Psoriasi: si vede sulla pelle ma colpisce anche la sfera emotiva

Il 29 ottobre è la Giornata mondiale della psoriasi, patologia infiammatoria delle pelle ancora socialmente invalidante nonostante la disponibilità di farmaci che possono migliorarne la gravità e di conseguenza lo stile di vita del malato. E su di essa grava ancora il pregiudizio che sia una malattia contagiosa. Ne parliamo con la dottoressa Federica Tomelleri, responsabile del Servizio di Dermatologia dell’IRCCS di Negrar.

Nonostante oggi siano a disposizione una serie di farmaci che possono migliorarne la gravità e di conseguenza lo stile di vita del malato, in molti casi la psoriasi rimane una malattia socialmente invalidante. Sia per quel che riguarda l’aspetto estetico che condiziona la vita sociale-affettiva di chi è affetto da questa patologia, sia per i sintomi talvolta molto ribelli e difficili da gestire con la terapia locale che risulta per molti pazienti alla lunga un vero flagello nella routine quotidiana.

La Giornata mondiale del 29 ottobre dedicata a questa malattia infiammatoria della pelle vuole essere l’occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica e il mondo della sanità su un problema che solo in Italia colpisce 1.500.000 persone, spesso non adeguatamente trattate. Un sondaggio del Censis su 300 pazienti rivela infatti che il 70% di questi è passato da uno specialista ad un altro per ottenere una diagnosi corretta e il 50% si è rivolto in media a 4 diversi specialisti o centri prima di individuare il medico referente cui affidarsi per le cure. Ma quali sono le cause della psoriasi e come è possibile curarla?

Dr. Federica Tomelleri

“La psoriasi è una malattia infiammatoria cronica che si manifesta con chiazze sulla pelle dall’aspetto eritemato-desquamativo, a volte anche molto pruriginose”, spiega la dottoressa Federica Tomelleri, responsabile del Servizio di Dermatologia dell’IRCCS Sacro Cuore di Negrar. “La genetica predisponente rappresenta la necessaria condizione per svilupparla, combinata però a fattori ambientali catenanti, tra questi traumi, interventi chirurgici, malattie infettive, farmaci, alcool e fumo”.

Quali sono le zone del corpo maggiormente colpite?

Le sedi classicamente colpite dalla psoriasi volgare sono il cuoio capelluto, i gomiti e le ginocchia, la regione sacro-lombare e nucale. Esistono però anche forme di psoriasi cosiddetta ‘invertita’ che interessano le regioni di piega inguinale ed ascellare, sotto ed inframammaria. Sono forme più difficili e subdole da diagnosticare, spesso confuse con infezione delle pieghe.

Esistono forme più o meno gravi?

Per valutare la gravità della malattia i dermatologi utilizzano l’indice PASI (un acronimo di indice della gravità della malattia per aree) che aiuta a catalogare la psoriasi da lieve a moderata fino a grave o eritrodermica (la forma più estesa). Si utilizza anche per valutare la risposta terapeutica durante un ciclo farmacologico.

Si tratta di una malattia contagiosa?

Assolutamente no, nonostante la convinzione corrente. La via di trasmissione può essere genetica. Infatti sono stati identificati alcuni geni specifici associati alla malattia.

Si può guarire dalla psoriasi?

Ancora oggi non esiste una terapia che ne garantisca una guarigione definitiva. Tuttavia i farmaci che abbiamo a disposizione possono assolutamente migliorarne la gravità e di conseguenza lo stile di vita del malato.

Quali sono questi farmaci?

Le terapie a base di MTX, ciclosporina, fototerapia con psoraleni e retinoidi hanno di recente trovato supporto nei farmaci biologici. Quest’ultimi, però, sono indicati solo nelle forme più aggressive che spesso creano un coinvolgimento anche a livello articolare dove può comparire una vera e propria artrite psoriasica. Una valutazione d’equipe tra gli specialisti dermatologi e reumatologi è fondamentale per determinare la terapia più indicata per ogni paziente.

Il sole è un alleato per il trattamento della psoriasi?

Il sole è sicuramente un alleato nella terapia della psoriasi ma non bisogna correre il rischio di esporsi in maniera sconsiderata: ormai tutti ben sappiamo come i rischi di danno da raggi UV possono aggravare la predisposizione ai tumori cutanei. Benefiche sono anche le immersioni in acqua salina. Infatti al mare di solito migliora la sintomatologia della psoriasi volgare in placche.

Ci sono invece degli alimenti che peggiorano i sintomi?

No. La dieta non è annoverata tra i fattori di rischio che possono interferire nella gravità della malattia

Una volta stabilita la terapia sono cure semplici da sostenere?

Il dermatologo quotidianamente affronta nel suo ambulatorio di base difficoltà in merito alla gestione delle terapie che spesso il paziente psoriasico con grande difficoltà riesce ad applicare in maniera adeguata. Diventa quindi fondamentale creare un rapporto empatico medico-paziente per riuscire ad ottenere i migliori risultati. Non bisogna mai dimenticare che la psoriasi è una malattia con risvolto psico-emozionale altamente impattante sullo stile di vita e sulla routine quotidiana del paziente.


Ambulatorio TAO: un nuovo sistema per accedere alla prescrizione terapeutica

A partire dal prossimo 9 novembre scattano importanti novità per i pazienti dell’Ambulatorio TAO (Terapia Anticoagulante Orale) dell’IRCCS di Negrar che ricevevano via e-mail il documento con l’indicazione della terapia. Per coloro che invece erano soliti ritarare il referto cartaceo presso l’Ambulatorio o all’Ufficio Documentazione Sanitaria (piano terra dell’ingresso principale) possono continuare a farlo. Tutte le novità sono descritte in una e-mail che i pazienti hanno ricevuto in questi giorni.

A partire dal prossimo 9 novembre scattano importanti novità per i pazienti dell’Ambulatorio TAO (Terapia Anticoagulante Orale) dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria che ricevevano via e-mail il documento con l’indicazione della terapia. Per coloro che invece erano soliti ritarare il referto cartaceo in Ambulatorio o all’Ufficio Documentazione Sanitaria (piano terra dell’ingresso principale) possono continuare a farlo. Tutte le novità sono descritte in una e-mail che i pazienti hanno ricevuto in questi giorni.

Accesso all’Ambulatorio: no il venerdì

L’accesso all’Ambulatorio TAO sarà possibile solo dal lunedì al giovedì. Viene quindi esclusa la mattinata del venerdì. Il medico responsabile della terapia sarà presente in ambulatorio a partire dalle ore 9 fino alle ore 12.

Modalità di recupero del documento con la terapia

Per ragioni dettate dalla legge sulla privacy, non sarà più possibile ricevere via e-mail il documento dove il medico prescrive la terapia. In alternativa a partire dal 9 novembre sarà introdotta una modalità altrettanto semplice. Infatti si potrà scaricare il documento dal portale “homeTAO” a cui è possibile accedere tramite credenziali personali. Le modalità per farlo sono descritte nel documento “Guida all’utilizzo del Servizio homeTao” (clicca qui per scaricarlo) che è stato inviato via e-mail insieme Modulo raccolta dati (clicca qui per scaricarlo) e Informativa registrazione portale homeTao (clicca qui per scaricarlo).

Il “Modulo raccolta dati” e l’Informativa registrazione portale homeTao” devono essere compilati, firmati e consegnati al medico dell’Ambulatorio TAO al primo controllo.

In prossimità del 9 Novembre i pazienti riceveranno una e-mail dall’indirizzo referti@easytao.eu in cui saranno elencate tutte le istruzioni per il primo accesso al portale homeTAO.

In caso di difficoltà

Problemi tecnici: il Servizio homeTAO mette a disposizione il numero Verde 800056270.
Problemi di natura clinica: referente rimane sempre il medico dell’Ambulatorio Tao (Tel. 045.6013992).


Vaccinazione, sorveglianza e ricerca: tre parole chiave per liberare il mondo dalla poliomielite

Il 24 ottobre è la giornata mondiale della poliomielite. Una tremenda malattia che entro pochi anni potrebbe essere eradicata dal pianeta. Ma non bisogna abbassare la guardia anche alla luce della ricomparsa del virus, nella forma derivante dai vaccini, in Paesi dove la polio era scomparsa da decenni. Ne abbiamo parlato con la virologa Concetta Castilletti

IL TRAGUARDO DI UN MONDO LIBERO DALLA POLIOMIELITE

La completa eliminazione del virus della poliomielite è ormai sempre più a portata di mano dopo i grandi progressi degli ultimi anni. Basti pensare che dal 1988 a oggi, cioè da quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato il programma GPEI (Global Polio Eradication Initiative), i casi di questa tremenda malattia sull’uomo sono diminuiti del 99,9%. Dei tre ceppi selvaggi di poliovirus, due sono stati dichiarati eradicati (il tipo 2 nel 2015 e il tipo 3 nel 2019), mentre il tipo 1 provoca ancora qualche decina di casi ogni anno. Nel 2020 anche l’Africa è stata dichiarata libera dalla polio “selvaggia” dopo che per quattro anni non si sono verificati casi dovuti al virus circolante in natura (tuttavia nel 2022 si è verificato un caso in Malawi, a testimonianza del fatto che l’attenzione va tenuta molto alta). Se si giungesse alla completa eradicazione, quello della polio sarebbe il secondo virus nella storia a subire questo destino, dopo il vaiolo nel 1980.

IL PROBLEMA DEI CONTAGI DERIVANTI DA VACCINO

Eppure, nonostante un quadro generale favorevole, non mancano i motivi di allarme e la giornata mondiale della poliomielite, che ricorre il 24 ottobre, è l’occasione per riflettere su nuovi scenari di lotta alla malattia. In particolare sono due le grandi sfide indicate dal programma strategico GPEI 2022-2026. Anzitutto resta da eliminare definitivamente il virus selvaggio di tipo 1 dagli ultimi due Paesi dove è ancora endemico, vale a dire Pakistan e Afghanistan. In secondo luogo c’è da affrontare la questione dei casi di contaminazione da poliovirus derivante da vaccino, una situazione che in mesi recenti ha suscitato grande attenzione anche in Paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti dove la malattia era scomparsa da decenni.

I vaccini usati per i poliovirus sono di due tipi – spiega Concetta Castilletti, virologa dell’IRCCS Sacro Cuore Don CalabriaIl vaccino di Salk usa il virus inattivato e viene somministrato con iniezione intramuscolare, mentre il vaccino di Sabin è composto da virus vivo attenuato e la somministrazione è per via orale. Il Sabin è raccomandato dall’OMS perché più efficace, oltre ad essere di facile somministrazione e assai poco costoso. Il vaccino a virus inattivato viene invece usato nei Paesi dove il virus è stato eradicato e dove è presente una solida immunità di gregge, come accade in Italia”.

Perché dunque si parla di poliomielite derivante da vaccino? “Il virus attenuato usato per il vaccino Sabin ha perso tutta la sua virulenza ed è quasi del tutto innocuo – puntualizza Castilletti – tuttavia può ancora replicare e quindi per un breve periodo la persona vaccinata è in grado di tramettere l’infezione e di rilasciare il virus nell’ambiente con il rischio di contagiare una persona mai vaccinata”. A livello planetario i casi di polio derivante da vaccino sono stati circa 400 nel 2022, in gran parte nei Paesi di Africa e Asia dove le condizioni sanitarie sono precarie. Ma tra essi c’è anche la vicenda che ha fatto particolare clamore di un paziente non vaccinato rimasto paralizzato alla gamba dopo aver contratto il virus derivato da vaccino a New York, a testimonianza che neppure i Paesi più sviluppati sono esenti da rischi, bisogna però ricordare che la copertura vaccinale negli Stati Uniti è più bassa che in Europa.

Un altro aspetto della questione è la contaminazione ambientale. Trattandosi di un virus a RNA appartenente al genere enterovirus, molto resistente nell’ambiente, esso si replica nell’intestino e successivamente viene evacuato con i fluidi corporei, finendo quindi nelle acque reflue. Per questo nei mesi scorsi è successo ad esempio di trovare tracce di contaminazione da poliovirus nelle fognature di Londra.

TRE PAROLE CHIAVE PER ARRIVARE ALLA VITTORIA FINALE

La situazione non ci deve allarmare tuttavia non bisogna abbassare la guardia – prosegue la virologa dell’IRCCS di Negrar – Sono i vaccini che ci hanno permesso di eliminare quasi del tutto la poliomielite e sono i vaccini che continuano a proteggerci dai poliovirus selvaggi ma anche dalle infezioni derivanti da vaccino. Quindi è fondamentale proseguire con i programmi di vaccinazione sia nelle zone endemiche sia in quelle da cui il virus è ufficialmente sparito, come in Italia dove l’ultimo caso di poliomielite autoctona risale agli anni Ottanta”.

Oltre a “vaccinare”, la seconda parola chiave è “sorvegliare”. Ad esempio in Italia è attivo un piano di sorveglianza delle paralisi flaccide acute (PFA), che mira a cogliere con prontezza i casi di virus con un tropismo per il sistema nervoso, come il poliovirus, per porre in atto misure di contenimento/vaccinazione. Anche l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria è parte attiva di questo piano. Inoltre dal 2005, in accordo con le linee guida dell’OMS, l’Istituto Superiore di Sanità ha approntato un sistema di Sorveglianza della Circolazione dei Poliovirus nell’ambiente mediante il monitoraggio delle acque reflue in ingresso ai depuratori.

C’è infine una terza parola chiave nella lotta al virus, che è “ricerca”. “Nell’ambito della sorveglianza è importante procedere alla tipizzazione degli enterovirus rilevati nei pazienti e nell’ambiente. La ragione sta nel fatto che gli enterovirus sono virus molto diffusi che ricombinano facilmente e quindi bisogna individuare tempestivamente eventuali mutazioni in senso più aggressivo”, conclude Castilletti.


Come eravamo: la Cardiologia compie 30 anni

Era il 19 ottobre del 1992 quando i primi quattro pazienti di Medicina vennero trasferiti nel neonato reparto di Cardiologia. Un’altra era… con le etichette delle provette per i prelievi del sangue scritte a mano e il monitoraggio ‘fai da te’ dei pazienti critici . Nei ricordi di Alessandra Renzi, allora giovane inferimiera, l’entusiasmo di un gruppo che ha segnato positivamente tutti coloro che contribuirono a far nascere dal nulla un’unità operativa oggi all’avanguardia

1992-2022: il 19 ottobre la Cardiologia dell’IRCCS di Negrar compie 30 anni, ma sfogliando i ricordi di “come eravamo”, più che tre decenni sembra essere passato un secolo, tanto è cambiata la medicina e l’assistenza ospedaliera in così poco tempo.

Da sinistra: Alessandra Renzi, il dr. Salvatore Longo e il dr. Guido Canali
DA SEI LETTI IN MEDICINA A UN VERO E PROPRIO REPARTO

A raccontarlo è una testimone diretta: Alessandra Renzi, oggi coordinatrice del Servizio di Cardiologia, ma allora giovanissima infermiera in forza alla Medicina. “Avevo circa 20 anni quando mi proposero di entrare a far parte dell’équipe infermieristica del reparto di Cardiologia che avrebbe aperto da lì a poco – racconta -. Fino ad allora i pazienti affetti da problemi cardiaci venivano ricoverati in Medicina (in tutto 6 letti). Mentre esisteva già, dai primi anni Ottanta, il Servizio di Cardiologia dove ad effettuare visite ed esami erano i dottori Hernan Nicanor Guilarte, Edoardo Adamo e Salvatore Longo, oggi tutti in pensione”. Con loro, ma solo come consulente, anche l’attuale primario, un giovanissimo Giulio Molon, che tre volte alla settimana si recava a Negrar per la lettura e la refertazione degli esami Holter. Il dottor Molon fu assunto con l’avvio del reparto, e poi arrivarono subito dopo i dottori Guido Canali (responsabile oggi del Servizio di Emodinamica), Francesco Castagna e Gianluca Ferri (responsabili attuali rispettivamente del Servizio di Cardiologia e del reparto degenze).

IL PRIMO PRIMARIO: IL DOTTOR GIANCARLO SALAZZARI

“Decisi di accettare la proposta e di lasciare Medicina, ma non senza timori – prosegue Renzi -. Non avevo le competenze per gestire pazienti con patologie cardiologiche complesse. Finora in Medicina avevamo a che fare con casi al massimo di scompenso cardiaco, ma non con malattie tipiche di un reparto specialistico. Tuttavia non mi persi d’animo: ripresi in mano i libri la sera, mentre durante la giornata a farci da insegnante era il dottor Giancarlo Salazzari, arrivato il 1 settembre del 1991 a Negrar con il compito di aprire il reparto di cui divenne primario il 19 ottobre del 1992”. A ricordare il fondatore della Cardiologia lo sguardo di Alessandra si riempie di stima: “Un grande medico e un grande uomo – sottolinea -. Aveva una dedizione unica per il paziente e il massimo rispetto per tutti i collaboratori, medici, infermieri e operatori”.

IL PRIMO CAPOSALA: ENZO DALLE PEZZE. MA IL MITICO “FIRMI”…

Ad iniziare con Alessandra la nuova avventura un nutrito gruppo di colleghi infermieri: Cecily Kuznikkatil, Maria Rosa Fasoli, Fiorenzo Marogna, Angelo Maccacari, Enzo Righetti, Simonetta Lavarini e la giovanissima Romina Gaetana Vogadori (era appena uscita dalla Scuola Infermieristica). E poi gli operatori Vittorio Piovesani, Luigi Zancardi, Luca Quintarelli, Roberta Pedrini, Tiziano Degani. Capitanati tutti da Enzo Dalle Pezze, il primo caposala (proveniva dalla Riabilitazione) a cui è toccato anche il primo il turno di notte dopo il “taglio del nastro”. “E come non ricordare il mitico ‘Firmi’ al secolo Firmino Mignolli, l’unico infermiere specializzato in Cardiologia – afferma Renzi -. Era il nostro approdo sicuro: più anziano di noi, la sua competenza condita da un’estrema calma anche nei momenti più critici ci dava un’enorme tranquillità”.

IL MONITORAGGIO DEI PAZIENTI? GUARDAVAMO SE LE COPERTE DI MUOVEVANO

I turni di lavoro nel reparto, che contava 22 posti letto, prevedevano la presenza di giorno di 2 infermieri e di altrettanti operatori, numero che si dimezzava la domenica e la notte. Non esisteva reperibilità specialistica che venne introdotta in seguito e in caso di urgenza al capezzale del malato giungeva il medico di turno, di qualsiasi reparto. “La notte era scandita dal giro delle stanze per controllare se i pazienti… respiravano – sorride -. Allora anche i casi più critici non erano monitorati come oggi, e l’unico modo per sapere se erano vivi, era controllare l’alzarsi e l’abbassarsi delle coperte causato dal respiro. Una notte non vedendo nessun movimento, allarmati, ci siamo avvicinati al viso del paziente che si è svegliato di soprassalto. Lui si è spaventato tantissimo e noi abbiamo rimediato una lavata di testa per il nostro metodo poco scientifico!”. Il resto del turno prevedeva tra le altre cose la compilazione a mano delle etichette delle provette del laboratorio per il prelievo di sangue del giorno dopo. “Tutto era scritto a penna, su libroni o block notes. Siamo stati dei pionieri quando abbiamo introdotto la cartella infermieristica, ma il computer era ancora lontano…”, racconta ancora Alessandra.

LA DIVISA: ABITINO BIANCO, COLLANT E… SOTTOVESTE

Un altro mondo anche per quanto riguarda le divise. “Noi infermiere eravamo costrette (uso questo verbo perché non erano il massimo della comodità) ad indossare abiti bianchi rigorosamente sotto il ginocchio con bottonatura laterale. Obbligatorie naturalmente collant e sottoveste perché la divisa non doveva essere minimante trasparente controluce. Pena una tirata di orecchie dalle suore sempre presenti nei reparti…”.

ARRIVA IL PROF. BARBIERI E CON LUI MUOVE I PRIMI PASSI L’EMODINAMICA

Il 1999 fu l’anno della svolta per la giovane Cardiologia. Il 14 settembre fece la prima comparsa a Negrar il professor Enrico Barbieri, ricercatore all’Università di Verona, chiamato da Salazzari come consulente per l’attività di Emodinamica iniziata con le coronarografie. Contemporaneamente si è sviluppata l’attività di Elettrofisiologia e impiantistica.

Con la pensione di Salazzari, il 1 settembre del 2001 il professor Barbieri divenne primario e poco più di un anno dopo venne eseguita la prima angioplastica nella sala allora collocata al primo piano del Sacro Cuore dove ora c’è la Radiologia.

HUB DELLA RETE VENETA PER L’INFARTO OPERATIVO H24

Nel 2012 furono inaugurate due nuove sale di Emodinamica in condivisione con l’Elettrofisiologia, al secondo piano del Sacro Cuore, lo stesso del reparto. Dal 2016 la Cardiologia con 4 posti letto in Terapia Intensiva è centro Hub della rete veneta per l’infarto, con operatività h24 per tutto l’arco dell’anno.

Da sinistra il dottor Canali e il dottor Giulio Molon
OGGI IL DIRETTORE E’ IL DOTTOR GIULIO MOLON

Dal 1 gennaio del 2020 a guidare il reparto è il dottor Giulio Molon, fino allora responsabile di Elettrofisiologia e Cardiostimolazione, Servizio che sotto la sua guida ha visto un notevole sviluppo con l’introduzione di tecnologie di ultima generazione.

Il resto è storia di oggi. Nel 2021 il reparto ha ricoverato oltre 1300 pazienti. Sono state effettuate 263 angioplastiche e 683 coronarografie; 214 i pacemaker impiantiti e 89 i defibrillatori.

Cosa è rimasto di quel 19 ottobre del 1992? “In 30 anni la medicina e l’assistenza ospedaliera hanno fatto passi da gigante. Era veramente un’altra era… – risponde -. Rimane la nostalgia di coloro che se ne sono andati prematuramente: Nicoletta, Marco, Fiorenzo…, anche se il loro ricordo è sempre vivo. Ma rimane anche l’entusiasmo di un giovane gruppo che non si è fatto spaventare da un progetto che era tutto da realizzare. E’ un entusiasmo che ha segnato positivamente tutti coloro che hanno contribuito a far nascere la Cardiologia – conclude Alessandra Renzi –  e ha creato dei rapporti di fiducia, collaborazione e anche amicizia tali che hanno resistito al trascorrere del tempo”.


Con l'autunno ritornano i tamponi multiplex: la diagnosi di tre virus con un solo test

A partire da domani mercoledì 19 ottobre con la prescrizione per “esame tampone molecolare Covid-19”,  il referto del Laboratorio del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali e Microbiologia riporterà  la diagnosi di tre virus: il SARS-CoV2, quello dell’Infleunza (A e B) e il virus respiratorio singiziale (RSV).

Con l’inizio della stagione influenzale, l’IRCCS di Negrar ripropone per il terzo anno il tampone multiplex, il test molecolare per la diagnosi contemporanea del virus SARS-CoV-2, di quello dell’Influenza (A e B) e del Virus Respiratorio Sinciziale (RSV).

A partire da domani mercoledì 19 ottobre con la prescrizione per “esame tampone molecolare Covid-19”,  il referto del Laboratorio del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali e Microbiologia riporterà tre risultati. Questo servizio darà la possibilità all’utente – senza costi aggiuntivi né per il cittadino né per il Servizio Sanitario Nazionale – di conoscere la vera causa dell’infezione respiratoria per cui si è sottoposto al tampone. È importante che l’esito della prestazione venga interpretato da un medico e valutato nel contesto clinico del paziente.

Con l’autunno al SARS-CoV-2, responsabile del Covid-19, si è affiancata l’influenza stagionale (per la quale è già iniziata la campagna di vaccinazione) e il Virus Respiratorio Sinciziale (RSV) che nei bambini è la principale causa di bronchite e bronchiolite. I tre virus hanno sintomi simili (raffreddore, tosse, febbre, malessere generale…), quindi sono indistinguibili dal punto di vista clinico. Da qui l’importanza di sottoporsi al test diagnostico multiplex.


Terapia chirurgica dell'obesità: incontri informativi gratuiti con la cittadinanza

In occasione del Bariatric Surgery Day, promosso dalla Fondazione SICOB-ETS, lunedì 24 ottobre l’équipe del Sacro Cuore Don Calabria che si occupa di trattamento dell’obesità incontra i cittadini interessati presso il Centro Diagnostico Terapeutico di via San Marco 121 a Verona. E’ necessaria la prenotazione telefonando – dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 14.30 – al numero 045.6013493.

Dr. Roberto Rossini

In occasione del Bariatric Surgery Day, promosso dalla Fondazione SICOB-ETS, lunedì 24 ottobre l’équipe del Sacro Cuore Don Calabria che si occupa di trattamento dell’obesità incontra i cittadini interessati presso il Centro Diagnostico Terapeutico di via San Marco 121 a Verona.

Dalle 9 alle 15.30 i chirurghi bariatrici, Irene Gentile e Roberto Rossini, la gastroenterologa Maria Paola Brunori, la psicologa Eleonora Geccherle e la dietista Alessandra Misso saranno a disposizione per incontri individuali e informativi (gratuiti) sulle terapie oggi a disposizione (chirurgica e conservativa) per la perdita di peso in situazioni di grave obesità. E’ necessaria la prenotazione telefonando – dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 14.30 – al numero 045.6013493.

L’OBESITA’ MALATTIA E FATTORE DI RISCHIO PER LE ALTRE PATOLOGIE

“L’obesità non è una questione estetica, ma una vera e propria malattia e nello stesso tempo un fattore di rischio per altre patologie” afferma il dottor Rossini, responsabile dell’équipe bariatrica dell’IRCCS di Negrar. “Un obeso ha infatti un’aspettativa di vita inferiore di almeno dieci anni rispetto a un coetaneo normopeso. Infatti l’aumento ponderale è accompagnato spesso da diabete, patologie cardio-vascolari, oncologiche, osteo-articolari e respiratorie. L’intento della giornata promossa dalla Fondazione SICOB (Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità e delle malattia metaboliche) – prosegue – è quello di promuovere la diffusione della chirurgia bariatrica, oggi presente ancora in pochi centri in Italia, in modo che chi soffre di obesità abbia la possibilità di usufruire di questa terapia efficace per la cura dell’eccesso di peso”.

L’INTERVENTO CHIRURGICO QUANDO SERVE

La chirurgia bariatrica di Negrar dal 2021 è centro accreditato SICOB e da quest’anno centro qualificato ERAS Society. All’anno vengono eseguito circa 80 interventi  di sleeve gastrectomy, bypass gastrico e mini bypass gastrico, tecniche chirurgiche differenti che conducono alla riduzione volumetrica dello stomaco e di quella parte deputata all’assorbimento dei cibi.

IL PERCORSO MEDICO E PSICOLOGICO

“Un regime alimentare ipocalorico accompagnato da attività fisica quotidiana rimane la via preferenziale per perdere peso – sottolinea il dottor Rossini -. Ma quando i chili in accesso sono tanti e la dieta non funziona, l’intervento è un’arma potente per dimagrire. Ma non risolutiva. Per questo l’atto chirurgico è preceduto da un percorso medico e psicologico che ha come obiettivo di portare il paziente a comprendere le ragioni (spesso psicologiche) della sua obesità e a cambiare stile di vita, al fine di evitare il fallimento dell’intervento stesso e la ripresa dei chili momentaneamente persi”. Un percorso che prosegue anche dopo l’intervento: noi rivediamo il paziente, se non ci sono problemi, a scadenze di un mese, tre mesi, sei mesi e un anno dopo l’operazione. Il follow up prosegue poi con una visita una volta all’anno”.

PER CHI E’ INDICATO L’INTERVENTO

Il numero maggiore di pazienti è rappresentato da donne intorno ai 30-40 anni con una BMI (Body Mass Index o Indice di Massa Corporea) sopra i 40 kg/m2, come è indicato dalle linee guida per accedere all’intervento, indice che si abbassa a 34-40 kg/m2 per soggetti affetti da patologie.

LA TERAPIA MEDICA

“Un’alternativa alla chirurgia è, in casi selezionati, la terapia farmacologica – riprende il chirurgo -. Da qualche tempo disponiamo del farmaco Saxenda (liraglutide), un ipoglicemizzante (usato per il trattamento del diabete di tipo 2) che può essere impiegato, accompagnato da dieta ipocalorica e aumento dell’attività fisica, per il controllo del sovrappeso cronico.  La somministrazione giornaliera tramite un’iniezione sottocute incrementa il senso di sazietà e la riduzione dei segnali della fame”.


Come funzionano gli analoghi della somatostatina? Lo spiega Zerby

Un fumetto per spiegare i complessi meccanismi cellulari alla base dell’impiego degli analoghi della somatostatina per i tumori neuroendocrini. E’ l’idea nata dal binomio di conoscenza scientifica e fantasia messo in atto dalla chirurga Letizia Boninsegna e dall’oncooga Paola Agense Cassandrini. Grazie all’animaletto Zerby ora la diagnosi e la terapia dei Net non è più un argomento per soli adetti ai lavori

Il tema è uno di quelli ostici, già dal nome: gli analoghi della somatostatina. Ma c’è chi, come la chirurga Letizia Boninsegna e l’oncologa Paola Agnese Cassandrini dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, è riuscito a spiegare l’argomento con un fumetto rivolto ai pazienti affetti dai tumori neuroendocrini (NET- Neuroendocrine Tumours), patologie oncologiche che colpisco il tessuto neuroendocrino presente in vari organi (pancreas, intestino, stomaco, polmoni…) e trattabili, appunto, con gli analoghi della somatostatina.

L’agile libretto porta la prefazione di Andrea Pamparana, in questa occasione nelle vesti di paziente e non di noto giornalista e scrittore.

“Comunicare a una persona che è affetta da una neoplasia non è mai semplice. In particolare non lo è nel caso dei NET che sono tumori rari (l’incidenza di 2-5 casi all’anno ogni 100mila abitanti), e poco conosciuti al grande pubblico – afferma la dottoressa Boninsegna -. Le difficoltà aumentano quando si affronta il capitolo della terapia che si basa sugli analoghi della somatostatina e agisce attraverso meccanismi cellulari complessi. L’idea del fumetto è nata proprio con l’intento di affrontare il tema in modo semplice e con un po’ di leggerezza, senza togliere nulla alla serietà della patologia”.

Il protagonista indiscusso della pubblicazione è Zerby, un buffo e tondo animaletto uscito dalla fantasia della dottoressa Boninsegna e dalla grafica di Chiara Sega. Zerby ha una pelliccia a strisce bianche e nere, simile al mantello di una zebra, animale simbolo dei NET. Infatti il tumore neuroendocrino è proprio quella zebra – citando una famosa frase – a cui nessuno pensa se sente uno scalpitio di zoccoli, perché un simile rumore viene sempre attribuito a un cavallo (cioè all’adenocarcinoma del pancreas o al cancro del colon retto).

Zerby a striscie bianche e nere è l’analogo della somatostatina

Nel fumetto, invece, Zerby è l’analogo della somatostatina, la versione sintetica dell’ormone prodotto dal nostro corpo e in grado, perché ne possiede le “chiavi”, di entrare nella cellula tumorale NET, fermandone la crescita, interrompendo la produzione di sostanze (nel caso di tumori funzionanti) o addirittura uccidendola.

Gli amici Taddeus (l’ormone della crescita) e Vlado (l’insulina)

Un meccanismo complesso per capire il quale vengono in aiuto Taddeus, il leoncino che rappresenta l’ormone della crescita, e Vlado il maialino che interpreta l’insulina. Entrambi sono ormoni, come la somatostatina, cioè proteine che circolano nel sangue e hanno il compito di portare messaggi alle cellule. Non in maniera casuale, però, ma solo a quelle cellule che possono recepire il messaggio. Così un’altra parola astrusa, recettore, diventa la porta della cellula attraverso la quale solo un determinato ormone ‘messaggero’ può entrare, perché esso possiede la forma della porta stessa. Per esempio le cellule scheletriche hanno un recettore a forma di Teddeus (l’ormone della crescita) che ordina loro di svilupparsi. Lo stesso discorso vale per la somatostatina, l’ormone per il quale le cellule Net possiedono il recettore. Ma poiché la somatostatina che circola normalmente nel sangue è pochissima e ha un’emivita breve (scompare dopo circa 3 minuti), non è efficace dal punto di vista terapeutico. Questo il motivo per cui si ricorre ai farmaci, gli analoghi della somatostatina (Octreotide, Sandostatina o Lanreotide).

Zerby con attaccato alla coda un palloncino luminoso: la diagnosi PET

Queste sostanze, però, hanno un ruolo oltre che terapeutico anche diagnostico. Zerby, in tale occasione, si accende come una lampadina perché “gli viene attaccato sulla coda un palloncino luminoso”, cioè una molecola radioattiva o radionuclide (il Gallio 68) che emette radiazioni visibili alla Pet, localizzando in questo modo il tumore neuroendocrino.

Attenti al cow-boy Zerby armato di potenti armi: la terapia radiorecettoriale

Se poi sulla coda gli viene posto un radionuclide più potente (il Lutezio 177 o l’Yttrio 90), Zerby si trasforma in un cattivissimo cow-boy dotato di ‘armi’ che emettono emissioni beta, quindi in grado di distruggere la cellula cattiva. Ecco spiegata la terapia radiorecettoriale.

E per quanto riguarda la Serotonina, responsabile della crisi da Carcinoide? Questo è il tema del prossimo fumetto con protagonista  Markus, un asinello dispettoso… Le dottoresse Boninsegna e Cassandrini e la grafica Chiara Sega sono già al lavoro.

COME FUNZIONANO GLI ANALOGHI DELLA SOMATOSTATINA? IMPARIAMO ASSIEME A ZERBY

Festa di S. Giovanni Calabria: presentato il nuovo acceleratore lineare Ethos

In occasione della Festa di San Giovanni Calabria, che ha chiuso le celebrazioni del Centenario dell’Ospedale Sacro Cuore, è stato presentato il nuovo acceleratore lineare Ethos per la radioterapia oncologica, dotato di intelligenza artificiale. Con Ethos salgono a quattro gli acceleratori lineari di ultima generazione presenti all’IRCCS di Negrar, che si conferma così uno dei Centri più avanzati in Italia per trattamenti radioterapici ad altissima precisione, grazie a un assetto tecnologico unico a livello nazionale e con pochi esempi simili nel mondo.

L’acceleratore lineare Ethos

Questa mattina in occasione della tradizionale Festa patronale di San Giovanni Calabria, all’IRCCS di Negrar è stato presentato il nuovo  acceleratore lineare Ethos, un macchinario di radioterapia unico nel suo genere in quanto dotato di un sistema integrato di intelligenza artificiale e presente in Italia solo in un’altra struttura ospedaliera.

QUATTRO ACCELERATORI LINEARI DI ULTIMA GENERAZIONE E 35% DI PAZIENTI DA FUORI REGIONE

Con Ethos salgono a quattro gli acceleratori lineari di ultima generazione presenti al Sacro Cuore Don Calabria, che si conferma così uno dei Centri più avanzati in Italia per trattamenti radioterapici ad altissima precisione, grazie a un assetto tecnologico unico a livello nazionale e con pochi esempi simili nel mondo.
Complessivamente nel 2021 il Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata, diretto da Filippo Alongi, professore associato all’Università di Brescia, ha trattato circa 1.600 pazienti oncologici, il 35% dei quali provenienti da fuori regione.

INVESTIMENTI TECNOLOGICI STRATEGICI PER UN OSPEDALE
L‘AD, Mario Piccinini

“L’investimento in innovazione tecnologica è strategico se si vuole mantenere un ospedale all’altezza dei tempi, cioè in grado di offrire le migliori cure ai pazienti”, ha detto l’amministratore delegato Mario Piccinini. “Questo acceleratore lineare è un esempio, ma abbiamo installato anche una nuova Pet in Medicina Nucleare ed è prevista una Risonanza Magnetica ad altissima risoluzione di immagini (3 Tesla) in Radiologia. L’incremento esponenziale della spesa energetica è fonte di grande preoccupazione – ha sottolineato l’Ad – ma le crisi richiedono una visione più ampia di quella contingente, di cui gli investimenti fanno parte”.

ETHOS: LA RADIOTERAPIA ADAPTIVE GRAZIE ALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Prof. Filippo Alongi

“La presenza in Ethos di un sistema integrato di intelligenza artificiale realizza quella che viene definita radioterapia ‘adaptive’ – spiega il prof. Alongi -. Infatti esso funziona come una sorta di ‘navigatore satellitare’ supportando l’operatore nel riadattare e correggere in tempo reale la direzione e la concentrazione del fascio di radiazioni ionizzanti in rapporto alla posizione del tumore. Il trattamento acquista così una precisione millimetrica di irradiazione sulla neoplasia, salvaguardando al massimo i tessuti sani circostanti”.

Un salto di qualità enorme rispetto alla radioterapia convenzionale, la quale si serve di un piano di cura elaborato dal radioterapista oncologo all’inizio del ciclo di trattamento, sulla base dell’immagine statica del tumore, fornita dalla TAC o eventualmente dalla Risonanza Magnetica e dalla PET in quel momento. Piano che si mantiene invariato fino alla conclusione del numero previsto di sedute. Questo determina un gap di precisione nell’irradiazione del tumore, perché la posizione e la grandezza della neoplasia varia da seduta a seduta e anche – nel caso per esempio del distretto toracico e addominale – in corso di trattamento a causa del movimento fisiologico degli organi interni.

MASSIMA PRECISIONE, ALTE DOSI DI RADIAZIONI E SEDUTE BREVI

“L’intelligenza artificiale di Ethos interviene proprio a colmare questo gap. Isolando l’area da colpire al solo tumore, il trattamento può essere effettuato con alte dosi di radiazioni andando a ridurre così i tempi di esposizione (massimo 10 minuti) e il numero delle sedute”, spiega ancora il prof. Alongi. Ma non solo: “La rivoluzione in termini tecnologici di questo acceleratore è anche rispetto agli altri sistemi ad alta precisione, i quali consentono modifiche di direzione del fascio di radiazioni solo off-line, cioè con il paziente fuori dalla stanza di trattamento, mentre con Ethos il tutto si realizza in tempo reale con il paziente collocato all’interno dell’apparecchiatura”.

Il nuovo macchinario è indicato per le neoplasie di tutti i distretti anatomici e dal marzo di quest’anno sono stati trattati più di 500 pazienti per un totale di oltre 5mila sedute, senza effetti collaterali rilevanti.

UNITY ED ETHOS, MACCHINARI DIVERSI MA COMPLEMENTARI

Ethos si affianca, all’interno del Dipartimento, ad altri due acceleratori lineari Truebeam (uno dei quali acquistato nella primavera scorsa), ma soprattutto a Unity, un macchinario ibrido con a bordo una Risonanza Magnetica ad alto campo.

“Ethos e Unity sono due macchinari diversi, ma complementari – riprende il medico -. Il primo in un certo senso completa il secondo, in quanto risponde alle esigenze di quei pazienti per cui ci sono difficoltà di trattamento con Unity. Per esempio coloro che non riescono a rimanere fermi in posizione di terapia a lungo per effettuare una Risonanza prima del trattamento. Oppure i pazienti portatori di impianti di pacemaker o di defibrillatori o protesi metalliche non compatibili con i campi magnetici della RM. Infine i grandi obesi o anche chi presenta più sedi di malattia in un’area vasta da non entrare nel campo del trattamento guidato da immagini di Risonanza Magnetica. Questa combinazione unica di alte tecnologie offre a noi radioterapisti oncologi l’opportunità di effettuare trattamenti personalizzati in base alle condizioni cliniche di ogni paziente, cosa che la radioterapia convenzionale non sempre permette”.

CHIUSURA DELL’ANNO DEL CENTENARIO DEL SACRO CUORE (1922-2022)

Fr. Gedovar Nazzari

Don Massimiliano Parrella

La celebrazione della ricorrenza è stata caratterizzata anche dalla chiusura dell’anno del Centenario dell’Ospedale Sacro Cuore (1922-2022), durate il quale, attraverso un libro (“Guarite i malati”) e una mostra fotografica permanente sono stati ripercorsi i 100 anni della struttura nata come ospizio per anziani e poi diventata solo un secolo dopo Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS). “In questo anno abbiamo saldato quel filo rosso che lega i fondatori di un’opera profetica (don Sempreboni e don Calabria) e chi come noi siamo chiamati a proseguirla. Quel filo rosso è la Paternità di Dio che ogni giorno siamo invitati a dimostrare attraverso la cura dell’ammalato”, ha detto il presidente, fratel Gedovar Nazzari, alla chiusura della Messa, presieduta dal nuovo superiore generale dell’Opera Don Calabria, padre Massimiliano Parrella, alla sua prima visita ufficiale all’Ospedale di Negrar, dopo l’elezione avvenuta nel giugno scorso.

 


Endoscopia digestiva confermato centro accreditato SIED

l Servizio di Endoscopia ed Ecoendoscopia Digestiva è stato confermato Centro accreditato della Società Italiana di Endoscopia Digestiva (SIED). Il rinnovo della certificazione ottenuta nel 2018 è un nuovo attestato degli standard di eccellenza raggiunti nell’erogazione delle prestazioni ai pazienti. Attualmente i Centri accreditati SIED in Italia sono solo 23.

Il Servizio di Endoscopia ed Ecoendoscopia Digestiva, diretto dal dottor Paolo Bocus e di cui è responsabile il dottor Marco Benini, è stato confermato Centro accreditato della Società Italiana di Endoscopia Digestiva (SIED). Il rinnovo della certificazione ottenuta nel 2018 è un nuovo attestato degli standard di eccellenza raggiunti nell’erogazione delle prestazioni ai pazienti. Attualmente i Centri accreditati SIED in Italia sono solo 23, di cui due, con quello di Negrar, in Veneto.

ULTERIORE GARANZIA DI QUALITA’ PER IL PAZIENTE
Paolo Bocus, gastroenterologo IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calaabria di Negrar
Dr. Paolo Bocus

“L’accreditamento è volontario quindi non richiesto da normativa regionale o nazionale – spiega il dottor Bocus -. Tuttavia nonostante comporti un impegno collettivo non indifferente, che si aggiunge alla notevole attività quotidiana, abbiamo voluto ottenerlo quattro anni fa perché rappresenta un’ulteriore garanzia per il paziente che si rivolge al nostro Servizio per esami, solo per citarne alcuni, come la gastroscopia, la colonscopia o la più sofisticata ecoendoscopia”.

REQUISITI SIED ELEVATI

Anche l’ottenimento del rinnovo è stato particolarmente impegnativo. “Sono stati innalzati, in seguito alla pandemia, i requisiti di sicurezza non solo in merito alle metodiche eseguite, ma anche relativi alle strutture e al controllo della disinfezione strumentale” prosegue il dottor Bocus.  “Tale aspetto ha principalmente riguardato la sicurezza dell’ambiente di lavoro sia per il personale che per i pazienti nonché la formazione ed il mantenimento delle competenze di tutto il personale coinvolto”. Un lavoro che ha coinvolto oltre allo staff del Servizio di Endoscopia Digestiva, anche la Direzione Amministrativa, quella Sanitaria, il Servizio Infermieristico e il Servizio Qualità nonché il Laboratorio di Microbiologia e l’Ufficio di Ingegneria Clinica.

OLTRE 7.500 ESAMI IN UN ANNO

Il Servizio nel 2021 ha effettuato 3780 esami di Colonscopia, 3362 Esaofagogastroduodenoscopie, 57 Gastrostomie Endoscopiche Percutanee (PEG), 150 Colangiopancreatografie Endoscopiche Retrograde (ERCP) e 220 Ecoendoscopie (EUS).

Tutte procedure valutate conformi al Manuale di Accreditamento SIED- Società Italiana di Endoscopia Digestiva (Rev. n 5 del 31/10/2018).


Rabbia, una malattia negletta che si può battere con educazione e prevenzione

Il 28 settembre si celebra la giornata mondiale della rabbia, una malattia “negletta” che ogni anno uccide quasi 60mila persone nel mondo. In Italia non è più presente da anni, tuttavia chi viaggia in zone dove il virus è endemico deve prestare attenzione e rivolgersi all’ambulatorio di medicina dei viaggi per una valutazione dei rischi ed eventualmente per sottoporsi alla vaccinazione

LA GIORNATA MONDIALE

La rabbia è una malattia “negletta” che ogni anno uccide circa 60mila persone nel mondo, di cui quasi la metà sono bambini, con i casi che sono quasi interamente concentrati nel Sud-est asiatico, in Africa e nell’America centro-meridionale. Si tratta di una zoonosi che si trasmette attraverso il morso di un animale infetto, soprattutto cani, scimmie e pipistrelli. Una volta che si manifestano i sintomi è mortale nel 99,9% dei casi, tuttavia si tratta di una patologia prevenibile grazie all’esistenza di un vaccino sicuro ed efficacie, al contrario di tante altre malattie tropicali dimenticate.

È proprio per sensibilizzare e promuovere la lotta contro questa malattia che il 28 settembre di ogni anno si celebra la giornata mondiale della rabbia, promossa fin dal 2007 dalla Global Alliance for Rabies Control (GARC). Una data non casuale, visto che coincide con l’anniversario della morte di Louis Pasteur, scopritore del primo vaccino contro la rabbia. Quest’anno la giornata è dedicata al tema “One health, zero Deaths” (una sola salute, zero morti), a sottolineare l’obiettivo fissato dall’ONU di eliminare le morti per rabbia entro il 2030.

LA RABBIA IN ITALIA
Federico Gobbi, infettivologo IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar
Dottor Federico Gobbi

In Italia, così come nella grande maggioranza dei Paesi europei, la situazione è ampiamente sotto controllo. “Da molti anni non ci sono casi sull’uomo, ma non ci sono nemmeno casi di rabbia silvestre, cioè sugli animali selvatici che potenzialmente la possono trasmettere all’uomo” dice il dottor Federico Gobbi, direttore del Reparto di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria, che è centro collaboratore dell’OMS per le malattie tropicali dimenticate, quali appunto la rabbia (vedi articolo). Qualche caso sporadico di rabbia silvestre si è riscontrato negli ultimi anni solo nelle zone di confine con la Slovenia e l’Austria. “In ogni caso è bene non abbassare la guardia e, al di là della rabbia, se si viene morsi è opportuno lavare e disinfettare accuratamente la ferita, mettendo in conto magari un richiamo del vaccino antitetanico o una terapia antibiotica a seconda del tipo di morso, perché la saliva degli animali contiene molti batteri”, prosegue Gobbi.

RABBIA E VIAGGI, UN RISCHIO DA NON SOTTOVALUTARE

Più complesso è il discorso quando si affronta la questione “rabbia” per coloro che si recano in viaggio nelle zone endemiche. A tal proposito è sempre opportuno fare una valutazione presso un ambulatorio di medicina dei viaggi, presente da tanti anni anche presso l’IRCCS di Negrar (vedi pagina ambulatorio). In base al tipo di viaggio e al livello di rischio si prospettano due possibilità. “Per chi compie viaggi frequenti e si trova a contatto diretto con animali si può pensare di fare due dosi di vaccino pre-esposizione – sottolinea il dr. Gobbi – dopodichè qualora la persona già vaccinata fosse morsa durante il viaggio dovrebbe sottoporsi ad ulteriore vaccinazione post-esposizione”.

Se invece il viaggio è a basso rischio il medico può valutare che non è necessario il vaccino pre-esposizione. In questo caso, qualora una persona fosse morsa durante il viaggio, è fondamentale fare una profilassi che prevede l’iniezione tempestiva di immunoglobuline nella sede della ferita, seguita poi dalla vaccinazione secondo una precisa tempistica. Il problema è che non sempre le immunoglobuline sono disponibili nei Paesi poveri.

COSA FARE IN CASO DI MORSO DURANTE UN VIAGGIO

Il morso di un animale in una zona a rischio non va mai sottovalutato e se sul luogo non è disponibile la profilassi antirabbica post-esposizione bisogna che il viaggiatore rientri quanto prima nel proprio Paese di origine per sottoporsi alle cure del caso”, è l’appello del dottor Gobbi. Il motivo è evidente: “La profilassi funziona solo se viene fatta prima della comparsa dei sintomi. Viceversa una volta che la malattia si manifesta arrivando al sistema nervoso centrale è ormai troppo tardi. Purtroppo è accaduto ancora, seppure sia raro, che un turista morso da un animale infetto sia deceduto dopo aver sviluppato i sintomi al ritorno dal viaggio”.

I sintomi della rabbia sono all’inizio simili a quelli di un’influenza con stanchezza, febbre e mal di testa. Poi man mano che il virus aggredisce il sistema nervoso centrale si manifestano segni sempre più specifici, quali allucinazioni, insonnia, salivazione esagerata, ipersensibilità alla luce, idrofobia. La velocità della malattia dipende molto dalla ferita iniziale. Se si tratta di una piccola ferita in una zona periferica del corpo, l’avanzamento verso il cervello sarà più lento. Al contrario se la ferita è profonda e in zone vicine alla testa il tempo a disposizione sarà molto meno.

EDUCAZIONE E PREVENZIONE

L’esistenza del vaccino e di una profilassi efficacie permette di guardare alla lotta contro la rabbia con un certo ottimismo, tanto che l’ONU si è posta l’obiettivo di azzerare entro pochi anni i decessi. E’ tuttavia indispensabile agire con più forza sul fronte della prevenzione e dell’educazione della popolazione nei Paesi a rischio, favorendo ad esempio i programmi di vaccinazione sugli animali selvatici e domestici nelle aree endemiche, nonché sensibilizzando le persone anche nelle zone più povere a sottoporsi alla profilassi in caso di morsi o contatti a rischio.