I nostri ricercatori: "Studiamo la 'carta di identità' dei tumori per trovare nuove terapie"
Conosciamo il dottor Giulio Settanni, responsabile del Laboratorio di Patologia molecolare dell’Anatomia Patologica. “Le informazioni contenute nel DNA e nell’RNA di una neoplasia ci consentono di scegliere la migliore opzione terapeutica. Senza lo studio dei tumori dal punto di vista molecolare non sarebbe stato possibile lo sviluppo della target therapy, cioè di farmaci a bersaglio molecolare in grado di agire su una determinata alterazione genetica di una neoplasia, bloccando così i processi biologici fondamentali per la sua sopravvivenza”
Ogni tumore è una patologia genetica. La fisiologica attività di replicazione delle cellule dà infatti vita ad errori di sequenza del DNA e dell’RNA che possono sfuggire ai sistemi di controllo e di riparazione del nostro organismo, dando inizio a una proliferazione di cellule anomale ovvero tumorali. In alcune persone le varianti patogenetiche hanno invece origine ereditaria e comportano un elevato rischio di ammalarsi di cancro durante la vita. In entrambi i casi quello della patologia genetica è terreno d’indagine del biologo molecolare, una figura sanitaria e di ricerca da cui la diagnostica oncologica non può prescindere.
Giulio Settanni, 35 anni, originario di Manduria (provincia di Taranto) dal luglio del 2021 è responsabile del Laboratorio di biologia molecolare presso Dipartimento di Anatomia patologica dell’IRCCS di Negrar, diretto dal professor Giuseppe Zamboni. Laurea magistrale in Scienze biomolecolari e cellulari all’Università di Ferrara, prima di approdare a Negrar nel 2016 ha lavorato quattro anni all’Istituto Nazionale Tumori di Milano. (guarda in video “pillole della ricerca”)
“Lo studio dei tumori dal punto di vista molecolare è ‘esploso’ 15-20 anni fa ed è andato di pari passo con lo sviluppo della cosiddetta target therapy, cioè di farmaci a bersaglio molecolare in grado di agire su una determinata alterazione genetica di una neoplasia, bloccando così i processi biologici fondamentali per la sua sopravvivenza – spiega Settanni -. Senza lo studio molecolare dei tumori e quindi senza la creazione di questi farmaci “intelligenti” tratteremmo ancora tutti i pazienti con la stessa terapia, a prescindere dalla “carta di identità” di ogni forma tumorale. Invece le informazioni contenute nel DNA e nell’RNA di una neoplasia non solo ci consentono di scegliere la migliore opzione terapeutica, ma di evitare di infondere terapie inutili e potenzialmente tossiche grazie alla conoscenza degli indicatori di resistenza. L’esempio classico riguarda i tumori del colon dove una mutazione del gene KRAS fa sì che il paziente sia resistente a un determinato farmaco”.
Altro grande capitolo della patologia molecolare è la ricerca delle alterazioni genetiche germinali, cioè di origine eredo-familiare.
In questo caso lo studio non viene eseguito sul reperto operatorio o sul materiale prelevato tramite biopsia di una persona già ammalata, ma sul sangue di soggetti non necessariamente affetti da tumore. Sono persone la cui anamnesi del genetista oncologo ha indicato un rischio rilevante, per storia personale e/o familiare, di contrarre una malattia neoplastica legata all’alterazione di uno o più geni. I più noti sono i geni BRCA1 e BRCA2 per quanto riguarda i tumori della mammella e dell’ovaio. Ma mutazioni genetiche sono all’origine anche della sindrome di Lynch che predispone a diversi tumori maligni primo fra tutti il cancro al colon; della poliposi familiare, caratterizzata dalla proliferazione di polipi che possono trasformarsi in tumori del colon; del melanoma familiare e di tante altre. Quelle eredo-familiari sono una piccola percentuale delle forme neoplastiche, ma la conoscenza delle alterazioni genetiche che le provocano permette di mettere in atto tutte le azioni preventive o di diagnosi precoce.
Quale tipo di ricerca viene svolta in patologia molecolare?
Si tratta di una ricerca cosiddetta traslazionale. Essa ha origine dall’attività diagnostica, nel senso che utilizza i dati diagnostici, previa autorizzazione del paziente e del Comitato etico. Dalla casistica prodotta dagli esami diagnostici possono emergere delle caratteristiche comuni a più pazienti, tali da meritare un approfondimento di ricerca.
In questo momento il suo Laboratorio in quali progetti di ricerca è impegnato?
Stiamo partecipando ad uno studio multicentrico promosso da Alleanza contro i cancro di cui l’IRCCS di Negrar fa parte. Il progetto s’intitola GerSom e si propone di confrontare, nell’ambito di determinati tumori (mammella, ovaio e colon), i dati emersi dagli esami di biologia molecolare sul reperto operatorio (somatici) e quelli sul sangue (germinali), utilizzando delle procedure di laboratorio messe a punto nei due centri capofila dello studio: la Fondazione Gemelli di Roma e l’Istituto Oncologico Europeo di Milano. Lo scopo è quello di testare una procedura comune che possa dare risposte sovrapponibili anche se gli esami vengono effettuati in differenti Laboratori. La finalità ultima è quella di fornire a tutti i pazienti la migliore diagnosi possibile e quindi una più adeguata presa in carico. Lo studio comparativo richiede sequenziatori di ultima generazione di cui disponiamo da alcuni anni e che ci permettono di studiare anche la casistica dell’ospedale San Matteo di Pavia.
Ha fatto esperienze all’estero?
Nel 2019 ho avuto la grande opportunità di clinical visiting observer presso il Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, il più grande e il più prestigioso Istituto oncologico del mondo. E’ stata una bellissima esperienza, seppur durata solo un mese, grazie alla quale ho potuto rendermi conto anche dell’eccellenza del Laboratorio che oggi dirigo.
In che senso?
Accogliendo malati da tutto il mondo, il Memorial di New York è irraggiungibile sul piano della casistica, ma su quello della qualità della risposta data al paziente la realtà di Negrar non ha nulla da invidiare a questo “colosso” dell’oncologia. Al “Sacro Cuore Don Calabria” nell’ambito della patologia molecolare, ma non solo, sono stati fatti investimenti mirati che hanno portato allo sviluppo di una diagnostica di eccellenza.
Cosa invece la realtà oncologica italiana, in generale, dovrebbe invidiare a quella americana?
Senza dubbio i finanziamenti per la ricerca, che negli Usa sono soprattutto privati. Ma ancora di più l’aspetto culturale. Quello del ricercatore in generale è un lavoro che richiede di essere adeguatamente strutturato e finanziato per il raggiungimento dei risultati: purtroppo nel nostro Paese tali criteri non vengono sempre soddisfatti, rendendo quella del ricercatore una professione poco appetibile per i giovani laureati. Pertanto il ruolo del ricercatore puro (io non lo sono, perché mi occupo principalmente di diagnostica) sembra non avere quell’appeal che invece meriterebbe data l’importanza, perché solo grazie alla ricerca possiamo ottenere gli strumenti necessari a sconfiggere le malattie. Così non di rado menti capaci emigrano all’estero – dove raggiungono stabilità e stipendio dignitoso – oppure virano verso il settore diagnostico o delle case farmaceutiche. In Italia dobbiamo fare un salto culturale e vedere nella ricerca (quindi nel ricercatore) un investimento che necessita di pazienza, perché i risultati non sono immediati e dietro scoperte eclatanti, che imprimono una svolta nella cura delle malattie, ci sono anni di duro lavoro e di studio. La ricerca di oggi rappresenta potenzialmente la terapia di domani.
Cippi vola sull'Ostetricia: l'uccellino creato dagli artisti di Casa Perez per adornare libri in regalo ai piccoli ospiti
Gli ospiti di Casa Perez hanno realizzato delle bellissime confezioni con protagonista l’uccellino Cippi, per adornare i libri offerti dalla Giunti Al Punto e donati all’Ostericia per i nuovi nati. Ma le creazioni dei nostri artisti non si conclude qui. Sono già in programma realizzazioni per altri reparti, soprattutto dove sono ricoverati i bambini.
E’ un peccato scartarlo. Mai frase è sembrata più adatta di fronte ai libri che le neo-mamme del reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria hanno ricevuto mercoledì 9 agosto per i loro bambini, direttamente dalle mani degli ospiti di Casa Perez, la struttura residenziale della Cittadella della Carità di Negrar, di cui fa parte anche l’Ospedale, dedicata a persone con problemi sociali e psichiatrici cronici.
Una confezione che rende ancora più prezioso il dono
Perché se i libri sono un regalo delle librerie Giunti Al Punto, la confezione è opera degli stessi ospiti, i quali non si sono limitati a scegliere la carta più adatta, ma hanno adornato la stessa ponendo una molletta in legno a forma di uccellino con un cuore dipinto sulle ali. Nulla è stato lasciato al caso: l’uccellino si chiama Cippi (dalle iniziali di Casa Perez) e il disegno porta inevitabilmente al Sacro Cuore di Gesù, a cui il fondatore San Giovanni Calabria ha affidato la Cittadella della Carità. Il tutto accompagnato da una brochure e da un biglietto, dove gli autori si presentano e augurano ai nuovi nati “Buona vita”!
Carlo e Miria e tutti gli “artisti” di Casa Perez
Il primo a ricevere il dono è stato Kevin, un frugoletto di poche ore beatamente addormentato nelle braccia della mamma. A porgerlo alcuni rappresentati della ventina di ospiti di Casa Perez attivi in Laboratorio: Carlo che, grazie alla sua passione giovanile per il traforo, si è occupato di trasformare il legno in tanti uccellini; Claudio che ha “firmato” la decorazione pittorica; le signore Miria e Giovanna (detta Iole) che si sono occupate delle confezioni. Ad accompagnarli, la caposala Debora Boscolo e le educatrici Giulia Dalle Pezze e Chiara Righetti. All’informale cerimonia con la consegna di circa 90 libri, erano presenti anche il dottor Marcello Ceccaroni, direttore dalla Ginecologia ed Ostetricia, la dottoressa Mariella Musola, responsabile di Ostetricia, e la caposala del reparto Emanuela Bonifacio.
L’incontro di due progetti: i libri donati dalla Giunti Al Punto e “Cre-arte” di Casa Perez
L’iniziativa nasce dall’incontro di due progetti, voluto e favorito dall’Ufficio Aiuti Umanitari della Cittadella della Carità. Il progetto delle Librerie Giunti Al Punto (“Aiutaci a crescere. Regalaci un libro”) che prevede l’acquisto da parte dei clienti di volumi da distribuire, a titolo di donazione, ai reparti ospedalieri dove sono presenti bambini. E il progetto Cre-Arte del Laboratorio artistico di Casa Perez in cui gli ospiti realizzano oggetti di artigianato in legno o di altri materiali destinati alla vendita per beneficienza presso lo stesso Laboratorio o in occasione di mercatini all’esterno dell’ospedale. Il ricavato va a sostegno dell’attività artiginale, del Centro di Solidarietà San Giovanni Calabria, che si occupa di aiuti destinati soprattutto alle missioni dell’Opera, e al progetto di adozione a distanza. Anche gli autori dei lavori ricevano un incentivo economico per prezioso servizio prestato.
“Così si sentono ancora attivi e artefici di cose belle”
“Molti degli ospiti che risiedono a Casa Perez esprimono il loro bisogno di essere stimolati e occupati, perché rimane forte l’esigenza di sentirsi attivi, di fare qualcosa che sia utile”, affermano le educatrici Giulia e Chiara che assieme ai maestri d’arte, Giovanni Melotto e Florio Guardini, si occupano del progetto Cre-Arte. “Nell’abito dei percorsi di laboratorio cerchiamo di favorire l’integrazione e l’inclusività attraverso lavori individuali e di gruppo, dove gli ospiti possono vivere l’arte con creatività. Osservando e partecipando in modo attivo hanno la possibilità di recuperare le abilità perdute durante la malattia e di sperimentare la consapevolezza di essere artefici e non solo fruitori di cose belle”.
Ma Cippi volerà anche su altri reparti
Non è la prima volta che gli ospiti di Casa Perez offrono i loro lavori al reparto di Ostetricia. Il 14 maggio, infatti, hanno donato alle neomamme, per la loro Festa, dei porta-pannolini in legno. Ma è in occasione del Natale e della Pasqua che le attività di Laboratorio si intensificano per la creazione pregevoli presepi e oggetti decorativi. Gli ospiti lavorano anche su ordinazione, per esempio, per la realizzazione di bomboniere.
Cippi non ha comunque intenzione di fermare il suo volo. E’ già in programma la realizzazione di molte altre mollette decorative che, al di là della fornitura dei libri da parte di Giunti, saranno regalate ai pazienti dell’ospedale, soprattutto ai bambini. Per la gioia di chi le riceve e degli artisti di Casa Perez.
La Medicina dei Viaggiatori: prevenzione, diagnosi e cura delle malattie legate al viaggio
Con l’intensificarsi degli spostamenti umani, anche da un continente all’altro, si è sviluppata la Medicina dei Viaggiatori, una specialità interdisciplinare che ha come ambito di interesse la prevenzione, la diagnosi e la cura delle malattie associate al viaggio. Gli specialisti in questa disciplina si occupano e rispondono di malattie dei viaggiatori, di epidemie, di vaccinazioni internazionali e sono in strettissimo contatto con le Agenzie internazionali preposte al monitoraggio delle malattie nel mondo.
Viaggiare è lavoro o studio; viaggiare è divertimento, viaggiare è lasciare il proprio Paese per cercare una vita migliore. L’importante, potrebbe declamare una pubblicità progresso, è farlo in salute.
Non a caso con l’intensificarsi degli spostamenti umani, anche da un continente all’altro, si è sviluppata la Medicina dei Viaggiatori, una specialità interdisciplinare che ha come ambito di interesse la prevenzione, la diagnosi e la cura delle malattie associate al viaggio. Gli specialisti in questa disciplina si occupano e rispondono di malattie dei viaggiatori, di epidemie, di vaccinazioni internazionali e sono in strettissimo contatto con le Agenzie internazionali preposte al monitoraggio delle malattie nel mondo.
In 24 ore da casa all’altra parte del mondo
Oggigiorno viaggiare è diventato relativamente semplice: in circa 24 ore si può andare da casa al posto più lontano dall’altra parte della Terra e, allo stesso modo, in un giorno si ritorna a casa dai luoghi più remoti del pianeta. Questo significa nel primo verso (quello dell’andata) che in pochissime ore ci possiamo ritrovare immersi in un ambiente completamente diverso da quello nel quale viviamo regolarmente; e nel secondo verso (il ritorno) che il rientro a casa avviene in tempi assai più brevi del tempo di incubazione di quasi tutte le malattie (conseguenza: queste malattie acquisite in Paesi lontani devono essere diagnosticate in patria, dove non sempre i medici sono addestrati a sufficienza per farlo).
Quanto si viaggia?
Fino al 2019, immediatamente prima della brusca interruzione causata dalla pandemia da COVID-19, ogni anno nel mondo si spostava più di 1 miliardo di persone. Ora, a pandemia conclusa, i viaggi sono ripresi, in alcuni Paesi addirittura non solo si è tornati ai numeri pre-pandemici, ma li si è superati. Si stima, comunque, che entro il 2030 si sposteranno ogni anno nel mondo circa 2 miliardi di persone. Gli italiani che ogni anno escono dai confini nazionali sono circa 18 milioni, il 10% dei quali si dirige verso Paesi della cosiddetta fascia tropicale o sub-tropicale.
Chi viaggia?
Se è vero che la maggior parte dei viaggi si fanno ancora per divertimento/vacanza, questa tipologia è andata via via diminuendo negli ultimi 20 anni, complice la crisi economica. Nel contempo, si sono fatte strada sempre più altre categorie di viaggiatori: i lavoratori, i cooperanti internazionali, i missionari, gli studenti che passano un periodo del loro iter di studio fuori Italia e i migranti che, una volta stabilizzatisi nel nuovo Paese, tornano periodicamente a far visita a familiari ed amici nelle terre d’origine.
Perché rivolgersi prima di partire a un ambulatorio di Medicina dei Viaggiatori
Un consulto all’Ambulatorio per la Medicina dei Viaggiatori comincia con un colloquio dal quale il medico riesce ad individuare i rischi cui il viaggiatore si espone specificamente per quel viaggio. A seconda dell’itinerario, della storia sanitaria e vaccinale del singolo individuo, degli eventuali farmaci assunti in cronico, della tipologia di viaggio (vacanza, di lavoro, di cooperazione, avventuroso, organizzato nei minimi dettagli, zaino-in-spalla…), viene creato un piano strategico per salvaguardare al meglio la salute del viaggiatore.
Questo significa, di volta in volta, somministrazione di vaccini, consigli per prevenire le varie forme di diarrea del viaggiatore o i modi migliori per gestirla se comparisse, profilassi anti-malarica o strategie per prevenire malattie tipiche del Paese mèta del viaggio.
L’ambulatorio di Medicina dei Viaggiatori del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali di Negrar si trova al sesto piano dell’ospedale Don Calabria. Per prenotare un consulto è necessario telefonare allo 045.6013257. Non si svolgono consulti telefonici.
E quando si torna a casa…
Il post viaggio non è un momento da sottovalutare. Non sempre le cose vanno per il verso giusto, e visto che i soggiorni spesso sono di pochi giorni anche in luoghi molto lontani, può capitare che le malattie contratte in Paesi tropicali e sub-tropicali si manifestino al rientro. Quindi se una volta tornati si presentano malessere, febbre, sfoghi cutanei, disturbi intestinali… è bene recarsi in un reparto di Malattie Infettive per gli opportuni accertamenti. Non solo per la propria salute, ma anche per quella pubblica.
Un esempio sono le malattie Dengue, Zika e Chikungunya, originarie dei Paesi tropicali e sub-tropicali, ma trasmesse dalla zanzara tigre comune (Aedes albopictus), presente da oltre 30 anni in Italia.
La diagnosi tempestiva di queste infezioni è fondamentale per evitare epidemie autoctone. Infatti una volta accertata la malattia, il caso viene segnalato al comune e all’ASL di appartenenza affinché provvedano alla disinfestazione per un raggio di 200 metri dalla casa del paziente al fine di evitare che una zanzara si infetti pungendo il malcapitato e trasmetta il virus a un’altra persona.
Con la collaborazione del dottor Andrea Rossanese
Medico di Medicina dei Viaggiatori dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria
150 anni dalla nascita di don Calabria: le immagini della mostra "Terra&Sangue" nel mondo
Abbiamo raccolto in un video le suggestive immagini e i filmati della mostra “Terra&Sangue”, dedicata a San Giovanni Calabria, che in questi mesi ha attraversato le missioni dell’Opera per celebrare i 150 anni dalla nascita del fondatore. Ora la mostra è in America Latina, ma in settembre arriverà a Verona e a Negrar
Cresce l’attesa per il ritorno a Verona della mostra “Terra&Sangue”, esposizione itinerante dedicata a san Giovanni Calabria in occasione del 150° anniversario della sua nascita. La mostra si compone di sette oggetti appartenuti a don Calabria, ognuno dei quali rappresenta un aspetto della sua vita e della sua spiritualità.
Il percorso comincia con le scarpe, prosegue con gli occhiali, quindi con una lettera autografa dal santo, poi con orologio, portafogli e stola sacerdotale. Il viaggio virtuale si conclude con un’ampolla di sangue di don Calabria incastonata in un reliquiario a forma di faro luminoso realizzato dal maestro Albano Poli.
La mostra era partita lo scorso 8 febbraio da San Zeno in Monte (vedi articolo) e in questi mesi ha attraversato la gran parte dei territori dove l’Opera Don Calabria è presente. Dapprima ha fatto tappa in Italia (esclusa Verona), Romania e Portogallo. Quindi è in marzo e aprile è stata la volta dell’Africa, con Kenya e Angola. In maggio è toccato a Filippine e India. Ora da alcune settimane la mostra si trova nei Paesi di lingua spagnola dell’America Latina, mentre in agosto e per la prima metà di settembre sarà in Brasile. Il rientro a Verona è previsto dopo il 20 settembre, in concomitanza con le celebrazioni per il 150° anniversario che culmineranno con la festa liturgica dell’8 ottobre.
Anche l’IRCCS di Negrar attende la mostra, che sarà esposta nei vari luoghi della Cittadella della Carità nelle giornate del 26 e 27 settembre con tante iniziative che coinvolgeranno i collaboratori, gli ammalati e tutte le persone legate all’ospedale.
Si tratta di un grande evento che finora ha mosso enorme entusiasmo nei luoghi delle missioni calabriane, dove le persone hanno vissuto con eccezionale partecipazione la possibilità di stare così vicino alla figura di don Calabria. Nel video qui sotto possiamo vedere le foto e i filmati di quanto accaduto finora nei vari territori…
Vaccini e un farmaco anche per la Delta: la lotta alle epatiti virali è sempre più efficace
Il 28 luglio ricorre la Giornata mondiale delle epatiti virali, che, solo per quanto riguarda la B e la C, colpiscono nel mondo rispettivamente 300 e 55 milioni di persone. Tuttavia grazie ai vaccini e ai farmaci, l’OMS conta di ridurre entro il 2030 del 90% i nuovi casi di infezioni proprio da HBV e HCV. Preoccupa, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, la Delta, ma l’introduzione di un nuovo farmaco fa ben sperare i pazienti con malattia compensata.
L’ultimo successo contro la numerosa famiglia delle epatiti riguarda la C, la patologia dovuta al virus HCV, che fino a pochi anni fa era la principale causa di cirrosi scompensate e di epatocarcinoma (tumore al fegato). Infatti solo in Italia sono circa 260mila le persone guarite dall’epatite C grazie a farmaci innovativi e lo screening, attivato per esempio dalla Regione Veneto (i dati), ha relegato i nuovi casi di positività a categorie fragili come i tossicodipendenti e i detenuti.
Per le altre forme di epatiti – la A, di origine alimentare, e la B, trasmissibile tramite sangue e derivati e rapporti sessuali non protetti – da anni sono disponibili vaccini e farmaci. Mentre è da pochi mesi rimborsabile in Italia il bulevirtide, le cui sperimentazioni per la messa in commercio hanno dimostrato l’efficacia nell’arginare la progressione dell’epatite Delta, la meno conosciuta ma la più aggressiva delle forme di epatopatia di origine virale.
Gli obiettivi OMS per il 2030
Alla vigilia della Giornata mondiale delle epatiti, che ricorre il 28 luglio, c’è quindi più che una luce in fondo al tunnel. Tanto che l’Organizzazione mondiale della Sanità si è posta come obiettivi per il 2030 la riduzione del 90% delle nuove infezioni di epatiti B e C e del 65% dei decessi per le conseguenze delle epatiti virali, cioè la cirrosi, lo scompenso epatico e l’epatocarcinoma; garantire una diagnosi alla quasi totalità delle persone colpite dall’HBV e dall’HBC e raggiungere l’80% delle persone a cui è indicato il trattamento Nei Paesi più industrializzati, l’obiettivo è vicino, il problema resta invece drammatico in quelli in via di sviluppo, dove la malattia è sotto-diagnosticata e manca un’adeguata profilassi vaccinale. L’esempio è proprio l’epatite Delta, che in Italia interessa 10-15 mila pazienti.
L’epatite virale Delta
“Sono in grandissima parte migranti provenienti dall’Est Europa ma soprattutto dall’Africa, che si presentano in ospedale con cirrosi molto avanzate e epatocarcinoma, nonostante la giovane età. In una percentuale variabile tra il 5 e il 15% dei casi di infezione da epatite B, è presente positività sia ad HBV che ad HDV, responsabili rispettivamente dell’epatite B e dell’epatite Delta”, spiega la dottoressa Sara Boninsegna, epatologa dell’Unità Operativa Complessa di Gastroenterologia e Endoscopia Digestiva, diretta dal dottor Paolo Bocus.
Non c’è Delta senza B
“Questo perché l’agente infettivo HDV appartiene ai cosiddetti virus satelliti o subvirioni: è quindi un virus difettivo, che necessita per replicarsi dell’HBV. Pertanto là dove l’epatite B è maggiormente diffusa (Paesi dell’Est e Africa) è più presente anche l’epatite Delta, la quale funziona come una sorta di acceleratore verso complicanze come la cirrosi e l’epatocarcinoma. Soprattutto quando la doppia infezione viene contratta per via verticale, da madre a figlio e tende a cronicizzare in modo subdolo”, sottolinea la dottoressa.
La scarsa diffusione in Italia grazie al vaccino contro l’HBV
Tra gli italiani il quadro è differente. “Grazie alla profilassi vaccinale contro l’HBV introdotta in Italia nel 1991 per tutti i nuovi nati (e retroattivamente ai nati dal 1979), oggi le nuove infezioni riguardano persone non vaccinate, quasi esclusivamente tossicodipendenti o soggetti che praticano attività sessuale non protetta – prosegue -. Mentre grazie all’estremo controllo sui donatori e sulle sacche la trasmissione tramite sangue e derivati è quasi inesistente. Con poche infezioni da HBV, di conseguenza anche l’epatite Delta è poco diffusa”.
Un farmaco innovativo per curare la Delta
Per l’epatite B, da anni, oltre al vaccino, sono disponibili farmaci antivirali, da assumere per tutta la vita, che bloccano la replicazione del virus ed evitano che le forme croniche (il 5-10% sul totale dei casi) favoriscano la cirrosi, lo scompenso epatico e tumore al fegato.
“Adesso abbiamo a disposizione anche una terapia innovativa per l’epatite delta, il bulevirtide, che agisce sul recettore NTCP, responsabile dell’ingresso nella cellula epatica del virus. I pazienti con infezione cronica da HDV, se paragonati a pazienti con monoinfezione da HBV, presentano una più rapida progressione in cirrosi, un aumento significativo del rischio di sviluppare epatocarcinoma, scompenso epatico, di incorrere in trapianto di fegato e di mortalità. Il farmaco è tuttavia indicato per i pazienti adulti positivi a HDV-RNA plasmatico (o sierico) con malattia compensata. Purtroppo spesso la diagnosi dell’epatite Delta viene effettuata quando è già in corso una cirrosi scompensata o è presente il tumore del fegato avanzato anche senza un quadro di cirrosi sottostante, ma rappresenta una grande possibilità terapeutica finalmente disponibile per i pazienti con malattia in compenso”, conclude la dottoressa Boninsegna.
Oms: la rosolia non è più endemica in Italia, grazie alla vaccinazione
L’OMS ha annunciato che la rosolia non è più endemica in Italia. Un obiettivo, raggiunto grazie alla copertura vaccinale, che tuttavia non autorizza ad abbassare la guardia. Interruzione della trasmissione endemica non significa eradicazione della malattia, ma che nel nostro Paese si è creato il fenomeno dell’immunità di gregge per la patologia esantematica. Il virus della rosolia, molto pericoloso se contratto in gravidanza, circola ancora
Dopo i terribili anni dell’era Covid, arriva una bella notizia che non riguarda direttamente il famigerato virus Sars-Cov2, ma dimostra ancora una volta quanto i vaccini siano l’arma per eccellenza nella lotta contro i virus. Perché grazie al vaccino, oggi la rosolia non è più endemica in Italia. Ad annunciarlo nei giorni scorsi la Commissione di verifica regionale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per l’eliminazione delle patologia infettiva in Europa. Una malattia esantematica, generalmente lieve, ma se contratta in gravidanza può essere trasmessa al feto (rosolia congenita) con gravi conseguenze fisiche e cognitive ai danni del nascituro.
“Con una copertura vaccinale dei oltre l’80% il nostro Paese ha raggiunto l’immunità di gregge”, spiega il dottor Andrea Rossanese del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria. “Questo significa che se in una stanza delle dieci persone presenti, otto sono state vaccinate, anche le altre due sono protette dal rischio di ammalarsi”.
Un risultato ottenuto dopo oltre mezzo secolo (era il 1972) dall’introduzione del vaccino, che inizialmente veniva somministrato solo alle bambine prima della pubertà in vista di una futura gravidanza. Nei primi anni Novanta, quando è stato immesso sul mercato il vaccino combinato rosolia-parotite-morbillo, la profilassi vaccinale è stata estesa a tutti i nuovi nati, anche ai maschi, dopo il 14° mese di vita (con richiamo tra i 5 e i 6 anni) e nel 2017 è stata resa obbligatoria, con lo scopo, appunto, di bloccare la diffusione del virus,
“Il fatto che in Italia non si registrino casi di rosolia da almeno 12 mesi e che dal 2019 non sia stato notificato alcun caso di rosolia congenita, non ci autorizza ad abbassare la guardia”, sottolinea il dottor Rossanese. “Interruzione della trasmissione endemica, non significa eradicazione del virus, come per esempio è accaduto in tutto il mondo per il vaiolo, nel 1980, sempre grazie alla vaccinazione. Il virus della rosolia in Italia circola ancora, ma si è creato quel fenomeno (l’immunità di gregge) per cui anche chi non si è vaccinato o non ha acquisito l’immunità naturale è protetto. Ma se la copertura vaccinale scende sotto una determinata percentuale (l’80%) potremmo assistere a un aumento vertiginoso dei casi”.
Pertanto, continua Rossanese, “oltre al rispetto del calendario vaccinale per i nuovi nati, è particolarmente importante che le donne in età fertile, prima di iniziare una gravidanza, verifichino se si sono sottoposte a vaccino o hanno in passato contratto l’infezione. Nel caso contrario è altamente consigliabile procedere con la profilassi vaccinale. Lo stesso dovrebbero fare coloro che si recano all’estero per lavoro o per turismo: sono ancora tanti i Paesi in cui la rosolia è molto diffusa”.
Aneurisma dell’aorta addominale: l'anidride carbonica in alternativa al mezzo di contrasto tradizionale
I primi interventi all’IRCCS di Negrar. “Inerte e atossica, consente il trattamento anche per pazienti con grave insufficienza renale per i quali era precluso l’intervento, a causa dello iodio, tossico per i reni, contenuto nel mezzo di contrasto tradizionale”, afferma il dottor Luca Garriboli, direttore della Chirurgia Vascolare
L’utilizzo dell’anidride carbonica in alternativa al mezzo di contrasto iodato apre nuove prospettive per i pazienti ai quali era precluso l’intervento per aneurisma dell’aorta proprio a causa dello iodio tossico per i reni contenuto nel farmaco.
Nelle scorse settimane all’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria sono stati eseguiti i primi due trattamenti chirurgici vascolari utilizzando la Co2, su due pazienti affetti da aneurisma dell’aorta addominale con grave insufficienza renale cronica, a causa della quale la somministrazione del mezzo di contrasto iodato avrebbe comportato gravi complicanze.
Una procedura adottata in pochi centri d’Italia, in quanto richiede non solo una elevata expertise da parte del chirurgo vascolare, ma anche una tecnologia adeguata, fatta di una pompa in grado di iniettare determinati volumi di Co2, associata a un angiografo dotato di un particolare software dedicato a questo tipo di procedure.
“L’aneurisma dell’aorta è una dilatazione anomala dell’arteria che comporta un alto rischio di rottura della parete, un evento che quando avviene ha un indice di mortalità del 70-80%”, spiega il dottor Luca Garriboli, direttore della Chirurgia Vascolare dell’IRCCS di Negrar. “Prima dell’inserimento della protesi attraverso l’arteria femorale, che va a creare un nuovo condotto per il flusso del sangue, impedendo a questo di fare pressione sulla parete, è necessario ‘scattare la fotografia’ dell’aneurisma, per determinare la sua posizione e la sua forma. Questo avviene attraverso un’angiografia, un esame radiologico che richiede il mezzo di contrasto al fine di rendere visibili ai raggi X i vasi sanguigni e le arterie malate”.
A causa dell’elevato numero atomico dello iodio contenuto nel farmaco, il mezzo di contrasto non è indicato per coloro che soffrono di insufficienza renale cronica. Ma non solo. “La sostanza iodiata viene eliminata attraverso i reni, pertanto comporta il rischio di insufficienza anche in pazienti con valori renali normali, in particolare se anziani. Inoltre – prosegue il dottor Garriboli – può influire sulla funzionalità tiroidea e non può essere impiegata in pazienti che hanno un’allergia manifesta al mezzo di contrasto. In alcuni di questi casi, per prevenire complicanze, vengono somministrati dei farmaci prima dell’esame angiografico, oppure ridotta la quantità di mezzo di contrasto e nelle situazioni più gravi di insufficienza renale cronica non si procede con l’intervento.
“L’anidride carbonica invece – riprende il primario – è una sostanza inerte e atossica che si diluisce velocemente nel sangue e una volta completato il ciclo ematico, viene eliminata attraverso i polmoni preservando i reni”
La Co2, iniettata in forma gassosa, nel sistema circolatorio produce una bolla che si espande sino ad occupare il lume del vaso e a spingere il sangue in tutte le ramificazioni. Utilizzando angiografi di ultima generazione in grado di eseguire raffinate tecniche di analisi digitale dell’immagine è possibile visualizzare l’albero circolatorio attraversato dalla CO2, creando i presupposti per eseguire l’intervento.
“L’impiego dell’anidride carbonica come mezzo di contrasto aggiunge un nuovo elemento di sviluppo delle procedure mini-invasive per il trattamento degli aneurismi dell’aorta – afferma Garriboli-. Negli ultimi 30 anni si è passati da interventi che richiedevano un mese di convalescenza a tecniche endovascolari per il posizionamento della protesi in anestesia locale. Con l’utilizzo della Co2 vengono a ridursi anche i giorni di degenza: il paziente viene dimesso il giorno dopo, mentre con il mezzo di contrasto tradizionale in presenza di variazioni pur minime della funzionalità renale si rende necessario un ricovero più prolungato”.
La Chirurgia Vascolare dell’IRCCS di Negrar esegue ogni anno circa 60-70 interventi per aneurisma dell’aorta addominale di cui il 70% con tecniche mini-invasive. “Con l’invecchiamento della popolazione la patologia è in progressivo aumento: oggi ha un’incidenza del 5% in soggetti maschi al di sopra dei 65 anni di età con fattori di rischio e del 2% in soggetti femminili. Purtroppo la rottura dell’aneurisma dell’aorta addominale è ancora un killer silente perché la dilatazione anomala dell’arteria viene il più delle volte diagnosticata in modo casuale. E’ necessario quindi lavorare di più sulla prevenzione: in presenza di fumo, obesità, colesterolo elevato e familiarità è bene sottoporsi ogni anno a un’ecografia di controllo”, conclude il primario.
L'IRCCS Sacro Cuore Don Calabria vince il Premio Verona Network 2023
Doppio riconoscimento per l’Ospedale di Negrar: l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria ha ricevuto il Premio assoluto Verona Network 2023 e il Premio Verona Network 2023 Categoria Economia&Impresa.
Doppio riconoscimento per l’Ospedale di Negrar: l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria ha ricevuto il Premio assoluto Verona Network 2023 e il Premio Verona Network 2023 Categoria Economia&Impresa.
La cerimonia di premiazione si è svolta ieri sera al Teatro Vittoria di Bosco Chiesanuova alla presenza di oltre 200 persone, tra cui molte autorità, sindaci del territorio e ospiti istituzionali.
Il giornalista Matteo Scolari, che ha condotto la serata assieme alla cantante Beatrice Pezzini, ha chiamato sul palco l’Amministratore Delegato Mario Piccinini, in rappresentanza dell’Ospedale, per la consegna, da parte di Luca Cenzato di BCC Verona e Vicenza, del Premio Verona Network 2023 Categoria Economia&Impresa.
Questa la motivazione: “Per aver creato un modello di cura sano, virtuoso, attento ai pazienti, al personale e a tutti i visitatori. Per il management, capace di generare utili per milioni di euro, reinvestiti nelle più avanzate tecnologie presenti sul mercato sanitario. Per l’attività di ricerca sulle principali patologie, sempre all’avanguardia e punto di riferimento a livello internazionale”.
“Essendo un ospedale privato dobbiamo usare bene i soldi dei cittadini: i nostri utili vengono sempre reinvestiti. Negli ultimi anni siamo cresciuti molto, investendo nell’ambito oncologico e delle malattie infettive e tropicali, oltre che nella medicina in generale. Ci fa molto piacere questo riconoscimento, perché non esiste grande ospedale senza grande territorio, e il nostro, quello della Lessinia, è un grande territorio», ha detto l’Amministratore Delegato.
A ritirare la targa del Premio assoluto Verona Network 2023 è stato invece l’intero staff dirigenziale dell’Ospedale: il Presidente fratel Gedovar Nazzari, accompagnato dal dottor Piccinini, dal Direttore Sanitario dottor Fabrizio Nicolis, dal Direttore Amministrativo dottor Claudio Cracco e dal Direttore Sanitario dell’Area socio-sanitaria, dottor Davide Brunelli.
“Il merito del Premio va a tutti i collaboratori di ieri e di oggi – hanno detto -. Solo grazie alla loro competenza e alla particolare cura che ogni giorno riservano alla persona del malato, e non solo alla malattia, l’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria è diventata una realtà sanitaria di eccellenza. Cura che è anche ascolto del paziente, tante cose sono state realizzate proprio perché ad indicarci una carenza da colmare sono stati i nostri stessi malati”.
Gli altri riconoscimenti della serata sono stati assegnati al Comune di Peschiera del Garda (Categoria Enti), a Manifattura Italiana Cucirini Spa e Cantina Villa Medici (ex aequo Categoria Obiettivo Sostenibilità), al Montorio FC (Categoria Sport) e a Le Piazze dei Sapori 2023 (Categoria Eventi e Spettacolo).
Il premio, giunto alla 13esima edizione, è stato istituito dall’Associazione Verona Network, che riunisce diverse realtà tra enti, istituzioni e aziende, con lo scopo di farsi promotrice di occasioni di confronto in una logica propositiva per la città. Ad oggi Verona Network raccoglie oltre 60 primari soci istituzionali e altri importanti soggetti scaligeri in rappresentanza di 3000 operatori economici e oltre 50.000 cittadini veronesi.
Nelle passate edizioni il Premio assoluto Verona Network è andato alla Scaligera Basket (2022), all’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della Provincia di Verona (2021), alla professoressa Evelina Tacconelli (2020), titolare della cattedra di Malattie Infettive all’Università di Verona, agli studenti del iDB Tech-No-Logic Team che hanno partecipato e vinto la 20a edizione del FIRST* LEGO League World Championship di Houston con il progetto “Wemit” (2019), a Gianmarco Mazzi (2018), oggi sottosegretario del Ministero della Cultura, all’imprenditore Giuseppe Manni (2017). In passato con un altro nome dato al Premio, sono stati consegnati riconoscimenti agli imprenditori Sandro Veronesi, Giordano Veronesi e Mario Moretti Polegato.
Il sole: l'alleato speciale della pelle colpita da dermatite atopica
Dermatite atopica o eczema atopico. Si tratta di una patologia dermatologica molto diffusa che ha origine già dalla prima infanzia. Per le persone che ne soffrono, l’estate è la stagione in cui possono trarre maggiore giovamento, come spiega la dottoressa Federica Tomelleri, responsabile del Servizio di Dermatologia dell’IRCCS di Negrar
Il sintomo principale è il prurito, che si accompagna o anticipa lesioni della pelle di differente gravità. E’ la dermatite atopica, conosciuta anche come eczema atopico, una patologia dermatologica molto diffusa: si stima infatti che il 20% dei neonati ne sia affetto.
La cute del soggetto atopico è caratterizzata da una infiammazione dovuta ad una iper reattività dell’organo- pelle legata ad un difetto immunologico che spesso è ereditato da uno dei due genitori o da entrambi. Lo stesso meccanismo genetico alterato è all’origine di altre patologie come la rinocongiuntivite allergica e l’asma bronchiale allergico. Di solito la dermatite compare in età neonatale e con andamento cronico recidivo tipico ricade stagionalmente in particolare in primavera ed autunno.
Ma ora è arrivata l’estate, stagione amica per molte malattie della pelle. Lo è anche per la dermatite atopica? Come comportarsi?
“Sicuramente il sole è un alleato della pelle atopica, naturalmente con la giusta protezione. La pelle di chi soffre di questa patologia è come se avesse delle barriere protettive difettose che lasciano passare sostanze, altrimenti lasciate all’esterno, che scatenano una reazione ‘abnorme’ del sistema immunitario. Per questo è importante proteggersi anche da fattori ambientali”, risponde la dottoressa Federica Tomelleri, responsabile del Servizio di dermatologia dell’IRCCS ospedale Sacro Cuore Don Calabria.
Il sintomo principale è il prurito
Esattamente. Esso che può manifestarsi anche prima delle lesioni cutanee le quali vanno da un lieve eritema alla lichenificazione (chiazze di pelle ispessita, indurita e pruriginosa) fino all’eritroderma, una grave infiammazione che interessa vaste aree del corpo.
Dove si localizza?
La localizzazione della dermatite varia con l’età. In età pediatrica le sedi più frequentemente colpite dall’eczema sono il volto, il cuoio capelluto, l’attaccatura del padiglione auricolare, le pieghe cubitali e i cavi poplitei. In età giovanile e adulta solitamente le zone del corpo maggiormente interessate diventano le palpebre, il decolletè collo, le pieghe cubitali, ma anche le mani e gli avambracci
I fattori ambientali possono scatenare una recidiva o un peggioramento della condizione del paziente?
Sicuramente. L’eccessiva igiene, con frequenti bagni o lavaggi, i saponi aggressivi, l’abbondante sudorazione, e il contatto con tessuti ruvidi o con la lana possono scatenare e/o peggiorare i sintomi. Anche il cambiamento di stagione e lo stress sono da includere tra i fattori negativi. Una delle cause principali della infiammazione e della cronicizzazione della dermatite atopica è la colonizzazione cutanea del batterio stafilococco aureo. La facilità di penetrazione di tutto ciò che arriva sulla pelle e la conseguente reazione infiammatoria immunitaria può modificare il sistema dei microrganismi che vivono sulla nostra pelle a favore di specie batteriche “cattive”, come lo stafilococco, che richiedono la somministrazione anche per bocca di antibiotici.
Come abbiamo detto, il sole è amico della pelle atopica. Ci sono dei solari particolari da adottare?
I filtri solari da privilegiare nei bambini sono quelli minerali a base di ossido di zinco e di titanio, ovviamente con la massima protezione 50 +. Talvolta l’esposizione al sole, la immersione in acqua salina o anche in quella della piscina (per la presenza di cloro e altre sostanze) possono procurare una maggiore irritazione temporanea, è consigliabile iniziare la vacanza estiva con la minor manifestazione possibile di dermatite.
La dermatite atopica si può curare e come?
Il primo approccio terapeutico alla malattia atopica cutanea solitamente viene effettuato dal medico pediatra. Quando la forma si manifesta in maniera un po’ persistente ed aggressiva entra in campo la dermatologia, che, a seconda della fascia di età e della gravità della malattia del paziente, consente di trovare la cura più opportuna. Il prurito, che è il sintomo principale, deve assolutamente essere migliorato. Le terapie locali spesso hanno un’ottima efficacia e vanno dagli emollienti lenitivi combinati a detergenti dedicati, alle terapie antibiotico cortisoniche in crema miscelate e gli immunomodulatori topici fino alle terapie antistaminiche per via generale. Queste ultime sicuramente da scegliere dopo i due anni di vita.
Tra i farmaci più recenti scaturiti dalla ricerca, l’anticorpo monoclonale, il dupilumab, somministrabile con iniezioni sottocutanee ogni due settimane ha dimostrato avere una grande efficacia già dopo il primo mese di utilizzo nel migliorare la dermatite atopica anche a lungo termine. Trovano sempre il loro collocamento terapeutico farmaci “storici” come il cortisone per via generale e la ciclosporina.
Partecipanti da tutto il mondo per la prima Summer School di Radioterapia adattativa
L’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria ha ospitato la prima edizione della Summer School di Radioterapia adattativa Partecipanti da tutto il mondo e prestigiosi relatori internazionali
Nei giorni scorsi l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria ha ospitato la prima edizione della Summer School di Radioterapia clinica adattativa, promossa dal Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata, diretto dal professor Filippo Alongi.
Al corso hanno partecipato una trentina tra radioterapisti oncologi e fisici sanitari provenienti da diversi Paesi del mondo.
Prestigioso il panel dei relatori internazionali, tra i quali il presidente eletto ESTRO, la Società europea di Radioterapia e Oncologia, Matthias Guckenberger dall’Università di Zurigo, e il past-president ASTRO (American Society for Radiation Oncology), Laura Dawson dal Princess Margaret Hospital di Toronto. I partecipanti hanno ascoltato le letture magistrali degli esperti e hanno potuto seguire i trattamenti in tempo reale sui pazienti, con l’utilizzo degli acceleratori lineari Ethos e Unity.