Apnee del sonno: incontro per conoscere i rischi per la salute

Sabato 26 novembre alle 10.30 presso il Centro Diagnostico Terapeutico di via San Marco 121, gli specialisti del Centro di Medicina del sonno di Negrar e l’Associazione Apnoici Italiani terrà un incontro sull’apnee notturne, fattore di rischio per le patologie neurologiche e cardiovascolari e una delle prime cause di incidenti stradali e sul lavoro

I dati del Centro di Medicina del sonno dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria parlano chiaro: su un campione di 100 pazienti, degli oltre 300 visitati nel 2019, il 66% presentava un grado moderato/grave di sindrome delle apnee ostruttive del sonno. Numeri rilevanti, ma non esaustivi di quanto incida questa situazione clinica sulla popolazione (si stima che in Italia ne soffrano 2 milioni di persone), perché rappresentano solo la punta dell’iceberg, coloro che, consapevoli del problema, si sono rivolti al medico.

Ancora troppi ignorano infatti che quel forte russamento accompagnato dalla sospensione del respiro per alcuni secondi siano fattori di rischio di patologie neurologiche e cardiovascolari e che la sonnolenza diurna dovuta al cattivo riposo sia una delle cause principali degli incidenti stradali e sul lavoro, spesso mortali.

Per sensibilizzare la popolazione sui rischi che comportano le apnee del sonno, l’Associazione Apnoici Italiani (APS) in collaborazione con il Centro di Medicina del sonno dell’IRCCS di Negrar propongono alla cittadinanza un incontro informativo che si terrà sabato 26 novembre alle 10.30 presso il Centro Diagnostico Terapeutico Sacro Cuore di via San Marco 121 a Verona (area del Centro polifunzionale Don Calabria). Si tratta di una delle tappe dell’iniziativa “Aperitivo con l’esperto” che l’APS sta replicando lungo la penisola e che si concluderà con un momento conviviale.

L’incontro vedrà gli interventi del dottor Gianluca Rossato, responsabile del Centro di Medicina del sonno, e di Antonio Corica, tecnico di Neurofisiopatologia, sempre di Negrar, che affronteranno il tema delle apnee dal punto di vista clinico. In particolare il dottor Corica fornirà consigli pratici per la gestione del CPAP (Continuous Positive Airway Pressure), la maschera collegata a un ventilatore meccanico che una volta indossata garantisce durate il sonno un flusso di aria continuo, impedendo così l’interruzione del respiro. “La CPAP è una delle ipotesi terapeutiche – sottolinea il dottor Rossato –. La presa in carico del paziente deve essere multidisciplinare, in quanto le apnee, essendo causate da vari fattori, possono trovare una soluzione anche nel calo ponderale, nel cambiamento degli stili di vita, nella chirurgia otorinolaringoiatrica e maxillo-facciale (se ci sono impedimenti morfologici) e anche nella terapia odontoiatrica”.

Al presidente degli Apnoici Italiani, Luca Roberti, e al vicepresidente, Trifone Mastrogiacomo, spetterà il compito di illustrare l’attività dell’associazione a favore dei pazienti. Sarà trattato il tema dell’idoneità alla guida delle persone affette da apnee, perché dal 2017 la normativa prevede che nel caso di sospetta o accertata sindrome il rinnovo della patente sia subordinato ad ulteriori accertamenti medici.


Il dottor Marcello Ceccaroni, protagonista del Festival del Futuro

Sabato 26 novembre alle 11, il dottor Marcello Ceccaroni, direttore della Ginecologia e Ostetricia, interverrà al Festival del Futuro che apre domani 24 novembre al palazzo della Gran Guardia (Verona). Partecipazione gratuita con iscrizione. L’intervento può essere seguito anche via streaming: ecco come

“La rivoluzione rock della laparoscopia ginecologica” è il tema dell’intervento che il dottor Marcello Ceccaroni terrà al Festival del Futuro sabato 26 novembre alle 11 (Palazzo della Gran Guardia). Il Festival è una tre giorni dedicata ai grandi temi del nostro domani, organizzata da Eccellenze d’Inpresa, Athesis Group e Harvard Business Review Italia
👉 Partecipazione gratuita con iscrizione on line: https://eventi.studioventisette.com/fesival-del-futuro/
Oggi la laparoscopia è la tecnica dominante in chirurgica. Eppure quando i ginecologici la impiegarono per primi tra i chirurghi, vennero considerati dall’establishment medico degli eretici, nello stesso modo in cui la cultura dominante ostacolava negli stessi anni il rock. Ma la rivoluzione in sala operatoria era segnata, grazie anche all’emancipazione della donna, verso la quale la laparoscopia ha un approccio più rispettoso, attento alla sua femminilità e alla sua qualità di vita.
L’intervento del dottor Ceccaroni si può seguire in diretta streaming sui segueti siti e i rispettivi social


Medici e pazienti: per "salvare" gli antibiotici servono comportamenti responsabili

Comincia oggi la Settimana mondiale per l’uso consapevole degli antibiotici. Un evento che tocca da vicino la salute pubblica a livello globale, perchè l’abuso di questi importantissimi farmaci ha portato ad un aumento dei batteri multiresistenti, causando un numero sempre maggiore di infezioni che non rispondono alle cure. Ecco cosa possono fare medici e pazienti.

Il problema dei batteri resistenti agli antibiotici è una sfida sempre più urgente da porre al centro delle politiche di salute pubblica. Il fenomeno dell’antibiotico-resistenza è infatti in crescita a livello globale ed è strettamente legato all’uso scorretto che spesso viene fatto di questi importantissimi farmaci. L’occasione per rilanciare l’appello ad adottare comportamenti responsabili è la Giornata europea sull’uso consapevole degli antibiotici, che si celebra oggi e coincide con l’inizio della Settimana mondiale dedicata alla sensibilizzazione su questo tema (18-24 novembre).

I DATI

A livello europeo l’EDCD (European Centre for Desease Prevention and Control) calcola che in un anno siano state 670mila le infezioni dovute a batteri resistenti, con 33mila decessi. Numeri che sono ancor più impressionanti a livello mondiale, con 5 milioni di decessi associati alla resistenza agli antibiotici nel solo 2019. E l’Italia? Secondo il rapporto 2021 dell’Istituto Superiore di Sanità nel nostro Paese il problema dell’antibiotico resistenza è superiore alla media europea sia per numero di infezioni che per numero di decessi. Numeri che si riflettono in un aumento dei ricoveri per questo tipo di infezioni che risultano di difficile gestione e talvolta incurabili.

LE CAUSE DEL FENOMENO

Alla scoperta degli antibiotici l’umanità deve la sconfitta di molte infezioni batteriche altrimenti letali. Tuttavia negli anni alcuni batteri, per un processo fisiologico di selezione naturale, hanno sviluppato meccanismi di resistenza contro questi farmaci; in particolare nella loro composizione cellulare sono comparsi degli enzimi in grado di digerire gli antibiotici stessi. E di renderli inefficaci. Tale fenomeno assume proporzioni tanto più rilevanti quanto più gli antibiotici sono somministrati in modo inappropriato, oppure se ne abusa per curare patologie per le quali non sono necessari né efficaci.

Altri aspetti del fenomeno sono legati alluso esteso di antibiotici sugli animali da allevamento e allo smaltimento non corretto dei farmaci antimicrobici inutilizzati. Per questo la sensibilizzazione sul tema dell’antibiotico-resistenza promossa dagli organismi internazionali privilegia sempre più un approccio “One health” che affronta il problema a 360 gradi considerando uomo, animali e ambiente.

COSA POSSIAMO FARE

Il titolo della Giornata europea e della Settimana mondiale di sensibilizzazione è “Insieme preveniamo l’antibiotico-resistenza”. Dove “insieme” indica che per evitare lo sviluppo di queste infezioni da batteri multiresistenti ci vogliono comportamenti responsabili sia da parte del personale sanitario sia da parte dei pazienti.
Nel video riportato qui sotto, diffuso dall’ECDC, si fanno alcune raccomandazioni ai medici, sottolineando che fino a metà dei farmaci antimicrobici dati negli ospedali potrebbero essere superflui. Che fare dunque? Gli esperti del centro di controllo europeo chiedono ai professionisti di ottimizzare l’uso degli antibiotici all’interno degli ospedali e delle strutture residenziali stilando linee guida apposite e monitorando l’efficacia dei farmaci. Bisogna inoltre formare adeguatamente il personale e attuare tutte le precauzioni per abbattere le infezioni, riducendo così la probabilità che si sviluppino quelle multiresistenti. Gli antibiotici non vanno prescritti più del necessario e compito del medico è anche quello di spiegare ai pazienti e ai loro familiari il loro corretto utilizzo. Per tutti questi motivi negli ospedali da alcuni anni è prevista l’istituzione della “stewardship antimicrobica”, presente anche al “Sacro Cuore” (vedi pagina di presentazione).
Anche i pazienti possono fare molto per preservare l’efficacia degli antibiotici. Nel decalogo suggerito dall’ECDC si dice ad esempio che questi farmaci vanno presi solo su prescrizione del medico e attenendosi scrupolosamente alle sue indicazioni; quelli avanzati non vanno utilizzati e non vanno condivisi con altri; è molto importante prevenire le infezioni lavandosi bene le mani (vedi slide con le indicazioni).

Per approfondire vedi su questo sito:

Antibiotico-resistenza: un nemico per la nostra salute

Gli antibiotici non curano il Covid perchè è un virus e non un batterio


"Di me sarete testimoni": domenica la Festa delle missioni calabriane

L’Opera Don Calabria è presente in terra di missione fin dal 1959. Oggi le case filiali sono presenti in tredici Paesi e nei cinque continenti, promuovendo attività sociali, educative, pastorali e sanitarie nelle zone più povere del pianeta. Domenica 20 novembre tutte queste missioni, e i benefattori che le sostengono, saranno ricordati con una festa a San Zeno in Monte.

Una festa per ricordare tutte le missioni dell’Opera Don Calabria e per ringraziare le tante persone e associazioni che aiutano il lavoro dei missionari. L’appuntamento, organizzato dall’associazione Don Calabria Missioni, è per domenica 20 novembre alle ore 10 presso la Casa Madre dell’Opera a San Zeno in Monte (prenotazione obbligatoria per partecipare in presenza – vedi locandina).

Tutto l’evento si potrà seguire in diretta web sul canale youtube dell’Opera: https://www.youtube.com/user/doncalabria1

Il tema dell’incontro è la testimonianza, in linea con la giornata missionaria mondiale celebrata da tutta la Chiesa lo scorso 23 ottobre. E i protagonisti della festa saranno proprio i testimoni della missione. Durante la mattinata ci saranno infatti collegamenti con tre case dove i Fratelli e le Sorelle dell’Opera accolgono bambini e bambine abbandonati. Si tratta di Cagayan de Oro, nelle Filippine; Nakuru, in Kenya; Thana, in India. Durante la festa si alterneranno momenti di dialogo con i missionari con intermezzi musicali a cura del gruppo “Nardo Trio”.

La giornata si concluderà con la S. Messa celebrata dal Casante don Massimiliano Parrella alle 12.15, seguita da un momento conviviale.

Attualmente le missioni dell’Opera si trovano in tredici Paesi del mondo e in tutti i continenti. In particolare l’associazione “Don Calabria Missioni” nel corso del 2021 ha sostenuto 26 progetti socio-educativi e 13 progetti socio-sanitari a favore di bambini e adolescenti in alcune tra le aree più povere del mondo, raggiungendo nel complesso circa 50mila beneficiari grazie al lavoro sul territorio di circa 3.700 collaboratori e grazie alla Divina Provvidenza che si manifesta nella benevolenza di tanti benefattori.

Per saperne di più vedi https://www.missionidoncalabria.it/


Giornata mondiale del diabete: accesso alle cure per tutti

Dal 1991, la Giornata del 14 novembre è dedicata in tutto il mondo al diabete. L’International Diabetes Federation ha scelto come tema del 2022  l’accesso alle cure per tutti, in quanto milioni di persone nel mondo ancora non riescono a ottenere le terapie disponibili. L’obiettivo è stimolare i governi a investire maggiormente nella cura e nella prevenzione e nella diagnosi precoce affinché tecnologie, farmaci e supporto siano a disposizione di tutte le persone con diabete.

Dal 1991, la Giornata del 14 novembre è dedicata in tutto il mondo al diabete, una patologia colpisce globalmente oltre 530 milioni di adulti, numero  che si stima possa aumentare a 640 milioni nel 2030.

La data corrisponde a quella di nascita del professor Frederick Grant Banting, il fisiologo e endocrinologo canadese, che assieme al suo allievo Charles Herbert Best isolò l’insulina nel 1921, cambiando la storia dei malati di diabete mellito, permettendone la sopravvivenza.

L’International Diabetes Federation ha scelto come tema del 2022  l’accesso alle cure per tutti, in quanto milioni di persone nel mondo ancora non riescono a ottenere le terapie disponibili. L’obiettivo è stimolare i governi a investire maggiormente nella cura e nella prevenzione e nella diagnosi precoce affinché tecnologie, farmaci e supporto siano a disposizione di tutte le persone con diabete.

Con una prevalenza in continua crescita, il diabete viene identificato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) una priorità globale per tutti i sistemi sanitari. In Europa la malattia interessa circa 60 milioni di adulti.

In Italia, In base ai dati ISTAT 2020, si stima una prevalenza del diabete pari a circa il 6% della popolazione che corrisponde a oltre 3 milioni e mezzo di persone. ll diabete di tipo 2, detto anche diabete dell’adulto, è i più frequente e rappresenta il 90% dei casi di diabete. Il diabete di tipo 1, detto anche diabete giovanile o insulino-dipendente, rappresenta circa il 10%.

La prevalenza di diabetici di tipo 2 cresce con l’età (è il 2% tra le persone con meno di 50 anni e sfiora il 9% fra quelle di 50-69 anni). E’ più frequente fra gli uomini che fra le donne (5,1% vs 4,2%). L’86% delle persone con diabete ha dichiarato, sempre scondo i dato Istat  di essere sotto trattamento farmacologico per il controllo del diabete, la gran parte (79%) con ipoglicemizzanti orali e circa 1 paziente su 4 con insulina.

Prevenire il diabete

La prevenzione primaria del diabete di tipo 2 si identifica con la promozione di stili di vita corretti finalizzati anche alla prevenzione dell’eccesso ponderale. L’adozione di uno stile di vita sano e attivo può prevenire fino all’80% dei casi di diabete di tipo 2, che, se trascurato può, causare malattie cardiache, cecità, amputazioni, insufficienza renale, morte precoce.

Nel diabete di tipo 1 la prevenzione si identifica con la diagnosi precoce. In entrambe le tipologie di malattia l’adeguata gestione della patologia da parte del paziente e del team diabetologico ne consente il controllo ottimale e la riduzione delle complicanze.

Per conoscere di più: DIabete: vita sana e controlli periodici per prevenire una malattia dalle gravi complicazioni


Piccole Suore della Sacra Famiglia: 100 anni a servizio dei malati del "Sacro Cuore"

Era l’11 novembre di 100 anni fa quando alcune sorelle dell’Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia entrarono per la prima volta, insieme ad alcuni ospiti, nella Casa del Sacro Cuore, un ricovero per anziani, primo nucleo di quella che oggi è la “Cittadella della Carità”. Da allora non hanno mai lasciato le dolci colline della Valpolicella. Non svolgono più il lavoro di infermiere, ma restano sempre accanto ai malati, donando loro conforto umano e spirituale.

Era l’11 novembre di 100 anni fa quando alcune sorelle dell’Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia entrarono per la prima volta, insieme ad alcuni ospiti, nella Casa del Sacro Cuore, un ricovero per anziani, primo nucleo di quella che oggi è la “Cittadella della Carità”. Da allora le figlie spirituali del beato Giuseppe Nascimbeni e di santa Domenica Mantovani non hanno mai lasciato le dolci colline della Valpolicella, fornendo un prezioso contributo nell’assistenza infermieristica dei malati – indimenticabili le sorelle che sono state caposala dei reparti – e, oggi, nell’ambito della pastorale ospedaliera. Attualmente la piccola comunità è formata dalla superiora madre Rosa Santina (al secolo Maria Vigolo) e dalle sorelle Bernardetta (al secolo Lucia Brunelli), Teresa Ausilia Dalla Pozza e Brandina Brunelli.

Ma la presenza a Negrar delle Piccole Suore della Sacra Famiglia risale a prima della realizzazione del Ricovero da parte del parroco di Negrar, don Angelo Sempreboni. A volerle in paese fu lo stesso sacerdote, che nel 1918 scriveva a don Nascimbeni chiedendo l’invio “di quattro sue buone suore”. Da portare avanti c’era infatti “l’asilo che raccoglie solo i bambini delle contrade vicine, circa un’ottantina ai quali somministro gratuitamente le refezione giornaliera; abbiamo già fatto acquisto di uno stabile per un ospitale ricovero, che sorgerà subito dopo la guerra. Vede che ampio terreno! Ciò però che al momento più mi preme, e più mi impensierisce, è la nostra antica e famosa Scuola di lavoro, in cui si fabbricano i più famosi merletti a punto Burano […] Nei tempi normali accoglieva circa duecento ragazze dai 14 ai 40 anni, anche ora superano le cento…” (APSSF, Lettera di Sempreboni a Nascimbeni, 2 maggio 1918)

Il 21 maggio 1918 arrivarono a Negrar le prime sorelle destinate alla parrocchia, alla scuola materna e a quella del lavoro e poi, poco tempo dopo, alla cura degli anziani e dei malati ospiti della Casa del Sacro Cuore. L’opera delle suore di Castelletto di Brenzone (il paese di origine di don Nascimbeni e dove fu fondato nel 1892 l’Istituto religioso) proseguì anche quando il Ricovero con l’annesso edificio destinato ad ospedale divenne nel 1933 della Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza.

Un carisma, quello di don Nascimbeni, che non poteva non trovare casa in una casa fondata da don Calabria, dove la cura del malato era finalizzata  alla testimonianza della paternità di Dio. “Noi, Piccole Suore della Sacra Famiglia – si trova scritto nei documenti – desideriamo mostrare con i fatti che Dio è colui che provvede con sollecita cura di Padre ai suoi figli e che in Cristo Gesù, Buon Samaritano, si è fatto uno di noi, è venuto a cercarci, si è reso compagno di viaggio, ha fasciato le nostre piaghe, ha curato i nostri mali e ci ha ricondotti alla vita”. Una comunione d’intenti che portò la Chiesa universale a beatificare i due fondatori nello stesso giorno, il 17 aprile del 1988, con la presenza a Verona di Papa Giovanni Paolo II.

In un secolo sono oltre 200 le sorelle che hanno prestato servizio alla Cittadella della Carità, molte della quali provenienti da Negrar e dalle frazioni vicine a testimonianza di quanto la presenza accanto ai malati delle Piccole suore abbia avviato alla vita religiosa molte ragazze.

“A causa del calo di vocazioni che colpisce tutti gli Istituti religiosi da tempo non siamo più impegnate come infermiere o operatrici sanitarie”, afferma madre Rosa Santina, da cinque anni a Negrar. “Tuttavia non è mai venuta meno la nostra presenza nei reparti e fra gli ospiti della case socio-sanitarie. Portiamo l’Eucarestia al letto degli ammalati e siamo il tramite tra loro e i sacerdoti. Cerchiamo di dare conforto umano e spirituale ai più gravi e a coloro che sono soli. Continuiamo così la nostra missione che è quella, secondo gli insegnamenti del nostro Fondatore, di assumere e condividere la realtà dell’uomo, nel nostro caso dell’ammalato, che vive l’esperienza del limite fisico e psicologico per essere, con la nostra vicinanza in nome di Cristo, segno di fiducia e di speranza”.

Nella foto d’epoca: don Giovanni Calabria benedice i presenti, tra cui alcune Piccole Suore della Sacra Famiglia


Gara europea di simulazione d'urgenza: il "Sacro Cuore" unica squadra italiana

La squadra del Pronto Soccorso è stata protagonista a Berlino dell’Euro SIM Cup, una competizione di simulazione d’urgenza su manichini ad alta fedeltà. “C’erano altri gruppi italiani che si sono iscritti alla gara – sottolinea il ‘capitano’, il dottor Pettenuzz,.“Probabilmente è stata scelta la nostra squadra perché era composta da più figure sanitarie, non solo da medici, come le altre”

Il team dell’IRCCS di Negrar è l’unica squadra italiana ad aver partecipato all’Euro Sim Cap, una competizione particolare dove l’obiettivo è salvare la vita del paziente, sebbene si tratti di un manichino ad alta fedeltà. E’ il primato portato a casa da Berlino dal gruppo formato da Federico Pettenuzzo e da Annalisa Baldi, rispettivamente medico e infermiera del Pronto Soccorso dell’IRCCS di Negrar, diretto dal dottor Flavio Stefanini. Con loro due specializzandi dell’Università di Verona, i dottori Nicola Mazza e Alessandro Vincenzetti. E come per tutte le squadre che si rispettano non poteva mancare l’allenatore: il dottor Marco Boni, ‘veterano’ dell’Emergenza-Urgenza del Sacro Cuore e istruttore IRC (Italian Resuscitation Council).

La competizione a squadre si è svolta nell’ambito del congresso annuale di medicina di urgenza promosso dall’Eusem (European Society for Emergency Medicine) dal 15 al 19 ottobre nella capitale tedesca. Fra le squadre candidate ne sono state scelte otto europee e una statunitense. “C’erano altri gruppi italiani che si sono iscritti alla gara – sottolinea il ‘capitano’, il dottor Pettenuzzo, “Probabilmente è stata scelta la nostra squadra perché era composta da più figure sanitarie, non solo da medici, come le altre”. La vittoria è andata alla squadra statunitense, mentre le altre posizioni in classifica non sono state rese note, per una scelta degli organizzatori.

“La Simulation Cup consiste in una gara di discussione e gestione di casi clinici nell’ambito dell’emergenza, utilizzando manichini ad alta fedeltà, cioè che simulano le reazioni di un corpo umano”, spiega ancora il medico. “A noi erano stati affidati tre casi: un bambino con meningite, un politrauma da caduta dall’alto e una folgorazione. Gli esaminatori hanno valutato non solo l’aspetto tecnico (rispetto dei protocolli e delle linee guida, farmaci impiegati…), ma anche le cosiddette non technical skills, ovvero la gestione del team, quindi la comunicazione, il rapporto umano tra i componenti, la leadership”.

Abilità che la squadra di Negrar ha perfezionato durante la preparazione alla gara, iniziata a maggio. “La Sim Cup è stata un’opportunità di crescita professionale – afferma l’infermiera Baldi -. Ci ha costretti a lavorare molto sia sulle competenze personali, per essere in grado di affrontare casi non frequenti, sia sulla capacità di lavorare in squadra, requisito fondamentale nell’ambito dell’urgenza perché in ambulanza o in ospedale spesso si opera con persone che non si conoscono ma con le quali si deve instaurare subito un rapporto di fiducia”. Come fondamentali sono le pratiche di simulazione, “anche per la gestione dell’ansia che diventa più facile nel soccorso reale a un paziente, se lo stesso caso è stato affrontato con un manichino ad alta fedeltà”, sottolinea il dottor Pettenuzzo.

Archiviata la Sim Cup 2022, ma non l’entusiasmo, il team di Negrar pensa a quella del prossimo anno e magari alla “medaglia d’oro”. “La classifica non è stata comunicata, ma visti i tanti complimenti che abbiamo ricevuto dai colleghi, forse un posticino sul podio lo abbiamo raggiunto…”, conclude Baldi.

Nella foto da sinistra: i dottori Marco Boni, Federico Pettenuzzo,Alessandro Vincenzetti, l’infermiera Annalisa Baldi e  il dottor Nicola Mazza.


Psoriasi: si vede sulla pelle ma colpisce anche la sfera emotiva

Il 29 ottobre è la Giornata mondiale della psoriasi, patologia infiammatoria delle pelle ancora socialmente invalidante nonostante la disponibilità di farmaci che possono migliorarne la gravità e di conseguenza lo stile di vita del malato. E su di essa grava ancora il pregiudizio che sia una malattia contagiosa. Ne parliamo con la dottoressa Federica Tomelleri, responsabile del Servizio di Dermatologia dell’IRCCS di Negrar.

Nonostante oggi siano a disposizione una serie di farmaci che possono migliorarne la gravità e di conseguenza lo stile di vita del malato, in molti casi la psoriasi rimane una malattia socialmente invalidante. Sia per quel che riguarda l’aspetto estetico che condiziona la vita sociale-affettiva di chi è affetto da questa patologia, sia per i sintomi talvolta molto ribelli e difficili da gestire con la terapia locale che risulta per molti pazienti alla lunga un vero flagello nella routine quotidiana.

La Giornata mondiale del 29 ottobre dedicata a questa malattia infiammatoria della pelle vuole essere l’occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica e il mondo della sanità su un problema che solo in Italia colpisce 1.500.000 persone, spesso non adeguatamente trattate. Un sondaggio del Censis su 300 pazienti rivela infatti che il 70% di questi è passato da uno specialista ad un altro per ottenere una diagnosi corretta e il 50% si è rivolto in media a 4 diversi specialisti o centri prima di individuare il medico referente cui affidarsi per le cure. Ma quali sono le cause della psoriasi e come è possibile curarla?

Dr. Federica Tomelleri

“La psoriasi è una malattia infiammatoria cronica che si manifesta con chiazze sulla pelle dall’aspetto eritemato-desquamativo, a volte anche molto pruriginose”, spiega la dottoressa Federica Tomelleri, responsabile del Servizio di Dermatologia dell’IRCCS Sacro Cuore di Negrar. “La genetica predisponente rappresenta la necessaria condizione per svilupparla, combinata però a fattori ambientali catenanti, tra questi traumi, interventi chirurgici, malattie infettive, farmaci, alcool e fumo”.

Quali sono le zone del corpo maggiormente colpite?

Le sedi classicamente colpite dalla psoriasi volgare sono il cuoio capelluto, i gomiti e le ginocchia, la regione sacro-lombare e nucale. Esistono però anche forme di psoriasi cosiddetta ‘invertita’ che interessano le regioni di piega inguinale ed ascellare, sotto ed inframammaria. Sono forme più difficili e subdole da diagnosticare, spesso confuse con infezione delle pieghe.

Esistono forme più o meno gravi?

Per valutare la gravità della malattia i dermatologi utilizzano l’indice PASI (un acronimo di indice della gravità della malattia per aree) che aiuta a catalogare la psoriasi da lieve a moderata fino a grave o eritrodermica (la forma più estesa). Si utilizza anche per valutare la risposta terapeutica durante un ciclo farmacologico.

Si tratta di una malattia contagiosa?

Assolutamente no, nonostante la convinzione corrente. La via di trasmissione può essere genetica. Infatti sono stati identificati alcuni geni specifici associati alla malattia.

Si può guarire dalla psoriasi?

Ancora oggi non esiste una terapia che ne garantisca una guarigione definitiva. Tuttavia i farmaci che abbiamo a disposizione possono assolutamente migliorarne la gravità e di conseguenza lo stile di vita del malato.

Quali sono questi farmaci?

Le terapie a base di MTX, ciclosporina, fototerapia con psoraleni e retinoidi hanno di recente trovato supporto nei farmaci biologici. Quest’ultimi, però, sono indicati solo nelle forme più aggressive che spesso creano un coinvolgimento anche a livello articolare dove può comparire una vera e propria artrite psoriasica. Una valutazione d’equipe tra gli specialisti dermatologi e reumatologi è fondamentale per determinare la terapia più indicata per ogni paziente.

Il sole è un alleato per il trattamento della psoriasi?

Il sole è sicuramente un alleato nella terapia della psoriasi ma non bisogna correre il rischio di esporsi in maniera sconsiderata: ormai tutti ben sappiamo come i rischi di danno da raggi UV possono aggravare la predisposizione ai tumori cutanei. Benefiche sono anche le immersioni in acqua salina. Infatti al mare di solito migliora la sintomatologia della psoriasi volgare in placche.

Ci sono invece degli alimenti che peggiorano i sintomi?

No. La dieta non è annoverata tra i fattori di rischio che possono interferire nella gravità della malattia

Una volta stabilita la terapia sono cure semplici da sostenere?

Il dermatologo quotidianamente affronta nel suo ambulatorio di base difficoltà in merito alla gestione delle terapie che spesso il paziente psoriasico con grande difficoltà riesce ad applicare in maniera adeguata. Diventa quindi fondamentale creare un rapporto empatico medico-paziente per riuscire ad ottenere i migliori risultati. Non bisogna mai dimenticare che la psoriasi è una malattia con risvolto psico-emozionale altamente impattante sullo stile di vita e sulla routine quotidiana del paziente.


Ambulatorio TAO: un nuovo sistema per accedere alla prescrizione terapeutica

A partire dal prossimo 9 novembre scattano importanti novità per i pazienti dell’Ambulatorio TAO (Terapia Anticoagulante Orale) dell’IRCCS di Negrar che ricevevano via e-mail il documento con l’indicazione della terapia. Per coloro che invece erano soliti ritarare il referto cartaceo presso l’Ambulatorio o all’Ufficio Documentazione Sanitaria (piano terra dell’ingresso principale) possono continuare a farlo. Tutte le novità sono descritte in una e-mail che i pazienti hanno ricevuto in questi giorni.

A partire dal prossimo 9 novembre scattano importanti novità per i pazienti dell’Ambulatorio TAO (Terapia Anticoagulante Orale) dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria che ricevevano via e-mail il documento con l’indicazione della terapia. Per coloro che invece erano soliti ritarare il referto cartaceo in Ambulatorio o all’Ufficio Documentazione Sanitaria (piano terra dell’ingresso principale) possono continuare a farlo. Tutte le novità sono descritte in una e-mail che i pazienti hanno ricevuto in questi giorni.

Accesso all’Ambulatorio: no il venerdì

L’accesso all’Ambulatorio TAO sarà possibile solo dal lunedì al giovedì. Viene quindi esclusa la mattinata del venerdì. Il medico responsabile della terapia sarà presente in ambulatorio a partire dalle ore 9 fino alle ore 12.

Modalità di recupero del documento con la terapia

Per ragioni dettate dalla legge sulla privacy, non sarà più possibile ricevere via e-mail il documento dove il medico prescrive la terapia. In alternativa a partire dal 9 novembre sarà introdotta una modalità altrettanto semplice. Infatti si potrà scaricare il documento dal portale “homeTAO” a cui è possibile accedere tramite credenziali personali. Le modalità per farlo sono descritte nel documento “Guida all’utilizzo del Servizio homeTao” (clicca qui per scaricarlo) che è stato inviato via e-mail insieme Modulo raccolta dati (clicca qui per scaricarlo) e Informativa registrazione portale homeTao (clicca qui per scaricarlo).

Il “Modulo raccolta dati” e l’Informativa registrazione portale homeTao” devono essere compilati, firmati e consegnati al medico dell’Ambulatorio TAO al primo controllo.

In prossimità del 9 Novembre i pazienti riceveranno una e-mail dall’indirizzo referti@easytao.eu in cui saranno elencate tutte le istruzioni per il primo accesso al portale homeTAO.

In caso di difficoltà

Problemi tecnici: il Servizio homeTAO mette a disposizione il numero Verde 800056270.
Problemi di natura clinica: referente rimane sempre il medico dell’Ambulatorio Tao (Tel. 045.6013992).


Vaccinazione, sorveglianza e ricerca: tre parole chiave per liberare il mondo dalla poliomielite

Il 24 ottobre è la giornata mondiale della poliomielite. Una tremenda malattia che entro pochi anni potrebbe essere eradicata dal pianeta. Ma non bisogna abbassare la guardia anche alla luce della ricomparsa del virus, nella forma derivante dai vaccini, in Paesi dove la polio era scomparsa da decenni. Ne abbiamo parlato con la virologa Concetta Castilletti

IL TRAGUARDO DI UN MONDO LIBERO DALLA POLIOMIELITE

La completa eliminazione del virus della poliomielite è ormai sempre più a portata di mano dopo i grandi progressi degli ultimi anni. Basti pensare che dal 1988 a oggi, cioè da quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato il programma GPEI (Global Polio Eradication Initiative), i casi di questa tremenda malattia sull’uomo sono diminuiti del 99,9%. Dei tre ceppi selvaggi di poliovirus, due sono stati dichiarati eradicati (il tipo 2 nel 2015 e il tipo 3 nel 2019), mentre il tipo 1 provoca ancora qualche decina di casi ogni anno. Nel 2020 anche l’Africa è stata dichiarata libera dalla polio “selvaggia” dopo che per quattro anni non si sono verificati casi dovuti al virus circolante in natura (tuttavia nel 2022 si è verificato un caso in Malawi, a testimonianza del fatto che l’attenzione va tenuta molto alta). Se si giungesse alla completa eradicazione, quello della polio sarebbe il secondo virus nella storia a subire questo destino, dopo il vaiolo nel 1980.

IL PROBLEMA DEI CONTAGI DERIVANTI DA VACCINO

Eppure, nonostante un quadro generale favorevole, non mancano i motivi di allarme e la giornata mondiale della poliomielite, che ricorre il 24 ottobre, è l’occasione per riflettere su nuovi scenari di lotta alla malattia. In particolare sono due le grandi sfide indicate dal programma strategico GPEI 2022-2026. Anzitutto resta da eliminare definitivamente il virus selvaggio di tipo 1 dagli ultimi due Paesi dove è ancora endemico, vale a dire Pakistan e Afghanistan. In secondo luogo c’è da affrontare la questione dei casi di contaminazione da poliovirus derivante da vaccino, una situazione che in mesi recenti ha suscitato grande attenzione anche in Paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti dove la malattia era scomparsa da decenni.

I vaccini usati per i poliovirus sono di due tipi – spiega Concetta Castilletti, virologa dell’IRCCS Sacro Cuore Don CalabriaIl vaccino di Salk usa il virus inattivato e viene somministrato con iniezione intramuscolare, mentre il vaccino di Sabin è composto da virus vivo attenuato e la somministrazione è per via orale. Il Sabin è raccomandato dall’OMS perché più efficace, oltre ad essere di facile somministrazione e assai poco costoso. Il vaccino a virus inattivato viene invece usato nei Paesi dove il virus è stato eradicato e dove è presente una solida immunità di gregge, come accade in Italia”.

Perché dunque si parla di poliomielite derivante da vaccino? “Il virus attenuato usato per il vaccino Sabin ha perso tutta la sua virulenza ed è quasi del tutto innocuo – puntualizza Castilletti – tuttavia può ancora replicare e quindi per un breve periodo la persona vaccinata è in grado di tramettere l’infezione e di rilasciare il virus nell’ambiente con il rischio di contagiare una persona mai vaccinata”. A livello planetario i casi di polio derivante da vaccino sono stati circa 400 nel 2022, in gran parte nei Paesi di Africa e Asia dove le condizioni sanitarie sono precarie. Ma tra essi c’è anche la vicenda che ha fatto particolare clamore di un paziente non vaccinato rimasto paralizzato alla gamba dopo aver contratto il virus derivato da vaccino a New York, a testimonianza che neppure i Paesi più sviluppati sono esenti da rischi, bisogna però ricordare che la copertura vaccinale negli Stati Uniti è più bassa che in Europa.

Un altro aspetto della questione è la contaminazione ambientale. Trattandosi di un virus a RNA appartenente al genere enterovirus, molto resistente nell’ambiente, esso si replica nell’intestino e successivamente viene evacuato con i fluidi corporei, finendo quindi nelle acque reflue. Per questo nei mesi scorsi è successo ad esempio di trovare tracce di contaminazione da poliovirus nelle fognature di Londra.

TRE PAROLE CHIAVE PER ARRIVARE ALLA VITTORIA FINALE

La situazione non ci deve allarmare tuttavia non bisogna abbassare la guardia – prosegue la virologa dell’IRCCS di Negrar – Sono i vaccini che ci hanno permesso di eliminare quasi del tutto la poliomielite e sono i vaccini che continuano a proteggerci dai poliovirus selvaggi ma anche dalle infezioni derivanti da vaccino. Quindi è fondamentale proseguire con i programmi di vaccinazione sia nelle zone endemiche sia in quelle da cui il virus è ufficialmente sparito, come in Italia dove l’ultimo caso di poliomielite autoctona risale agli anni Ottanta”.

Oltre a “vaccinare”, la seconda parola chiave è “sorvegliare”. Ad esempio in Italia è attivo un piano di sorveglianza delle paralisi flaccide acute (PFA), che mira a cogliere con prontezza i casi di virus con un tropismo per il sistema nervoso, come il poliovirus, per porre in atto misure di contenimento/vaccinazione. Anche l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria è parte attiva di questo piano. Inoltre dal 2005, in accordo con le linee guida dell’OMS, l’Istituto Superiore di Sanità ha approntato un sistema di Sorveglianza della Circolazione dei Poliovirus nell’ambiente mediante il monitoraggio delle acque reflue in ingresso ai depuratori.

C’è infine una terza parola chiave nella lotta al virus, che è “ricerca”. “Nell’ambito della sorveglianza è importante procedere alla tipizzazione degli enterovirus rilevati nei pazienti e nell’ambiente. La ragione sta nel fatto che gli enterovirus sono virus molto diffusi che ricombinano facilmente e quindi bisogna individuare tempestivamente eventuali mutazioni in senso più aggressivo”, conclude Castilletti.