Retina artificiale liquida: efficace anche per la retinite pigmentosa avanzata

Il team tutto made in Italy, di cui fa parte anche la dottoressa Grazia Pertile, ha pubblicato gli ottimi risultati ottenuti sui modelli di laboratorio: un ulteriore passo avanti verso la sperimentazioen sull’uomo anche nel caso di retinite pigmentosa, una malattia genetica che può portare alla cecità. 

L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, l’Istituto Italiano di Tecnologia di Milano e l’Ospedale Policlinico San Martino di Genova hanno testato con successo il prototipo di retina liquida negli stadi avanzati di retinite pigmentosa in cui attualmente è consentito l’intervento chirurgico di protesi retinica.

Il buon esito della sperimentazione, pubblicato su Nature Communications, rappresenta un ulteriore avvicinamento alla fattibilità di futuri studi clinici sull’uomo.

 Il gruppo formato da ricercatori e ricercatrici del Center for Synaptic Neuroscience and Technology dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova diretto dal prof. Fabio Benfenati presso l’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova e del Center for Nano Science and Technology dell’IIT di Milano, diretto dal prof. Guglielmo Lanzani, in collaborazione con la Clinica Oculistica dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, diretta dalla dott.ssa Grazia Pertile, ha dimostrato l’efficacia del modello di retina artificiale liquida presentato dallo stesso team nel 2020 (Nature Nanotechnology 2020, https://opentalk.iit.it/sviluppato-il-primo-modello-sperimentale-di-protesi-liquida-di-retina/) anche negli stadi più avanzati e irreversibili della degenerazione retinica dovuta alla retinite pigmentosa, patologia genetica che può portare alla cecità.

Poiché è proprio nella fase avanzata che i pazienti affetti da questa malattia –  oltre 5  milioni nel mondovengono sottoposti ad interventi di chirurgia protesica, questo risultato getta solide basi per i passaggi successivi mirati a condurre i primi test sugli esseri umani, stimati intorno al 2025-2026.

La retina liquida è un modello di retina artificiale di “seconda generazione”, biocompatibile, ad alta risoluzione ed è costituita da una componente acquosa in cui sono sospese nanoparticelle polimeriche fotoattive realizzate ad hoc nei laboratori IIT, delle dimensioni di circa 1/100 del diametro di un capello, che prendono il posto dei fotorecettori danneggiati. Rispetto ad altri approcci già esistenti, la nuova natura liquida della protesi assicura interventi più brevi e meno traumatici che consistono in microinieizioni delle nanoparticelle direttamente sotto la retina, dove queste restano intrappolate prendendo il posto dei fotorecettori degenerati, oltre a una maggior efficacia.

Lo studio, soprannominato Nanosparks, letteralmente “nanoscintille”, ha potuto contare sul supporto della Fondazione 13 Marzo, Fondazione Cariplo e di finanziamenti europei come Marie Curie Training Network e EuroNanoMed3.

I test di tipo preclinico sono stati condotti su modelli sperimentali riportanti pari condizioni dell’essere umano nelle fasi più avanzate della retinite pigmentosa, condizioni più critiche rispetto agli stadi in cui erano stati effettuati dallo stesso team gli studi negli anni passati. In questi casi, la retina oltre ad essere completamente priva di fotorecettori presenta anche significative alterazioni dei neuroni che convogliano il segnale al nervo ottico.

Nei modelli preclinici sperimentali la parte del cervello addetta alla visione (corteccia visiva) è completamente silente, mentre in seguito all’iniezione delle nanoparticelle polimeriche fotoattive “made in Italy” si registrano nuovi segnali fisiologici, la corteccia visiva si riattiva, riacquisisce acuità e tornano a formarsi memorie visive. Questi risultati dimostrano che l’approccio basato sulla retina artificiale di “seconda generazione”, biocompatibile e ad alta risoluzione, è vincente.

Lo sviluppo del concetto di retina artificiale liquida è affidato a Novavido s.r.l.  la startup nata nel 2021, che si occupa di implementare e standardizzare la produzione delle nanoparticelle per avvicinarsi ai primi test su pazienti di retinite pigmentosa.

Avere dimostrato – afferma la dott.ssa Pertile – che le nanoparticelle fotovoltaiche rimangono efficaci in stadi di avanzata degenerazione della retina non solo completamente priva di fotorecettori, ma anche “destrutturata” a causa delle profonde modificazioni dei circuiti retinici residui, uno scenario che mima fedelmente la situazione dei pazienti candidati a un intervento di protesi retinica, apre la porta all’applicazione di questa strategia alle patologie umane”.

“Il nostro recente studio – afferma Simona Francia, ricercatrice IIT nel gruppo del prof. Benfenati e prima autrice del lavoro – è un’ulteriore importante tappa verso la terapia di patologie come la Retinite pigmentosa e la degenerazione maculare legata all’età. Non solo queste nanoparticelle si distribuiscono ad ampie aree retiniche permettendo di guadagnare un ampio campo visivo, ma in virtù delle loro piccole dimensioni sono in grado di assicurare un recupero dell’acuità visiva”.

“Le nanoparticelle polimeriche – conclude Guglielmo Lanzani, Direttore del centro IIT di Milano – 250 volte più piccole dello spessore di un capello agiscono come microcelle fotovoltaiche, convertendo la luce in un segnale elettrico e non determinano nessuna reazione negativa nel tessuto essendo costituite da polimeri del carbonio, come le nostre proteine e i nostri acidi nucleici. L’avere ridotto la protesi retinica a una sospensione di nanoparticelle, riduce l’intervento di impianto della protesi a una semplice iniezione molto meno invasiva”.

NEL VIDEO QUI SOTTO LA DOTTORESSA PERTILE OSPITE DELLA TRASMISSIONE NEWTON DI RAI STORIA


Il radioterapista oncologo Rosario Mazzola riceve il premio "Young Investigator Award 2022"

E’ un prestigioso riconoscimento per la ricerca scientifica nel campo della radiochirurgia e radioterapia stereotassica quello consegnato al dr. Mazzola, in forza al Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata diretto dal prof. Filippo Alongi, a Milano durante il 15° Congresso Internazionale di Radiochirurgia

Il dott. Rosario Mazzola, radioterapista oncologo del Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata, diretto dal professor Filippo Alongi, è stato insignito del riconoscimento “Young Investigator Award 2022” per i contributi scientifici nel campo della Radiochirurgia e Radioterapia stereotassica per la cura delle patologie oncologiche.

Il premio rientra nell’ambito del 15^ Congresso Internazionale di Radiochirurgia, che si è tenuto a Milano dal 19 al 23 giugno con la presenza di radio-oncologi, neurochirurghi, fisici sanitari e radiobiologi di rinomata fama internazionale provenienti da tutti i continenti.

Da tempo il Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria rappresenta un punto di riferimento nazionale ed internazionale in questo ambito clinico. Tale riconoscimento rimarca, ancora una volta, il livello delle eccellenze professionali e tecnologiche che l’ospedale di Negrar valorizza al servizio dei propri pazienti.

Nella foto: il momento della premiazione del dottor Mazzola (al centro); a destra la dottoressa Laura Fariselli, direttore della Radioterapia dell’Istituto Carlo Besta di Milano e presidente del Congresso, a sinistra il professor Marc Levivier, ordinario di Neurochirurgia presso l’Università di Losanna e vicepresidente del Congresso.


Covid 19: cosa contraddistingue questa ondata estiva

Cos’è una variante di un virus? Perché si impone? Cosa è dovuta l’alta contagiosit? Gli attuali vaccini ci proteggono ancora? La virologa Concetta Castilletti fa il punto sulla nuova ondata di contagi che caratterizza questa estate.

dr.ssa Concetta Castilletti

Facciamo il punto sulla nuova ondata di contagi Covid -19 con la dottoressa Concetta Castilletti, responsabile dell’Unità Operativa di Virologia dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria

Questa ondata estiva è caratterizzata dalla sottovariante Omicron BA.5. Che cos’è una variante e una sottovariante del virus?

Tutti i virus, così come tutti gli esseri viventi, si moltiplicano per sopravvivere. Ma la natura non è perfetta e così, in questo processo di replicazione all’interno delle cellule, il virus può “mutare”; possono cioè verificarsi errori casuali nel processo di “copiatura” del genoma virale, e le nuove copie di RNA possono contenere variazione rispetto al genoma originario. La maggior parte delle mutazioni non ha un impatto significativo sulla diffusione del virus, ma alcune mutazioni o combinazioni di mutazioni possono fornire al virus un vantaggio evolutivo, come una maggiore trasmissibilità o la capacità di eludere la risposta immunitaria dell’ospite, che nel caso del Sars Cov2 è l’uomo. Darwin ci ha insegnato che il più forte, quello che si adatta meglio all’ambiente, sopravvive. Se quindi una mutazione del genoma, generatasi casualmente, permette a questo “nuovo” virus (variante) di riprodursi con maggiore efficienza e rapidità e/o di adattarsi meglio all’ambiente nel quale si trova, può diventare dominante e soppiantare il ceppo originario o altre varianti meno efficienti dal punto di vista evolutivo. Sempre per quanto il SARS-CoV-2 le variazioni avvengono a livello di mutazioni della proteina Spike, presente sull’involucro esterno. Una sottovariante è un virus che rispetto alla variante originaria ha subito qualche altra mutazione non tale da differire completamente.

Perché le varianti sono sempre più contagiose delle precedenti? Avviene per ogni virus o il SARS-Cov-2 fa eccezione? E perché sempre per il SARS-CoV-2 la maggiore contagiosità corrisponde a una minore pericolosità?

Le varianti che “vincono” sono quelle le cui nuove mutazioni sono più convenienti per il virus soprattutto in termini di capacità di diffusione e quindi di maggiore contagiosità. Tuttavia maggiore contagiosità non sempre si associa a minore pericolosità, per questo motivo bisogna mantenere elevato il livello di attenzione e monitorare l’andamento dell’evoluzione del virus.

 Eravamo convinti che il caldo fosse una condizione climatica sfavorevole per il virus, invece…

Non è soltanto il caldo a sfavorire la diffusione di un virus che si propaga per via aerea, ma anche il fatto che con l’estate stiamo molto meno in ambienti chiusi e poco arieggiati. Purtroppo la vita all’aperto fa ben poco di fronte a una variante che ha un RT parti a 15-17 (maggiore anche rispetto a quello del morbillo) contro l’RT 2 del virus di Wuhan o il 7 del Delta. Significa che ogni persona contagiata ne contagia 15-17.

Sentiamo spesso la frase: ho fatto tre dosi, ho preso il Covid e sono stato/a pure male. I vaccini hanno fallito?

Le sperimentazioni che hanno portato all’immissione in commercio dei vaccini, avevano dimostrato la loro efficacia nel proteggere dalla malattia grave, non dall’infezione. Questo accade normalmente anche con i virus influenzali per i quali la maggior parte di noi non è vaccinata ma ha acquisito negli anni un’immunità naturale che ci protegge dalle forme influenzali gravi. Non per questo l’influenza stagionale non causa una sintomatologia che ti costringe a stare a casa con sintomi non lievi come raffreddore, mal di gola, cefalea, febbre anche alta, spesso accompagnata da dolori alle ossa e alle articolazioni. Il vaccino ci ha protetto e ci protegge dalle complicanze gravi del COVID-19, come le polmoniti bilaterali interstiziale, quelle che riempivano le terapie ed erano causa di decessi. Oggi non sono scomparse, ma sicuramente rare. Un dato è indiscutibile: in questi giorni il tasso di positività va oltre il 20%, ma gli ospedali non sono più in affanno come lo erano prima dei vaccini

Se il virus è così mutato rispetto al ceppo originario di Wuhan, i test diagnostici sono ancora efficaci?

Per evitare che i kit perdano efficacia si scelgono tratti del genoma del virus non soggetti a mutazione proprio perché mantengano affidabilità. Questo vale sia per i tamponi antigenici sia per i molecolari il cui livello di precisione è decisamente migliorato rispetto all’inizio della pandemia. Inoltre, di solito i test molecolari non si basano sulla ricerca di un solo gene, ma due o tre ed è molto difficile che in tutti i geni oggetto della ricerca siano presenti mutazioni che possono inficiare il risultato del test.
Infine, la sorveglianza sull’ è molto attiva e tutta la comunità scientifica internazionale è in contatto proprio per monitorare questo aspetto.

Se i vaccini sono stati realizzati su il ceppo originario di Wuhan perché è consigliabile ai fragili ed agli anziani effettuare già ora la quarta dose?

Il vaccino attuale, pur se basato sul ceppo originario, ci protegge dalle forme gravi perché la vaccinazione stimola una risposta specifica di tutto il nostro sistema immunitario. Il soggetto vaccinato produce, quindi, sia anticorpi specifici che cellule che riconoscono il virus e le cellule infette e contrastano la malattia. I soggetti fragili e gli anziani hanno spesso una capacità ridotta di rispondere alla vaccinazione, per tale motivo è consigliato effettuare un richiamo già da ora, soprattutto vista la velocità di diffusione di queste nuove sottovarianti cosi contagiose.

In autunno avremo i vaccini che proteggono anche dalle varianti o tale protezione arriverà solo dai vaccini universali?

Probabilmente i vaccini “bivalenti” che saranno disponibili in autunno saranno ancora più efficaci nel difenderci dalle varianti che conosciamo. È auspicabile lo sviluppo di un vaccino cosiddetto anti pancoronavirus che ci possa proteggere dalle forme gravi causate anche da “nuovi” betacoronavirus.

Servono ancora le mascherine?

Purtroppo non siamo ancora arrivati alla tanto desiderata fase di endemia, quindi in situazioni al chiuso e di assembramento indossare la mascherina è ancora un’abitudine da mantenere. Come il distanziamento e il lavaggio frequente delle mani.


Alla biologa Elena Pomari il premio "Positive Droplet Award” nell'ambito della lotta contro il Covid

La dottoressa Elena Pomari, che all’interno del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali è referente del Trasferimento Tecnologico, è stata premiata per l’attività di ricerca sui vantaggi della tecnica ddPCR rispetto alle tecniche di riferimento come la Real-Time PCR applicata nell’ambito del Sars-CoV2

La dottoressa Elena Pomari, biologa del Dipartimento di Malattie Infettive Tropicali e Microbiologia, è stata insignita del premio “Positive Droplet Award”, categoria “Fight Against SARS-CoV-2”, indetto dalla Biorad, la multinazionale con sede in California specializzata in biotecnologie sia in ambito diagnostico che di ricerca.

Il riconoscimento rientra nelle celebrazioni per i 10 anni dall’immissione sul mercato da parte della stessa Biorad del macchinario Droplet Digital PCR (ddPCR), che applica l’omonima tecnica di biologia molecolare.

La dottoressa Pomari, che all’interno del Dipartimento diretto dal professor Zeno Bisoffi è referente del Trasferimento Tecnologico, è stata premiata per l’attività di ricerca sui vantaggi della tecnica ddPCR rispetto alle tecniche di riferimento come la Real-Time PCR, familiare anche al grande pubblico in quanto viene impiegata per la diagnosi molecolare del SARS-CoV-2. In particolare proprio in riferimento al virus responsabile della COVID19, la biologa dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria è stata, insieme ai suoi colleghi, tra i primi a sviluppare un sistema di quantificazione della carica virale con la ddPCR direttamente sul tampone nasofaringeo senza dover effettuare il passaggio che precede la PCR e cioè quello di estrazione e purificazione dell’RNA virale, e quindi riducendo costi e tempi dell’analisi.

La giuria del Positive Droplet Award ha assegnato il premio alla dottoressa Pomari, classe 1983, sulla base del suo contributo nell’applicazione della ddPCR nella lotta contro il SARS-CoV-2 e delle pubblicazioni scientifiche presentate.

La tecnica di biologia molecolare Droplet Digital PCR ha l’obiettivo, come la Real-Time PCR, di cercare gli acidi nucleici di un patogeno (ad esempio un batterio o un virus) che ne individuano la presenza in un organismo – spiega la biologa –. Il nostro Dipartimento impiega questa metodica, e il relativo macchinario, da alcuni anni sui parassiti. In particolare stiamo indagando i vantaggi di questa tecnica sulla quantificazione, cioè sulla misurazione della quantità del plasmodium della malaria. Con l’avvento della pandemia, abbiamo applicato la ddPCR anche per la ricerca del SARS-CoV-2. Infatti, per quanto riguarda l’ambito della virologia, la ddPCR ha  mostrato già utili applicazioni per il virus dell’HIV, per il Citomegalovirus e per il virus dell’epatite B”.

Ma quali sono i vantaggi della Droplet Digital PCR rispetto alle tecniche tradizionali? “Sicuramente è una metodica che può risultare più sensibile– risponde -. Quando la carica virale è alta le due tecniche sono simili. Il vantaggio si presenta nel momento in cui, invece, la carica è bassa, cioè quando la quantità del genoma virale all’interno del materiale prelevato è minima. In questi casi la PCR classica può non risultare sufficiente alla rilevazione del patogeno, mentre con la ddPCR il rilevamento è immediato con notevoli vantaggi dal punto di vista diagnostico”.


Sacro Cuore: una mostra e una targa per celebrare il Centenario

La ricorrenza del Sacro Cuore di Gesù è una delle due Feste patronali dell’Ospedale di Negrar. Quest’anno è stata speciale perché celebrata nel Centenario della struttura ospedaliera (1922-2022). Per l’occasione è stata scoperta una targa commemorativa e inaugurata una mostra fotografica che racconta un secolo di vita del Sacro Cuore: da Ospizio per anziani a Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico

Una speciale ricorrenza del Sacro Cuore –  Festa patronale dell’Ospedale di Negrar – quella celebrata questa mattina all’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria. Il tradizionale appuntamento di inizio estate si è coniugato con le celebrazioni del Centenario della struttura ospedaliera della Valpolicella (1922-2022).

Le celebrazioni hanno visto lo scoprimento della targa commemorativa del Centenario e l’inaugurazione della mostra fotografica “100 anni Sacro Cuore Don Calabria-Immagini e voci di una grande storia”, realizzata dal fotografo Renzo Udali con l’Ufficio Stampa dell’Ospedale (Elena Zuppini e Matteo Cavejari).

La mostra (35 grandi pannelli fotografici) è allestita nel tunnel di collegamento al piano terra della palazzina d’ingresso. Ogni pannello è dotato di una formella che riporta un testo esplicativo e, alcune, un QRCODE, attraverso il quale è possibile vedere filmati storici e attuali. Le foto degli anni del secolo scorso provengono dall’Archivio Storico di San Zeno in Monte (Casa Madre dell’Opera Don Calabria) e da quello dell’Ospedale, mentre le immagini della storia più recente sono state realizzate da Udali, che ha effettuato la post-produzione dell’intero materiale fotografico. Il percorso racconta attraverso l’evoluzione strutturale e tecnologica dell’ospedale di Negrar, anche il progresso della scienza medica nell’ultimo secolo.

La mostra è visitabile liberamente da tutti coloro che si recano in ospedale per motivi sanitari.

Le celebrazioni si sono concluse con la messa nella chiesa di Negrar, presieduta da mons. Giuseppe Zenti, Vescovo di Verona. Un omaggio, quello dell’eucaristia in parrocchia, al parroco don Angelo Sempreboni, che nel 1922 realizzò il Ricovero Casa del Sacro Cuore, per dare una risposta ai bisogni degli anziani del paese. Il sacerdote originario di Fumane aveva realizzato anche una struttura che nelle sue intenzioni doveva diventare un ospedale.  Un sogno, questo, che prese nelle sue mani don Giovanni Calabria nel 1933, quando la Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, da lui fondata, assunse la proprietà di Casa del Sacro Cuore e degli edifici adiacenti, collocati nella zona dell’attuale Pronto Soccorso.

Oggi l’Ospedale è un Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico per le Malattie Infettive e Tropicali (IRCCS); è un ospedale Classificato ed Equiparato agli ospedali pubblici pur essendo di proprietà privata e Presidio Ospedaliero della Regione Veneto. Conta 549 posti letto a cui si aggiungono i 365 dell’aerea sociale, 30.661 ricoveri nel 2021 di cui il 23% provenienti da fuori regione, e oltre 22mila interventi chirurgici. I dipendenti sono 2.318 di cui 416 medici.

La targa commemorativa di marmo rosso Verona è collocata sulla facciata della chiesa dell’Ospedale Sacro Cuore, nei pressi della quale sorgeva il Ricovero Casa del Sacro Cuore e riporta la frase profetica scritta da San Giovanni Calabria in una lettera datata 17 agosto del 1948 a fratel Camillo Clementi: “L’Ospedale Sacro Cuore di Negrar, che nei disegni della Divina Provvidenza occupa uno dei posti più belli e che è destinato a svilupparsi sempre più e sempre meglio”.

“L’abbandono filiale alla Provvidenza realizza grandi cose, scriveva don Calabria nel 1953 parlando dell’Ospedale”, ha detto il presidente del “Sacro Cuore Don Calabria”, fr. Gedovar Nazzari, aprendo le celebrazioni. “Se ci guardiamo attorno, se pensiamo al lavoro svolto ogni giorno per il bene dei pazienti, ai tanti di loro che attraversano l’Italia per curarsi qui da noi: questo ospedale è una grande cosa. L’abbandono filiale alla Provvidenza e ai suoi disegni quindi prosegue ancora oggi. Prosegue nel lavoro di voi collaboratori, grazie alla vostra professionalità e umanità con cui mostrate, come voleva don Calabria, che “Iddio c’è e che da Padre buono pensa alle sue creature”.

“Cento anni fa qui sorgeva un ricovero per anziani, oggi un Istituto di Ricerca e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) – ha detto l’amministratore delegato Mario Piccinini -. Uno sviluppo strutturale e tecnologico enorme. Ma questo non sarebbe stato possibile senza gli operatori di ieri e di oggi, senza la loro competenza e la loro capacità professionale, unite a un grande cuore. In una struttura che oggi conta 2.300 persone è difficile conoscersi personalmente. Ma io posso dire che ci conosciamo tutti, perché conosciamo il nostro grande cuore”.

Prima dello scoprimento e della benedizione della targa commemorativa da parte di don Ivo Pasa, delegato dell’Opera Don Calabria per l’Europa, don Alfonso Bombieri  ha letto il messaggio augurale del nuovo Superiore generale dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, padre Massimiliano Parrella, eletto lo scorso 25 maggio e assente perché colpito da Covid: “Auspico a breve di poter celebrare con voi il traguardo e continuare a lodare la Provvidenza e tutti i suoi i collaboratori per le meraviglie che si manifestano anche in questo luogo provato dalla malattia e dalla sofferenza”.

Nell’introdurre la mostra il fotografo Renzo Udali ha sottolineato che “la storia non va dimenticata, ma documentata. A me è stato dato il privilegio di documentare la straordinaria e centenaria storia dell’Ospedale di Negrar. E’ stato un percorso entusiasmante di selezione, di restauro di immagini storiche e di realizzazione di nuove. Il risultato è un racconto su cui riflettere, lungo il quale le foto antiche descrivono l’ospedale di ieri mettendo in luce quello di oggi, un’eccellenza nazionale riconosciuta in tutta Italia”

Tra le fotografie più significative quella della sala operatoria dove nel 1944 è stato eseguito il primo intervento, il cui confronto con le sale operatorie di oggi (dotate di robot chirurgici) rappresenta non solo lo sviluppo che in un secolo ha avuto l’Ospedale di Negrar ma anche quello della scienza medico-chirurgica. Straordinari anche i documenti ritrovati, come la riproduzione del contratto di acquisto, datato 1933, della Casa del Sacro Cuore e degli edifici adiacenti da parte della Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza. A vendere la proprietà avuta in eredità dal fratello, la sorella del parroco di Negrar, Maria Sempreboni.


Allarme zecche: attenzione, ma niente panico

Dall’inizio della primavera si registra una presenza  di zecche superiore agli scorsi anni e quindi un numero maggiore di persone che si rivolgono al Pronto Soccorso perché morsi da questo aracnide. Non tutti i morsi di zecca tuttavia possono comportare un’infezione: la zecca per infettare deve essere infetta. Ma quando lo è si può subire non banali conseguenze. Ecco come prevenire i morsi e come agire nel caso in cui, invece, si incorre in questo spiacevole evento.

Non c’è passeggiata in montagna in cui non si senta qualcuno escalamare allarmato: ci sono le zecche! Questi poco simpatici “animaletti” (precisamente aracnidi ematofagi, come i ragni) hanno sempre abitato le zone boschive e rurali con impennate nei mesi primaverili, ma quest’anno  la stagione delle zecche sembra sia iniziata prima e sia caratterizzata da “un’invasione”. Colpa della siccità, del caldo anomalo, qualcuno dice del lockdown che ha favorito la discesa dalle montagne di animali selvatici, sta di fatto che un certo aumento di presenza delle zecche è in atto. Il Pronto Soccorso dell’IRCCS di Negrar, infatti, ha registrato un accesso per morso di zecca sia in gennaio, febbraio e marzo, per poi schiazzare a 11 accessi in aprile e s 23 a maggio.

Questo  non significa che ad ogni morso corrisponda un’infezione. La zecca per infettare deve essere a sua volta infetta, ma se lo è, può trasmettere patogeni responsabili di gravi patologie come la malattia di Lyme (trasmessa dal batterio Borrelia Burgdorferi, infatti viene chiamata anche Borreliosi) e il virus della TBE (Tick-borne Encephalitis) che causa l’encefalite da zecche. Le zecche portatrici di queste patologie sono soprattutto nel nord-est dell’Italia (Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Veneto).

Nella maggior parte dei casi la malattia di Lyme può essere trattata con successo attraverso la somministrazione di antibiotici per due settimane. Tuttavia se non viene riconosciuta e curata in rari casi la malattia può arrivare a colpire il cuore, le articolazioni e il sistema nervoso nei mesi e negli anni successivi. Per la TBE non è disponibile nessuna terapia e di solito si risolve da sola, ma nella fase avanzata può colpire il sistema nervoso, con sintomi simili a quelli della meningite. La mortalità è inferiore al 2%, ma il rischio di complicanze neurologiche permanenti (da lievi tremori agli arti fino alla paralisi) a lungo termine è del 20%. L’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria, insieme all’ospedale di Belluno, è centro accreditato della Regione Veneto per le malattie rare infettive, tra cui quelle trasmesse dalle zecche.

COME PROTEGGERSI DAL MORSO DI ZECCA

Bastano piccoli e semplici accorgimenti per fare in modo di non incorrere in un morso di zecca, di per sé non doloroso, perché la zecca libera delle sostanze anestetizzanti al fine di rimanere più a lungo attaccata e nutrirsi con la maggiore quantità di sangue.

Abbigliamento e repellenti

Le zecche prosperano nei terreni boschivi ombrosi e umidi, sulle radure e sui prati, sui campi aperti e sui cespugli. Pertanto se si visita una zona dove la presenza di zecche infette è endemica, è consigliabile adottare un abbigliamento protettivo (pantaloni lunghi, scarponi) su cui spruzzare repellenti specifici.

Vaccino, ma solo le la TBE

Per la TBE è in commercio un vaccino, ad oggi somministrato gratuitamente solo in Friuli Venezia Giulia, zona endemica della malattia, ma consigliabile a tutti coloro che frequentano spesso anche le aree montane e rurali del Trentino Alto Adige e del Veneto.

Controlli dopo la passeggiata

Proprio per la mancanza di dolore, è facile non accorgersi di essere stati morsi. Per questo dopo essere stati in aree dove potrebbe registrarsi la presenza di zecche è importante controllare attentamente la propria persona, eventuali bambin,i e gli indumenti. La zecca può variare come dimensioni (dipende se adulta, ninfa o larva) dalla testa di uno spillo alla grandezza di una gomma applicata dalla matita. Il morso ha solitamente l’aspetto di una piccola lentiggine in rilievo che non si riesce a staccare.

COSA FARE SE SI E’ STATI MORSI
Togliere la zecca

Non è necessario recarsi al Pronto Soccorso ma è fondamentale togliere immediatamente la zecca: esistono in commercio delle apposite pinzette a punta fine, ma ciò che è importante è tirare verso l’alto senza schiacciare o stringere il corpo della zecca, provocare torsioni o strattoni. Non si devono applicare unguenti o somministrare calore in quanto questo indurrebbe un riflesso di rigurgito del sangue succhiato, con un forte aumento di rischio di infezioni.

Disinfettare la ferita

Se all’interno della ferita rimane il rostro, cioè il “gancio” con cui la zecca si attacca, non è pericoloso perché l’eventuale infezione è nel corpo della zecca. Lavare la ferita con acqua calda e sapone e applicare un antisettico come alcol o iodio sull’area interessata.

Attenzione all’insorgenza di sintomi entro 30 giorni

Segnare sul calendario il giorno del morso e recarsi in un Centro di malattie infettive se nell’arco di 30 giorni sorgono sintomi come rash cutaneo rossastro attorno alla sede del morso, febbre, mal di testa, male alle ossa, difficoltà di movimento. Se si è stati in area tropicale dove sono molto diffuse numerose malattie dovute alle zecche infette da vari batteri riconducibili alla famiglia delle rickettsie e sorgono sintomi di vario tipo è fondamentale rivolgersi a Centri che curano anche le malattie tropicali.

Come escludere l’infezione

Non tutte le zecche risultano infette per cui nella maggior parte dei casi non compare alcun disturbo. L’assenza di infezione può essere definitivamente documentata effettuando una sierologia per Borrelia burgdorferi e per TBE virus dopo almeno 6-8 settimane dal morso. Un esame sierologico effettuato prematuramente potrebbe risultare erroneamente negativo in quanto gli anticorpi non hanno avuto ancora il tempo di formarsi.


Calcoli alla colecisti: quando è necessario asportarla chirurgicamente

Dr.ssa Irene Gentile

Nel video qui sotto, la dottoressa Irene Gentile, chirurgo della Chirurgia Generale diretta dal dottor Giacomo Ruffo, affronta il tema delle patologie della colecisti, comunemente chiamata cistifellea. 

La colecisti è una sorta di serbatorio delle vie biliani in cui viene raccolta, concentrata ed emulsionata la bile, prodotta dal fegato per la digestione degli alimenti più complessi. Quando la concentrazione della bile non è in equilibrio tra i suoi vari componenti si formano delle cristallizzazioni, i cosidetti calcoli. Una condizione molto diffusa: si stima che il 20% della popolazione se sottoposta a ecografia alla cistifelia presenta dei calcoli.

Questo tuttavia non significa che la presenza di un calcolo comporti il cattivo funzionamento della cistifelia e non tutte le cistifelie che presentano calcoli devono essere asportate. Per questo è necessario riferirsi a una specialista quando si manifestano sintomi (dolore, gonfiore dopo i pasti) che di lieve rilevanza


Screening gratuito per l'epatite C: è possibile fare il test anche al "Sacro Cuore"

La Regione Veneto promuove uno screening gratuito per la diagnosi dell’HCV, il virus responsabile dell’epatite C, ed è rivolto a tutte le persone nate dal 1969 al 1989. Il test (un semplice prelievo di sangue) può essere effettuato anche al “Sacro Cuore DOn Calabria” su prenotazione.  Ma cosa può comportare l’infezione da HCV? Lo spiega nell’intervista la dottoressa Sara Boninsegna, epatologa

Viene effettuato anche all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria lo screening per la diagnosi dell’HCV, il virus responsabile dell’epatite C, promosso dalla Regione Veneto. Si tratta di un semplice prelievo di sangue che è possibile prenotare direttamente sul sito www.sacrocuore.it, bottone “prelievo senza coda”. Non serve l’impegnativa ed è totalmente gratuito. In alternativa si può attendere di ricevere l’invito ad effettuare il test seguendo le indicazioni che verranno fornite dalla propria Ulss.

Lo screening è rivolto a tutte le persone nate tra il 1969 e il 1989 e ad alcune popolazioni come i detenuti e coloro che sono seguiti dai Servizi delle Dipendenze.

Sara Boninsegna, gastroenterologa IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar
Dr. Sara Boninsegna

“Lo screening ha un doppio obiettivo. Innanzitutto la diagnosi precoce per la cura dell’epatite C è fondamentale per prevenire  complicanze dell’infezione, quali la cirrosi e quindi, in molti casi, il tumore del fegato (epatocarcinoma) in popolazioni selezionate come coloro che sono seguiti dai Servizi delle Dipendenze e i detenuti. Inoltre la guarigione di tutti malati interrompe la catena dell’infezione, eradicando di fatto il virus. Questo è possibile grazie alla disponibilità di farmaci altamente efficaci”, spiega la dottoressa Sara Boninsegna, epatologa della Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva dell’IRCCS di Negrar. “Sottolineo anche – prosegue – che non non esiste memoria immunologica protettiva contro tutti i tipi di virus HCV, pertanto il test è consigliato anche per coloro che sono già stati infettati”.

Dottoressa Boninsegna, cos’è l’epatite C?

Si tratta di un’infezione del fegato provocata dal virus HCV: l’OMS stima che nel mondo vi siano 58 milioni di persone con malattia cronica, e ogni anno si registrano 1,5 milioni di nuove diagnosi. E’ una patologia subdola, perché in fase acuta non dà sintomi specifici, ma comuni ad altre patologie, come per esempio una forte stanchezza (astenia). Pertanto è raro che il paziente si rivolga al medico nella fase iniziale dell’infezione se non nel caso in cui esegue per altri motivi gli esami del sangue e risultino dei valori anomali delle transaminasi. Oppure nell’ambito di protocolli diagnostici per patologie immunosoppressive o reumatologiche per le quali è compreso anche il test per l’HCV.

Perché può trasformarsi in una patologia grave?

Se nel 20% dei casi l’infezione si risolve da sola, in ben l’80% cronicizza con il rischio di trasformarsi in cirrosi (20%) e quindi (nel 2-3% dei casi) in tumore del fegato. Quando la patologia è avanzata può portare anche a problemi renali o reumatologici, e diventare fattore di rischio per i linfomi. Più che l’infezione, sono pesanti per il paziente – e onerose per la Sanità pubblica –  le complicanze che comporta se la patologia non viene trattata.

Come si contrae l’infezione?

Tramite il contatto con sangue infetto. Prima degli anni ’80, quando l’HVC non era stato ancora scoperto, una delle maggiori fonti di infezione erano le trasfusioni. Alcuni anni fa vedevamo anche pazienti infettati dopo cure odontoiatriche o causa di tatuaggi, nel tempo in cui venivano effettuati in ambienti non idonei. Oggi diagnostichiamo l’HCV in persone che hanno un presente o un passato di tossicodipendenza, con l’assunzione di sostanze stupefacenti per vena. Invece è rara la trasmissione sessuale, a differenza dell’epatite B, per la quale  esiste il vaccino che non abbiamo invece per la C.

Come viene diagnosticato il virus HCV?

Con un semplice prelievo di sangue. Ma attenzione: se il test rileva l’anticorpo HCV non significa che sia in atto l’epatite C. Può anche essere che il soggetto sia venuto in contatto con il virus e abbia sviluppato gli anticorpi. La diagnosi definitiva viene fatta con la ricerca del genoma del virus, tramite indagine di biologia molecolare.

Quali sono le terapie?

La svolta nella cura dell’epatite C è arrivata nel 2014, anno che segna la disponibilità di farmaci in grado di debellare per sempre l’infezione. In precedenza usavamo l’interferone associato con la ribavirina. Molecole che erano poco tollerate dai pazienti a causa dei pesanti effetti collaterali e inoltre l’efficacia era solo del 70% per genotipi più sensibili e si fermava al 40% per quelli meno sensibili. Grazie alla ricerca, oggi possiamo usare degli antivirali diretti, in grado di inibire la replicazione del virus. Sono farmaci ben tollerati dal paziente. L’unico problema consiste nell’interazione con altri farmaci. Pertanto richiedono una certa attenzione nella prescrizione se il paziente assume altre terapie (per esempio per il colesterolo, per il reflusso o per l’epilessia…). La terapia prosegue al massimo per tre mesi e il farmaco viene distribuito dalle farmacie ospedaliere.

Tutti i pazienti hanno accesso ai farmaci?

Tutte le persone colpite dal virus possono accedere alla terapia. All’inizio gli antivirali a causa dell’alto costo erano prescritti solo ai pazienti con patologia avanzata. Con l’arrivo di più farmaci sul mercato (nel 2019) i costi per il Servizio Sanitario Nazionale si sono notevolmente abbassati dando la possibilità a tutti di curarsi.


Giornata mondiale dell'ortottista, una figura importante per la salute dei nostri occhi

Domani 6 giugno è la Giornata mondiale dell’ortottista, una figura che affianca l’oculista nella sua attività clinica, ma con competenze specifiche sia nell’ambito diagnostico che in quello riabilitativo. 

Il primo lunedì di giugno, dal 2013, si celebra la Giornata mondiale dell’ortottica per promuovere le attività degli ortottisti nel mondo.

L’ortottista assistente di oftalmologia è il professionista sanitario che opera nell’ambito della visione dall’età pediatrica fino all’età senile e “tratta i disturbi motori e sensoriali della visione ed effettua le tecniche di semeiologia strumentale-oftalmologica”.

All’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria gli ortottisti dell’Unità Operativa Complessa di Oculistica, diretta della dottoressa Grazia Pertile, sono 13: Samantha Arcoria, Fabrizio Arena,  Elisa Bellesini, Giovanni Chillemi, Fabio Di Cerbo, Gaia Giacomello, Loredana Mazza, Alessia Menegotti, Lisa Munaretto, Gloria Parrozzani, Eleonora Rocco, Alberto Saccomanno e Francesca Tamellini

La professione dell’ortottista è nata in Italia nel 1955 da un percorso universitario di laurea Triennale in “Ortottica ed assistenza oftalmologica” e appartiene all’area della riabilitazione. Con l’entrata in vigore della Legge Lorenzin è stato costituito un unico grande ordine professionale: la Federazione Nazionale dei TSRM e delle PSTRP (tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni Sanitarie Tecniche della Riabilitazione e della Prevenzione), che include 220mila professionisti sanitari afferenti a 19 diversi albi.

In Italia gli ortottisti assistenti di oftalmologia sono oltre 3000. Si tratta di una professione poco numerosa quindi spesso poco conosciuta, questo comporta che per esami, valutazioni e riabilitazione visiva numerose persone, bambini e adulti, non vi accedano o vi arrivino in ritardo.

I professionisti della visione in Italia sono molteplici: oculisti, ortottisti ed ottici.

Si tratta di professionisti con competenze e profili diversi ma complementari tra loro, che non sempre l’utenza riesce a definire e distinguere in maniera corretta. L’ortottista assistente di oftalmologia è il professionista sanitario che opera in autonomia e in stretta collaborazione con le figure mediche e con altri professionisti sanitari nella prevenzione, valutazione e riabilitazione dei disturbi motori e sensoriali della visione (ambliopia o occhio pigro, strabismo, diplopia, test di Hess Lancaster, applicazione prismatica etc..).

L’ortottista effettua le tecniche di semeiologia strumentale-oftalmologica (esame della rifrazione, campo visivo, OCT, angiografia retinica, pachimetria corneale, biomicroscopia endoteliale, topo/tomografia corneale, esami elettrofunzionali visivi, biometria, test della percezione dei colori, sensibilità al contrasto, test visivi per rinnovo patente o per invalidità etc.).

È il riabilitatore del paziente ipovedente, dei bambini con DSA che presentano alterazione delle abilità visive, dei pazienti con disordini visivi in sindromi neurologiche.

Analizza la qualità della visione nei luoghi di lavoro e tratta i disturbi astenopeici.

Assiste il chirurgo oftalmologo nelle sale operatorie di oculistica (strumentazione e ruolo di key operator).

Svolge attività di ricerca scientifica (raccolta di dati clinici e strumentali, data manager etc).

L’ortottista assistente di oftalmologia opera in strutture sanitarie pubbliche del Sistema Sanitario Nazionale, private accreditate e convenzionate, studi individuali e associati in regime di dipendenza o libero-professionale, centri-strutture di riabilitazione, in istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS). Svolge consulenza in ambito di qualità di visione presso Aziende, Associazioni e Società sportive.


Breve profilo del nuovo Casante, della Madre e dei loro Consigli

Domenica 29 maggio si sono conclusi i Capitoli Generali dei Poveri Servi e delle Povere Serve della Divina Provvidenza, durante i quali sono stati eletti il nuovo Casante, che è don Massimiliano Parrella, e la Madre Generale, che è la riconfermata Sor. Lucia Bressan. Inoltre sono stati eletti i nuovi Consigli Generali che li affiancheranno.

 

Si sono conclusi i XII Capitoli Generali dei Poveri Servi e delle Povere Serve della Divina Provvidenza, celebrati a Maguzzano per tutto il mese di maggio. Si tratta di un evento che accade ogni sei anni, durante il quale si riuniscono i rappresentanti delle due Congregazioni provenienti da tutte le parti del mondo.

Negli incontri assembleari i religiosi e le religiose di don Calabria si sono confrontati sulle sfide che attendono l’Opera calabriana nei prossimi anni, avviando un lavoro di rinnovamento all’insegna della comunione e della sinodalità tra Fratelli e Sorelle e con i Laici. Sul sito dell’Opera è possibile leggere il messaggio finale dei capitolari alla Famiglia Calabriana (vedi messaggio), mentre il documento finale del Capitolo che contiene gli obiettivi dei prossimi anni sarà divulgato tra pochi giorni.

Durante i Capitoli c’è stato anche il rinnovo delle cariche apicali delle Congregazioni. In particolare è stato eletto il nuovo Casante, ovvero il successore di don Calabria alla guida dell’Opera; e poi la nuova Madre delle Sorelle e i Consigli Generali.

Il nuovo Casante e il suo Consiglio

Il nuovo Casante è don Massimiliano Parrella, eletto dai 38 capitolari dei Poveri Servi nella mattina di mercoledì 25 maggio. Don Max, di 45 anni e di nazionalità italiana, diventa dunque il settimo successore di don Calabria, succedendo a don Miguel Tofful che era alla guida dell’Opera dal 2008. L’ultimo Casante italiano prima di don Parrella era stato don Pietro Cunegatti, il cui mandato era terminato 26 anni fa.
Nella visione originaria di don Calabria il Casante, che letteralmente significa custode, ha il compito di vegliare sul rispetto dello spirito puro e genuino dell’Opera per conto del suo vero padrone che è Dio Padre. Questo sarà dunque il compito di don Massimiliano per i prossimi sei anni, fino al Capitolo Generale del 2028.
Don Massimiliano Parrella, originario di Roma, ha emesso la sua prima professione come Povero Servo della Divina Provvidenza nel 2003. E’ sacerdote dal 2007. Dopo i primi anni di formazione trascorsi a Verona tra le case di via San Marco, Nazareth e San Giacomo l’obbedienza lo ha chiamato a Roma come parroco della parrocchia calabriana di Santa Maria Assunta e San Giuseppe, a Primavalle. Incarico che ha ricoperto fino a oggi, quando il Capitolo lo ha chiamato ad essere Casante di tutta l’Opera fondata da San Giovanni Calabria.
Successivamente i capitolari hanno eletto il nuovo Consiglio Generale. Ne fanno parte: l’argentino don Fernando Speranza (49), vicario generale; don Bineesh Mancheril, indiano (38), fratel Gedovar Nazzari, brasiliano (65) che è anche presidente dell’ospedale di Negrar e fratel Lino Busi, italiano (55). I quattro eletti faranno parte del Consiglio Generale insieme al nuovo Casante e resteranno in carica fino al prossimo Capitolo nel 2028.

La Madre Generale e il suo Consiglio

Sempre il 25 maggio le Sorelle Capitolari hanno eletto la loro Madre Generale, confermando nell’incarico Sor. Lucia Bressan, 59 anni e nativa di Treviso. Madre Lucia, che aveva già questo incarico nel sessennio appena trascorso, è l’ottava Madre Generale della Congregazione. Guiderà le Povere Serve della Divina Provvidenza per i prossimi sei anni fino al 2028.
Anche le Sorelle hanno scelto il loro nuovo Consiglio Generale. Sono state elette Sor. Loris Teresinha Trevisol, brasiliana di 58 anni, come vicaria generale; Sor. Raquel Serejo, brasiliana (40); Sor. Ionà Maria Dos Santos, brasiliana (52); Sor. Luigia Campi, italiana (56).


IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria

L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria è un ospedale classificato, presidio ospedaliero accreditato con la Regione Veneto e Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico per le malattie infettive e tropicali. L’ospedale per acuti è inserito nella “Cittadella della Carità” che comprende anche strutture socio-sanitarie (RSA e casa di riposo) per un totale di 968 posti letto.

Congregazione

seguici:

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