Le aritmie "fatali" negli sportivi: l'importanza della lettura accurata dell'ECG
Atleti professionisti colpiti da arresto cardiaco in campo. Sono sempre eventi imprevedibili, oppure esistono segnali che possono sollevare dubbi diagnostici da approfondire? Di elettrocardiogramma spesso si parla come di un esame banale, mentre partendo da una sua corretta lettura si possono salvare vite sottoposte a notevoli e prolungati sforzi cardio-polmonari. Se ne parlerà nel convegno “Da Morosini a Eriksen: le aritmie nello sportivo”, organizzato l’1 ottobre dalla Medicina dello Sport e dalla Cadiologia dell’IRCCS di Negrar
Il titolo fonde cronaca e medicina: “Da Morosini a Eriksen: le aritmie nello sportivo”. Infatti il convegno organizzato dalla Cardiologia e dalla Medicina dello sport dell’IRCCS di Negrar – sabato 1 ottobre a Villa Quaranta Park Hotel (Ospedaletto di Pescantina) – parte da due episodi di cronaca emblematici per accendere i riflettori sull’importanza di saper cogliere, da parte dei medici a tutti i livelli, i primi segnali di anomalie cardiache al fine di prevenire le morti improvvise sul campo, per arrivare all’importanza cruciale di diffondere la cultura della rianimazione cardio-polmonare, ovunque si faccia sport.
Episodi di arresto cardiaco nello sport che hanno fatto notizia
Piermario Morosini, calciatore del Livorno, è deceduto il 14 aprile del 2012 a soli 24 anni per arresto cardiaco durante la gara con il Pescara. Mentre Christian Eriksen, il centrocampista della Nazionale danese e dell’Inter, fu riportato letteralmente in vita grazie al tempestivo uso del defibrillatore, il 12 giugno del 2021 quando nel corso della partita con la Finlandia dei campionato d’Europa, cadde a terra all’improvviso.
Patologie non rilevate dagli esami strumentali
“Si rimane sempre sconvolti da questi gravi episodi. L’eco è tanta perché i protagonisti sono sportivi professionisti sottoposti a controlli medici costanti e non ci si aspetta possa succedere”, afferma il dottor Giulio Molon, direttore della Cardiologia. “Purtroppo, come accade nella popolazione generale, anche fra gli atleti ci sono coloro che possono soffrire di patologie cardiache, spesso di origine genetica, non rilevate da esami strumentali come l’elettrocardiogramma (ECG), ma che si manifestano con aritmie improvvise, causa di arresto cardiaco. Naturalmente negli atleti incide notevolmente l’intenso sforzo cardiopolmonare a cui sono sottoposti, sforzo che, in presenza di una patologia, funziona come una sorta di detonatore, scatenando l’aritmia fatale”.
Ma anche mancate diagnosi: l’importanza dell’interpretazione corretta dell’ECG
Tuttavia la stessa cronaca non è priva di esempi di giovani vite spezzate che potevano essere salvate, se gli esami strumentali, in primis l’elettrocardiogramma, fossero stati interpretati in maniera corretta.
I severi protocolli italiani per l’attività agonistica
“Il convegno è strutturato intorno ai protocolli nazionali che in Italia tutelano l’attività agonistica. Protocolli molto severi, tanto che Eriksen non ha potuto proseguire la carriera in Italia in quanto, dopo l’arresto è stato sottoposto ad impianto di defibrillatore. Ma gioca all’estero, in Paesi dove la normativa lo permette”, afferma il dottor Roberto Filippini, direttore della Medicina dello Sport del Sacro Cuore Don Calabria con sede in via San Marco 121 a Verona.
La normativa nazionale prevede per l’ottenimento della certificazione di idoneità sportiva dei percorsi distinti per gli atleti agonisti e per quelli non agonisti. Alla prima categoria appartengono i professionisti e i dilettanti, che a loro volta sono sottoposti a protocolli differenti imposti dalle normative vigenti. I non agonisti sono la gran parte della popolazioni generale che svolge attività sportiva nelle palestre, per la quale è richiesto il certificato medico con elettrocardiogramma. Oggetto del convegno saranno anche i nuovi protocolli redatti dalla Federazione medico-sportiva italiana in collaborazione con il Ministero della Salute a causa della pandemia da SARS-CoV2.
Il rischio degli atleti della domenica: visita ed ECG raccomandati
“Tuttavia esiste un’altra fetta di popolazione che svolge sport autonomamente (pensiamo ai podisti oppure alle squadre di calcetto tra amici) – sottolineano entrambi i medici -. Questi sono più a rischio dei professionisti in quanto non hanno nessun obbligo medico, oltre a non avere, spesso, l’allenamento e lo stile dii vita adeguato per sottoporre il fisico a uno sforzo prolungato. Anche per questi sportivi è altamente raccomandabile sottoporsi a visita e elettrocardiogramma”.
L’anamnesi e la corretta interpretazioni dell’ECG sono gli elementi fondamentali per un medico di medicina dello sport o di medicina generale (sono quest’ultimi, insieme ai pediatri di libera scelta e ai soci aggregati alla Federazione medico sportiva italiana, a rilasciare il certificato di idoneità sportiva per i non agonisti) per stabilire se un cuore è fondamentalmente sano oppure se ci sono elementi sui quale formulare sospetti diagnostici.
Medicina dello Sport dell’IRCCS di Negrar: centro di terzo livello
“Il Centro di Medicina dello Sport dell’IRCCS di Negrar è riconosciuto dalla Regione Veneto Centro di terzo livello, cioè in grado di svolgere gli accertamenti di secondo livello – spiega il dottor Filippini – Questi l’ecocolordoppler cardiaco sia a riposo che da sforzo, il test cardio-polmonare, il test da sforzo (su cicloergometro o tapis roulant) e l’holter cardiaco. Inoltre grazie alla stretta collaborazione con la Cardiologia e la Radiologia di Negrar abbiamo la possibilità di sottoporre il paziente a test di terzo livello, cioè la Risonanza Magnetica cardiaca, all’Angio Tac fino agli studi elettrofisiologici. In pratica allo sportivo professionista, e non, siamo in grado formulare una diagnosi completa della sua condizione cardiaca”.
Defibrillatori e corsi di rianimazione cardiopolmonare per “laici” investimenti che salvano le vite
Una delle sessioni del convegno è riservata alla cardioprotezione delle palestre e dei luoghi deputati allo sport, tenuta dal dottor Molon che da anni si fa promotore della diffusione sul territorio veronese, e non solo, dei defibrillatori automatici. Nel 2013, a seguito della morte di Morosini, un decreto ha stabilito per tutte le società sportive professionistiche l’obbligo di dotarsi di un defibrillatore. Obbligo che, a partire dal 1° luglio 2017, è stato esteso anche alle società dilettantistiche. In pratica ogni impianto sportivo dove si svolgono delle competizioni deve essere dotato di un defibrillatore semiautomatico. “Si tratta di un dispositivo semplice da utilizzare e poco costosoma in grado, se usato tempestivamente, di salvare la vita in caso di arresto – sottolinea il dottor Molon -. Naturalmente la dotazione dell’apparecchio da parte degli impianti dovrebbe essere accompagnata dalla presenza di persone formate al suo utilizzo quindi capaci di effettuare anche la rianimazione cardiopolmonare (BLS-D). Ma in Italia, purtroppo, la cultura della rianimazione è ancora poco diffusa, non solo in ambito sportivo. Nel nostro Paese ogni anno 60 mila persone sono colpite da arresto cardiaco, ma solo il 15% viene salvato perché sottoposto a rianimazione a pochi minuti dall’arresto. Diffondere i corsi di rianimazione cardiovascolare ad iniziare dalle scuole significa investire sulla vita delle persone”.
Certificazione GMP dell'AIFA: la Radiofarmacia diventa Officina Radiofarmaceutica
Con l’autorizzazione “Good Manufacturing Practices” dell’AIFA, la Radiofarmacia dell’IRCCS di Negrar diventa a tutti gli effetti una “fabbrica di radiofarmaci” in grado di produrre i traccianti non solo a consumo della propria Medicina Nucleare, come è avvenuto fino ad oggi, ma per tutto il territorio italiano e per conto di Itelpharma che si occuperà della commercializzazione.
L’IRCCS di Negrar è l’unico ospedale in Italia a gestire un’Officina Radiofarmaceutica. Il “Sacro Cuore Don Calabria” ha infatti ottenuto da parte di AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) la certificazione GMP (Good Manufacturing Practices), necessaria per la produzione di radiofarmaci, i farmaci dotati di una molecola radioattiva e impiegati sui pazienti per gli esami PET.
Con l’autorizzazione AIFA, la Radiofarmacia, diretta dal dottor Giancarlo Gorgoni, diventa a tutti gli effetti una “fabbrica di radiofarmaci” in grado di produrre i traccianti non solo a consumo della propria Medicina Nucleare, come è avvenuto fino ad oggi, ma per tutto il territorio italiano e per conto di Itelpharma che si occuperà della commercializzazione. L’azienda radiofarmaceutica italiana, ramo del gruppo healthcare ITEL, ha avuto un ruolo strategico nell’ottenimento dell’autorizzazione, supportando il “Sacro Cuore Don Calabria” in tutte le fasi del complesso iter di certificazione iniziato nel maggio 2021.
“I radiofarmaci diagnostici sono molecole utilizzate per gli esami PET, che contengono un isotopo radioattivo. Queste molecole si legano a bersagli specifici nel corpo e l’isotopo fa da tracciante, marcando e ‘illuminando’ come una lampadina le lesioni anche in ambiti non oncologici – spiega il dottor Gorgoni -. Grazie alla certificazione AIFA possiamo produrre esclusivamente radiofarmaci sperimentali, cioè non ancora in commercio, e composti dalla molecola radioattiva Fluoro 18, i più impiegati in diagnostica PET. Inizieremo con il 18F-JK-PSMA-7 che negli studi preclinici e nei successivi studi pilota ha rilevato caratteristiche favorevoli per una diagnosi accurata dei carcinomi della prostata”.
L’avvio della produzione (probabilmente a fine autunno) è subordinato all’inizio dello studio clinico sperimentale sponsorizzato da Itelpharma e coordinato dalla Medicina Nucleare di Negrar, a cui aderiscono ospedali come il Policlinico Tor Vergata e l’IRST Dino Amadori-IRCCS di Meldola.
“L’autorizzazione conseguita è un importante risultato made in Italy, che pone le basi per future attività di sviluppo nel settore radiofarmaceutico – commenta Anna Tolomeo, Site Manager di Itelpharma – Il prossimo step sarà abilitare l’Officina farmaceutica dell’IRCCS Negrar alla produzione di radiofarmaci con AIC (Autorizzazione Immissione in Commercio), pronti quindi per poter essere immessi sul mercato grazie anche all’accordo commerciale con Itel”.
“Il valore aggiunto di una “officina radiofarmaceutica” all’interno di un ospedale è dato proprio dalla possibilità di proporre o aderire a studi con radiofarmaci sperimentali che in futuro potrebbero diventare commerciali e quindi a disposizione di tutti i pazienti d’Italia”, conclude Gorgoni.
L’ottenimento della Certificazione GMP ha le radici nel 2015 quando l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria ha avviato la Radiofarmacia con Ciclotrone, un acceleratore di particelle per la produzione di isotopi radioattivi, necessari per la creazione di radiofarmaci impiegati dalla Medicina Nucleare ospedaliera. L’attività dei Laboratori si è concentrata anche nella ricerca stipulando collaborazioni con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, le Università di Ferrara, Padova e Verona, le principali Aziende Farmaceutiche e l’Agenzia Internazionale di Energia Atomica (AIEA).
Nel video qui sotto il servizio di Medicina 33 (rubrica del Tg2) sull’Officina Radiofarmaceutica
Alzheimer e attività fisica: le iniziative dell'Officina della Memoria
Il 21 settembre è la Giornata mondiale dedicata alla malattia di Alzherimer, la forma di demenza più diffusa tra la polpolazione sopra i 60 anni. A fine mese riprendono le attività dell’Officina della Memoria, il progetto, operativo da alcuni anni, ideato dal Centro Disturbi Cognitivi e Demenze (CDCD) dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore-Don Calabria. Esso prevede percorsi di stimolazione cognitivo-motoria rivolti sia a persone sane sia a persone con deficit cognitivi lievi. Incontri anche dedicati ai familiari dei pazienti con decadimento cognitivo
Riprendono a fine settembre le attività dell’Officina della Memoria, il progetto, operativo da alcuni anni, ideato dal Centro Disturbi Cognitivi e Demenze (CDCD) dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore-Don Calabria. Esso prevede percorsi di stimolazione cognitivo-motoria rivolti sia a persone sane sia a persone con deficit cognitivi lievi, al fine di rafforzare le abilità cognitive e motorie residue, incrementare l’uso di strategie di compensazione, nell’ottica di aumentare il senso di autoefficacia e benessere.
L’iniziativa – proposta sia nella sede ospedaliera di Negrar sia al Centro diagnostico terapeutico di via San Marco 121 (Verona) – si struttura in 3 cicli trimestrali con incontri settimanali in gruppi il più possibile omogenei tra loro, tenuti dalle dottoresse Cristina Baroni e Cecilia Delaini, psicologhe e psicoterapeute.
“Gli studi rilevano che fino al 50% dei casi di malattia di Alzheimer sono correlabili a fattori di rischio modificabili e di questi il più importante nei Paesi sviluppati è l’attività fisica”, afferma la dottoressa Zaira Esposito, responsabile del CDCD, alla vigilia della Giornata mondiale (il 21 settembre) dedicata alla più comune forma di demenza, che solo in Italia colpisce circa 500mila malati, la gran parte sopra i 60 anni.
“Lo stile di vita sedentario che caratterizza la popolazione delle aree ad ‘elevato sviluppo economico’ sta infatti alla base dell’esponenziale aumento di patologie cronico-degenerative, muscolo-scheletriche, cardiovascolari, metaboliche e ma anche cerebrali. All’opposto, è dimostrato che esiste una stretta relazione fra attività fisica regolare e miglioramento dello stato di salute”, precisa la neurologa,
In linea generale, si può sostenere che un’adeguata attività motoria abbia scopi di prevenzione primaria e secondaria sia nei soggetti “sani” sia nei soggetti che presentano fattori di rischio per malattie cardiovascolari, metaboliche e cerebrali.
Oltre ai gruppi di stimolazione cognitivo-motoria (a cui si accede dopo aver effettuato una visita specialistica e una valutazione neuropsicologica presso il CDCD), l’Officina della Memoria prevede incontri di formazione e scambio di strategie per i familiari dei pazienti con decadimento cognitivo, con lo scopo di trasmettere conoscenze e fornire strategie per prendersi cura al meglio del proprio caro.
Sempre per i familiari inoltre esiste la possibilità di svolgere colloqui individuali di sostegno psicologico all’Ospedale Sacro Cuore di Negrar, prenotabili attraverso impegnativa del medico curante.
Da quest’anno inoltre presso il servizio di Riabilitazione Ortopedica del Centro Diagnostico Terapeutico sarà proposto un percorso di Attività Fisica Adattata (AFA) per persone con patologie croniche, tenuto da personale con laurea in Scienze Motorie Fisiche e Adattate. Questo tipo di attività ha l’obiettivo di migliorare il cammino, la resistenza allo sforzo, le relazioni sociali e diminuire il rischio di cadute.
Il tutto si inserisce in un progetto promosso dalla Regione Veneto (Piano Regionale della prevenzione –PRP-2014-2018) definito “Palestre della Salute”, con l’intento di riconoscere una rete di palestre nel territorio identificabili come luoghi per consentire lo svolgimento di programmi di esercizio fisico strutturato e adattato prescritti ai soggetti con cronicità.
Contatti per le attività del CDCD
Segreteria della Neurologia presso Ospedale Sacro Cuore:
045:6013644
segr.neurologia@sacrocuore.it
Contatti per l’Officina della Memoria
045.6013775 (lunedì, martedì e giovedì ore 8:30-12:30)
officinadellamemoria@sacrocuore.it
Contatti per l’attività AFA
Segreteria del Servizio di Riabilitazione Ortopedica presso Centro Diagnostico (Verona)
045.6014889
riabilitazione.ortopedica@sacrocuore.it
Convegno regionale della SIP: si parla anche di abuso di antibiotici in pediatria
L’uso inappropriato degli antibiotici è diffuso purtroppo anche in ambito pediatrico, causando non solo danni ai piccoli pazienti che lo assumono anche se non c’è bisogno, ma contribuendo ancheal grave fenomeno dell’antibiotico-resistenza. Fenomeno che può essere arginato solo con la collaborazione trai i medici e le famiglie. Se ne parlerà sabato 17 settembre nell’ambito del Convegno regionale della Società Italiana di Pediatria. Posti ancora disponibili
L’estate sta finendo e se un anno se ne va (come recita una nota canzone) i primi freddi vengono avanti e con essi i cosiddetti malanni di stagione. I quali non risparmiano nessuno e in particolare i più piccoli. Quando capita scatta l’allarme: e se la febbre o la tosse si trasformassero in qualcosa di più grave? Non è meglio iniziare con l’antibiotico? La domanda appartiene a ogni genitore più o meno apprensivo e a quanto pare trova risposta positiva.
“I dati ci dicono che gli antibiotici vengono prescritti maggiormente nell’età tra i due e i sei anni, quando, iniziando una vita comunitaria, i bambini vanno incontro a infezioni respiratorie ricorrenti che, però, nella maggior parte dei casi sono di origine virale, quindi non necessitano di una terapia antibiotica”, afferma il dottor Giorgio Zavarise, responsabile dell’Infettivologia pediatrica dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria.
Il dottor Zavarise è anche consigliere della Società Italiana di Pediatria, Sezione Veneto, che sabato 17 settembre organizza nella sala Fr. Perez dell’ospedale il Convegno regionale, un aggiornamento sulle nuove e vecchie patologie infettive e i relativi approcci diagnostico-terapeutici. L’incontro scientifico è rivolto a pediatri ospedalieri e di libera scelta (crediti ECM per il programma e l’iscrizione clicca qui).
“Inevitabilmente si parlerà della corretta gestione della terapia antibiotica, un tema che va oltre la pediatria ma riguarda tutto l’ambito sanitario, veterinario e floristico”, afferma il dottor Zavarise. “L’abuso di antibiotici infatti non solo danneggia la persona che li assume in modo inappropriato, ma contribuisce alla cosiddetta antibiotico-resistenza, cioè l’inefficacia o l’efficacia parziale di questi farmaci nel trattamento delle infezioni batteriche. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha classificato l’antibiotico-resistenza tra le 10 minacce della salute globale, perché è causa del diffondersi di malattie gravi e anche di morte”. Infatti un uso eccessivo e scorretto di questi farmaci ha accelerato il naturale processo evolutivo dei batteri, che essendo organismi viventi hanno come obiettivo la sopravvivenza. Cosa fare allora?
“Innanzitutto è necessario prescrivere il farmaco solo quando serve. E questo riguarda i medici – risponde -. Poi i genitori devono evitare di utilizzare l’antibiotico che hanno magari a portata di mano da una precedente prescrizione appena il bambino presenta un po’ di febbre, perché magari hanno paura che possa esserci una complicanza o si vuole che il malanno si risolva presto. Se le infezioni sono virali e non batteriche bisogna dare loro il tempo di regredire”.
Quindi, dottor Zavarise, antibiotici quando serve e non a caso…
Esatto. Ad ogni infezione batterica corrisponde la giusta molecola. Inoltre un bambino non è un piccolo adulto, e solo il pediatra può prescrivere la giusta posologia e il giusto dosaggio, in genere in base al peso del giovane paziente. Un farmaco sovradosato non serve a guarire prima e una farmaco sottodosato fa sì che nel frattempo il batterio si riproduca e questo alla fine favorisce il fallimento terapeutico e l’insorgenza delle antibiotico resistenze. Il periodo di somministrazione è fondamentale: interrompere l’assunzione prima perché ormai è passato tutto è un grave errore. Per questo è importante la cosiddetta Stewardship antimicrobica.
Cosa significa?
Una condotta codificata, basata sulle linee guida, che pone in atto tutti gli interventi finalizzati a promuovere l’uso ottimale degli antibiotici, inclusi la scelta del farmaco, il suo dosaggio, la sua via di somministrazione e la durata della stessa. Per contenere la resistenza agli antibiotici tutti i medici devono diventare “gestori” (steward) di questi farmaci prescrivendoli in maniera appropriata ed educando i propri pazienti e colleghi all’uso corretto di questa risorsa medica. Non a caso una delle tesi di specializzazione che saranno premiate durante il Convegno regionale ha come titolo: Stewardship antibiotica in pediatria: valutazione dell’appropriatezza della terapia prescritta in pazienti ricoverati per polmonite e infezione delle vie urinarie. Anche nel nostro ospedale da qualche tempo si è attivata la Stewardship antibiotica: un team di esperti che ha ottenuto ottimi risultati nella prevenzione delle insidiose infezioni ospedaliere.
Diminuire l’impiego di antibiotici significa anche prevenire le infezioni. Possiamo dare qualche indicazione ai genitori?
Il Covid (che è un’infezione virale per la quale gli antibiotici non servono) ci ha insegnato l’importanza di lavarsi frequentemente le mani, di coprire naso e bocca quando si starnutisce. Buone abitudine da insegnare fin dalla tenera età. E poi è importantissimo il ruolo di alcuni vaccini: lo abbiamo visto chiaramente con lo pneumococco che è l’agente causale di molte delle infezioni delle vie aeree, sia alte che basse, ed è sempre stato la causa principale delle polmoniti in età pediatrica. Ma da quando esistono i vaccini, e in particolare da quando c’è stato il passaggio dall’eptavalente al vaccino contro 13 sierotipi, si è chiaramente assistito alla diminuzione delle infezioni, specie quelle gravi e invasive, causate da sierotipi di pneumococchi con ridotta suscettibilità a più classi di antibiotici.
Giornata per la sicurezza delle cure farmacologiche: le iniziative del Sacro Cuore
Sabato 17 settembre è la Giornata mondiale per la sicurezza delle cure. Quest’anno l’OMS la dedica alla sicurezza della terapia farmacologica al fine di aumentare la consapevolezza e l’impegno di ridurre gli errori terapeutici legati all’assunzione di medicinali, una delle principali cause di lesioni e danni evitabili ai pazienti nei sistemi sanitari di tutto il mondo. Al Sacro Cuore un gruppo di pazienti sottoporranno, per un’analisi, la propria terapia al medico internista e al farmacista ospedaliero. Aperto per tutti un indirizzo mail dove inviare dubbi e chiedere consigli: giornata.farmaco@sacrocuore.it
La sicurezza dei pazienti nel processo di cura è un ambito strategico della salute globale, tanto che nel 2019 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dedicato ad esso la Giornata del 17 settembre. Per la terza Campagna annuale l’OMS ha scelto come tema La sicurezza della terapia farmacologica (Medication without harm), al fine di aumentare la consapevolezza e l’impegno di ridurre gli errori terapeutici legati all’assunzione di medicinali, una delle principali cause di lesioni e danni evitabili ai pazienti nei sistemi sanitari di tutto il mondo.
Alla Giornata ha aderito anche l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria istituendo, sabato 17 settembre, un ambulatorio dedicato a un gruppo di pazienti che rientrano nelle categorie più a rischio: gli anziani con pluri-patologie quindi con poli-terapia (più di cinque farmaci) o sottoposti a terapie ad alto rischio.
La Giornata per sicurezza del paziente al “Sacro Cuore”
Per ogni paziente lo specialista di Medicina Interna provvederà all’anamnesi generale partendo proprio dalla terapia assunta. Terapia che con il supporto di una farmacista ospedaliera sarà analizzata anche attraverso il software ITERCheck WEB, sviluppato dall’Istituto di Ricerche farmacologiche Mario Negri. Il software è costantemente fruibile on line, previa registrazione, e consente, inserendo tutti i farmaci assunti dal paziente, di rilevare le interazioni tra principi attivi, il carico anti-colinergico (responsabile di svariati effetti indesiderati) ed eventuali farmaci inappropriati nel paziente anziano. Alla conclusione del colloquio il paziente riceverà dallo specialista un resoconto da consegnare al proprio medico curante mentre dall’infermiera avrà tutte le indicazioni per gestire in modo ottimale la terapia servendosi anche di materiale divulgativo fornito dall’OMS. (la brochure della Giornata e 5 momenti per la sicurezza della terapia)
Dubbi o chiarimenti sulla terapia: un indirizzo dove inviarli
Invece per tutti coloro che sono interessati al tema dal 15 al 30 settembre sarà attivo un indirizzo di posta elettronica (giornata.farmaco@sacrocuore.it) dove inviare domande e dubbi sulla terapia che stanno assumendo.
La Giornata è resa possibile grazie al lavoro di équipe che vede impegnate la Direzione Sanitaria, i reparti di Medicina Interna e Geriatria, l’Ufficio Controllo Qualità, la Farmacia ospedaliera e il Servizio Infermieristico.
“La ricognizione e la riconciliazione terapeutica, cioè l’inventario di tutti i farmaci che il paziente assume e la prescrizione della terapia adatta per il soggetto in quel momento clinico, è una fase importante del processo di cura” afferma il dottor Davide Brunelli, vicedirettore sanitario e risk manager dell’IRCCS di Negrar. “L’impegno del “Sacro Cuore Don Calabria” non si limiterà all’adesione alla Giornata promossa dall’OMS, ma proseguirà con lo sviluppo di un nuovo format della lettera di dimissione in cui la terapia domiciliare sarà descritta in modo tale da rendere minimo il rischio di errori, anche posologici, da parte del paziente una volta tornato a casa”.
I pazienti più a rischio sono gli anziani con più patologie e quindi con più farmaci da prendere
“Si stima che il numero medio di farmaci utilizzati dai pazienti con meno di 65 anni è pari a 1,9 e aumenta fino a 7,4 nella fascia di età che va dagli 80 ai 84 anni”, spiega il dottor Marco Di Dio Perna della Medicina Interna di Negrar. “Sono proprio i pazienti con poli-terapia ad essere a maggior rischio – prosegue -. Molto spesso l’elevato numero di farmaci (10-15) è la somma delle prescrizioni dei vari specialisti a cui il paziente si rivolge, i quali non sempre rilevano la totalità delle terapie assunte. O, non di rado, è lo stesso paziente che non le comunica esattamente. Nascono così situazioni in cui egli si trova ad assumere più farmaci con lo stesso principio attivo o che interagiscono tra loro causando effetti collaterali indesiderati. Per evitarle è necessario coinvolgere tutti i vari attori nel complesso e delicato processo della terapia farmacologica, non solo il medico curante e il farmacista, ma anche gli specialisti, il paziente e chi lo assiste. Serve cultura della sicurezza terapeutica, solo così si riducono danni evitabili”.
Mai assumere farmaci, anche fisioterapici, senza consultare il medico
Cultura che esclude il “fai da te”. “E’ diffusa l’idea che i prodotti da banco, i lassativi, i diuretici o gli integratori non siano farmaci – sottolinea lo specialista -. In particolare lo si pensa per i fitofarmaci. Ma è importante ricordare che un prodotto non è sicuro solo perché ‘naturale’, ma anzi, in determinate situazioni, potrebbe creare effetti inattesi e indesiderati, come aumentare o diminuire l’effetto della terapia prescritta. Per questo è bene comunicare sempre l’assunzione di questi prodotti e preferibilmente condividerla prima con il medico curante. Infine mai prendere farmaci perché consigliati da amici o parenti oppure variare la posologia o la durata di assunzione. Solo il medico ha la competenza di dare indicazioni a proposito”.
Il medico curante e il farmacista: gli “alleati più stretti” per una terapia senza rischi
Se il medico di medicina generale è la figura più indicata per delineare un quadro completo della terapia e risolverne le criticità, il farmacista è da sempre un punto di riferimento e, a volte, colui che forse più di altri conosce cosa realmente assume il paziente, prodotti da banco compresi.
“Quando si prende un farmaco ci sono più varianti che possono incidere sull’efficacia o sulla sicurezza”, spiegano le dottoresse Teresa Zuppini e Carlotta Trabucchi, rispettivamente direttore e farmacista del Servizio di Farmacia Ospedaliera. “Sicuramente la genetica, l’alimentazione, l’ambiente che ci circonda, gli stili di vita. Ma in particolare l’interazione con altri farmaci che vengono assunti contemporaneamente, soprattutto se si tratta di un numero rilevante come accade per le persone con poli-terapia. Gli studi clinici necessari affinché un principio attivo sia messo in commercio, non delineano un profilo di rischio completo del farmaco nel momento in cui viene usato nella normale terapia domiciliare e soprattutto quando viene assunto con altri trattamenti farmacologici o integratori. – sottolineano le farmaciste -. Questi, tra i vari motivi, impediscono di investigare su tutte le possibili interazioni con altri farmaci. A tale scopo, una volta che il farmaco è in commercio, interviene la farmacovigilanza”. Si tratta di una serie di attività assunte da organismi istituzionali, come per esempio l’AIFA, che hanno il fine di identificare, valutare, comprendere e prevenire gli eventi avversi legati all’uso dei farmaci registrati in base alle segnalazioni ricevute da medici, ospedali o liberi cittadini. “E’ fondamentale che il paziente riconosca nel farmacista uno degli alleati più importanti per la sua sicurezza terapeutica e una figura a cui rivolgersi per consigli e in caso di dubbi. Egli essendo lo specialista del farmaco non solo conosce i prodotti, ma è aggiornato sull’attività della farmacovigilanza e quindi è il sanitario più adatto, insieme al medico curante, ad indirizzare il paziente verso una terapia ottimale e senza rischi”, concludono le dottoresse
Radioterapia ad alta precisione: con Unity in tre anni numeri da record
Cinquemila trattamenti e oltre 600 pazienti in meno di tre anni. Sono i numeri record effettuati dal Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata dell’IRCCS di Negrar con Unity, l’acceleratore lineare dotato di Risonanza Magnetica ad alto campo, presente in Italia solo al Sacro Cuore Don Calabria e nel mondo in una cinquantina di strutture ospedaliere. Risultati più che incoraggianti
Cinquemila trattamenti e oltre 600 pazienti in meno di tre anni. Sono i numeri record effettuati dal Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata dell’IRCCS di Negrar con Unity, l’acceleratore lineare dotato di Risonanza Magnetica ad alto campo, presente in Italia solo al Sacro Cuore Don Calabria e nel mondo in una cinquantina di strutture ospedaliere. “Con questi risultati ci collochiamo tra i centri a livello internazionale con maggiore esperienza di questa tecnica, che consente trattamenti in grado di colpire con la massima precisione e ad alte dosi la lesione tumorale, salvaguardando i tessuti sani circostanti”, spiega Filippo Alongi, direttore del Dipartimento e professore associato alla facoltà di Medicina di Brescia.
“La presenza a bordo di una Risonanza Magnetica ad alto campo (1,5 Tesla, la stessa che viene impiegata a scopo diagnostico) permette di effettuare un trattamento altamente personalizzato per ogni paziente – prosegue –. A differenza di quanto avviene con la radioterapia classica per la quale è previsto che il piano di cura venga stabilito all’inizio del ciclo terapeutico, con Unity prima di ogni seduta, e nel corso della stessa, sono reimpostati, modificati e ri-adattati i parametri di cura a seconda della grandezza e della posizione della lesione tumorale, che può variare a causa dei movimenti fisiologici degli organi addominali. Tutto questo senza una maggiore esposizione a radiazioni del paziente, perché la RM utilizza campi magnetici”.
Dei 600 pazienti trattati oltre la metà sono uomini con tumore alla prostata localizzato per cui Unity è particolarmente indicato, “tanto che questa tecnica si è dimostrata, per casi selezionati, un’alternativa all’intervento chirurgico, che, per quanto accurato, può comportare maggiori rischi di incontinenza urinaria e di disfunzione erettile”, spiega ancora il professor Alongi. “Proprio per il carcinoma prostatico siamo il centro al mondo con maggiore esperienza, in termini di pazienti irradiati, nei trattamenti Unity in sole 5 sedute contro le 30 previste dalla radioterapia tradizionale. Un vantaggio enorme per il paziente che evita così settimane di accessi ospedalieri quotidiani e possibile grazie a una precisione di irradiazione tale da consentire l’impiego di alte dosi di energia in un lasso di tempo limitato”.
I risultati, molto incoraggianti, di questa tecnica sono stati pubblicati di recente su riviste scientifiche prestigiose tra le quali Cancers, Frontiers in Oncology, Radiation Oncology e Acta Oncologica. “Nove pazienti su 10 dopo solo 5 sedute hanno registrato un significativo calo del valore PSA nel sangue, indicatore indiretto della malattia oncologica prostatica e, secondo diversi studi, fattore predittivo di risposta a lungo termine. Mentre al primo controllo PET, 7 pazienti su 10 affetti da una o più metastasi addominali e pelviche, per cui Unity è sempre indicato, hanno riportato un arresto, una remissione o totale scomparsa della sede attiva di malattia, rispetto allo stesso esame radiologico effettuato precedentemente al trattamento. Finora non si sono verificati effetti collaterali rilevanti o correlabili direttamente al ciclo di cure, anche nei soggetti più fragili”, conclude il professor Alongi che porterà i risultati ottenuti al Congresso nazionale spagnolo di Radioterapia, previsto dal 27 al 29 settembre a Palma di Maiorca.
Giornata mondiale dei fisioterapisti: figura strategica nel percorso di cura del paziente
L’8 settembre è la Giornata mondiale dedicata ai fisioterapisti, protagonisti sempre più attivi del percorso di cura del paziente e nella prevenzione. L’IRCCS di Negrar è un centro di riferimento per la riabilitazione che conta 56 professionisti devisi tra l’ambito ortopedico e quello neurologico e viscerale
Da tempo non sono più l’ultima spiaggia, dove approdare quando non resta altro da fare perché la spalla duole o la cervicale fa i capricci. Negli ultimi 20 anni i fisioterapisti sono diventati infatti una figura sanitaria strategica nel delineare, in équipe con gli altri specialisti, il percorso di cura del paziente, intervenendo anche in chiave preventiva.
“Pochi decenni fa il termine fisioterapia pre-operatoria veniva colto in ospedale come una sorta di stranezza da parte di chi lo pronunciava. Oggi è entrato nel linguaggio comune di coloro che lavorano in corsia”, spiegano Alessandra Bovo e Massimo Mengalli, rispettivamente responsabili dei fisioterapisti ortopedici e dei fisioterapisti che si occupano di patologie neurologiche e viscerali all’IRCCS di Negrar, alla vigilia della Giornata dedicata alla loro professione che si celebra in tutto il mondo l’8 settembre.
PARTE ATTIVA E STRATEGICA DEL PERCORSO DI CURA DEL PAZIENTE
Un profilo professionale quello attuale a cui ha contribuito anche l’istituzione della laurea triennale, che dal 2000 è subentrata al diploma. E’ in corso anche la creazione di un Ordine dei fisioterapisti, autonomo a quello che oggi comprende i tecnici sanitari di radiologia medica, le professioni sanitarie tecniche della riabilitazione e della prevenzione.
LA FISIOTERAPIA PRE-OPERATORIA
“Al ‘Sacro Cuore-Don Calabria’ sono attivi diversi protocolli chirurgici nei quali la figura del fisioterapista interviene prima dell’intervento affinché il paziente affronti la chirurgia nelle condizioni fisiche ottimali e contribuisca attivamente, una volta subita l’operazione, al migliore recupero”, spiega Mengalli. “Uno di questi protocolli è ERAS per la chirurgia colon-rettale e bariatrica. Ma anche il percorso per la chirurgia toracica. In questo caso nel giorno fissato per il pre-ricovero insegniamo al paziente la ginnastica respiratoria, consegnandogli l’apposito dispositivo. Ciò gli permette di arrivare all’intervento con la capacità respiratoria alla massima potenzialità e di prendere coscienza dei movimenti diaframmatici e costali difficilmente percettibili nel momento in cui è presente il dolore post-chirurgico”. I fisioterapisti specializzati nella riabilitazione del pavimento pelvico, invece, si recano nei reparti di urologia e ginecologia per illustrare agli operati alla prostata e alle donne che hanno subito interventi ginecologici quali sono le complicanze post-chirurgiche, quali quelle che possono gestire in autonomia e in quali invece necessitano di un intervento fisioterapico. “Lo stesso successo di un intervento spesso è determinato anche dalla fisioterapia pre e post operatoria”, sottolinea Bovo.
ALTA TECNOLOGICA E FATTORE UMANO
L’evolversi della figura del fisioterapista è andata a pari passo con lo sviluppo della tecnologia in campo riabilitativo, che oggi vede enormi investimenti da parte delle aziende specializzate. La Riabilitazione di Negrar, da sempre un punto di riferimento nazionale per la riabilitazione intensiva dei lesionati midollari e cranici, ha anticipato i tempi. Nel 2015, infatti, è stato acquisito l’Esoscheletro per la deambulazione dei pazienti parzialmente paralizzati e nel 2018 un sistema robotico per il recupero degli arti superiori.
“La tecnologia è una grande risorsa non solo nel contribuire all’efficacia della terapia, ma anche per la misurazione oggettiva dei progressi raggiunti”, sottolinea Mengalli. “Questi sistemi robotici sono infatti dotati di piccoli computer in grado di raccogliere i dati e di elaborarli fornendo a un quadro globale del lavoro svolto, con la possibilità di modificarlo seconda dei casi”. Non per questo il fisioterapista ha perso la sua importanza. “Quando il paziente è impegnato con questi dispositivi – prosegue – noi non diventiamo un semplice accessorio, ma rimaniamo la presenza che guida il paziente ad eseguire correttamente gli esercizi. Senza dimenticare che senza la relazione umana, la fisioterapia perde i suoi connotati…”.
“Credo che noi siamo la figura sanitaria che trascorre più tempo con il paziente”, afferma Bovo. “Raccogliamo le speranze, le angosce, gli sfoghi, le confidenze durate il tempo della terapia. A volte gli stessi pazienti dicono: ‘Ma perché le sto raccontando queste cose?’, sopresi di essersi così aperti con una persona estranea. Tra i pazienti che noi curiamo ci sono persone, come coloro che hanno avuto gravi incidenti o malattie gravi, che restano in ospedale per mesi. Diventiamo per loro una persona di riferimenti e lo siamo diventati ancora di più durante l’emergenza Covid-19, quando non potevano ricevere visite da parenti ed amici”.
L’ORGANIZZAZIONE DELLA FISIOTERAPIA AL “SACRO CUORE DON CALABRIA
L’ambito ortopedico comprende 15 fisioterapisti. Quattro sono impegnati nella palestra interna al reparto di Ortopedia, diretto dal dottor Claudio Zorzi (70 posti letto). Qui vengono trattati per cinque giorni i pazienti operati che necessitano di riabilitazione. Una volta dimessi vengono trasferiti nel reparto di Riabilitazione Ortopedica , diretto dal dottor Roberto Filippini, oppure nel reparto di Medicina Fisica e Riabilitativa e Lungodegenza, diretta dal dottor Zeno Cordioli, per un ciclo di terapia fisica della durata di due settimane per due volte al giorno (anche il sabato). Completato il programma il paziente può scegliere, se ne ha necessità, di proseguire privatamente presso il Servizio di Riabilitazione Ortopedica del Centro diagnostico di via San Marco (Verona diretto sempre dal dottor Filippini) o contribuendo solo con il ticket presso il Servizio di Medicina Fisica e Riabilitazione dell’Ospedale.
Servizio, diretto dalla dottoressa Elena Rossato, si occupa di Riabilitazione neurologica e viscerale a cui si dedicano 41 fisioterapisti. Alcuni di loro si occupano del trattamento dei pazienti ambulatoriali (esterni) che affluiscono, circa 90 al giorno, nella palestra di Casa Nogarè anche per problemi ortopedici o fisiatrici. La gran parte del lavoro viene tuttavia svolto con i pazienti degenti della Riabilitazione Intensiva, diretta dal dottor Giuseppe Armani, e della Medicina Fisica e Riabilitativa e Lungodegenza. Reparti che complessivamente contano 93 posti letto e due palestre: al primo e al terzo piano dell’Ospedale Don Calabria. “Operiamo anche nelle strutture socio-sanitarie presso le 5 palestre di Casa Nogarè, Casa Perez e Casa Clero. Le persone ospitate sono circa 300”, precisa Mengalli.
LA RIABILITAZIONE DEL PAVIMENTO PELVICO
Che prosegue: “Siamo uno dei pochi ospedali specializzati nella riabilitazione del pavimento pelvico, con pazienti provenienti da fuori regione e numeri di richieste che facciamo fatica a soddisfare. Tre terapiste si dedicano alle donne sottoposte ad intervento di endometriosi, per cui Negrar è un centro di riferimento nazionale. Ma anche ad operazioni di ginecologia oncologica o addominale. Un terapista invece si doccupa della riabilitazione maschile, per i pazienti operati di tumore alla prostata”, spiega ancora Mengalli.
COSA PORTERA’ IL FUTURO PER I FISIOTERAPISTI?
“Credo che la pandemia abbia dato un certo impulso alla creazione di una figura territoriale, alla stregua del medico di medicina generale – rispondono -. I fisioterapisti sono stati molto impegnati nei reparti Covid per mobilizzare i pazienti a lungo allettati in terapia intensiva e per contribuire con la ginnastica respiratoria ad impedire l’aggravamento della malattia. Si è visto anche l’importanza del trattamento fisioterapeutico nel superamento del post Covid. Se i cittadini affetti da patologie respiratorie croniche, ortopediche o articolari potessero usufruire di un terapista territoriale, diminuirebbero di certo il ricorso all’ospedalizzazione o i casi di invalidità permanente. Per ora il fisioterapista territoriale è solo un progetto, che, speriamo, si concretizzi presto”.
Per la prof. Capobianchi è il diciassettesimo premio: l'Assobiotec Award 2022
La professoressa Maria Rosaria Capobianchi, consulente per la ricerca dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria, ha ricevuto l’Assobiotec Award 2022. per lo straordinario contributo che, con il suo team, è riuscita a dare alla lotta globale alla pandemia isolando e sequenziando, fra i primi ricercatori al mondo, il Sars-CoV2.. Un traguardo chiave per la messa a punto di vaccini, metodi diagnostici e cure.
La professoressa Maria Rosaria Capobianchi, consulente per la ricerca dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria, ha ricevuto l’Assobiotec Award 2022, il premio assegnato annualmente dall’Associazione nazionale di Federchimica per lo sviluppo delle biotecnologie a “personalità ed enti che si sono particolarmente distinti nella promozione dell’innovazione, della ricerca scientifica e del trasferimento tecnologico”.
La professoressa Capobianchi, membro del Consiglio Superiore della Sanità, è stata premiata “per lo straordinario contributo che, con il suo team, è riuscita a dare alla lotta globale alla pandemia isolando e sequenziando, fra i primi ricercatori al mondo, il nuovo Coronavirus. Un traguardo chiave per la messa a punto di vaccini, metodi diagnostici e cure. Una risposta concreta ed efficace per contrastare la diffusione del virus”.
La motivazione fa riferimento al febbraio del 2020, quando, da direttore dell’Unità Operativa Complessa di Virologia e Laboratori di Biosicurezza dell’Istituto Spallanzani, Capobianchi e il suo team hanno isolato per la prima volta in Europa il virus del SARS-Cov-2, a sole 48 ore dalla diagnosi effettuata sui primi due pazienti in Italia, cittadini cinesi in vacanza. Un team tutto rosa quello a cui era a capo la biologa napoletana, formato anche dalle dottoresse Francesca Colavita e Concetta Castilletti, quest’ultima ora responsabile dell’Unità Operativa semplice di Virologia e virus emergenti dell’IRCCS di Negrar.
Originaria di Procida, la professoressa Capobianchi ha una laurea in Biologia con specializzazione in Microbiologia e ha ricoperto vari incarichi internazionali e nazionali, tra cui quello di membro dell’advisory panel sul COVID-19, presieduto dal presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Layen, di responsabile del Laboratorio di riferimento dell’OMS per la conferma diagnostica del Covid-19 e di consulente del Ministero della Salute, del Comitato Tecnico Scientifico e della Protezione Civile per la valutazione dei sistemi diagnostici relativi a SARS-CoV-2. Capobianchi è stata anche responsabile del Laboratorio di riferimento nazionale per le infezioni da virus Ebola e da altri virus di gruppo di rischio 4.
Oggi, oltre ad essere consulente per la ricerca e membro della Direzione scientifica dell’IRCCS di Negrar, insegna Biologia Molecolare alla International University Saint Camillus of Health and Medical Sciences (Unicamillus) di Roma.
E’ autrice 590 articoli scientifici indicizzati ed è inserita nella lista dei “Top Italian Scientists”. L’Assobiotec Award 2022 si aggiunge ad altri 16 premi e all’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica che le ha consegnato il presidente Mattarella il 3 giugno del 2020, sempre per quanto raggiunto nell’ambito della ricerca sul Covid.
L'ospedale calabriano di Marituba festeggia il 25° anniversario di fondazione
Il 29 agosto 1997, esattamente 25 anni fa, iniziava ufficialmente le proprie attività l’ospedale Divina Provvidenza di Marituba, fondato dall’Opera Don Calabria nell’Amazzonia brasiliana. Da piccolo nosocomio al servizio di una ex colonia di lebbrosi, oggi l’HDP è diventato un ospedale all’avanguardia e sta sviluppando un solido legame di collaborazione con il “Sacro Cuore”.
Le celebrazioni per il 25°
Proprio nell’anno in cui il “Sacro Cuore” celebra il centenario, un altro ospedale dell’Opera Don Calabria ricorda un importante anniversario. Si tratta del “Divina Provvidenza” di Marituba, nell’Amazzonia brasiliana, che proprio in questi giorni ha festeggiato i 25 anni di vita. Era infatti il 29 agosto 1997 quando la struttura dei Poveri Servi della Divina Provvidenza iniziava ufficialmente l’attività di assistenza in una ex colonia per lebbrosi diventata nel frattempo una città all’estrema periferia di Belem, capitale dello stato del Parà.
I 25 anni sono stati celebrati con una S. Messa presieduta lo scorso 26 agosto dall’arcivescovo di Belem, mons. Alberto Taveira Corrêa, che nell’omelia ha ringraziato l’Opera Don Calabria per l’impegno in questa terra e ha ricordato che in questo luogo si possono toccare con mano i miracoli che Dio sa compiere attraverso gli uomini. Dopo la Messa è stata scoperta una targa commemorativa dei 25 anni e sono stati consegnati riconoscimenti alle persone e alle associazioni che in questi anni hanno contribuito in modo particolare allo sviluppo dell’ospedale. Inoltre con l’occasione è stato effettuato il taglio del nastro del nuovo “Centro per il parto naturale” con 26 posti letto dedicato al dr. Avelar Feitosa, già direttore sanitario del nosocomio e deceduto nel 2020 a causa del Covid.
Oltre al direttore generale dell’ospedale, padre Alves Tchilunda, e altre autorità, all’evento era presente anche fratel Gedovar Nazzari, attuale presidente dell’IRCCS di Negrar e uno dei principali protagonisti nella fondazione dell’ospedale “Divina Provvidenza”. L’ospedale era il sogno di monsignor Aristide Pirovano, vescovo del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere) che a Marituba aveva dedicato gli ultimi anni della sua vita insieme all’amico imprenditore Marcello Candia. Fratel Nazzari collaborò con mons. Pirovano per mettere in pratica quel sogno, anche grazie all’aiuto dell’ingegnere Terezinha Botelho che si occupò del progetto.
Un po’ di storia
I lavori, iniziati nel 1992, terminarono nel 1996 e mons. Pirovano potè celebrare Messa tra le mura dell’ospedale nella sua ultima visita in Amazzonia. Inizialmente la struttura doveva servire per dare assistenza sanitaria qualificata agli ex lebbrosi della colonia, che a causa della loro malattia presentavano una serie di problematiche di tipo neurologico, ortopedico e molto altro. Tuttavia ben presto fu chiaro che il “Divina Provvidenza” poteva avere una funzione molto più ampia perché la città di Marituba si stava sviluppando a grande velocità.
Nel video in fondo è raccontata la storia dell’ospedale (in lingua portoghese).
L’ospedale oggi
Oggi l’ospedale è punto di riferimento per l’assistenza agli abitanti di circa 30 municipi della grande Belem, con un bacino di un milione e mezzo di persone. La struttura si sviluppa su sei edifici per un totale di quasi 80mila metri quadri. L’ospedale è costituito principalmente dai quattro reparti di Medicina, Ginecologia e Ostetricia, Chirurgia generale e Pediatria. Vengono erogate anche prestazioni specialistiche in molti altri ambiti, come Nefrologia, Neurologia, Ortopedia e Traumatologia, Pneumologia.
L’HDP, ha una capacità di 137 posti letto e fa parte del “Sistema Único de Saúde” brasiliano, l’equivalente in Italia del Servizio Sanitario Nazionale. Dal 2002 il Ministero della Salute gli ha assegnato il titolo di “Ospedale Amico del Bambino”, per il forte impegno del servizio pediatrico a promuovere e praticare l’allattamento al seno. Nel 2021 ha erogato 230.016 prestazioni sanitarie con 8.613 ricoveri. I collaboratori dell’ospedale nel 2021 erano 564. Inoltre l’ospedale si trova al centro di una rete sanitaria che comprende altre attività gestite dai Poveri Servi della Divina Provvidenza in città. Ci sono infatti l’abrigo Joao Paulo II, dove risiedono i lebbrosi più anziani, il Centro Dermatologico Marcello Candia, due centri di salute e una casa che ospita giovani con grave disabilità congenita. Durante le ondate della pandemia Covid l’ospedale è stato impegnato in prima linea, prendendosi cura di 250 pazienti nel biennio 2020-21.
La collaborazione con l’IRCCS di Negrar
Da molti anni il “Divina Provvidenza” ha un legame molto stretto con l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar grazie a vari progetti di collaborazione e all’impegno di tanti volontari che da Negrar si sono recati a Marituba per portare il loro contributo di professionalità (al 25° era presente il dr. Claudio Bianconi, vera e propria anima di questi scambi tar Negrar e Marituba insieme al dr. Carlo Pomari e tanti altri). Legame rafforzato negli ultimi anni dalla creazione del Sistema Calabriano di Sanità che favorisce il coordinamento tra i quattro ospedali dell’Opera Don Calabria nel mondo (oltre a Negrar e Marituba ci sono i nosocomi di Manila e Luanda).
Tra le collaborazioni attualmente in atto va ricordato in particolare il progetto per la creazione di un Centro di Ricerca Clinica a Marituba che sarà luogo di studio privilegiato sulle malattie infettive e tropicali, settore per il quale il Sacro Cuore è istituto di ricovero e cura a carattere scientifico.
Ai festeggiamenti per il 25° dell’ospedale Divina Provvidenza erano presenti anche le associazioni che maggiormente hanno contribuito in questo tempo allo sviluppo della realtà di Marituba. Tra esse Don Calabria Missioni, gli Amici di monsignor Pirovano, la Fondazione Marcello Candia, la Fondazione Montserrat, il Comitato Amici di San Giovanni Calabria.
Non solo West Nile: le altre arbovirosi "sotto sorveglianza"
Il West Nile è solo uno dei virus che appartiene alla grande famiglia delle arbovirosi, cioè virus trasmessi da artropodi: zanzare, zecche, pappataci… E’ endemico, come sono endemiche la TBE e la malattia di Lyme causate dalle zecche infette. Ma sotto sorveglianza ci sono anche le patologie di importazione Dengue, Zika e Chikungunya (provocate dalle zanzare) e i meno noti Toscana Virus e Usutu
Il virus West Nile fa parte della grande famiglia delle arbovirosi, cioè virus trasmessi da artropodi: zanzare, zecche, pappataci…
Il West Nile Virus è endemico in Italia, come sono endemiche la TBE (ma solo in determinate zone del Trentino Alto-Adige, Veneto e del Friuli Venezia Giulia, con segnalazioni sporadiche in Emilia-Romagna, Toscana e Lazio), e la malattia di Lyme(Friuli Venezia Giulia, Liguria, Veneto, Emilia Romagna, Trentino Alto Adige, Provincia autonoma di Trento mentre nelle Regioni centro meridionali e nelle isole le segnalazioni sono sporadiche): queste ultime sono trasmesse dal morso di zecca.
Sono invece malattia da importazione altre arbovirosi come la Dengue, l’infezione da virus Zika e la Chikungunya. Il rischio che queste patologie possano diffondersi in Europa è dovuto al fatto che sono accomunate dallo stesso vettore di trasmissione, la zanzara Aedes Albopictus, detta volgarmente tigre, presente anche in Italia e attiva principalmente di giorno. A differenza di quanto accade per la West Nile, in questi casi la zanzara è un veicolo di infezione da uomo a uomo. Per questo sono stati messi a punto in Italia sistemi di sorveglianza a livello regionale: in Veneto l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria è responsabile per la parte clinica.
Il sistema prevede che nel caso di diagnosi di Dengue, di infezione da virus Zika o di Chikungunya in viaggiatori provenienti da zone endemiche, sia attivata la disinfestazione delle zanzare per un raggio di 200 metri dall’abitazione del paziente per eliminare le condizione di contagio.
Nel 2020 provincia di Vicenza è stata registrata un’epidemia autoctona di Dengue , invece per quanto riguarda la Chikungunya si sono verificate due epidemie: una nel 2007 in Emilia Romagna e una seconda nel 2017 in alcuni comuni del Lazio e della Calabria.
Poiché per tutte e tre le infezioni non sono ancora a disposizione terapie specifiche e vaccini, l’unico sistema di prevenzione (come accade per il West Nile) è la lotta contro le zanzare. La disinfestazione periodica da parte delle istituzioni con la distribuzione alla popolazione di larvicidi è fondamentale. Come lo è altrettanto la collaborazione di singoli cittadini a non creare serbatoi di acqua stagnante che favoriscano la deposizione delle uova. Infine è importante proteggersi dalle punture di zanzare usando repellenti per il corpo e per l’ambiente.
Tra le arbovirosi meno note, ma sotto sorveglianza, ci sono anche il Toscana Virus e l’Usutu.
Il virus Toscana (TOSV) appartiene al genere Phlebovirus ed è presente nell’area del Mediterraneo. È trasmesso da flebotomi (Phlebotomus perfiliewi e Phlebotomus perniciosus) diffusi sul territorio nazionale e più comunemente conosciuti come pappataci. In Italia il TOSV è stato isolato per la prima volta nel 1971 ed è responsabile nella maggior parte dei casi di infezioni asintomatiche o caratterizzate da una sintomatologia simil-influenzale di lieve entità, tuttavia possono verificarsi forme neuro-invasive: principalmente meningiti e meningo-encefaliti. Come nel 2018 quando sono stati segnalati 76 casi autoctoni di infezione neuro-invasiva confermata da TOSV in Abruzzo, Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Piemonte e Toscana.
Il virus Usutu è un Flavivirus che infetta soprattutto uccelli e zanzare (principalmente Culex pipiens), la cui circolazione è documentata in numerosi Paesi europei e spesso avviene in concomitanza con il virus West-Nile. L’infezione nell’uomo è stata documentata sia in Africa che in Europa e decorre spesso in maniera paucisintomatica.