Come eravamo: la Cardiologia compie 30 anni

Era il 19 ottobre del 1992 quando i primi quattro pazienti di Medicina vennero trasferiti nel neonato reparto di Cardiologia. Un’altra era… con le etichette delle provette per i prelievi del sangue scritte a mano e il monitoraggio ‘fai da te’ dei pazienti critici . Nei ricordi di Alessandra Renzi, allora giovane inferimiera, l’entusiasmo di un gruppo che ha segnato positivamente tutti coloro che contribuirono a far nascere dal nulla un’unità operativa oggi all’avanguardia

1992-2022: il 19 ottobre la Cardiologia dell’IRCCS di Negrar compie 30 anni, ma sfogliando i ricordi di “come eravamo”, più che tre decenni sembra essere passato un secolo, tanto è cambiata la medicina e l’assistenza ospedaliera in così poco tempo.

Da sinistra: Alessandra Renzi, il dr. Salvatore Longo e il dr. Guido Canali
DA SEI LETTI IN MEDICINA A UN VERO E PROPRIO REPARTO

A raccontarlo è una testimone diretta: Alessandra Renzi, oggi coordinatrice del Servizio di Cardiologia, ma allora giovanissima infermiera in forza alla Medicina. “Avevo circa 20 anni quando mi proposero di entrare a far parte dell’équipe infermieristica del reparto di Cardiologia che avrebbe aperto da lì a poco – racconta -. Fino ad allora i pazienti affetti da problemi cardiaci venivano ricoverati in Medicina (in tutto 6 letti). Mentre esisteva già, dai primi anni Ottanta, il Servizio di Cardiologia dove ad effettuare visite ed esami erano i dottori Hernan Nicanor Guilarte, Edoardo Adamo e Salvatore Longo, oggi tutti in pensione”. Con loro, ma solo come consulente, anche l’attuale primario, un giovanissimo Giulio Molon, che tre volte alla settimana si recava a Negrar per la lettura e la refertazione degli esami Holter. Il dottor Molon fu assunto con l’avvio del reparto, e poi arrivarono subito dopo i dottori Guido Canali (responsabile oggi del Servizio di Emodinamica), Francesco Castagna e Gianluca Ferri (responsabili attuali rispettivamente del Servizio di Cardiologia e del reparto degenze).

IL PRIMO PRIMARIO: IL DOTTOR GIANCARLO SALAZZARI

“Decisi di accettare la proposta e di lasciare Medicina, ma non senza timori – prosegue Renzi -. Non avevo le competenze per gestire pazienti con patologie cardiologiche complesse. Finora in Medicina avevamo a che fare con casi al massimo di scompenso cardiaco, ma non con malattie tipiche di un reparto specialistico. Tuttavia non mi persi d’animo: ripresi in mano i libri la sera, mentre durante la giornata a farci da insegnante era il dottor Giancarlo Salazzari, arrivato il 1 settembre del 1991 a Negrar con il compito di aprire il reparto di cui divenne primario il 19 ottobre del 1992”. A ricordare il fondatore della Cardiologia lo sguardo di Alessandra si riempie di stima: “Un grande medico e un grande uomo – sottolinea -. Aveva una dedizione unica per il paziente e il massimo rispetto per tutti i collaboratori, medici, infermieri e operatori”.

IL PRIMO CAPOSALA: ENZO DALLE PEZZE. MA IL MITICO “FIRMI”…

Ad iniziare con Alessandra la nuova avventura un nutrito gruppo di colleghi infermieri: Cecily Kuznikkatil, Maria Rosa Fasoli, Fiorenzo Marogna, Angelo Maccacari, Enzo Righetti, Simonetta Lavarini e la giovanissima Romina Gaetana Vogadori (era appena uscita dalla Scuola Infermieristica). E poi gli operatori Vittorio Piovesani, Luigi Zancardi, Luca Quintarelli, Roberta Pedrini, Tiziano Degani. Capitanati tutti da Enzo Dalle Pezze, il primo caposala (proveniva dalla Riabilitazione) a cui è toccato anche il primo il turno di notte dopo il “taglio del nastro”. “E come non ricordare il mitico ‘Firmi’ al secolo Firmino Mignolli, l’unico infermiere specializzato in Cardiologia – afferma Renzi -. Era il nostro approdo sicuro: più anziano di noi, la sua competenza condita da un’estrema calma anche nei momenti più critici ci dava un’enorme tranquillità”.

IL MONITORAGGIO DEI PAZIENTI? GUARDAVAMO SE LE COPERTE DI MUOVEVANO

I turni di lavoro nel reparto, che contava 22 posti letto, prevedevano la presenza di giorno di 2 infermieri e di altrettanti operatori, numero che si dimezzava la domenica e la notte. Non esisteva reperibilità specialistica che venne introdotta in seguito e in caso di urgenza al capezzale del malato giungeva il medico di turno, di qualsiasi reparto. “La notte era scandita dal giro delle stanze per controllare se i pazienti… respiravano – sorride -. Allora anche i casi più critici non erano monitorati come oggi, e l’unico modo per sapere se erano vivi, era controllare l’alzarsi e l’abbassarsi delle coperte causato dal respiro. Una notte non vedendo nessun movimento, allarmati, ci siamo avvicinati al viso del paziente che si è svegliato di soprassalto. Lui si è spaventato tantissimo e noi abbiamo rimediato una lavata di testa per il nostro metodo poco scientifico!”. Il resto del turno prevedeva tra le altre cose la compilazione a mano delle etichette delle provette del laboratorio per il prelievo di sangue del giorno dopo. “Tutto era scritto a penna, su libroni o block notes. Siamo stati dei pionieri quando abbiamo introdotto la cartella infermieristica, ma il computer era ancora lontano…”, racconta ancora Alessandra.

LA DIVISA: ABITINO BIANCO, COLLANT E… SOTTOVESTE

Un altro mondo anche per quanto riguarda le divise. “Noi infermiere eravamo costrette (uso questo verbo perché non erano il massimo della comodità) ad indossare abiti bianchi rigorosamente sotto il ginocchio con bottonatura laterale. Obbligatorie naturalmente collant e sottoveste perché la divisa non doveva essere minimante trasparente controluce. Pena una tirata di orecchie dalle suore sempre presenti nei reparti…”.

ARRIVA IL PROF. BARBIERI E CON LUI MUOVE I PRIMI PASSI L’EMODINAMICA

Il 1999 fu l’anno della svolta per la giovane Cardiologia. Il 14 settembre fece la prima comparsa a Negrar il professor Enrico Barbieri, ricercatore all’Università di Verona, chiamato da Salazzari come consulente per l’attività di Emodinamica iniziata con le coronarografie. Contemporaneamente si è sviluppata l’attività di Elettrofisiologia e impiantistica.

Con la pensione di Salazzari, il 1 settembre del 2001 il professor Barbieri divenne primario e poco più di un anno dopo venne eseguita la prima angioplastica nella sala allora collocata al primo piano del Sacro Cuore dove ora c’è la Radiologia.

HUB DELLA RETE VENETA PER L’INFARTO OPERATIVO H24

Nel 2012 furono inaugurate due nuove sale di Emodinamica in condivisione con l’Elettrofisiologia, al secondo piano del Sacro Cuore, lo stesso del reparto. Dal 2016 la Cardiologia con 4 posti letto in Terapia Intensiva è centro Hub della rete veneta per l’infarto, con operatività h24 per tutto l’arco dell’anno.

Da sinistra il dottor Canali e il dottor Giulio Molon
OGGI IL DIRETTORE E’ IL DOTTOR GIULIO MOLON

Dal 1 gennaio del 2020 a guidare il reparto è il dottor Giulio Molon, fino allora responsabile di Elettrofisiologia e Cardiostimolazione, Servizio che sotto la sua guida ha visto un notevole sviluppo con l’introduzione di tecnologie di ultima generazione.

Il resto è storia di oggi. Nel 2021 il reparto ha ricoverato oltre 1300 pazienti. Sono state effettuate 263 angioplastiche e 683 coronarografie; 214 i pacemaker impiantiti e 89 i defibrillatori.

Cosa è rimasto di quel 19 ottobre del 1992? “In 30 anni la medicina e l’assistenza ospedaliera hanno fatto passi da gigante. Era veramente un’altra era… – risponde -. Rimane la nostalgia di coloro che se ne sono andati prematuramente: Nicoletta, Marco, Fiorenzo…, anche se il loro ricordo è sempre vivo. Ma rimane anche l’entusiasmo di un giovane gruppo che non si è fatto spaventare da un progetto che era tutto da realizzare. E’ un entusiasmo che ha segnato positivamente tutti coloro che hanno contribuito a far nascere la Cardiologia – conclude Alessandra Renzi –  e ha creato dei rapporti di fiducia, collaborazione e anche amicizia tali che hanno resistito al trascorrere del tempo”.


Con l'autunno ritornano i tamponi multiplex: la diagnosi di tre virus con un solo test

A partire da domani mercoledì 19 ottobre con la prescrizione per “esame tampone molecolare Covid-19”,  il referto del Laboratorio del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali e Microbiologia riporterà  la diagnosi di tre virus: il SARS-CoV2, quello dell’Infleunza (A e B) e il virus respiratorio singiziale (RSV).

Con l’inizio della stagione influenzale, l’IRCCS di Negrar ripropone per il terzo anno il tampone multiplex, il test molecolare per la diagnosi contemporanea del virus SARS-CoV-2, di quello dell’Influenza (A e B) e del Virus Respiratorio Sinciziale (RSV).

A partire da domani mercoledì 19 ottobre con la prescrizione per “esame tampone molecolare Covid-19”,  il referto del Laboratorio del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali e Microbiologia riporterà tre risultati. Questo servizio darà la possibilità all’utente – senza costi aggiuntivi né per il cittadino né per il Servizio Sanitario Nazionale – di conoscere la vera causa dell’infezione respiratoria per cui si è sottoposto al tampone. È importante che l’esito della prestazione venga interpretato da un medico e valutato nel contesto clinico del paziente.

Con l’autunno al SARS-CoV-2, responsabile del Covid-19, si è affiancata l’influenza stagionale (per la quale è già iniziata la campagna di vaccinazione) e il Virus Respiratorio Sinciziale (RSV) che nei bambini è la principale causa di bronchite e bronchiolite. I tre virus hanno sintomi simili (raffreddore, tosse, febbre, malessere generale…), quindi sono indistinguibili dal punto di vista clinico. Da qui l’importanza di sottoporsi al test diagnostico multiplex.


Terapia chirurgica dell'obesità: incontri informativi gratuiti con la cittadinanza

In occasione del Bariatric Surgery Day, promosso dalla Fondazione SICOB-ETS, lunedì 24 ottobre l’équipe del Sacro Cuore Don Calabria che si occupa di trattamento dell’obesità incontra i cittadini interessati presso il Centro Diagnostico Terapeutico di via San Marco 121 a Verona. E’ necessaria la prenotazione telefonando – dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 14.30 – al numero 045.6013493.

Dr. Roberto Rossini

In occasione del Bariatric Surgery Day, promosso dalla Fondazione SICOB-ETS, lunedì 24 ottobre l’équipe del Sacro Cuore Don Calabria che si occupa di trattamento dell’obesità incontra i cittadini interessati presso il Centro Diagnostico Terapeutico di via San Marco 121 a Verona.

Dalle 9 alle 15.30 i chirurghi bariatrici, Irene Gentile e Roberto Rossini, la gastroenterologa Maria Paola Brunori, la psicologa Eleonora Geccherle e la dietista Alessandra Misso saranno a disposizione per incontri individuali e informativi (gratuiti) sulle terapie oggi a disposizione (chirurgica e conservativa) per la perdita di peso in situazioni di grave obesità. E’ necessaria la prenotazione telefonando – dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 14.30 – al numero 045.6013493.

L’OBESITA’ MALATTIA E FATTORE DI RISCHIO PER LE ALTRE PATOLOGIE

“L’obesità non è una questione estetica, ma una vera e propria malattia e nello stesso tempo un fattore di rischio per altre patologie” afferma il dottor Rossini, responsabile dell’équipe bariatrica dell’IRCCS di Negrar. “Un obeso ha infatti un’aspettativa di vita inferiore di almeno dieci anni rispetto a un coetaneo normopeso. Infatti l’aumento ponderale è accompagnato spesso da diabete, patologie cardio-vascolari, oncologiche, osteo-articolari e respiratorie. L’intento della giornata promossa dalla Fondazione SICOB (Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità e delle malattia metaboliche) – prosegue – è quello di promuovere la diffusione della chirurgia bariatrica, oggi presente ancora in pochi centri in Italia, in modo che chi soffre di obesità abbia la possibilità di usufruire di questa terapia efficace per la cura dell’eccesso di peso”.

L’INTERVENTO CHIRURGICO QUANDO SERVE

La chirurgia bariatrica di Negrar dal 2021 è centro accreditato SICOB e da quest’anno centro qualificato ERAS Society. All’anno vengono eseguito circa 80 interventi  di sleeve gastrectomy, bypass gastrico e mini bypass gastrico, tecniche chirurgiche differenti che conducono alla riduzione volumetrica dello stomaco e di quella parte deputata all’assorbimento dei cibi.

IL PERCORSO MEDICO E PSICOLOGICO

“Un regime alimentare ipocalorico accompagnato da attività fisica quotidiana rimane la via preferenziale per perdere peso – sottolinea il dottor Rossini -. Ma quando i chili in accesso sono tanti e la dieta non funziona, l’intervento è un’arma potente per dimagrire. Ma non risolutiva. Per questo l’atto chirurgico è preceduto da un percorso medico e psicologico che ha come obiettivo di portare il paziente a comprendere le ragioni (spesso psicologiche) della sua obesità e a cambiare stile di vita, al fine di evitare il fallimento dell’intervento stesso e la ripresa dei chili momentaneamente persi”. Un percorso che prosegue anche dopo l’intervento: noi rivediamo il paziente, se non ci sono problemi, a scadenze di un mese, tre mesi, sei mesi e un anno dopo l’operazione. Il follow up prosegue poi con una visita una volta all’anno”.

PER CHI E’ INDICATO L’INTERVENTO

Il numero maggiore di pazienti è rappresentato da donne intorno ai 30-40 anni con una BMI (Body Mass Index o Indice di Massa Corporea) sopra i 40 kg/m2, come è indicato dalle linee guida per accedere all’intervento, indice che si abbassa a 34-40 kg/m2 per soggetti affetti da patologie.

LA TERAPIA MEDICA

“Un’alternativa alla chirurgia è, in casi selezionati, la terapia farmacologica – riprende il chirurgo -. Da qualche tempo disponiamo del farmaco Saxenda (liraglutide), un ipoglicemizzante (usato per il trattamento del diabete di tipo 2) che può essere impiegato, accompagnato da dieta ipocalorica e aumento dell’attività fisica, per il controllo del sovrappeso cronico.  La somministrazione giornaliera tramite un’iniezione sottocute incrementa il senso di sazietà e la riduzione dei segnali della fame”.


Come funzionano gli analoghi della somatostatina? Lo spiega Zerby

Un fumetto per spiegare i complessi meccanismi cellulari alla base dell’impiego degli analoghi della somatostatina per i tumori neuroendocrini. E’ l’idea nata dal binomio di conoscenza scientifica e fantasia messo in atto dalla chirurga Letizia Boninsegna e dall’oncooga Paola Agense Cassandrini. Grazie all’animaletto Zerby ora la diagnosi e la terapia dei Net non è più un argomento per soli adetti ai lavori

Il tema è uno di quelli ostici, già dal nome: gli analoghi della somatostatina. Ma c’è chi, come la chirurga Letizia Boninsegna e l’oncologa Paola Agnese Cassandrini dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, è riuscito a spiegare l’argomento con un fumetto rivolto ai pazienti affetti dai tumori neuroendocrini (NET- Neuroendocrine Tumours), patologie oncologiche che colpisco il tessuto neuroendocrino presente in vari organi (pancreas, intestino, stomaco, polmoni…) e trattabili, appunto, con gli analoghi della somatostatina.

L’agile libretto porta la prefazione di Andrea Pamparana, in questa occasione nelle vesti di paziente e non di noto giornalista e scrittore.

“Comunicare a una persona che è affetta da una neoplasia non è mai semplice. In particolare non lo è nel caso dei NET che sono tumori rari (l’incidenza di 2-5 casi all’anno ogni 100mila abitanti), e poco conosciuti al grande pubblico – afferma la dottoressa Boninsegna -. Le difficoltà aumentano quando si affronta il capitolo della terapia che si basa sugli analoghi della somatostatina e agisce attraverso meccanismi cellulari complessi. L’idea del fumetto è nata proprio con l’intento di affrontare il tema in modo semplice e con un po’ di leggerezza, senza togliere nulla alla serietà della patologia”.

Il protagonista indiscusso della pubblicazione è Zerby, un buffo e tondo animaletto uscito dalla fantasia della dottoressa Boninsegna e dalla grafica di Chiara Sega. Zerby ha una pelliccia a strisce bianche e nere, simile al mantello di una zebra, animale simbolo dei NET. Infatti il tumore neuroendocrino è proprio quella zebra – citando una famosa frase – a cui nessuno pensa se sente uno scalpitio di zoccoli, perché un simile rumore viene sempre attribuito a un cavallo (cioè all’adenocarcinoma del pancreas o al cancro del colon retto).

Zerby a striscie bianche e nere è l’analogo della somatostatina

Nel fumetto, invece, Zerby è l’analogo della somatostatina, la versione sintetica dell’ormone prodotto dal nostro corpo e in grado, perché ne possiede le “chiavi”, di entrare nella cellula tumorale NET, fermandone la crescita, interrompendo la produzione di sostanze (nel caso di tumori funzionanti) o addirittura uccidendola.

Gli amici Taddeus (l’ormone della crescita) e Vlado (l’insulina)

Un meccanismo complesso per capire il quale vengono in aiuto Taddeus, il leoncino che rappresenta l’ormone della crescita, e Vlado il maialino che interpreta l’insulina. Entrambi sono ormoni, come la somatostatina, cioè proteine che circolano nel sangue e hanno il compito di portare messaggi alle cellule. Non in maniera casuale, però, ma solo a quelle cellule che possono recepire il messaggio. Così un’altra parola astrusa, recettore, diventa la porta della cellula attraverso la quale solo un determinato ormone ‘messaggero’ può entrare, perché esso possiede la forma della porta stessa. Per esempio le cellule scheletriche hanno un recettore a forma di Teddeus (l’ormone della crescita) che ordina loro di svilupparsi. Lo stesso discorso vale per la somatostatina, l’ormone per il quale le cellule Net possiedono il recettore. Ma poiché la somatostatina che circola normalmente nel sangue è pochissima e ha un’emivita breve (scompare dopo circa 3 minuti), non è efficace dal punto di vista terapeutico. Questo il motivo per cui si ricorre ai farmaci, gli analoghi della somatostatina (Octreotide, Sandostatina o Lanreotide).

Zerby con attaccato alla coda un palloncino luminoso: la diagnosi PET

Queste sostanze, però, hanno un ruolo oltre che terapeutico anche diagnostico. Zerby, in tale occasione, si accende come una lampadina perché “gli viene attaccato sulla coda un palloncino luminoso”, cioè una molecola radioattiva o radionuclide (il Gallio 68) che emette radiazioni visibili alla Pet, localizzando in questo modo il tumore neuroendocrino.

Attenti al cow-boy Zerby armato di potenti armi: la terapia radiorecettoriale

Se poi sulla coda gli viene posto un radionuclide più potente (il Lutezio 177 o l’Yttrio 90), Zerby si trasforma in un cattivissimo cow-boy dotato di ‘armi’ che emettono emissioni beta, quindi in grado di distruggere la cellula cattiva. Ecco spiegata la terapia radiorecettoriale.

E per quanto riguarda la Serotonina, responsabile della crisi da Carcinoide? Questo è il tema del prossimo fumetto con protagonista  Markus, un asinello dispettoso… Le dottoresse Boninsegna e Cassandrini e la grafica Chiara Sega sono già al lavoro.

COME FUNZIONANO GLI ANALOGHI DELLA SOMATOSTATINA? IMPARIAMO ASSIEME A ZERBY

Festa di S. Giovanni Calabria: presentato il nuovo acceleratore lineare Ethos

In occasione della Festa di San Giovanni Calabria, che ha chiuso le celebrazioni del Centenario dell’Ospedale Sacro Cuore, è stato presentato il nuovo acceleratore lineare Ethos per la radioterapia oncologica, dotato di intelligenza artificiale. Con Ethos salgono a quattro gli acceleratori lineari di ultima generazione presenti all’IRCCS di Negrar, che si conferma così uno dei Centri più avanzati in Italia per trattamenti radioterapici ad altissima precisione, grazie a un assetto tecnologico unico a livello nazionale e con pochi esempi simili nel mondo.

L’acceleratore lineare Ethos

Questa mattina in occasione della tradizionale Festa patronale di San Giovanni Calabria, all’IRCCS di Negrar è stato presentato il nuovo  acceleratore lineare Ethos, un macchinario di radioterapia unico nel suo genere in quanto dotato di un sistema integrato di intelligenza artificiale e presente in Italia solo in un’altra struttura ospedaliera.

QUATTRO ACCELERATORI LINEARI DI ULTIMA GENERAZIONE E 35% DI PAZIENTI DA FUORI REGIONE

Con Ethos salgono a quattro gli acceleratori lineari di ultima generazione presenti al Sacro Cuore Don Calabria, che si conferma così uno dei Centri più avanzati in Italia per trattamenti radioterapici ad altissima precisione, grazie a un assetto tecnologico unico a livello nazionale e con pochi esempi simili nel mondo.
Complessivamente nel 2021 il Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata, diretto da Filippo Alongi, professore associato all’Università di Brescia, ha trattato circa 1.600 pazienti oncologici, il 35% dei quali provenienti da fuori regione.

INVESTIMENTI TECNOLOGICI STRATEGICI PER UN OSPEDALE
L‘AD, Mario Piccinini

“L’investimento in innovazione tecnologica è strategico se si vuole mantenere un ospedale all’altezza dei tempi, cioè in grado di offrire le migliori cure ai pazienti”, ha detto l’amministratore delegato Mario Piccinini. “Questo acceleratore lineare è un esempio, ma abbiamo installato anche una nuova Pet in Medicina Nucleare ed è prevista una Risonanza Magnetica ad altissima risoluzione di immagini (3 Tesla) in Radiologia. L’incremento esponenziale della spesa energetica è fonte di grande preoccupazione – ha sottolineato l’Ad – ma le crisi richiedono una visione più ampia di quella contingente, di cui gli investimenti fanno parte”.

ETHOS: LA RADIOTERAPIA ADAPTIVE GRAZIE ALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Prof. Filippo Alongi

“La presenza in Ethos di un sistema integrato di intelligenza artificiale realizza quella che viene definita radioterapia ‘adaptive’ – spiega il prof. Alongi -. Infatti esso funziona come una sorta di ‘navigatore satellitare’ supportando l’operatore nel riadattare e correggere in tempo reale la direzione e la concentrazione del fascio di radiazioni ionizzanti in rapporto alla posizione del tumore. Il trattamento acquista così una precisione millimetrica di irradiazione sulla neoplasia, salvaguardando al massimo i tessuti sani circostanti”.

Un salto di qualità enorme rispetto alla radioterapia convenzionale, la quale si serve di un piano di cura elaborato dal radioterapista oncologo all’inizio del ciclo di trattamento, sulla base dell’immagine statica del tumore, fornita dalla TAC o eventualmente dalla Risonanza Magnetica e dalla PET in quel momento. Piano che si mantiene invariato fino alla conclusione del numero previsto di sedute. Questo determina un gap di precisione nell’irradiazione del tumore, perché la posizione e la grandezza della neoplasia varia da seduta a seduta e anche – nel caso per esempio del distretto toracico e addominale – in corso di trattamento a causa del movimento fisiologico degli organi interni.

MASSIMA PRECISIONE, ALTE DOSI DI RADIAZIONI E SEDUTE BREVI

“L’intelligenza artificiale di Ethos interviene proprio a colmare questo gap. Isolando l’area da colpire al solo tumore, il trattamento può essere effettuato con alte dosi di radiazioni andando a ridurre così i tempi di esposizione (massimo 10 minuti) e il numero delle sedute”, spiega ancora il prof. Alongi. Ma non solo: “La rivoluzione in termini tecnologici di questo acceleratore è anche rispetto agli altri sistemi ad alta precisione, i quali consentono modifiche di direzione del fascio di radiazioni solo off-line, cioè con il paziente fuori dalla stanza di trattamento, mentre con Ethos il tutto si realizza in tempo reale con il paziente collocato all’interno dell’apparecchiatura”.

Il nuovo macchinario è indicato per le neoplasie di tutti i distretti anatomici e dal marzo di quest’anno sono stati trattati più di 500 pazienti per un totale di oltre 5mila sedute, senza effetti collaterali rilevanti.

UNITY ED ETHOS, MACCHINARI DIVERSI MA COMPLEMENTARI

Ethos si affianca, all’interno del Dipartimento, ad altri due acceleratori lineari Truebeam (uno dei quali acquistato nella primavera scorsa), ma soprattutto a Unity, un macchinario ibrido con a bordo una Risonanza Magnetica ad alto campo.

“Ethos e Unity sono due macchinari diversi, ma complementari – riprende il medico -. Il primo in un certo senso completa il secondo, in quanto risponde alle esigenze di quei pazienti per cui ci sono difficoltà di trattamento con Unity. Per esempio coloro che non riescono a rimanere fermi in posizione di terapia a lungo per effettuare una Risonanza prima del trattamento. Oppure i pazienti portatori di impianti di pacemaker o di defibrillatori o protesi metalliche non compatibili con i campi magnetici della RM. Infine i grandi obesi o anche chi presenta più sedi di malattia in un’area vasta da non entrare nel campo del trattamento guidato da immagini di Risonanza Magnetica. Questa combinazione unica di alte tecnologie offre a noi radioterapisti oncologi l’opportunità di effettuare trattamenti personalizzati in base alle condizioni cliniche di ogni paziente, cosa che la radioterapia convenzionale non sempre permette”.

CHIUSURA DELL’ANNO DEL CENTENARIO DEL SACRO CUORE (1922-2022)

Fr. Gedovar Nazzari

Don Massimiliano Parrella

La celebrazione della ricorrenza è stata caratterizzata anche dalla chiusura dell’anno del Centenario dell’Ospedale Sacro Cuore (1922-2022), durate il quale, attraverso un libro (“Guarite i malati”) e una mostra fotografica permanente sono stati ripercorsi i 100 anni della struttura nata come ospizio per anziani e poi diventata solo un secolo dopo Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS). “In questo anno abbiamo saldato quel filo rosso che lega i fondatori di un’opera profetica (don Sempreboni e don Calabria) e chi come noi siamo chiamati a proseguirla. Quel filo rosso è la Paternità di Dio che ogni giorno siamo invitati a dimostrare attraverso la cura dell’ammalato”, ha detto il presidente, fratel Gedovar Nazzari, alla chiusura della Messa, presieduta dal nuovo superiore generale dell’Opera Don Calabria, padre Massimiliano Parrella, alla sua prima visita ufficiale all’Ospedale di Negrar, dopo l’elezione avvenuta nel giugno scorso.

 


Endoscopia digestiva confermato centro accreditato SIED

l Servizio di Endoscopia ed Ecoendoscopia Digestiva è stato confermato Centro accreditato della Società Italiana di Endoscopia Digestiva (SIED). Il rinnovo della certificazione ottenuta nel 2018 è un nuovo attestato degli standard di eccellenza raggiunti nell’erogazione delle prestazioni ai pazienti. Attualmente i Centri accreditati SIED in Italia sono solo 23.

Il Servizio di Endoscopia ed Ecoendoscopia Digestiva, diretto dal dottor Paolo Bocus e di cui è responsabile il dottor Marco Benini, è stato confermato Centro accreditato della Società Italiana di Endoscopia Digestiva (SIED). Il rinnovo della certificazione ottenuta nel 2018 è un nuovo attestato degli standard di eccellenza raggiunti nell’erogazione delle prestazioni ai pazienti. Attualmente i Centri accreditati SIED in Italia sono solo 23, di cui due, con quello di Negrar, in Veneto.

ULTERIORE GARANZIA DI QUALITA’ PER IL PAZIENTE
Paolo Bocus, gastroenterologo IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calaabria di Negrar
Dr. Paolo Bocus

“L’accreditamento è volontario quindi non richiesto da normativa regionale o nazionale – spiega il dottor Bocus -. Tuttavia nonostante comporti un impegno collettivo non indifferente, che si aggiunge alla notevole attività quotidiana, abbiamo voluto ottenerlo quattro anni fa perché rappresenta un’ulteriore garanzia per il paziente che si rivolge al nostro Servizio per esami, solo per citarne alcuni, come la gastroscopia, la colonscopia o la più sofisticata ecoendoscopia”.

REQUISITI SIED ELEVATI

Anche l’ottenimento del rinnovo è stato particolarmente impegnativo. “Sono stati innalzati, in seguito alla pandemia, i requisiti di sicurezza non solo in merito alle metodiche eseguite, ma anche relativi alle strutture e al controllo della disinfezione strumentale” prosegue il dottor Bocus.  “Tale aspetto ha principalmente riguardato la sicurezza dell’ambiente di lavoro sia per il personale che per i pazienti nonché la formazione ed il mantenimento delle competenze di tutto il personale coinvolto”. Un lavoro che ha coinvolto oltre allo staff del Servizio di Endoscopia Digestiva, anche la Direzione Amministrativa, quella Sanitaria, il Servizio Infermieristico e il Servizio Qualità nonché il Laboratorio di Microbiologia e l’Ufficio di Ingegneria Clinica.

OLTRE 7.500 ESAMI IN UN ANNO

Il Servizio nel 2021 ha effettuato 3780 esami di Colonscopia, 3362 Esaofagogastroduodenoscopie, 57 Gastrostomie Endoscopiche Percutanee (PEG), 150 Colangiopancreatografie Endoscopiche Retrograde (ERCP) e 220 Ecoendoscopie (EUS).

Tutte procedure valutate conformi al Manuale di Accreditamento SIED- Società Italiana di Endoscopia Digestiva (Rev. n 5 del 31/10/2018).


Rabbia, una malattia negletta che si può battere con educazione e prevenzione

Il 28 settembre si celebra la giornata mondiale della rabbia, una malattia “negletta” che ogni anno uccide quasi 60mila persone nel mondo. In Italia non è più presente da anni, tuttavia chi viaggia in zone dove il virus è endemico deve prestare attenzione e rivolgersi all’ambulatorio di medicina dei viaggi per una valutazione dei rischi ed eventualmente per sottoporsi alla vaccinazione

LA GIORNATA MONDIALE

La rabbia è una malattia “negletta” che ogni anno uccide circa 60mila persone nel mondo, di cui quasi la metà sono bambini, con i casi che sono quasi interamente concentrati nel Sud-est asiatico, in Africa e nell’America centro-meridionale. Si tratta di una zoonosi che si trasmette attraverso il morso di un animale infetto, soprattutto cani, scimmie e pipistrelli. Una volta che si manifestano i sintomi è mortale nel 99,9% dei casi, tuttavia si tratta di una patologia prevenibile grazie all’esistenza di un vaccino sicuro ed efficacie, al contrario di tante altre malattie tropicali dimenticate.

È proprio per sensibilizzare e promuovere la lotta contro questa malattia che il 28 settembre di ogni anno si celebra la giornata mondiale della rabbia, promossa fin dal 2007 dalla Global Alliance for Rabies Control (GARC). Una data non casuale, visto che coincide con l’anniversario della morte di Louis Pasteur, scopritore del primo vaccino contro la rabbia. Quest’anno la giornata è dedicata al tema “One health, zero Deaths” (una sola salute, zero morti), a sottolineare l’obiettivo fissato dall’ONU di eliminare le morti per rabbia entro il 2030.

LA RABBIA IN ITALIA
Federico Gobbi, infettivologo IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar
Dottor Federico Gobbi

In Italia, così come nella grande maggioranza dei Paesi europei, la situazione è ampiamente sotto controllo. “Da molti anni non ci sono casi sull’uomo, ma non ci sono nemmeno casi di rabbia silvestre, cioè sugli animali selvatici che potenzialmente la possono trasmettere all’uomo” dice il dottor Federico Gobbi, direttore del Reparto di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria, che è centro collaboratore dell’OMS per le malattie tropicali dimenticate, quali appunto la rabbia (vedi articolo). Qualche caso sporadico di rabbia silvestre si è riscontrato negli ultimi anni solo nelle zone di confine con la Slovenia e l’Austria. “In ogni caso è bene non abbassare la guardia e, al di là della rabbia, se si viene morsi è opportuno lavare e disinfettare accuratamente la ferita, mettendo in conto magari un richiamo del vaccino antitetanico o una terapia antibiotica a seconda del tipo di morso, perché la saliva degli animali contiene molti batteri”, prosegue Gobbi.

RABBIA E VIAGGI, UN RISCHIO DA NON SOTTOVALUTARE

Più complesso è il discorso quando si affronta la questione “rabbia” per coloro che si recano in viaggio nelle zone endemiche. A tal proposito è sempre opportuno fare una valutazione presso un ambulatorio di medicina dei viaggi, presente da tanti anni anche presso l’IRCCS di Negrar (vedi pagina ambulatorio). In base al tipo di viaggio e al livello di rischio si prospettano due possibilità. “Per chi compie viaggi frequenti e si trova a contatto diretto con animali si può pensare di fare due dosi di vaccino pre-esposizione – sottolinea il dr. Gobbi – dopodichè qualora la persona già vaccinata fosse morsa durante il viaggio dovrebbe sottoporsi ad ulteriore vaccinazione post-esposizione”.

Se invece il viaggio è a basso rischio il medico può valutare che non è necessario il vaccino pre-esposizione. In questo caso, qualora una persona fosse morsa durante il viaggio, è fondamentale fare una profilassi che prevede l’iniezione tempestiva di immunoglobuline nella sede della ferita, seguita poi dalla vaccinazione secondo una precisa tempistica. Il problema è che non sempre le immunoglobuline sono disponibili nei Paesi poveri.

COSA FARE IN CASO DI MORSO DURANTE UN VIAGGIO

Il morso di un animale in una zona a rischio non va mai sottovalutato e se sul luogo non è disponibile la profilassi antirabbica post-esposizione bisogna che il viaggiatore rientri quanto prima nel proprio Paese di origine per sottoporsi alle cure del caso”, è l’appello del dottor Gobbi. Il motivo è evidente: “La profilassi funziona solo se viene fatta prima della comparsa dei sintomi. Viceversa una volta che la malattia si manifesta arrivando al sistema nervoso centrale è ormai troppo tardi. Purtroppo è accaduto ancora, seppure sia raro, che un turista morso da un animale infetto sia deceduto dopo aver sviluppato i sintomi al ritorno dal viaggio”.

I sintomi della rabbia sono all’inizio simili a quelli di un’influenza con stanchezza, febbre e mal di testa. Poi man mano che il virus aggredisce il sistema nervoso centrale si manifestano segni sempre più specifici, quali allucinazioni, insonnia, salivazione esagerata, ipersensibilità alla luce, idrofobia. La velocità della malattia dipende molto dalla ferita iniziale. Se si tratta di una piccola ferita in una zona periferica del corpo, l’avanzamento verso il cervello sarà più lento. Al contrario se la ferita è profonda e in zone vicine alla testa il tempo a disposizione sarà molto meno.

EDUCAZIONE E PREVENZIONE

L’esistenza del vaccino e di una profilassi efficacie permette di guardare alla lotta contro la rabbia con un certo ottimismo, tanto che l’ONU si è posta l’obiettivo di azzerare entro pochi anni i decessi. E’ tuttavia indispensabile agire con più forza sul fronte della prevenzione e dell’educazione della popolazione nei Paesi a rischio, favorendo ad esempio i programmi di vaccinazione sugli animali selvatici e domestici nelle aree endemiche, nonché sensibilizzando le persone anche nelle zone più povere a sottoporsi alla profilassi in caso di morsi o contatti a rischio.


Le aritmie "fatali" negli sportivi: l'importanza della lettura accurata dell'ECG

Atleti professionisti colpiti da arresto cardiaco in campo. Sono sempre eventi imprevedibili, oppure esistono segnali che possono sollevare dubbi diagnostici da approfondire? Di elettrocardiogramma spesso si parla come di un esame banale, mentre partendo da una sua corretta lettura si possono salvare vite sottoposte a notevoli e prolungati sforzi cardio-polmonari. Se ne parlerà nel convegno “Da Morosini a Eriksen: le aritmie nello sportivo”, organizzato l’1 ottobre dalla Medicina dello Sport e dalla Cadiologia dell’IRCCS di Negrar

Il titolo fonde cronaca e medicina: “Da Morosini a Eriksen: le aritmie nello sportivo”. Infatti il convegno organizzato dalla Cardiologia e dalla Medicina dello sport dell’IRCCS di Negrar – sabato 1 ottobre a Villa Quaranta Park Hotel (Ospedaletto di Pescantina) – parte da due episodi di cronaca emblematici per accendere i riflettori sull’importanza di saper cogliere, da parte dei medici a tutti i livelli, i primi segnali di anomalie cardiache al fine di prevenire le morti improvvise sul campo, per arrivare all’importanza cruciale di diffondere la cultura della rianimazione cardio-polmonare, ovunque si faccia sport.

Episodi di arresto cardiaco nello sport che hanno fatto notizia

Piermario Morosini, calciatore del Livorno, è deceduto il 14 aprile del 2012 a soli 24 anni per arresto cardiaco durante la gara con il Pescara. Mentre Christian Eriksen, il centrocampista della Nazionale danese e dell’Inter, fu riportato letteralmente in vita grazie al tempestivo uso del defibrillatore, il 12 giugno del 2021 quando nel corso della partita con la Finlandia dei campionato d’Europa, cadde a terra all’improvviso.

Patologie non rilevate dagli esami strumentali
Dr. Giulio Molon

“Si rimane sempre sconvolti da questi gravi episodi. L’eco è tanta perché i protagonisti sono sportivi professionisti sottoposti a controlli medici costanti e non ci si aspetta possa succedere”, afferma il dottor Giulio Molon, direttore della Cardiologia. “Purtroppo, come accade nella popolazione generale, anche fra gli atleti ci sono coloro che possono soffrire di patologie cardiache, spesso di origine genetica, non rilevate da esami strumentali come l’elettrocardiogramma (ECG), ma che si manifestano con aritmie improvvise, causa di arresto cardiaco. Naturalmente negli atleti incide notevolmente l’intenso sforzo cardiopolmonare a cui sono sottoposti, sforzo che, in presenza di una patologia, funziona come una sorta di detonatore, scatenando l’aritmia fatale”.

Ma anche mancate diagnosi: l’importanza dell’interpretazione corretta dell’ECG

Tuttavia la stessa cronaca non è priva di esempi di giovani vite spezzate che potevano essere salvate, se gli esami strumentali, in primis l’elettrocardiogramma, fossero stati interpretati in maniera corretta.

I severi protocolli italiani per l’attività agonistica
Dr. Roberto Filippini

“Il convegno è strutturato intorno ai protocolli nazionali che in Italia tutelano l’attività agonistica. Protocolli molto severi, tanto che Eriksen non ha potuto proseguire la carriera in Italia in quanto, dopo l’arresto è stato sottoposto ad impianto di defibrillatore. Ma gioca all’estero, in Paesi dove la normativa lo permette”, afferma il dottor Roberto Filippini, direttore della Medicina dello Sport del Sacro Cuore Don Calabria con sede in via San Marco 121 a Verona.

La normativa nazionale prevede per l’ottenimento della certificazione di idoneità sportiva dei percorsi distinti per gli atleti agonisti e per quelli non agonisti. Alla prima categoria appartengono i professionisti e i dilettanti, che a loro volta sono sottoposti a protocolli differenti imposti dalle normative vigenti.  I non agonisti sono la gran parte della popolazioni generale che svolge attività sportiva nelle palestre, per la quale è richiesto il certificato medico con elettrocardiogramma. Oggetto del convegno saranno anche i nuovi protocolli redatti dalla Federazione medico-sportiva italiana in collaborazione con il Ministero della Salute a causa della pandemia da SARS-CoV2.

Il rischio degli atleti della domenica: visita ed ECG raccomandati

“Tuttavia esiste un’altra fetta di popolazione che svolge sport autonomamente (pensiamo ai podisti oppure alle squadre di calcetto tra amici) – sottolineano entrambi i medici -. Questi sono più a rischio dei professionisti in quanto non hanno nessun obbligo medico, oltre a non avere, spesso, l’allenamento e lo stile dii vita adeguato per sottoporre il fisico a uno sforzo prolungato. Anche per questi sportivi è altamente raccomandabile sottoporsi a visita e elettrocardiogramma”.

L’anamnesi e la corretta interpretazioni dell’ECG sono gli elementi fondamentali per un medico di medicina dello sport o di medicina generale (sono quest’ultimi, insieme ai pediatri di libera scelta e ai soci aggregati alla Federazione medico sportiva italiana, a rilasciare il certificato di idoneità sportiva per i non agonisti) per stabilire se un cuore è fondamentalmente sano oppure se ci sono elementi sui quale formulare sospetti diagnostici.

Medicina dello Sport dell’IRCCS di Negrar: centro di terzo livello

“Il Centro di Medicina dello Sport dell’IRCCS di Negrar è riconosciuto dalla Regione Veneto Centro di terzo livello, cioè in grado di svolgere gli accertamenti di secondo livello – spiega il dottor Filippini – Questi l’ecocolordoppler cardiaco sia a riposo che da sforzo, il test cardio-polmonare, il test da sforzo (su cicloergometro o tapis roulant) e l’holter cardiaco. Inoltre grazie alla stretta collaborazione con la Cardiologia e la Radiologia di Negrar abbiamo la possibilità di sottoporre il paziente a test di terzo livello, cioè la Risonanza Magnetica cardiaca, all’Angio Tac fino agli studi elettrofisiologici. In pratica allo sportivo professionista, e non, siamo in grado formulare una diagnosi completa della sua condizione cardiaca”.

Defibrillatori e corsi di rianimazione cardiopolmonare per “laici” investimenti che salvano le vite

Una delle sessioni del convegno è riservata alla cardioprotezione delle palestre e dei luoghi deputati allo sport, tenuta dal dottor Molon che da anni si fa promotore della diffusione sul territorio veronese, e non solo, dei defibrillatori automatici. Nel 2013, a seguito della morte di Morosini, un decreto ha stabilito per tutte le società sportive professionistiche l’obbligo di dotarsi di un defibrillatore. Obbligo che, a partire dal 1° luglio 2017, è stato esteso anche alle società dilettantistiche. In pratica ogni impianto sportivo dove si svolgono delle competizioni deve essere dotato di un defibrillatore semiautomatico. “Si tratta di un dispositivo semplice da utilizzare e poco costosoma in grado, se usato tempestivamente, di salvare la vita in caso di arresto – sottolinea il dottor Molon -. Naturalmente la dotazione dell’apparecchio da parte degli impianti dovrebbe essere accompagnata dalla presenza di persone formate al suo utilizzo quindi capaci di effettuare anche la rianimazione cardiopolmonare (BLS-D). Ma in Italia, purtroppo, la cultura della rianimazione è ancora poco diffusa, non solo in ambito sportivo. Nel nostro Paese ogni anno 60 mila persone sono colpite da arresto cardiaco, ma solo il 15% viene salvato perché sottoposto a rianimazione a pochi minuti dall’arresto. Diffondere i corsi di rianimazione cardiovascolare ad iniziare dalle scuole significa investire sulla vita delle persone”.


Certificazione GMP dell'AIFA: la Radiofarmacia diventa Officina Radiofarmaceutica

Con l’autorizzazione “Good Manufacturing Practices” dell’AIFA, la Radiofarmacia dell’IRCCS di Negrar diventa a tutti gli effetti una “fabbrica di radiofarmaci” in grado di produrre i traccianti non solo a consumo della propria Medicina Nucleare, come è avvenuto fino ad oggi, ma per tutto il territorio italiano e per conto di Itelpharma che si occuperà della commercializzazione.

La sede della Radiofarmacia con Ciclotrone

L’IRCCS di Negrar è l’unico ospedale in Italia a gestire un’Officina Radiofarmaceutica. Il “Sacro Cuore Don Calabria” ha infatti ottenuto da parte di AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) la certificazione GMP (Good Manufacturing Practices), necessaria per la produzione di radiofarmaci, i farmaci dotati di una molecola radioattiva e impiegati sui pazienti per gli esami PET.

Con l’autorizzazione AIFA, la Radiofarmacia, diretta dal dottor Giancarlo Gorgoni, diventa a tutti gli effetti una “fabbrica di radiofarmaci” in grado di produrre i traccianti non solo a consumo della propria Medicina Nucleare, come è avvenuto fino ad oggi, ma per tutto il territorio italiano e per conto di Itelpharma che si occuperà della commercializzazione. L’azienda radiofarmaceutica italiana, ramo del gruppo healthcare ITEL, ha avuto un ruolo strategico nell’ottenimento dell’autorizzazione, supportando il “Sacro Cuore Don Calabria” in tutte le fasi del complesso iter di certificazione iniziato nel maggio 2021.

dottor Giancarlo Gorgoni

“I radiofarmaci diagnostici sono molecole utilizzate per gli esami PET, che contengono un isotopo radioattivo. Queste molecole si legano a bersagli specifici nel corpo e l’isotopo fa da tracciante, marcando e ‘illuminando’ come una lampadina le lesioni anche in ambiti non oncologici – spiega il dottor Gorgoni  -. Grazie alla certificazione AIFA possiamo produrre esclusivamente radiofarmaci sperimentali, cioè non ancora in commercio, e composti dalla molecola radioattiva Fluoro 18, i più impiegati in diagnostica PET. Inizieremo con il 18F-JK-PSMA-7 che negli studi preclinici e nei successivi studi pilota ha rilevato caratteristiche favorevoli per una diagnosi accurata dei carcinomi della prostata”.

L’avvio della produzione (probabilmente a fine autunno) è subordinato all’inizio dello studio clinico sperimentale sponsorizzato da Itelpharma e coordinato dalla Medicina Nucleare di Negrar, a cui aderiscono ospedali come il Policlinico Tor Vergata e l’IRST Dino Amadori-IRCCS di Meldola.

“L’autorizzazione conseguita è un importante risultato made in Italy, che pone le basi per future attività di sviluppo nel settore radiofarmaceutico – commenta Anna Tolomeo, Site Manager di Itelpharma – Il prossimo step sarà abilitare l’Officina farmaceutica dell’IRCCS Negrar alla produzione di radiofarmaci con AIC (Autorizzazione Immissione in Commercio), pronti quindi per poter essere immessi sul mercato grazie anche all’accordo commerciale con Itel”.

“Il valore aggiunto di una “officina radiofarmaceutica” all’interno di un ospedale è dato proprio dalla possibilità di proporre o aderire a studi con radiofarmaci sperimentali che in futuro potrebbero diventare commerciali e quindi a disposizione di tutti i pazienti d’Italia”, conclude Gorgoni.

L’ottenimento della Certificazione GMP ha le radici nel 2015 quando l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria ha avviato la Radiofarmacia con Ciclotrone, un acceleratore di particelle per la produzione di isotopi radioattivi, necessari per la creazione di radiofarmaci impiegati dalla Medicina Nucleare ospedaliera. L’attività dei Laboratori si è concentrata anche nella ricerca stipulando collaborazioni con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, le Università di Ferrara, Padova e Verona, le principali Aziende Farmaceutiche e l’Agenzia Internazionale di Energia Atomica (AIEA).

Nel video qui sotto il servizio di Medicina 33 (rubrica del Tg2) sull’Officina Radiofarmaceutica


Alzheimer e attività fisica: le iniziative dell'Officina della Memoria

Il 21 settembre è la Giornata mondiale dedicata alla malattia di Alzherimer, la forma di demenza più diffusa tra la polpolazione sopra i 60 anni. A fine mese riprendono le attività dell’Officina della Memoria, il progetto, operativo da alcuni anni, ideato dal Centro Disturbi Cognitivi e Demenze (CDCD) dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore-Don Calabria. Esso prevede percorsi di stimolazione cognitivo-motoria rivolti sia a persone sane sia a persone con deficit cognitivi lievi. Incontri anche dedicati ai familiari dei pazienti con decadimento cognitivo

Riprendono a fine settembre le attività dell’Officina della Memoria, il progetto, operativo da alcuni anni, ideato dal Centro Disturbi Cognitivi e Demenze (CDCD) dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore-Don Calabria. Esso prevede percorsi di stimolazione cognitivo-motoria rivolti sia a persone sane sia a persone con deficit cognitivi lievi, al fine di rafforzare le abilità cognitive e motorie residue, incrementare l’uso di strategie di compensazione, nell’ottica di aumentare il senso di autoefficacia e benessere.

L’iniziativa – proposta sia nella sede ospedaliera di Negrar sia al Centro diagnostico terapeutico di via San Marco 121 (Verona) – si struttura in 3 cicli trimestrali con incontri settimanali in gruppi il più possibile omogenei tra loro, tenuti dalle dottoresse Cristina Baroni e Cecilia Delaini, psicologhe e psicoterapeute.

Dr.ssa Zaira Esposito

Gli studi rilevano che fino al 50% dei casi di malattia di Alzheimer sono correlabili a fattori di rischio modificabili e di questi il più importante nei Paesi sviluppati è l’attività fisica”, afferma la dottoressa Zaira Esposito, responsabile del CDCD, alla vigilia della Giornata mondiale (il 21 settembre) dedicata alla più comune forma di demenza, che solo in Italia colpisce circa 500mila malati, la gran parte sopra i 60 anni.

“Lo stile di vita sedentario che caratterizza la popolazione delle aree ad ‘elevato sviluppo economico’ sta infatti alla base dell’esponenziale aumento di patologie cronico-degenerative, muscolo-scheletriche, cardiovascolari, metaboliche e ma anche cerebrali. All’opposto, è dimostrato che esiste una stretta relazione fra attività fisica regolare e miglioramento dello stato di salute”, precisa la neurologa,

In linea generale, si può sostenere che un’adeguata attività motoria abbia scopi di prevenzione primaria e secondaria sia nei soggetti “sani” sia nei soggetti che presentano fattori di rischio per malattie cardiovascolari, metaboliche e cerebrali.

Oltre ai gruppi di stimolazione cognitivo-motoria (a cui si accede dopo aver effettuato una visita specialistica e una valutazione neuropsicologica presso il CDCD), l’Officina della Memoria prevede incontri di formazione e scambio di strategie per i familiari dei pazienti con decadimento cognitivo, con lo scopo di trasmettere conoscenze e fornire strategie per prendersi cura al meglio del proprio caro.

Sempre per i familiari inoltre esiste la possibilità di svolgere colloqui individuali di sostegno psicologico all’Ospedale Sacro Cuore di Negrar, prenotabili attraverso impegnativa del medico curante.

Da quest’anno inoltre presso il servizio di Riabilitazione Ortopedica del Centro Diagnostico Terapeutico sarà proposto un percorso di Attività Fisica Adattata (AFA) per persone con patologie croniche, tenuto da personale con laurea in Scienze Motorie Fisiche e Adattate. Questo tipo di attività ha l’obiettivo di migliorare il cammino, la resistenza allo sforzo, le relazioni sociali e diminuire il rischio di cadute.

Il tutto si inserisce in un progetto promosso dalla Regione Veneto (Piano Regionale della prevenzione –PRP-2014-2018) definito “Palestre della Salute”, con l’intento di riconoscere una rete di palestre nel territorio identificabili come luoghi per consentire lo svolgimento di programmi di esercizio fisico strutturato e adattato prescritti ai soggetti con cronicità.

Contatti per le attività del CDCD
Segreteria della Neurologia presso Ospedale Sacro Cuore:
045:6013644
segr.neurologia@sacrocuore.it

Contatti per l’Officina della Memoria
045.6013775 (lunedì, martedì e giovedì ore 8:30-12:30)
officinadellamemoria@sacrocuore.it

Contatti per l’attività AFA
Segreteria del Servizio di Riabilitazione Ortopedica presso Centro Diagnostico (Verona)
045.6014889
riabilitazione.ortopedica@sacrocuore.it