Radioterapia ad alta precisione: con Unity in tre anni numeri da record
Cinquemila trattamenti e oltre 600 pazienti in meno di tre anni. Sono i numeri record effettuati dal Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata dell’IRCCS di Negrar con Unity, l’acceleratore lineare dotato di Risonanza Magnetica ad alto campo, presente in Italia solo al Sacro Cuore Don Calabria e nel mondo in una cinquantina di strutture ospedaliere. Risultati più che incoraggianti
Cinquemila trattamenti e oltre 600 pazienti in meno di tre anni. Sono i numeri record effettuati dal Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata dell’IRCCS di Negrar con Unity, l’acceleratore lineare dotato di Risonanza Magnetica ad alto campo, presente in Italia solo al Sacro Cuore Don Calabria e nel mondo in una cinquantina di strutture ospedaliere. “Con questi risultati ci collochiamo tra i centri a livello internazionale con maggiore esperienza di questa tecnica, che consente trattamenti in grado di colpire con la massima precisione e ad alte dosi la lesione tumorale, salvaguardando i tessuti sani circostanti”, spiega Filippo Alongi, direttore del Dipartimento e professore associato alla facoltà di Medicina di Brescia.
“La presenza a bordo di una Risonanza Magnetica ad alto campo (1,5 Tesla, la stessa che viene impiegata a scopo diagnostico) permette di effettuare un trattamento altamente personalizzato per ogni paziente – prosegue –. A differenza di quanto avviene con la radioterapia classica per la quale è previsto che il piano di cura venga stabilito all’inizio del ciclo terapeutico, con Unity prima di ogni seduta, e nel corso della stessa, sono reimpostati, modificati e ri-adattati i parametri di cura a seconda della grandezza e della posizione della lesione tumorale, che può variare a causa dei movimenti fisiologici degli organi addominali. Tutto questo senza una maggiore esposizione a radiazioni del paziente, perché la RM utilizza campi magnetici”.
Dei 600 pazienti trattati oltre la metà sono uomini con tumore alla prostata localizzato per cui Unity è particolarmente indicato, “tanto che questa tecnica si è dimostrata, per casi selezionati, un’alternativa all’intervento chirurgico, che, per quanto accurato, può comportare maggiori rischi di incontinenza urinaria e di disfunzione erettile”, spiega ancora il professor Alongi. “Proprio per il carcinoma prostatico siamo il centro al mondo con maggiore esperienza, in termini di pazienti irradiati, nei trattamenti Unity in sole 5 sedute contro le 30 previste dalla radioterapia tradizionale. Un vantaggio enorme per il paziente che evita così settimane di accessi ospedalieri quotidiani e possibile grazie a una precisione di irradiazione tale da consentire l’impiego di alte dosi di energia in un lasso di tempo limitato”.
I risultati, molto incoraggianti, di questa tecnica sono stati pubblicati di recente su riviste scientifiche prestigiose tra le quali Cancers, Frontiers in Oncology, Radiation Oncology e Acta Oncologica. “Nove pazienti su 10 dopo solo 5 sedute hanno registrato un significativo calo del valore PSA nel sangue, indicatore indiretto della malattia oncologica prostatica e, secondo diversi studi, fattore predittivo di risposta a lungo termine. Mentre al primo controllo PET, 7 pazienti su 10 affetti da una o più metastasi addominali e pelviche, per cui Unity è sempre indicato, hanno riportato un arresto, una remissione o totale scomparsa della sede attiva di malattia, rispetto allo stesso esame radiologico effettuato precedentemente al trattamento. Finora non si sono verificati effetti collaterali rilevanti o correlabili direttamente al ciclo di cure, anche nei soggetti più fragili”, conclude il professor Alongi che porterà i risultati ottenuti al Congresso nazionale spagnolo di Radioterapia, previsto dal 27 al 29 settembre a Palma di Maiorca.
Giornata mondiale dei fisioterapisti: figura strategica nel percorso di cura del paziente
L’8 settembre è la Giornata mondiale dedicata ai fisioterapisti, protagonisti sempre più attivi del percorso di cura del paziente e nella prevenzione. L’IRCCS di Negrar è un centro di riferimento per la riabilitazione che conta 56 professionisti devisi tra l’ambito ortopedico e quello neurologico e viscerale
Da tempo non sono più l’ultima spiaggia, dove approdare quando non resta altro da fare perché la spalla duole o la cervicale fa i capricci. Negli ultimi 20 anni i fisioterapisti sono diventati infatti una figura sanitaria strategica nel delineare, in équipe con gli altri specialisti, il percorso di cura del paziente, intervenendo anche in chiave preventiva.
“Pochi decenni fa il termine fisioterapia pre-operatoria veniva colto in ospedale come una sorta di stranezza da parte di chi lo pronunciava. Oggi è entrato nel linguaggio comune di coloro che lavorano in corsia”, spiegano Alessandra Bovo e Massimo Mengalli, rispettivamente responsabili dei fisioterapisti ortopedici e dei fisioterapisti che si occupano di patologie neurologiche e viscerali all’IRCCS di Negrar, alla vigilia della Giornata dedicata alla loro professione che si celebra in tutto il mondo l’8 settembre.
PARTE ATTIVA E STRATEGICA DEL PERCORSO DI CURA DEL PAZIENTE
Un profilo professionale quello attuale a cui ha contribuito anche l’istituzione della laurea triennale, che dal 2000 è subentrata al diploma. E’ in corso anche la creazione di un Ordine dei fisioterapisti, autonomo a quello che oggi comprende i tecnici sanitari di radiologia medica, le professioni sanitarie tecniche della riabilitazione e della prevenzione.
LA FISIOTERAPIA PRE-OPERATORIA
“Al ‘Sacro Cuore-Don Calabria’ sono attivi diversi protocolli chirurgici nei quali la figura del fisioterapista interviene prima dell’intervento affinché il paziente affronti la chirurgia nelle condizioni fisiche ottimali e contribuisca attivamente, una volta subita l’operazione, al migliore recupero”, spiega Mengalli. “Uno di questi protocolli è ERAS per la chirurgia colon-rettale e bariatrica. Ma anche il percorso per la chirurgia toracica. In questo caso nel giorno fissato per il pre-ricovero insegniamo al paziente la ginnastica respiratoria, consegnandogli l’apposito dispositivo. Ciò gli permette di arrivare all’intervento con la capacità respiratoria alla massima potenzialità e di prendere coscienza dei movimenti diaframmatici e costali difficilmente percettibili nel momento in cui è presente il dolore post-chirurgico”. I fisioterapisti specializzati nella riabilitazione del pavimento pelvico, invece, si recano nei reparti di urologia e ginecologia per illustrare agli operati alla prostata e alle donne che hanno subito interventi ginecologici quali sono le complicanze post-chirurgiche, quali quelle che possono gestire in autonomia e in quali invece necessitano di un intervento fisioterapico. “Lo stesso successo di un intervento spesso è determinato anche dalla fisioterapia pre e post operatoria”, sottolinea Bovo.
ALTA TECNOLOGICA E FATTORE UMANO
L’evolversi della figura del fisioterapista è andata a pari passo con lo sviluppo della tecnologia in campo riabilitativo, che oggi vede enormi investimenti da parte delle aziende specializzate. La Riabilitazione di Negrar, da sempre un punto di riferimento nazionale per la riabilitazione intensiva dei lesionati midollari e cranici, ha anticipato i tempi. Nel 2015, infatti, è stato acquisito l’Esoscheletro per la deambulazione dei pazienti parzialmente paralizzati e nel 2018 un sistema robotico per il recupero degli arti superiori.
“La tecnologia è una grande risorsa non solo nel contribuire all’efficacia della terapia, ma anche per la misurazione oggettiva dei progressi raggiunti”, sottolinea Mengalli. “Questi sistemi robotici sono infatti dotati di piccoli computer in grado di raccogliere i dati e di elaborarli fornendo a un quadro globale del lavoro svolto, con la possibilità di modificarlo seconda dei casi”. Non per questo il fisioterapista ha perso la sua importanza. “Quando il paziente è impegnato con questi dispositivi – prosegue – noi non diventiamo un semplice accessorio, ma rimaniamo la presenza che guida il paziente ad eseguire correttamente gli esercizi. Senza dimenticare che senza la relazione umana, la fisioterapia perde i suoi connotati…”.
“Credo che noi siamo la figura sanitaria che trascorre più tempo con il paziente”, afferma Bovo. “Raccogliamo le speranze, le angosce, gli sfoghi, le confidenze durate il tempo della terapia. A volte gli stessi pazienti dicono: ‘Ma perché le sto raccontando queste cose?’, sopresi di essersi così aperti con una persona estranea. Tra i pazienti che noi curiamo ci sono persone, come coloro che hanno avuto gravi incidenti o malattie gravi, che restano in ospedale per mesi. Diventiamo per loro una persona di riferimenti e lo siamo diventati ancora di più durante l’emergenza Covid-19, quando non potevano ricevere visite da parenti ed amici”.
L’ORGANIZZAZIONE DELLA FISIOTERAPIA AL “SACRO CUORE DON CALABRIA
L’ambito ortopedico comprende 15 fisioterapisti. Quattro sono impegnati nella palestra interna al reparto di Ortopedia, diretto dal dottor Claudio Zorzi (70 posti letto). Qui vengono trattati per cinque giorni i pazienti operati che necessitano di riabilitazione. Una volta dimessi vengono trasferiti nel reparto di Riabilitazione Ortopedica , diretto dal dottor Roberto Filippini, oppure nel reparto di Medicina Fisica e Riabilitativa e Lungodegenza, diretta dal dottor Zeno Cordioli, per un ciclo di terapia fisica della durata di due settimane per due volte al giorno (anche il sabato). Completato il programma il paziente può scegliere, se ne ha necessità, di proseguire privatamente presso il Servizio di Riabilitazione Ortopedica del Centro diagnostico di via San Marco (Verona diretto sempre dal dottor Filippini) o contribuendo solo con il ticket presso il Servizio di Medicina Fisica e Riabilitazione dell’Ospedale.
Servizio, diretto dalla dottoressa Elena Rossato, si occupa di Riabilitazione neurologica e viscerale a cui si dedicano 41 fisioterapisti. Alcuni di loro si occupano del trattamento dei pazienti ambulatoriali (esterni) che affluiscono, circa 90 al giorno, nella palestra di Casa Nogarè anche per problemi ortopedici o fisiatrici. La gran parte del lavoro viene tuttavia svolto con i pazienti degenti della Riabilitazione Intensiva, diretta dal dottor Giuseppe Armani, e della Medicina Fisica e Riabilitativa e Lungodegenza. Reparti che complessivamente contano 93 posti letto e due palestre: al primo e al terzo piano dell’Ospedale Don Calabria. “Operiamo anche nelle strutture socio-sanitarie presso le 5 palestre di Casa Nogarè, Casa Perez e Casa Clero. Le persone ospitate sono circa 300”, precisa Mengalli.
LA RIABILITAZIONE DEL PAVIMENTO PELVICO
Che prosegue: “Siamo uno dei pochi ospedali specializzati nella riabilitazione del pavimento pelvico, con pazienti provenienti da fuori regione e numeri di richieste che facciamo fatica a soddisfare. Tre terapiste si dedicano alle donne sottoposte ad intervento di endometriosi, per cui Negrar è un centro di riferimento nazionale. Ma anche ad operazioni di ginecologia oncologica o addominale. Un terapista invece si doccupa della riabilitazione maschile, per i pazienti operati di tumore alla prostata”, spiega ancora Mengalli.
COSA PORTERA’ IL FUTURO PER I FISIOTERAPISTI?
“Credo che la pandemia abbia dato un certo impulso alla creazione di una figura territoriale, alla stregua del medico di medicina generale – rispondono -. I fisioterapisti sono stati molto impegnati nei reparti Covid per mobilizzare i pazienti a lungo allettati in terapia intensiva e per contribuire con la ginnastica respiratoria ad impedire l’aggravamento della malattia. Si è visto anche l’importanza del trattamento fisioterapeutico nel superamento del post Covid. Se i cittadini affetti da patologie respiratorie croniche, ortopediche o articolari potessero usufruire di un terapista territoriale, diminuirebbero di certo il ricorso all’ospedalizzazione o i casi di invalidità permanente. Per ora il fisioterapista territoriale è solo un progetto, che, speriamo, si concretizzi presto”.
Per la prof. Capobianchi è il diciassettesimo premio: l'Assobiotec Award 2022
La professoressa Maria Rosaria Capobianchi, consulente per la ricerca dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria, ha ricevuto l’Assobiotec Award 2022. per lo straordinario contributo che, con il suo team, è riuscita a dare alla lotta globale alla pandemia isolando e sequenziando, fra i primi ricercatori al mondo, il Sars-CoV2.. Un traguardo chiave per la messa a punto di vaccini, metodi diagnostici e cure.
La professoressa Maria Rosaria Capobianchi, consulente per la ricerca dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria, ha ricevuto l’Assobiotec Award 2022, il premio assegnato annualmente dall’Associazione nazionale di Federchimica per lo sviluppo delle biotecnologie a “personalità ed enti che si sono particolarmente distinti nella promozione dell’innovazione, della ricerca scientifica e del trasferimento tecnologico”.
La professoressa Capobianchi, membro del Consiglio Superiore della Sanità, è stata premiata “per lo straordinario contributo che, con il suo team, è riuscita a dare alla lotta globale alla pandemia isolando e sequenziando, fra i primi ricercatori al mondo, il nuovo Coronavirus. Un traguardo chiave per la messa a punto di vaccini, metodi diagnostici e cure. Una risposta concreta ed efficace per contrastare la diffusione del virus”.
La motivazione fa riferimento al febbraio del 2020, quando, da direttore dell’Unità Operativa Complessa di Virologia e Laboratori di Biosicurezza dell’Istituto Spallanzani, Capobianchi e il suo team hanno isolato per la prima volta in Europa il virus del SARS-Cov-2, a sole 48 ore dalla diagnosi effettuata sui primi due pazienti in Italia, cittadini cinesi in vacanza. Un team tutto rosa quello a cui era a capo la biologa napoletana, formato anche dalle dottoresse Francesca Colavita e Concetta Castilletti, quest’ultima ora responsabile dell’Unità Operativa semplice di Virologia e virus emergenti dell’IRCCS di Negrar.
Originaria di Procida, la professoressa Capobianchi ha una laurea in Biologia con specializzazione in Microbiologia e ha ricoperto vari incarichi internazionali e nazionali, tra cui quello di membro dell’advisory panel sul COVID-19, presieduto dal presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Layen, di responsabile del Laboratorio di riferimento dell’OMS per la conferma diagnostica del Covid-19 e di consulente del Ministero della Salute, del Comitato Tecnico Scientifico e della Protezione Civile per la valutazione dei sistemi diagnostici relativi a SARS-CoV-2. Capobianchi è stata anche responsabile del Laboratorio di riferimento nazionale per le infezioni da virus Ebola e da altri virus di gruppo di rischio 4.
Oggi, oltre ad essere consulente per la ricerca e membro della Direzione scientifica dell’IRCCS di Negrar, insegna Biologia Molecolare alla International University Saint Camillus of Health and Medical Sciences (Unicamillus) di Roma.
E’ autrice 590 articoli scientifici indicizzati ed è inserita nella lista dei “Top Italian Scientists”. L’Assobiotec Award 2022 si aggiunge ad altri 16 premi e all’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica che le ha consegnato il presidente Mattarella il 3 giugno del 2020, sempre per quanto raggiunto nell’ambito della ricerca sul Covid.
L'ospedale calabriano di Marituba festeggia il 25° anniversario di fondazione
Il 29 agosto 1997, esattamente 25 anni fa, iniziava ufficialmente le proprie attività l’ospedale Divina Provvidenza di Marituba, fondato dall’Opera Don Calabria nell’Amazzonia brasiliana. Da piccolo nosocomio al servizio di una ex colonia di lebbrosi, oggi l’HDP è diventato un ospedale all’avanguardia e sta sviluppando un solido legame di collaborazione con il “Sacro Cuore”.
Le celebrazioni per il 25°
Proprio nell’anno in cui il “Sacro Cuore” celebra il centenario, un altro ospedale dell’Opera Don Calabria ricorda un importante anniversario. Si tratta del “Divina Provvidenza” di Marituba, nell’Amazzonia brasiliana, che proprio in questi giorni ha festeggiato i 25 anni di vita. Era infatti il 29 agosto 1997 quando la struttura dei Poveri Servi della Divina Provvidenza iniziava ufficialmente l’attività di assistenza in una ex colonia per lebbrosi diventata nel frattempo una città all’estrema periferia di Belem, capitale dello stato del Parà.
I 25 anni sono stati celebrati con una S. Messa presieduta lo scorso 26 agosto dall’arcivescovo di Belem, mons. Alberto Taveira Corrêa, che nell’omelia ha ringraziato l’Opera Don Calabria per l’impegno in questa terra e ha ricordato che in questo luogo si possono toccare con mano i miracoli che Dio sa compiere attraverso gli uomini. Dopo la Messa è stata scoperta una targa commemorativa dei 25 anni e sono stati consegnati riconoscimenti alle persone e alle associazioni che in questi anni hanno contribuito in modo particolare allo sviluppo dell’ospedale. Inoltre con l’occasione è stato effettuato il taglio del nastro del nuovo “Centro per il parto naturale” con 26 posti letto dedicato al dr. Avelar Feitosa, già direttore sanitario del nosocomio e deceduto nel 2020 a causa del Covid.
Oltre al direttore generale dell’ospedale, padre Alves Tchilunda, e altre autorità, all’evento era presente anche fratel Gedovar Nazzari, attuale presidente dell’IRCCS di Negrar e uno dei principali protagonisti nella fondazione dell’ospedale “Divina Provvidenza”. L’ospedale era il sogno di monsignor Aristide Pirovano, vescovo del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere) che a Marituba aveva dedicato gli ultimi anni della sua vita insieme all’amico imprenditore Marcello Candia. Fratel Nazzari collaborò con mons. Pirovano per mettere in pratica quel sogno, anche grazie all’aiuto dell’ingegnere Terezinha Botelho che si occupò del progetto.
Un po’ di storia
I lavori, iniziati nel 1992, terminarono nel 1996 e mons. Pirovano potè celebrare Messa tra le mura dell’ospedale nella sua ultima visita in Amazzonia. Inizialmente la struttura doveva servire per dare assistenza sanitaria qualificata agli ex lebbrosi della colonia, che a causa della loro malattia presentavano una serie di problematiche di tipo neurologico, ortopedico e molto altro. Tuttavia ben presto fu chiaro che il “Divina Provvidenza” poteva avere una funzione molto più ampia perché la città di Marituba si stava sviluppando a grande velocità.
Nel video in fondo è raccontata la storia dell’ospedale (in lingua portoghese).
L’ospedale oggi
Oggi l’ospedale è punto di riferimento per l’assistenza agli abitanti di circa 30 municipi della grande Belem, con un bacino di un milione e mezzo di persone. La struttura si sviluppa su sei edifici per un totale di quasi 80mila metri quadri. L’ospedale è costituito principalmente dai quattro reparti di Medicina, Ginecologia e Ostetricia, Chirurgia generale e Pediatria. Vengono erogate anche prestazioni specialistiche in molti altri ambiti, come Nefrologia, Neurologia, Ortopedia e Traumatologia, Pneumologia.
L’HDP, ha una capacità di 137 posti letto e fa parte del “Sistema Único de Saúde” brasiliano, l’equivalente in Italia del Servizio Sanitario Nazionale. Dal 2002 il Ministero della Salute gli ha assegnato il titolo di “Ospedale Amico del Bambino”, per il forte impegno del servizio pediatrico a promuovere e praticare l’allattamento al seno. Nel 2021 ha erogato 230.016 prestazioni sanitarie con 8.613 ricoveri. I collaboratori dell’ospedale nel 2021 erano 564. Inoltre l’ospedale si trova al centro di una rete sanitaria che comprende altre attività gestite dai Poveri Servi della Divina Provvidenza in città. Ci sono infatti l’abrigo Joao Paulo II, dove risiedono i lebbrosi più anziani, il Centro Dermatologico Marcello Candia, due centri di salute e una casa che ospita giovani con grave disabilità congenita. Durante le ondate della pandemia Covid l’ospedale è stato impegnato in prima linea, prendendosi cura di 250 pazienti nel biennio 2020-21.
La collaborazione con l’IRCCS di Negrar
Da molti anni il “Divina Provvidenza” ha un legame molto stretto con l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar grazie a vari progetti di collaborazione e all’impegno di tanti volontari che da Negrar si sono recati a Marituba per portare il loro contributo di professionalità (al 25° era presente il dr. Claudio Bianconi, vera e propria anima di questi scambi tar Negrar e Marituba insieme al dr. Carlo Pomari e tanti altri). Legame rafforzato negli ultimi anni dalla creazione del Sistema Calabriano di Sanità che favorisce il coordinamento tra i quattro ospedali dell’Opera Don Calabria nel mondo (oltre a Negrar e Marituba ci sono i nosocomi di Manila e Luanda).
Tra le collaborazioni attualmente in atto va ricordato in particolare il progetto per la creazione di un Centro di Ricerca Clinica a Marituba che sarà luogo di studio privilegiato sulle malattie infettive e tropicali, settore per il quale il Sacro Cuore è istituto di ricovero e cura a carattere scientifico.
Ai festeggiamenti per il 25° dell’ospedale Divina Provvidenza erano presenti anche le associazioni che maggiormente hanno contribuito in questo tempo allo sviluppo della realtà di Marituba. Tra esse Don Calabria Missioni, gli Amici di monsignor Pirovano, la Fondazione Marcello Candia, la Fondazione Montserrat, il Comitato Amici di San Giovanni Calabria.
Non solo West Nile: le altre arbovirosi "sotto sorveglianza"
Il West Nile è solo uno dei virus che appartiene alla grande famiglia delle arbovirosi, cioè virus trasmessi da artropodi: zanzare, zecche, pappataci… E’ endemico, come sono endemiche la TBE e la malattia di Lyme causate dalle zecche infette. Ma sotto sorveglianza ci sono anche le patologie di importazione Dengue, Zika e Chikungunya (provocate dalle zanzare) e i meno noti Toscana Virus e Usutu
Il virus West Nile fa parte della grande famiglia delle arbovirosi, cioè virus trasmessi da artropodi: zanzare, zecche, pappataci…
Il West Nile Virus è endemico in Italia, come sono endemiche la TBE (ma solo in determinate zone del Trentino Alto-Adige, Veneto e del Friuli Venezia Giulia, con segnalazioni sporadiche in Emilia-Romagna, Toscana e Lazio), e la malattia di Lyme(Friuli Venezia Giulia, Liguria, Veneto, Emilia Romagna, Trentino Alto Adige, Provincia autonoma di Trento mentre nelle Regioni centro meridionali e nelle isole le segnalazioni sono sporadiche): queste ultime sono trasmesse dal morso di zecca.
Sono invece malattia da importazione altre arbovirosi come la Dengue, l’infezione da virus Zika e la Chikungunya. Il rischio che queste patologie possano diffondersi in Europa è dovuto al fatto che sono accomunate dallo stesso vettore di trasmissione, la zanzara Aedes Albopictus, detta volgarmente tigre, presente anche in Italia e attiva principalmente di giorno. A differenza di quanto accade per la West Nile, in questi casi la zanzara è un veicolo di infezione da uomo a uomo. Per questo sono stati messi a punto in Italia sistemi di sorveglianza a livello regionale: in Veneto l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria è responsabile per la parte clinica.
Il sistema prevede che nel caso di diagnosi di Dengue, di infezione da virus Zika o di Chikungunya in viaggiatori provenienti da zone endemiche, sia attivata la disinfestazione delle zanzare per un raggio di 200 metri dall’abitazione del paziente per eliminare le condizione di contagio.
Nel 2020 provincia di Vicenza è stata registrata un’epidemia autoctona di Dengue , invece per quanto riguarda la Chikungunya si sono verificate due epidemie: una nel 2007 in Emilia Romagna e una seconda nel 2017 in alcuni comuni del Lazio e della Calabria.
Poiché per tutte e tre le infezioni non sono ancora a disposizione terapie specifiche e vaccini, l’unico sistema di prevenzione (come accade per il West Nile) è la lotta contro le zanzare. La disinfestazione periodica da parte delle istituzioni con la distribuzione alla popolazione di larvicidi è fondamentale. Come lo è altrettanto la collaborazione di singoli cittadini a non creare serbatoi di acqua stagnante che favoriscano la deposizione delle uova. Infine è importante proteggersi dalle punture di zanzare usando repellenti per il corpo e per l’ambiente.
Tra le arbovirosi meno note, ma sotto sorveglianza, ci sono anche il Toscana Virus e l’Usutu.
Il virus Toscana (TOSV) appartiene al genere Phlebovirus ed è presente nell’area del Mediterraneo. È trasmesso da flebotomi (Phlebotomus perfiliewi e Phlebotomus perniciosus) diffusi sul territorio nazionale e più comunemente conosciuti come pappataci. In Italia il TOSV è stato isolato per la prima volta nel 1971 ed è responsabile nella maggior parte dei casi di infezioni asintomatiche o caratterizzate da una sintomatologia simil-influenzale di lieve entità, tuttavia possono verificarsi forme neuro-invasive: principalmente meningiti e meningo-encefaliti. Come nel 2018 quando sono stati segnalati 76 casi autoctoni di infezione neuro-invasiva confermata da TOSV in Abruzzo, Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Piemonte e Toscana.
Il virus Usutu è un Flavivirus che infetta soprattutto uccelli e zanzare (principalmente Culex pipiens), la cui circolazione è documentata in numerosi Paesi europei e spesso avviene in concomitanza con il virus West-Nile. L’infezione nell’uomo è stata documentata sia in Africa che in Europa e decorre spesso in maniera paucisintomatica.
Il Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali confermato Centro collaboratore dell'OMS
Il Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali e Microbiologia è stato confermato Centro collaboratore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per la strongiloidosi e le altre malattie tropicali neglette (Neglected Tropical Disease – NDT). L’ufficializzazione è arrivata nei giorni scorsi con una lettera del direttore OMS Europa, Hans Henri P. Kluge, dopo le opportune verifiche a cui tutti i Centri sono sottoposti ogni quattro anni.
Il Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali e Microbiologia è stato confermato Centro collaboratore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per la strongiloidosi e le altre malattie tropicali neglette (Neglected Tropical Disease – NDT).
Si tratta di un’ulteriore conferma dopo quella del 2018, a quattro anni dalla disegnazione avvenuta nel 2014. L’ufficializzazione è arrivata nei giorni scorsi con una lettera del direttore OMS Europa, Hans Henri P. Kluge, dopo le opportune verifiche a cui tutti i Centri sono sottoposti ogni quattro anni.
Sono circa 700 i centri OMS nel mondo dislocati in 80 Paesi e impegnati in vari settori. L’Italia ne vanta 28 (secondo posto in Europa per numero di istituzioni) di cui nove per le malattie infettive e tropicali. “A ciascuno viene affidato un compito all’interno di una sorta di rete mondiale di sostegno al programma dell’Organizzazione”, spiega la dottoressa Dora Buonfrate, alla co-direzione del Centro assieme alla dottoressa Francesca Tamarozzi, nominata, quest’ultima, in sostituzione al prof. Zeno Bisoffi.
“Nel nostro piano di attività avanziamo delle proposte e rispondiamo a delle richieste specifiche fatte dal Dipartimento delle malattie tropicali neglette dell’OMS che si occupa dei programmi di controllo di queste patologie nei Paesi in cui sono endemiche. Queste attività spesso riguardano lo sviluppo di test diagnostici da impiegare ‘sul campo’ o studi sui farmaci”, sottolinea la dottoressa Buonfrate.
Grazie alla più alta casistica in Italia (negli ultimi dieci sono alcune centinaia i casi diagnosticati al “Sacro Cuore Don Calabria), quello di Negrar è l’unico Centro al mondo designato per lo studio della strongiloidosi, una patologia diffusa soprattutto nelle aree tropicali, ma presente anche nel nostro Paese, sebbene poco nota. Il Centro gestisce, sempre per conto dell’OMS, la Strongyloides Sharing Platform, una piattaforma informatica all’interno del sito web dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che riunisce i ricercatori di tutto il mondo interessati alla malattia parassitaria per lo scambio di informazioni e di dati e per azioni comuni di sensibilizzazione verso questa patologia.
“Anche grazie alla nostra proposta, l’OMS ha inserito nel 2019 la strongiloidosi tra le malattie tropicali neglette cioè trascurate dai piani di salute pubblica e anche dalla ricerca privata delle case farmaceutiche per la scarsa attrazione commerciale. E’ un traguardo importante che ha permesso di includere una malattia che colpisce oltre 600 milioni di persone al mondo nei programmi di controllo dei singoli Paesi”, afferma l’infettivologa.
Le NTD, secondo la definizione dell’OMS, sono patologie che “sebbene diverse dal punto di vista nosologico (possono infatti essere di origine virale, batterica, parassitaria…ndr), formano un gruppo unico in quanto tutte sono fortemente associate alla povertà, proliferano in ambienti con scarse risorse, specialmente in aree tropicali, tendono a coesistere e la maggior parte di esse sono malattie antiche che affliggono l’umanità da secoli”. Si stima che colpiscano oltre un miliardo di persone nel mondo e che siano causa di gravissime disabilità e di più di mezzo milione di morti all’anno. Sebbene abbiano origine nei Paesi in via di sviluppo, le malattie tropicali neglette rappresentano un rischio per le popolazioni dell’intero pianeta, in quanto l’esponenziale mobilità degli ultimi anni comporta lo spostamento insieme alle persone anche di merci e vettori (soprattutto zanzare), quest’ultimi favoriti dall’innalzamento delle temperature.
L’OMS elenca 20 NTD:
- ulcera del Buruli
- malattia di Chagas (tripanosomiasi americana)
- dengue
- dracunculosi (malattia del verme della Guinea)
- echinococcosi cistica ed alveolare
- trematodiasi alimentari
- tripanosomiasi africana umana (malattia del sonno)
- lesmaniosi
- lebbra (malattia di Hansen)
- filariosi linfatica
- micetoma, cromoblastomicosi e altre micosiprofonde
- oncocercosi (cecità fluviale)
- rabbia
- scabbia e altre ectoparassitosi
- schistosomiasi (Bilharzia)
- elmintiasi trasmesse dal suolo (include diverse infezioni sostenute da elminti, tra le quali la strongiloidosi)
- teniasi e cisticercosi
- tracoma
- framboesia (treponematosi endemiche)
- avvelenamento da morso di serpente
La roadmap dell’OMS 2021-2030 prevede tra i vari obiettivi la riduzione del 90% il numero di persone che necessitano di interventi contro le NTD, di diminuire del 75% gli anni di vita persi per disabilità (DALYs) causate dalle stesse NTD e che ne vengano eradicate almeno due nel mondo (dracunculiasi e framboesia)
Nominati i nuovi responsabili delle Delegazioni dell'Opera Don Calabria
Nei giorni scorsi il Casante don Massimiliano Parrella, insieme al Consiglio Generale, ha nominato i nuovi Delegati dei Poveri Servi della Divina Provvidenza che avranno la responsabilità di guidare la Congregazione nei vari territori dove essa è presente. Inoltre sono stati nominati i consiglieri che affiancheranno ogni Delegato.
La Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, tra le cui attività è compreso anche l’IRCCS “Sacro Cuore Don Calabria”, è presente in tredici Paesi e in tutti e cinque i continenti. Per governare una realtà così estesa e complessa, la Congregazione è strutturata con sei Delegazioni e una Missione, ognuna delle quali è guidata da un responsabile nominato dal Casante e affiancato da un “Consiglio di Delegazione”.
Il rinnovo degli incarichi nei vari territori avviene normalmente dopo il Capitolo Generale della Congregazione e anche quest’anno è stato così. Infatti dopo il XII Capitolo, svoltosi nel mese di maggio, è iniziata una fase di consultazione dei vari religiosi dell’Opera che hanno espresso il loro parere sui possibili nuovi Delegati e sui loro “consiglieri”.
Una volta terminata la consultazione, e sentito il parere del Consiglio Generale, il Casante don Massimiliano Parrella nei giorni scorsi ha quindi nominato i nuovi Delegati e in un secondo momento anche i Consigli delle Delegazioni. Ecco una panoramica delle varie nomine:
DELEGAZIONE EUROPEA SAN GIOVANNI CALABRIA (ITALIA, PORTOGALLO, ROMANIA)
Delegato: don Valdecir Tressoldi
Consiglieri: don Gustavo Lissa, don Miguel Tofful, fratel Olinto Bet, fratel Andrea Bennati
DELEGAZIONE NOSSA SENHORA APARECIDA (BRASILE)
Delegato: don Jaime Bernardi
Consiglieri: don Gustavo Bonassi, don Everton Rodriguez dos Santos, fratel Jacob Tonon, fratel Silvio da Silva
DELEGAZIONE MARIA INMACULADA (ARGENTINA, URUGUAY PARAGUAY, REPUBBLICA DOMINICANA)
Delegato: don Jorge Conti
Consiglieri: don Guillermo Puente, don Marcial Grageda, fratel Adolfo Benitez, fratel Josè Luis Ojeda
DELEGAZIONE ISH KRIPA (INDIA)
Delegato: don Manoj A. Ethirvelil
Consiglieri: don Antony Sebastian Veliyapalliyil, don Tijish Thomas Vadakkel, fratel Ravi Babu Bulla, fratel Biju A. Ethirvelil
DELEGAZIONE MARY MOTHER OF THE POOR (FILIPPINE, PAPUA NUOVA GUINEA)
Delegato: don Marvin Tadena
Consiglieri: don Mark Jonnel Magos, Melchizedek Palinawan De Lara, don Ronaldo Eborde, fratel Edison Visaya
DELEGAZIONE MAMA MUXIMA (ANGOLA)
Delegato: don Alberto Sissimo
Consiglieri: don Filipe Ulica, don Carlos Tavares, fratel Josè Rui, fratel Carlo Toninello
MISSIONE SAINT JOSEPH (KENYA)
Responsabile di Missione: don Aneesh Payyalayil
Consiglieri di Missione: don Felix Salvat, don Daniel Masin
Compito principale dei Delegati, come indicato nell’art. 170 delle Costituzioni dei Poveri Servi, “è quello di coordinare e di favorire la vita e la missione delle comunità religiose a lui affidate, richiamando la fedeltà allo spirito e al carisma proprio della Congregazione, promuovendo la comunione fraterna e il vero servizio ai poveri nella carità di Cristo”. Compito dei consigli è affiancare i Delegati nell’accompagnare la vita dei religiosi e la missione delle comunità.
Per maggiori informazioni è possibile cliccare sui seguenti link che rimandano al sito dell’Opera Don Calabria:
Vaiolo delle scimmie: cosa c'è da sapere sul virus e sul vaccino
Sono arrivate in Italia le prime dosi di vaccino contro il cosiddetto “vaiolo delle scimmie”: ecco per chi è indicata la somministrazione. Facciamo il punto su un virus i cui casi osservati al di fuori dell’Africa prima di questa epidemia sono sempre stati ricondotti ad una esposizione ad animali infetti avvenuta in uno dei Paesi africani dove il virus è endemico fra alcune specie infette
Lo scorso 5 agosto sono arrivate in Italia le prime dosi del vaccino contro il cosiddetto vaiolo delle scimmie (Monkeypox) a seguito della prima quota di donazione da parte della Commissione Europea. Le dosi sono state distribuite per ora alle regioni che hanno registrato il maggior numero dei casi (Lombardia, Lazio, Emilia Romagna e Veneto). Complessivamente i soggetti colpiti in tutto il Paese sono 545 (dati aggiornati al 5 agosto 2022)
Come recita la circolare del Ministero della Sanità, “al momento, la modalità di contagio e la velocità di diffusione, così come l’efficacia delle misure non farmacologiche fanno escludere la necessità di una campagna vaccinale di massa”. Pertanto “tenuto conto dell’attuale scenario epidemiologico e della limitata disponibilità di dosi” sono state individuate delle categorie a rischio a cui sottoporre alla vaccinazione. E sono:
- Personale di laboratorio con possibile esposizione diretta a orthopoxvirus (il virus del vaiolo)
- Persone gay, transgender, bisessuali e altri uomini che hanno rapporti sessuali con uomini con comportamenti ad alto rischio
Vademecum del vaiolo delle scimmie: risposte alle più comuni domande.
Cos’è il vaiolo delle scimmie?
Il virus che causa il vaiolo delle scimmie, il cosiddetto Monkeypox, è un orthopoxvirus appartenente alla famiglia dei poxvirus, ed è molto simile al virus del vaiolo, che dalla fine degli anni ‘70 non esiste più in natura perché questa malattia è stata completamente eradicata.
Conosciamo il virus Monkeypox dal 1957, quando fu osservata la prima scimmia infetta, ma la prima infezione riconosciuta nell’uomo risale al 1970. Nonostante il nome, il virus non è tipico delle scimmie, ma ha il suo habitat naturale fra gli animali silvestri, specie roditori, che abitano ambienti boschivi africani. Il virus può infettare l’uomo, se questo viene in stretto contatto con animali infetti, ma ha scarsa propensione a trasmettersi da uomo a uomo.
In alcuni Paesi africani (Nigeria, Repubblica Democratica del Congo) sono riportati centinaia di casi umani all’anno, tutti riconducibili a contatti con animali infetti.
Prima di questa epidemia che ha coinvolto anche l’Europa, i casi osservati al di fuori dell’Africa sono sempre stati ricondotti ad una esposizione ad animali infetti avvenuta in uno dei Paesi africani dove il virus è endemico fra gli animali selvatici.
Cosa ha determinato la diffusione interumana caratteristica dell’epidemia in corso?
La catena di infezioni che stiamo osservando in Europa e nel resto del mondo (25mila casi al 3 agosto 2022) si distacca totalmente dall’epidemiologia dell’infezione finora osservata. Infatti siamo di fronte per la prima volta ad una trasmissione interumana sostenuta. È possibile che il caso 0, tutt’ora sconosciuto, abbia acquisito l’infezione secondo i canoni classici, cioè tramite il contatto con un animale infetto in Africa, ma poi ha verosimilmente contagiato un altro essere umano, innescando la catena dei contagi fuori dai Paesi dove il vaiolo delle scimmie è endemico.
Finora sono state identificate almeno 2-3 circostanze alle quali si possono ricondurre la maggior parte dei casi osservati, in particolare due rave party alle Canarie e in Belgio, ed una spa in Madrid. Sono tutti eventi che hanno visto una folta partecipazione internazionale di persone giovani; ad esempio, l’evento delle Canarie ha richiamato circa 80.000 partecipanti.
Il vaiolo delle scimmie è stato dichiarato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale: è allarme?
No. L’OMS ha voluto puntare l’attenzione, sollecitando la sorveglianza nei Paesi dove non è già presente, su un virus che finora si era manifestato fuori dalle aree endemiche solo con casi sporadici e di importazione
Come si trasmette il Monkeypox?
Il Monkeypox non si trasmette facilmente da uomo a uomo, occorrono contatti stretti, come l’esposizione a lesioni, a fluidi infetti, a oggetti e biancheria contaminata, a aerosol respiratorio nelle fasi prodromiche. Fra i contatti stretti a più alto rischio vi sono, naturalmente, i rapporti sessuali con persone infette.
Quali sono i sintomi?
Il sintomo più caratteristico è costituito da lesioni cutanee. Queste nell’arco di tempo di due-quattro settimane evolvono in pustole, sviluppano la crosta che infine cade. In genere le lesioni sono accompagnate da febbre, malessere generale, dolori muscolari e linfonodi ingrossati.
Finora la maggior parte dei casi ha avuto sintomi lievi con un decorso benigno. Tuttavia, il vaiolo delle scimmie può causare una malattia più grave nelle persone fragili o con compromissione immunitaria.
Poiché la presentazione clinica del “vaiolo delle scimmie” è simile quella di altre infezioni è fondamentale distinguerla dall’eruzione cutanea con cui si manifestano, per esempio, l’herpes simplex, la varicella zoster e l’impetigine batterica.
Come avviene la diagnosi di laboratorio?
E’ necessario un test di biologia molecolare (PCR real time) che ha lo scopo di individuare il genoma del virus sul campione organico prelevato (in genere la secrezione delle pustole). Il passo successivo è il sequenziamento degli acidi nucleici del genoma, per determinare se si tratta di “vaiolo delle scimmie” o di un’altra specie di Orthopoxvirus. Il sequenziamento permette di stabilirne anche il ceppo: quello originario dell’Africa Occidentale e quello Congo. I casi europei appartengono tutti al primo ceppo che dà forme non gravi per l’uomo.
Quali sono le regole da osservare per chi risulta contagiato?
Occorre innanzitutto avvisare il medico curante, che provvederà ad instradare il paziente verso la diagnosi e, se necessario, al ricovero in strutture dedicate alle malattie infettive. In caso di condizioni discrete, il paziente deve rispettare l’isolamento a casa propria, fino alla scomparsa dei sintomi, evitare contatti ravvicinati con altre persone e soprattutto con persone fragili. I soggetti che sospettano di aver contratto questa infezione non devono donare sangue, cellule, tessuti, organi, latte materno o sperma. I contatti stretti devono misurare la febbre due volte al giorno per intercettare i sintomi precoci, e stare sotto stretta sorveglianza.
Il vaccino: cosa disponiamo?
Fra gli anni ‘60 e ‘70 una campagna vaccinale estremamente capillare, insieme ad uno sforzo globale per raggiungere i più remoti siti anche nei Paesi non sviluppati, l’isolamento dei contatti e la somministrazione del vaccino ad anello intorno ai casi identificati, ha consentito di raggiungere l’unica eradicazione di agente virale finora ottenuta, quella del vaiolo.
Il vaccino utilizzato era composto dal virus del vaiolo bovino (Vaccinia virus) vivo. Dopo i risultati straordinari ottenuti, il vaccino non è stato più utilizzato se non in casi molto particolari, perché i rischi connessi con l’inoculazione de Vaccinia virus vivo non erano più ripagati dai benefici delle infezioni evitate. La vaccinazione antivaiolosa è stata abolita in Italia nel 1981.
Oggi sono disponibili due vaccini contro il vaiolo, con un profilo di sicurezza molto migliorato. In particolare è arrivato in Italia il vaccino denominato Jynneos (anche noto come Imvamune oppure Imvanex). Esso si basa su un virus attenuato, incapace di replicarsi, ma in grado di innescare una efficace risposta immune contro gli Orthopoxvirus. L’approvazione originaria del Jynneos contro il vaiolo, è stata recentemente estesa in Europa anche per il vaiolo delle scimmie, con procedura di urgenza.
Esistono terapie farmacologiche?
Abbiamo a disposizione alcuni farmaci come il Cidofovir, e altri di nuova generazione, quali Brincidofovir e Tecovirimat (Quest’ultimo è stato approvato in Europa a gennaio 2022.
Le generazioni che sono state sottoposte al vaccino contro il vaiolo, sono protette anche da Monkeypox?
La protezione conferita da infezione o vaccinazione con Orthopoxvirus è generalmente crossreattiva, protegge quindi anche dalle infezioni provocate da virus della stessa famiglia. A scoprirlo alla fine del 1700 fu Edward Jenner, osservando che i mungitori colpiti dal vaiolo delle mucche non si ammalavano del virus umano. La prima profilassi della storia contro un agente patogeno venne chiamata vaccino proprio perché conteneva Orthopoxvirus bovino
L’organizzazione Mondiale della Sanità stima che il vecchio vaccino contro il vaiolo conferisca una protezione dell’85% contro monkeypox, quindi possiamo assumere che la popolazione over 50, che ha ricevuto il vaccino nell’infanzia, e che rappresenta circa il 40% della nostra popolazione, sia protetta.
(Ha collaborato la dottoressa Maria Rosa Capobianchi, consulente per la ricerca dell’IRCCS di Negrar)
Aperte le pre-iscrizioni al Corso per Operatori Socio Sanitari
Il corso per diventare OSS dura mille ore, di cui oltre la metà di tirocinio, e prevede di formare figure professionali che possono lavorare in diverse strutture e con diverse tipologie di utenti. L’organizzazione è a cura di Medialabor, che fa parte del Centro Polifunzionale Don Calabria di Verona ed è provider accreditato dalla Regione Veneto, in collaborazione con l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria
Quella dell’Operatore Socio Sanitario è una figura di supporto molto importante che può lavorare vicino a varie tipologie di soggetti fragili, dagli ammalati agli anziani, dai bambini ai disabili. Per questo è importante che coloro che intraprendono questa professione ricevano da subito una adeguata formazione multidisciplinare con la possibilità di sperimentarsi sul campo. Ed è proprio la formazione di nuovi OSS l’obiettivo del corso promosso da Medialabor, provider accreditato dalla Regione Veneto, in collaborazione con l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria.
Il corso dura mille ore di cui 520 di tirocini che verranno svolti presso le varie realtà sanitarie e socio-sanitarie della Cittadella della Carità di Negrar. Le pre-iscrizioni sono aperte e una volta raggiunto il numero sufficiente si procederà ad una selezione dei partecipanti prima dell’inizio del corso vero e proprio.
Per informazioni e pre-iscrizioni:
- Tel. 045.8184.950 (Medialabor, da lunedì a venerdì dalle 9 alle 13)
- Sito: www.formazionedoncalabria.it/CorsiAbilitanti.aspx
LOCANDINA DEL CORSO (cliccare per ingrandire)
Ritorna il corso di Travel Medicine: il viaggiatore "sentinella" dei virus che si spostano nel mondo
Il corso ritorna in presenza dal 3 al 7 ottobre all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Al centro il viaggiatore come sentinella dei virus che si spostano nel mondo e quindi fondamentale per impedire la diffusione di malattie non endemiche, che per questo devono essere conosciute dagli operatori sanitari ai quali egli si rivolge nel caso di sintomi post-viaggio.
Il Covid-19 non è stato ancora sconfitto, ma grazie ai vaccini questa estate ha segnato un ritorno alla “normalità”, che significa anche ripresa dei viaggiatori all’estero. Lo testimonia l’affluenza all’ambulatorio di Medicina dei viaggi dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria, ritornata ai numeri pre-pandemia, con una media di circa 20-25 viaggiatori ogni seduta che si rivolgono al medico per avere una consulenza prima di partire.
“In genere il viaggiatore che si reca in lidi lontani viene identificato come il fortunato benestante che ha il tempo di riservarsi questo svago. Nulla di più sbagliato”, sottolinea il dottor Andrea Rossanese, medico esperto in ‘Travel Medicine’ del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali. Infatti il viaggiatore non sempre è il turista, ma è anche colui che deve spostarsi per lavoro, il missionario, il cooperante o il migrante. Inoltre le varie tipologie di viaggio oggi consentono ad un’ampia fetta di popolazione di dedicarsi al turismo oltreoceano.
IL VIAGGIATORE SENTINELLA DEI VIRUS CHE SI SPOSTANO NEL MONDO
“Ma non solo – riprende il medico – il viaggiatore è prezioso in quanto ‘sentinella’ delle infezioni che si spostano nel mondo insieme alle persone. Oggi, con i mezzi di cui disponiamo, in 24-36 ore possiamo recarci in altri continenti e ritornare nel nostro Paese da qualsiasi altra parte del mondo. Il tempo sufficiente per incubare la maggior parte delle malattie cosiddette d’importazione che poi si manifestano a casa. Per questo è importante che i medici dei Pronto Soccorso, quelli di medicina generale e i pediatri di libera scelta familiarizzino con queste patologie. Solo così possiamo curare nel migliore modo possibile le persone colpite e arginare la diffusione anche da noi di malattie non endemiche”.
COME CI HA INSEGNATO IL COVID
Covid docet. La capacità di trasmissione del virus Sars-CoV-2 da parte di un paziente asintomatico o pre-asintomatico,ì è stata descritta per la prima volta nel gennaio del 2020 dal team dell’Università di Monaco. I ricercatori, coordinati da Camilla Rothe, hanno ricostruito la storia di un cittadino tedesco che aveva contratto il virus da una donna di Shanghai in viaggio di lavoro nella capitale della Baviera, ma priva di sintomi. “Questo è un chiaro esempio di come l’osservazione di un viaggiatore possa determinare la gestione di un’intera pandemia, in questo caso con l’isolamento anche degli asintomatici perché fonti di contagio”
RITORNA IN PRESENZA IL CORSO DI MEDICINA DEI VIAGGIATORI
Diffondere la coscenza sulle principali malattie d’importazione è un obiettivo che da 15 anni si pone il Corso di Medicina dei viaggiatori in programma quest’anno dal 3 al 7 ottobre all’Ospedale di Negrar in collaborazione con il Programma regionale viaggiatori internazionali (per il programma e le iscrizioni clicca qui). “Dopo due anni di pausa forzata a causa della pandemia, ritorniamo in presenza con un momento di formazione utile non solo ai tropicalisti, ma anche a tutti gli operatori sanitari a cui si rivolgono in genere i viaggiatori colpiti da determinati sintomi una volta tornati a casa – sottolinea il medico -. Saper associare una febbre, per esempio, all’area interessata dal viaggio, e quindi a una patologia ben precisa, consente di formulare un’ipotesi diagnostica che non solo incide sulla salute del paziente, ma anche della comunità che lo circonda”
IL CORSO: PRE E POST VIAGGIO, CON UN FOCUS SU ARBOVIROSI (WEST NILE…) E VAIOLO DELLE SCIMMIE
Il corso vedrà come docenti, oltre al dottor Rossanese, medici infettivologi – tra cui il dottor Federico Gobbi, direttore delle Malattie Infettive e Tropicali di Negrar – e specialisti in igiene e sanità pubblica. “Il programma è diviso in tre parti: il pre-viaggio; approfondimento su malaria, arbovirosi (West Nile, Dengue, Zika, Chikungunya…) e malattie emergenti (vaiolo delle scimmie); e infine il post-viaggio.
IN FUTURO UN APP PER IL VIAGGIATORE IN… VIAGGIO
“Dal punto di vista del servizio all’utente – riprende Rossanese – il nostro Ambulatorio si occupa della consulenza prima della partenza con le relative vaccinazioni, se necessarie, ed è un punto di riferimento per eventuali problemi di salute che si presentano al rientro. Per il ‘viaggiatore in viaggio’ abbiamo dei progetti che potrebbero concretizzarsi con un semplice numero di telefono o indirizzo mail a cui rivolgersi in caso di necessità oppure con un’APP, sull’esempio di quanto già fanno i nostri colleghi catalani o svizzeri. In Paesi poco organizzati da punto di vista sanitario è davvero prezioso avere una ‘guida’ a cui chiedere indicazioni su quali farmaci prendere o come comportarsi in caso di febbre o altri sintomi”.
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