici del tutto naturali, “guideranno”una volta iniettate le cellule del tessuto articolare sostenendo il naturale processo di rigenerazione tessutale.
E’ un intervento mininvasivo che si risolve in una sola seduta operatoria. Per qualche giorno il paziente deve usare le stampelle per muoversi, ma dopo una settimana può camminare senza supporto.
Se il ginocchio fa male, la cura arriva dal tessuto adiposo
Tre illustri ortopedici statunitensi a Negrar per apprendere una tecnica innovativa di chirurgia rigenerativa della cartilagine del ginocchio riguardo alla quale il Sacro Cuore annovera la più ampia casistica
L’ospedale Sacro Cuore Don Calabria fa scuola anche negli Stati Uniti nell’ambito della chirurgia rigenerativa ortopedica, in particolare per il trattamento dei difetti della cartilagine.
Nelle scorse settimane tre tra i più illustri chirurghi ortopedici statunitensi hanno assistito ad un intervento chirurgico nel corso del quale il dottor Claudio Zorzi, direttore dell’Ortopedia e Traumatologia di Negrar, ha utilizzato un’innovativa tecnica di chirurgia rigenerativa che sfrutta il tessuto adiposo per la cura della condropatia degenerativa della cartilagine del ginocchio, una sofferenza del rivestimento dell’articolazione dovuta ad usura da sovraccarico. Colpisce con sintomi dolorosi in particolare gli sportivi, ma non solo, e se non curata porta all’artrosi del ginocchio e all’intervento di protesi.
Gli ospiti americani in sala operatoria erano i dottori Champ Baker della Hughston Clinic di Columbus (Georgia), Claude T. Moorman della Duke University di Raleigh (North Carolina) e Robert Stanton di Fairfield del Connecticut. Ad affiancare il dottor Zorzi erano presenti i colleghi Vincenzo Condello, Vincenzo Madonna e Arcangelo Russo.
Il dottor Zorzi è stato uno dei primi ortopedici ad applicare questa tecnica e dispone della più ampia casistica, avendo trattato e seguito nel successivo follow up circa 200 pazienti in due anni.
Si tratta di una tecnica che utilizza il tessuto adiposo come naturale e fisiologico contenitore di cellule mesenchimali adulte (MSC). Essendo cellule staminali adulte, quindi capaci di differenziarsi in cellule connettivali, esse sono un accelerante rigenerativo nei processi di riparazione del tessuto danneggiato della cartilagine.
Al paziente viene prelevata per liposuzione una piccola quantità di grasso dall’addome o dalla coscia, che viene successivamente microfratturata attraverso un dispositivo medico ideato e brevettato dalla Lipogems, un’azienda italiana che opera nel campo delle biotecnologie, da cui la tecnica prende il nome.
Una volta ridotto in piccole dimensioni e privato dei frammenti oleosi ed ematici, il tessuto adiposo viene iniettato nell’articolazione colpita da degenerazione della cartilagine. Di fatto si tratta di un autotrapianto del grasso del paziente. Le cellule mesenchimali contenute in esso, attraverso complessi biochimici del tutto naturali, “guideranno”una volta iniettate le cellule del tessuto articolare sostenendo il naturale processo di rigenerazione tessutale.
E’ un intervento mininvasivo che si risolve in una sola seduta operatoria. Per qualche giorno il paziente deve usare le stampelle per muoversi, ma dopo una settimana può camminare senza supporto.
La sfida di una gestione efficiente e profetica
I gestori delle case calabriane in Italia, tra cui l’ospedale di Negrar, si sono riuniti a Maguzzano (Bs) per un incontro di formazione sul rapporto tra la gestione delle attività e lo spirito del fondatore nel mondo attuale
“Guardate alle anime. Ecco il nostro compito! Guardate a tutte le anime, ma in modo speciale alle più povere e più abbandonate, quelle che sono la predilezione di Dio”.
[…] “Felici le riunioni alle quali presiede la luce e il consiglio dello Spirito Santo. Tutto si faccia nella carità e nel fraterno amore, allora Gesù sarà con noi”.
Queste due citazioni di san Giovanni Calabria esprimono bene il senso e il contesto nel quale i gestori dell’Opera Don Calabria in Italia si sono incontrati a Maguzzano (Bs) il 9 e 10 giugno scorsi. L’assemblea ha visto la partecipazione di circa 70 religiosi e collaboratori laici che dirigono le case fondate da don Calabria, di cui fa parte anche la Cittadella della Carità di Negrar con le sue attività sanitarie e socio-sanitarie.
Durante l’incontro si è parlato di come coniugare una gestione efficace ed efficiente delle attività con la dimensione profeticapropria di un carisma come quello calabriano. Sul canale video dell’Opera Don Calabria (doncalabria1) sono disponibili i filmati integrali delle relazioni, tutte di altissimo livello. Ecco il collegamento diretto per vedere i filmati: filmati assemblea gestori 2016.
Questi gli interventi contenuti nei filmati:
MONS. EZIO FALAVEGNA – La gestione come segno profetico nel mondo di oggi
ROBERTO CANU – I consigli di gestione: dal lavoro in gruppo al lavoro di gruppo
SALVINO LEONE – L’attualizzazione del carisma nella gestione di una organizzazione religiosa
FRATEL GEDOVAR NAZZARI – Il piano di gestione come strumento per la costruzione di un’opera di discepoli-fratelli-missionari
DON IVO PASA – Il piano di gestione della Delegazione Europea San Giovanni Calabria
Per un breve profilo dei relatori: ALLEGATO 1
Per un elenco delle case calabriane in Italia: ALLEGATO 2
I bimbi adottati in Congo a Negrar per le visite
È il Centro per la salute del bambino adottato del Sacro Cuore Don Calabria a seguire i bambini congolesi vittime di una travagliata vicenda di adozione: un unicum in Italia per la stretta collaborazione con il Centro per le malattie tropicali
Stanno arrivando alla spicciolata a Negrar dopo essere giunti finalmente in Italia. Sono i bambini della Repubblica Democratica del Congo, vittime di un’incredibile vicenda di adozione che, dopo il blocco deciso da Kinshasa nel 2013, ha tenuto per anni molte famiglie italiane con il fiato sospeso.
Gli ultimi diciotto bimbi sono sbarcati nel nostro Paese lo scorso 10 giugno e sono attesi, come gli altri giunti precedentemente, al Centro per la salute del bambino adottato della Pediatria del “Sacro Cuore Don Calabria”, diretta dal dottor Antonio Deganello.
Attualmente sono in corso le visite dei bambini arrivati il 7 maggio e il 2 giugno scorsi, fra quali sono stati riscontrati un caso di malaria e un altro di malaria con parassitosi. Gli accertamenti medici sui bambini del Congo al “Sacro Cuore Don Calabria” sono diventati ormai una consuetudine, iniziata nel 2014 quando i dottori Gianmario De Stefano e Giorgio Zavarise, responsabili del Servizio, hanno visitato e curato il primo gruppo giunto in Italia.
Sono ventiquattro i Centri italiani ospedalieri di riferimento per i bambini adottati provenienti da altri Paesi, ma quello di Negrar ha una peculiarità che lo distingue dagli altri. Il Centro è nato ufficialmente nel 2002, tuttavia da sempre la Pediatria opera in stretta collaborazione con il Centro per le Malattie tropicali (CMT) e il relativo Laboratorio.
“Questo ci consente – spiega il dottor Zavarise – di avvalerci delle conoscenze dei medici del CMT e di poter ottenere una diagnosi entro un’ora per malattie come, per esempio, la malaria. Inoltre grazie al Laboratorio possiamo effettuare in loco le analisi dei campioni biologici per accertare o meno la presenza di parassitosi. Anzi possiamo avere i risultati sui campioni prima che il bimbo venga da noi, grazie al Servizio on line che permette di ricevere a casa i contenitori per la raccolta e di rispedirli a Negrar per le analisi”.
Il Centro segue il protocollo nazionale del Gruppo di lavoro del bambino migrante affiliato alla Società italiana di pediatria. “La quasi totalità dei nostri pazienti sono bambini adottati da famiglie che provengono da tutta Italia – spiega ancora il dottor Zavarise-. I figli di immigrati vengono seguiti dai canali ‘classici’ della Sanità pubblica, mentre finora non abbiamo visto minori profughi”. Il primo filtro è l’ambulatorio che esegue 500 visite all’anno, i ricoveri sono circa la metà.
Il continente di maggiore provenienza dei giovani pazienti è l’Africa (Etiopia in testa, poi Burkina Faso, Mali, Costa D’Avorio, Kenia e Congo), seguono l’India, il Vietnam, la Mongolia la Cina, l’America Latina (Brasile, Colombia, Ecuador, Bolivia e Cile) e l’Europa (soprattutto Russia e Polonia).
“Ci troviamo di fronte a un ampio ventaglio di possibili patologie – afferma il pediatra -. Insieme ad altri due Centri italiani, abbiamo deciso di differenziare i protocolli in base alla provenienza del bambino, tenendo fermi alcuni esami fondamentali. Questo permette un’azione mirata e un’accurata gestione delle risorse economiche“.
Nella consapevolezza, sottolinea e conclude Zavarise, “che quasi sempre abbiamo di fronte bambini con un vissuto difficile che non hanno bisogno di ulteriori traumi, quali sono le visite e i prelievi per i più piccoli. Quindi non è necessario, salvo urgenze, ‘aggredire’ il bambino con un immediato check up medico e sottoporlo a una batteria di accertamenti non indicati dalla provenienza e dal complessivo stato di salute del piccolo. Contrariamente c’è il rischio di costringerlo a rivivere quella condizione di istituto da cui spesso egli proviene”.
(nella foto allegata da sinistra il dottori Gianmario De Stefano, Giorgio Zavarise e Francesco Doro)
Visita preventiva per le patologie urologiche maschili
L’Unità di Urologia del Sacro Cuore aderisce in giugno alla campagna per la prevenzione urologica nell’uomo. Per prenotare una visita gratuita si può chiamare l’800822822 o andare sul sito www.controllati.it (fino a esaurimento posti)
Una visita gratuita per prevenire le patologie urologiche. Anche l’Unità Operativa di Urologia dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, diretta dal dott. Stefano Cavalleri, aderisce alla campagna di prevenzione promossa per tutto il mese di giugno dalla Società Italiana di Urologia (SIU).
La prenotazione della visita si può fare chiamando il numero verde 800.822.822 oppure direttamente on line, collegandosi al sito www.controllati.it e cliccando sul pulsante “prenota on line“. In questo caso, dopo aver selezionato l’ospedale Sacro Cuore tra le varie strutture aderenti all’iniziativa, si potrà accedere ad un calendario nel quale sono indicati i giorni e gli orari disponibili per le visite. Per la prenotazione non c’è bisogno dell’impegnativa, ma i posti sono in numero limitato. La durata prevista per ogni visita è di 20 minuti.
“L’obiettivo di questa iniziativa è sensibilizzare gli uomini sull’importanza della prevenzione delle patologie dell’apparato urinario – spiega il dott. Stefano Cavalleri – Questo perchè i maschi sono spesso restii a farsi controllare se non in presenza di patologie gravi: invece è importante sottoporsi a controlli anche per disturbi minori, tanto più che frequentemente tali disturbi possono essere trattati e risolti in modo efficace. E a maggior ragione quando si rivelano patologie più gravi, come quelle oncologiche, se la diagnosi avviene per tempo ci sono ottime possibilità di cura”.
L’Unità di Urologia del Sacro Cuore tratta tutte le patologie dell’apparato urinario, dai tumori della prostata, del rene, della vescica e del testicolo alle patologie benigne, quali calcolosi urinaria, iperplasia benigna della prostata e prostatiti, infertilità maschile e disfunzioni sessuali. Nel 2015 l’equipe guidata dal dott. Cavalleri ha eseguito 376 interventi per trattare patologie oncologiche, un dato che pone l’ospedale Sacro Cuore ai primissimi posti nella regione Veneto per casi trattati chirurgicamente (4° posto regionale per numero di interventi su neoplasie della prostata, 4° posto per la vescica e 5° posto per il rene).
Nel caso della prostata, quasi tutti gli interventi sono eseguiti in chirurgia robotica, grazie all’utilizzo del robot Da Vinci Xi, una tecnologia all’avanguardia che permette di eseguire operazioni anche molto complesse in modo mininvasivo, garantendo al paziente tempi di recupero rapidissimi. Per la maggior parte degli interventi, infatti, la degenza non supera i 2-3 giorni. Nel 2015 le operazioni alla prostata eseguite in chirurgia robotica sono state 196, di cui circa 150 prostatectomie. Vista la grande versatilità del Da Vinci Xi, inoltre, di recente l’equipe ha cominciato ad usare il robot anche per interventi su tumori del rene.
“Vorrei sottolineare che la nostra Unità di Urologia fa parte del Cancer Care Center, cioè l’organizzazione che l’ospedale Sacro Cuore ha creato per rendere più veloci ed efficienti i percorsi di presa in carico e di cura dei pazienti affetti da patologie tumorali” aggiunge il dott. Cavalleri. “Ciò significa che si cerca di privilegiare un approccio multidisciplinare per cui siamo continuamente in contatto con gli altri specialisti: oncologi, radioterapisti, patologi, radiologi, specialisti in medicina nucleare. Fondamentale è inoltre la collaborazione con altri specialisti, quali i cardiologi, gli pneumologi e gli anestesisti che ci supportano soprattutto in caso di complicanze con i pazienti anziani”.
Secondo i dati della SIU, in Italia 9 uomini su 10 si sottopongono ad una visita urologica solo in caso di gravi patologie. Solo 1 su 10, invece, effettua una visita di prevenzione. Eppure i tumori delle vie urinarie, e in particolare il cancro della prostata, rappresentano le patologie oncologiche più frequenti nel maschio e la seconda causa di morte per neoplasia negli uomini, dopo il tumore del polmone. Il rischio che un uomo sviluppi il tumore della prostata è correlato all’età, a fattori ereditari, alla dieta ed allo stile di vita. Per una corretta prevenzione è opportuno effettuare, almeno una volta ogni 12 mesi, una visita urologica di controllo ed un dosaggio del PSA a partire dall’età di 50 anni, anticipando lo screening all’età di 45 anni in caso di familiarità (per ulteriori informazioni si può consultare il sito della SIU).
Una "rete" per combattere l'endometriosi
Attenzione ai sintomi, diagnosi precoce e cura in un centro specializzato. È questa la strada indicata dagli esperti nelle video-interviste raccolte a margine del convegno sull’endometriosi tenutosi a Negrar il 21 maggio
Quali sono i sintomi dell’endometriosi? Quando il dolore mestruale nella donna diventa un campanello d’allarme? E quali sono i trattamenti più indicati?
Nei due filmati della videogallery ne parlano il dott. Marcello Ceccaroni, direttore dell’Unità Operativa di Ostetricia e Ginecologia al Sacro Cuore, e la dott.ssa Alessandra Graziottin, direttore del Centro di Ginecologia del San Raffaele Resnati di Milano e presidente della Fondazione Alessandra Graziottin onlus per la cura del dolore della donna. Con loro Annalisa Frassineti, presidente dell’Associazione Progetto Endometriosi (APE Onlus).
Le interviste sono state raccolte a margine del convegno “La gestione clinica della paziente endometriosica in un Centro di III livello“, tenutosi a Negrar il 21 maggio.
Settimana mondiale della tiroide: visite ed ecografie gratuite
l “Sacro Cuore Don Calabria” è un centro d’eccellenza per il trattamento completo delle patologie funzionali e dei tumori, l’unico nel Veronese a disporre di un Servizio di Terapia radiometabolica
“La tiroide nel bambino e nell’anziano” è il tema per la Settimana mondiale della tiroide che si tiene dal 23 al 27 marzo. Anche il Servizio di Endocrinologia dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, di cui è responsabile il dottor Lino Furlani, partecipa alle iniziative di prevenzione che si svolgono in molti ospedali italiani.
Visite mediche ed ecografie gratuite
Venerdì 27 maggio, dalle 9 alle 16, gli specialisti del Servizio saranno a disposizione al sesto piano del “Don Calabria” per visite mediche ed ecografie gratuite. L’iniziativa – rivolta solo a coloro che non si sono mai sottoposti a controllo della ghiandola endocrina – non richiede l’impegnativa medica, ma solo la prenotazione telefonica al numero 045.6014841, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12. Sono circa 150 i posti disponibili.
A Negrar il trattamento completo della malattia
Il “Sacro Cuore Don Calabria” è l’unico ospedale del Veronese, e uno dei pochi in regione, a prevedere un approccio multidisciplinare completo alla patologia tiroidea (funzionale e nodulare benigna e maligna) che vede la collaborazione di endocrinologi, anatomopatologi, radiologi, oncologi e chirurghi endocrini. A quali si aggiungono i medici nucleari del servizio di Terapia radiometabolica, diretto dal dottor Matteo Salgarello, l’unico nella provincia di Verona. Grazie a questo team di specialisti vengono trattati efficacemente anche i tumori tiroidei più aggressivi.
Perché controllare la tiroide
“Controllare la salute della tiroide è molto importante – spiega il dottor Furlani -. Questa ghiandola endocrina ha il compito di produrre gli ormoni tiroidei che svolgono un ruolo essenziale nella regolazione del metabolismo basale, sull’apparato cardiovascolare, sul metabolismo dei grassi e degli zuccheri e su quello osseo ed inoltre rivestono un ruolo centrale nello sviluppo nervoso e scheletrico del feto e del bambino».
Una patologia diffusa, ma rari i tumori
Circa il 15% della popolazione italiana è affetto da una malattia della tiroide, un numero che è aumentato rapidamente negli ultimi 20 anni. Si stima inoltre che se sottoposto a ecografia circa il 40% della popolazione presenta noduli anche molto piccoli. Tuttavia solo il 4-5% sono neoplasie, nella gran parte dei casi curabili in modo efficace ed anche definitivo.
Tiroide e gravidanza
Gli ormoni tiroidei hanno importanza fondamentale fin dal grembo materno, perché influenzano lo sviluppo del sistema nervoso centrale del nascituro. Il quale, essendo privo di tiroide nei primi mesi di gestazione, dipende totalmente da quella della madre. “Per questo è indicato, anche se i protocolli ancora non ne prevedono l’obbligo, effettuare gli esami di funzione tiroidea in gravidanza, o in previsione di essa, soprattutto se le donne hanno storie familiari o personali, anche risolte, di disfunzioni tiroidee”, prosegue il dottor Furlani. I neonati, invece, da oltre 30 anni vengono sottoposti alla nascita a uno screening per la funzionalità tiroidea.
Come è noto, in gravidanza il fabbisogno di iodio, di cui si “nutre” la tiroide aumenta. “Se una donna in generale ha bisogno di 150 mcg al giorno di iodio – sottolinea l’endocrinologo – quando attende un bambino e quando allatta necessita di un apporto iodico di 220-250 mcg al giorno che il solo impiego del sale iodato (comunque raccomandato in quantità non eccessiva) non garantisce per cui il medico suggerirà idonei integratori. È opportuno, inoltre, che una donna con problemi tiroidei in gravidanza sia seguita, oltre che dal ginecologo, anche dall’endocrinologo.
Ipotiroidismo e ipertiroidismo
Le alterazioni della funzione tiroidea prevalgono nella donna – anche se, in minor misura, non sono assenti nel sesso maschile – soprattutto in età giovanile e adulta o in post menopausa. L’ipotiroidismo colpisce il 10% della popolazione ed è caratterizzato da una ridotta produzione di ormoni. Nell’ipertiroidismo, invece, vi è un’eccessiva produzione di ormoni ed interessa circa il 4% della popolazione generale.
L’ipotiroidismo e l’ipertiroidismo sono per la gran parte dei casi di natura autoimmune (rispettivamente morbo di Hashimoto e di Basedow), ma il secondo può essere causato anche da noduli (il cosiddetto adenoma di Plummer”). L’ipotiroidismo viene curato con la terapia sostitutiva ormonale, mentre l’ipertiroidismo prevede in prima istanza la terapia farmacologica e, nei casi “resistenti”, la chirurgia o lo iodio radioattivo; quest’ultimo rappresenta un’alternativa all’intervento chirurgico in casi selezionati di ipertiroidismo.
Chirurgia di eccellenza
“All’anno eseguiamo circa 200 interventi di asportazione della tiroide – sottolinea il dottor Alessandro Sandrini, responsabile della Chirurgia endocrina – per patologie meccaniche, i cosiddetti “gozzi nodulari e non”, per ipertiroidismo e nel 25% dei casi per tumori. L’intervento viene effettuato con tecniche mininvasive e abbiamo un tasso di complicanze, il più delle volte transitorie, molto basso. A livello delle corde vocali è dell’1-2%, mentre in meno del 4% dei casi si sono verificate disfunzioni delle paratiroidi che sono parte attiva nel mantenere normale il metabolismo del calcio“.
Terapia radiometabolica
La Terapia radiometabolica è indicata dopo l’intervento nei casi di cancro classificati “ad alto rischio” e prevede due notti di ricovero in ospedale.