Un convegno e visite gratuite per l'Obesity Day 2016

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Anche l’ospedale di Negrar aderisce alla Giornata di sensibilizzazione e informazione sull’obesità promossa dall’ADI il 10 ottobre. Due gli eventi: un convegno sulla chirurgia bariatrica e visite gratuite su prenotazione

Anche l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar aderisce con due eventi all’Obesity Day 2016, un’iniziativa di sensibilizzazione e di informazione sull’obesità promossa ogni anno il 10 ottobre dall’Associazione italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica (ADI).

E’ ormai opinione generale che l’obesità abbia assunto i caratteri di una vera pandemia, che sta preoccupando anche i responsabili della salute pubblica. Si stima che solo in Italia siano circa 6 milioni le persone affette da obesità, il 10% della popolazione. Un dato che ci pone tra i Paesi con il maggior numero di abitanti che superano di almeno il 40% il proprio peso ideale. Si calcola, sempre in Italia, che i costi diretti dell’obesità ammontino a oltre 22 miliardi di euro all’anno, il 64% dovuti all’ospedalizzazione.

L‘obesità non è una questione estetica, ma una vera e propria patologia cronica: la persona obesa ha un’aspettativa di vita inferiore di almeno dieci anni rispetto a un coetaneo con peso normale e ha, per esempio, un rischio maggiore di ammalarsi delle più gravi patologie. Per questo l’obesità deve essere trattata con interventi mirati effettuati da team specialistici.

Alimentazione corretta e movimento sono le regole fondamentali per abbattere i chili in accesso. Ma quando le “regole d’oro” non bastano, seppur accompagnate da una terapia farmacologica e psicologica, può essere risolutiva la chirurgia.

Proprio di obesità e chirurgia si parlerà in sala Perez sabato 8 ottobre (a partire dalle 9) in un convegno aperto alla cittadinanza.Nel corso della mattinata interverrà il team di specialisti sull’obesità dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria. L’intervento fine a se stesso, infatti, non è risolutivo, ma deve essere accompagnato da uno studio multidisciplinare. Psicologo, dietista, chirurgo, ed eventuali altri specialisti a seconda delle comorbilità che si presentano, verificano l’idoneità del paziente prima e successivamente all’intervento, e accompagnano la persona verso il raggiungimento del proprio obiettivo.

Al convegno è stato invitato anche il dottor Riccardo Dalla Grave,responsabile dell’Unità funzionale di Riabilitazione Nutrizionale della Casa di Cura Villa Garda. La struttura è leader a livello nazionale per quanto riguarda la riabilitazione dei disturbi dell’alimentazione e collabora con l’ospedale di Negrar. Sarà presente anche il dottor Mirto Foletto, docente di Chirurgia all’Università di Padova e responsabile della rete dei centri del Veneto che si occupano di chirurgia bariatrica.

Lunedì 10 ottobre, giornata dell’Obesity day, la gastroenterologa Manuela Fortuna, la psicologa Eleonora Geccherle, il chirurgo Roberto Rossini e la dietista Federica Scali incontrano al Centro di Formazione e Solidarietà (vicino ai Poliambulatori) le persone affette da obesità, ma anche medici di medicina generale e tutti coloro che sono interessati a maggiori informazioni sul problema.

Le visite, che avranno inizio alle 9 e si concluderanno alle 17, sono gratuite. Non è richiesta l’impegnativa medica, ma è obbligatoria la prenotazione che si può effettuare al numero 045.6013493, dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 15.

All’ospedale Sacro Cuore-Don Calabria vengono effettuati due tipi d’interventoIl bypass gastrico condotto tramite il robot Da Vinci, consiste nella creazione di una piccola sacca gastrica collegata direttamente al piccolo intestino. Riducendosi drasticamente l’ampiezza dello stomaco, il paziente avverte subito una sensazione di sazietà e contemporaneamente viene ridotto anche l’assorbimento del cibo. In laparoscopia viene invece eseguita la sleeve gastrectomy che consiste nell’asportazione di gran parte dello stomaco. Questo assume la forma di un tubo collegato al duodeno. Anche la sleeve gastrectomy ha come risultato maggior senso di sazietà, non solo per la riduzione dello spazio di contenimento del cibo, ma anche perché viene asportata quella parte dello stomaco deputata alla produzione di un ormone che favorisce l’appetito. Entrambi gli interventi sono indicati per pazienti con Indice di Massa Corporea (BMI, il rapporto tra peso e altezza) superiore a 40, ma anche per le persone con BMI superiore a 35 in presenza di altre patologie.


La fibrillazione atriale la scopre un... bastoncino

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Impugnando un sensore il paziente può sapere in pochi minuti se è affetto da fibrillazione atriale, una patologia asintomatica ma che può avere gravi conseguenze. Il cardiologo Giulio Molon avvia uno screening con i medici di famiglia

Ad un primo sguardo sembra un manubrio, di quelli che si usano, senza tante pretese, per allenare e rinforzare i muscoli delle braccia. Invece è un sensore che in pochi istanti è in grado di rilevare nei pazienti la fibrillazione atrialeun disturbo del ritmo che se trascurato può essere causa di ictus, quindi di grave invalidità o addirittura di morte.

La caratteristica principale della maggior parte delle fibrillazioni atriali è quella di essere asintomatichequindi diagnosticabili solo intraprendendo progetti di screening su larga scala e per lunghi periodi. A dare un aiuto in questo è stato progettato Mydiagnostick, un dispositivo molto semplice, già sul mercato, in corso di utilizzo per lo screening promosso dal dottor Giulio Molon, responsabile della Struttura semplice di Elettrofisiologia e Cardiostimolazione dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria in collaborazione con sei medici di medicina generale del territorio dell’Ulss 22.

Il paziente deve solo rilassarsi ed afferrare il Mydiagnostick dalle impugnature per circa un minuto – spiega il dottor Molon -. In questo arco di tempo il sensore registra il ritmo cardiaco e contemporaneamente un algoritmo, confrontando le distanze tra battito e battito, riesce a stabilire se siamo in presenza di un’aritmia atriale (luce rossa) o se tutto è nella norma (luce verde). Nel caso di responso positivo, il test viene ripetuto una seconda volta e se il risultato è lo stesso si invita il paziente a sottoporsi ad un elettrocardiogramma. Il margine di errore del dispositivo è veramente basso”. Mydiagnostick è in grado di registrare in modo del tutto anonimo, rimangono registrati solamente giorno ed ora, fino a 100 test.

Lo screening proseguirà fino al 15 ottobre e saranno sottoposti alla prova i pazienti con un’età superiore ai 40 anni. “Non faremo grandi numeri – sottolinea il cardiologo – ma è un buon inizio per sensibilizzare i medici e la popolazione su una patologia che può veramente avere dei risvolti drammatici senza che il paziente si renda conto di esserne affetto”.

Le aritmie cardiache sono tra i fattori di rischio cardiovascolare più importanti. Vi sono le aritmie di origine ventricolare che generalmente sono associate a cardiopatie già note. Possono infatti essere diagnosticate dopo un infarto.
Quelle atriali, invece, possono avere come fattori di rischio l’ipertensione o il diabete e in circa il 60% dei casi non presentano sintomi specifici, che potrebbero essere individuati solo attraverso un elettrocardiogramma (eventualmente ripetuto più volte) o un monitoraggio elettrocardiografico di lunga durata.

“L’atrio contraendosi in maniera irregolare – prosegue il medico – provoca un ristagno di sangue soprattutto nell’auricola sinistra (l’appendice cieca dell’atrio, ndr) che può evolversi nella formazione di trombi. I coaguli, una volta entrati in circolo, possono occludere un vaso arterioso cerebrale dando luogo ad ictus. Per questo è importante che l’aritmia venga diagnosticata in tempi rapidi”.

Un ruolo chiave nella diagnosi lo hanno i medici di medicina generale, che conoscendo la storia clinica del paziente e vedendolo frequentemente possono sensibilizzare l’attenzione del loro assistito verso queste aritmie e i sintomi correlati. “Ma soprattutto – conclude Molon – diagnosticare le aritmie, sottoponendo il paziente agli esami indicati in collaborazione con lo specialista aritmologo”.
elena.zuppini@sacrocuore.it


Una tassa sul fumo per dare respiro alla Sanità

La proposta dell’AIOM di tassare di un centesimo ogni sigaretta per coprire il costo dei nuovi farmaci antitumorali. Il presidente eletto Stefania Gori: “Solo così potremmo garantire a tutti i malati italiani le terapie adeguate”

Sono dati incoraggianti quelli che emergono dal “censimento” annuale sulla situazione dell’oncologia nel nostro Paese, raccolto nel volume “I numeri del cancro” in Italia 2016. Realizzato, ormai da sei anni, da AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) in collaborazione con AIRTUM (Associazione Italiana Registro Tumori), il documento è un’importante fotografia sull’andamento dei tumori in Italia e sull’efficienza del nostro Sistema sanitario nazionale.

Diminuiscono i decessi per tumore

Un Sistema che complessivamente è efficace, seppur con differenze tra regione e regione, nella diagnosi precoce e nel trattamento adeguato delle neoplasie. “Negli ultimi 15 anni si sta verificando una riduzione dei decessi causati dai tumori, ma quest’anno siamo in grado di dire che nel 2013 (ultimi dati Istat disponibili) sono morte mille persone in meno di cancro rispetto al 2012”, afferma la dottoressa Stefania Gori, presidente eletto dell’AIOM, la Società scientifica che riunisce circa 3mila oncologi, e direttore dell’Oncologia medica dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria-Cancer Care Center.

Un milione di persone sono guarite

Altro dato rilevante che emerge dal rapporto riguarda il crescente numero di persone che vivono con una diagnosi di tumore. “Si stima che siano 3 milioni e 100mila gli uomini e le donne che hanno avuto una diagnosi di cancro, hanno superato il trattamento antitumorale e sono ancora in vita – prosegue la dottoressa -. E grazie a modelli matematici possiamo stimare che un terzo di queste possano essere considerate guarite, cioè hanno la stessa aspettativa di vita dei loro coetanei dello stesso sesso che non si sono ammalati. E’ un dato estremamente incoraggiante per i pazienti e positivo per gli operatori sanitari che vedono una ricaduta importante del loro lavoro”.

Nuove armi ma onerose per la Sanità

Campagne di prevenzione primaria, la diffusione degli screening su base nazionale, trattamenti combinati di chemioterapia, ormonoterapia, radioterapia e chirurgia stanno sempre più trasformando questa patologia da “brutto male”, di cui non si pronunciava nemmeno il nome, a una malattia da cui si può guarire o con cui si può convivere. A contribuire ad affilare le armi contro il cancro è stato l’arrivo dei farmaci oncologici innovativi, come quelli immunologici e a bersaglio molecolare. Altri approderanno sul mercato in breve tempo, ma c’è il rischio che il loro alto costo (si parla di trattamenti in alcuni casi che sfiorano i 100mila euro per paziente) non siano sostenibili dalle casse della Sanità pubblica. Nel 2015 la spesa per gli antiblastici è stata di 4,2 miliardi di euro, il 7% in più rispetto all’anno prima. Non è difficile prevedere cosa succederà con l’ingresso delle nuove molecole in attesa di approvazione.

Un Fondo nazionale per i farmaci innovativi

Proprio per coprire il loro costo, AIOM, in attesa di misure strutturali, ha lanciato la campagna per la costituzione di un Fondo oncologico nazionale, da finanziare applicando sui pacchetti di sigarette una tassa di 20 centesimi. Un centesimo per ogni sigaretta fumata, che si traduce, sempre secondo l’Associazione scientifica, in un contributo da parte dei 10 milioni di fumatori italiani di circa 700 milioni di euro. In pratica lo stesso impatto economico che avrebbero all’anno sul Ssn i farmaci che entreranno in commercio.

… da finanziare con una tassa di scopo sulle sigarette

“La proposta di istituire un Fondo oncologico nazionale per i farmaci innovativi ha come obiettivo il migliore trattamento possibile per ogni paziente su tutto il territorio italiano, all’interno di linee guida nazionali che garantiscano l’appropriatezza delle cure”. Inoltre “la tassa sulle sigarette vorrebbe dissuadere chi fuma a rinunciare a una delle principali cause delle patologie oncologiche. Nonostante le campagne anti-fumo, che pur hanno dato dei risultati riguardo alla diminuzione dell’incidenza complessiva del tumore al polmone, il 28% della popolazione italiana tra i 18 e i 69 anni fuma. E la classe di età in cui si registra la più alta percentuale di fumatori (34%) è quella tra i 25 e i 34 anni, con conseguenze sull’aumento nei prossimi anni di casi di neoplasie legate al fumo”.

Mille diagnosi di tumore al giorno

La prevenzione rimane per gli oncologi l’obiettivo principale, sottolinea Gori, perché se da un lato diminuisce la mortalità e aumenta il numero delle persone che guariscono, dall’altro sono state 365mila le nuove diagnosi di cancro nel 2016. La neoplasia più frequente è quella del colon-retto (52mila casi), seguita da quella del seno (50mila), del polmone (42mila), della prostata (35mila) e della vescica (26.600). Per il cancro alla mammella e alla prostata la sopravvivenza a 5 anni arriva fino al 90%, con percentuali più alte se la diagnosi è stata precoce.

LA RIVOLUZIONE DELL’IMMUNO-ONCOLOGIA

Il meccanismo è completamente diverso da quello dei farmaci chemioterapici tradizionali o da quello dei più recenti a bersaglio molecolare. Se questi hanno come obiettivo la distruzione della cellula maligna, i farmaci immuterapici lasciano il “lavoro sporco” al sistema immunitario, dopo aver dato ad esso la sveglia. Infatti se un un batterio, un virus o un antigene tumorale invadono un organismo il sistema immunitario, riconoscendolo come estraneo, lo aggredisce immediatamente e lo distrugge. Nel caso del cancro, le cellule riescono ad evadere attraverso vari meccanismi il controllo immunitario e continuano a replicarsi. L’azione dei farmaci immunoterapici è proprio quella di rinforzare il sistema e bloccare i meccanismi che permettono al tumore di “salvarsi”. Ma non solo. Il loro beneficio clinico – seppur non immediato, tanto che si può assistere a un peggioramento della malattia – perdura anche dopo che il trattamento è stato sospeso, come se si instaurasse una memoria immunologica. Una vera e propria rivoluzione nella cura dei tumori. I farmaci immunoterapici disponibili in Italia sono impiegati per il trattamento del melanoma maligno e del tumore polmonare metastatico.

elena.zuppini@sacrocuore.it


E' morto don Lorenzetti, già cappellano dell'ospedale

Martedì 27 settembre è scomparso don Ferruccio Lorenzetti, cappellano in diversi periodi a Negrar. I funerali saranno celebrati venerdì 30 settembre alle 10 a San Zeno in Monte

Martedì 27 settembre ci ha lasciato don Ferruccio Lorenzetti, in più periodi cappellano dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar.

Nato il 3 maggio 1931 a Salizzole (Verona), da tempo risiedeva con i religiosi e i sacerdoti a Casa Clero, dopo aver speso la sua vita a servizio della Congregazione e degli ammalati.

Entrato nel 1944 nella Casa di Maguzzano, fece la prima professione religiosa il 7 ottobre 1954 e la prima triennale il giorno 8 dicembre 1957. Venne ordinato sacerdote il 22 marzo 1958. Come prima obbedienza era stato a Ferrara per 4 anni prima dell’ordinazione, poi a Grottaferrata (Roma), una breve tappa in Casa Madre e nella parrocchia di Borgo Nuovo (Verona). Dal 1965 al 1973 è stato cappellano al Geriatrico di Negrar, per poi alternare alcuni anni tra San Giacomo (Vago di Lavagno), Casa San Pio V (Roma) e parrocchia di Gordiani (Roma). Dal novembre 1988 fino a quando le forze glielo hanno permesso si è dedicato agli ammalati, ancora come cappellano dell’ospedale calabriano.

“Nutriva verso i fratelli sofferenti grande dedizione e amorevolezza – dice don Waldemar Longo, vicepresidente dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria ricordando don Ferruccio -. Era conosciuto anche come un bravo confessore: erano in molti, e non solo gli ammalati, a cercarlo per accostarsi al sacramento della riconciliazione”.

I funerali di don Lorenzetti saranno celebrati venerdì 30 alle 10 nella chiesa della Casa Madre di san Zeno in Monte. La cara salma sarà poi tumulata nel cimitero dell’Abbazia di Maguzzano (Lonato-Brescia).


Apertura della Porta Santa: le immagini

Il vescovo di Verona mons. Giuseppe Zenti ha aperto la Porta Santa nella chiesa dell’ospedale Sacro Cuore. Nei prossimi giorni tutte le cappelle della Cittadella della Carità ospiteranno a turno la Porta Santa fino al 7 ottobre

La Porta Santa è stata aperta solennemente alla Cittadella della Carità nel pomeriggio di martedì 27 settembre dal vescovo di Verona Giuseppe Zenti (vedi foto e video dell’apertura).

La porta di ogni cappella dell’ospedale sarà Porta Santa nei prossimi giorni, con il seguente calendario: Sacro Cuore (28-29 settembre), Casa Nogarè (30 settembre e 1 ottobre), Casa Clero (3-4 ottobre), Casa Perez (5-6 ottobre), Don Calabria (2 e 7 ottobre). La chiusura verrà fatta il 7 ottobre, nel giorno in cui l’ospedale celebra la festa liturgica di San Giovanni Calabria.


Le cappelle dell'ospedale saranno Porta Santa

Dal 27 settembre al 7 ottobre le cappelle della Cittadella della Carità saranno Porta Santa della Misericordia, in occasione della novena a san Giovanni Calabria. Il Superiore generale dell’Opera calabriana spiega i motivi di questo evento straordinario

Le cappelle della Cittadella della Carità di Negrar saranno Porta Santa della misericordia durante la novena in preparazione alla festa liturgica di San Giovanni Calabria, dal 27 settembre al 7 ottobre. A stabilirlo è un decreto del vescovo di Verona mons. Giuseppe Zenti, il quale ha concesso che sia Porta Santa anche la chiesa di San Zeno in Monte, casa madre dell’Opera fondata da don Calabria.

“Si tratta di un evento straordinario e di un’occasione per vivere da vicino l’esperienza del Giubileo indetto da Papa Francesco – dice padre Miguel Tofful, Superiore generale dell’Opera calabriana – Spero che ne potranno approfittare tante persone che frequentano la Cittadella della Carità: operatori, ammalati, familiari, volontari…” (vedi il video-messaggio completo di padre Tofful).

La Porta Santa verrà aperta proprio dal vescovo mons. Zenti martedì 27 settembre nella cappella dell’ospedale Sacro Cuoredurante la S. Messa con inizio alle ore 17. Nei giorni successivi, le porte di tutte le cappelle dell’ospedale saranno a turno Porta Santa. Il 28 e 29 settembre sarà Porta Santa la cappella del Sacro Cuore; il 30 settembre e 1° ottobre la cappella di Casa Nogarè; il 3 e 4 ottobre la cappella di Casa Clero; il 5 e 6 ottobre la cappella di Casa Perez. Infine la chiesa dell’ospedale Don Calabria sarà Porta Santa il 2 e il 7 ottobre.

Ogni mattina nella cappella della Porta Santa è prevista la recita delle lodi alle 7,30, con possibilità per tutti di partecipare. La Porta Santaverrà chiusa venerdì 7 ottobre, giorno nel quale la Cittadella della Carità celebrerà la festa di don Calabria (la festa liturgica vera e propria è il giorno dopo, 8 ottobre).

Durante il Giubileo il passaggio sotto la Porta Santa è considerato dalla Chiesa come il segno del desiderio profondo di vera conversione da parte di chi lo effettua e in questo caso, come dice Papa Francesco, è anche il modo per sperimentare l’infinita misericordia di Dio e diventare a propria volta segno di misericordia. Inoltre il passaggio della Porta Santa è condizione indispensabile per accedere all’indulgenza, unitamente a tre altre condizioni: il sacramento della confessione, la comunione e la preghiera secondo le intenzioni del pontefice.

Anche nella casa madre di San Zeno in Monte sono previsti molti appuntamenti in concomitanza con la presenza della Porta Santa. A questo link è possibile trovare il programma con tutte le informazioni utili per partecipare: porta santa san zeno. Filo conduttore di tutti questi appuntamenti è il tema della misericordia sperimentata da don Calabria. Ecco cosa scriveva in proposito il santo:

Andiamo al nostro Iddio, al nostro buon Padre e troveremo la vera pace, la vera contentezza; animo, per quanti peccati tu abbia commesso non avvilirti, non scoraggiarti; la bontà, la misericordia di Dio è grande ed ha gran braccia per ricevere tutti“.


Malati di Alzheimer: al "Sacro Cuore" una presa in carico globale

Dalla diagnosi tramite PET ai trattamenti specifici per la malattia; dagli eventi di socializzazione al supporto ai familiari. Il Centro per il Decadimento Cognitivo si prende cura del paziente non solo dal punto di vista medico, ma anche socio-sanitario.

È una presa in carico globale quella dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria nei confronti del paziente affetto dalla malattia di Alzheimer, patologia di cui il 21 settembre si celebra la Giornata mondiale. Secondo il Rapporto mondiale Alzheimer 2015 sono 46,8 milioni le persone affette da demenza nel mondo (50-60% sono casi di Alzheimer), una cifra destinata ad aumentare ogni 20 anni, con costi sociali ed economici attuali di 818 miliardi di dollari. Per quanto riguarda il nostro Paese si stima che le persone malate di demenza siano oltre un milione.

Presa in carico globale del paziente.

Diagnosi, trattamenti specifici, supporto psicologico anche per i familiari, su cui pesa gran parte dell’assistenza. Ma anche occasioni di socializzazione e di stimolazione delle funzioni cognitive. Infine attività di consulenza sociale per quanto riguarda la parte di valutazione del supporto socio-previdenziale e tutela legale, oltre a quella di collegamento con i servizi del territorio a cui la famiglia del paziente può fare riferimento.

Il Centro per il Decadimento Cognitivo

A proporre tutto questo è il Centro per il Decadimento Cognitivo, un Servizio dell’Unità Operativa di Neurologia, diretta dal dottor Claudio Bianconi. L’équipe del Centro vede come responsabile la dottoressa Zaira Esposito ed è formata dal dottor Bianconi, dal geriatra Paolo Spagnolli, dalle psicologhe Cristina Baroni e Paola Poiese e dall’assistente sociale Francesca Martinelli.

La diagnosi della malattia tramite PET

Per l’ambito diagnostico le dotazioni tecnologiche della Medicina Nucleare, diretta dal dottor Matteo Salgarello, consentono di effettuare tramite imaging PET esami di ricerca della presenza anomala a livello cerebrale della proteina beta-amiloide, considerata responsabile dell’Alzheimer. Esami che saranno fondamentali per accedere in un futuro non molto lontano ai farmaci (anticorpi monoclonali) attualmente in fase di sperimentazione che hanno come obiettivo proprio la riduzione delle placche di amiloide, presenti in accumulo nei pazienti affetti da questo tipo di demenza.

L’Officina della Memoria

In attesa che la scienza faccia il suo corso e trovi una soluzione definitiva a questa patologia degenerativa del cervello, rimane fondamentale offrire ai pazienti occasioni di stimolazione cognitiva con lo scopo di mantenere funzioni come la memoria, il linguaggio, l’attenzione e le abilità esecutive. Dallo scorso anno il Centro per il Decadimento Cognitivo in collaborazione con il Museo Nicolis di Villafranca di Verona ha dato vita a “L’Officina della Memoria”, un laboratorio che ha lo scopo di offrire momenti di benessere ai pazienti e ai loro familiari, ma anche di coinvolgere la comunità relativamente a un problema che ha risvolti soprattutto sociali. La malattia nelle fasi avanzate comporta una totale non autosufficienza da parte del paziente, la cui cura oggi è quasi esclusivamente a carico della famiglia, sopraffatta da un carico emotivo e fisico spesso insostenibile.

Canzoni di un tempo al Museo Nicolis

Il prossimo evento de “L’Officina della Memoria” si terrà sabato 15 ottobre al Museo Nicolis. Aperto ai pazienti in cura presso il Centro e ai loro familiari, sarà focalizzato sul binomio musica e memoria. Grazie al maestro Andrea Giorio del CSM College i partecipanti potranno andare a ritroso nel tempo recuperando il ricordo di canzoni e di eventi ad esse legati “L’Officina della memoria” organizza anche incontri di stimolazione cognitiva diretta (cioè con esercizi specifici) rivolti ai pazienti del Centro e gruppi di supporto psicologico per i familiari. Per informazioni: 045.6013527.
elena.zuppini@sacrocuore.it


EUS, la sonda ecografica per lo studio del tubo digerente

Il dott. Paolo Bocus descrive come funziona EUS, l’esame ecoendoscopico che permette di stadiare le neoplasie a carico di esofago, stomaco, duodeno, retto, pancreas e vie biliari

Un’ecografia ad alta risoluzione fatta da dentro che permette di studiare la parete del tubo digerente e le strutture ad esso adiacenti, combinando immagini endoscopiche ed ecografiche. L’esame si chiama EUS (dall’inglese Endoscopic Ultra-Sonography) e viene realizzato grazie all’applicazione di una sonda ecografica miniaturizzata all’estremità di un endoscopio digestivo.

Questo esame, particolarmente indicato per la stadiazione delle neoplasie a carico del tubo digerente, del pancreas e delle vie biliari, rende possibile lo studio di lesioni anche molto piccole e, quando necessario, permette di effettuare agoaspirazioni eco-guidate (FNA) per eseguire un esame citologico, biochimico o immunoistochimico delle lesioni visualizzate.

EUS viene eseguito presso il Servizio di Ecoendoscopia del Sacro Cuore, inaugurato nell’ottobre 2013 e afferente all’Unità Operativa di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva diretta dal dott. Paolo Bocus. Proprio il dott. Bocus, che è uno dei massimi esperti in Italia per questa metodica, illustra nel filmato come funziona EUS e quali sono le peculiarità di questo esame.

Filmato di matteo.cavejari@sacrocuore.it


"Il malato va accolto anche a livello umano e spirituale"

Intervista a fratel Mario Bonora, che è stato presidente dell’ospedale di Negrar dal 1990 al 2014 ed è tuttora presidente ARIS, in occasione del suo 55° anniversario di professione religiosa nell’Opera Don Calabria

È stato per 24 anni presidente dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, dal 1990 al 2014, ma in precedenza fratel Mario Bonora ha svolto molti altri servizi per l’Opera Don Calabria fin dagli anni Sessanta, quando entrò nella Famiglia calabriana come Fratello consacrato. In occasione del suo 55° anniversario di professione religiosa, che si celebra l’8 settembre, abbiamo chiesto a fratel Bonora di raccontarci la sua esperienza nell’Opera e i suoi ricordi degli anni trascorsi a Negrar…

Fratel Bonora, cosa ricorda del suo ingresso nell’Opera di don Calabria?
Io sono di Ferrara. Quando ero ragazzino mio padre, che era capomastro, ebbe un grave incidente. La mamma doveva assisterlo, quindi non poteva seguire noi 5 fratelli. Così si cercarono per noi delle sistemazioni. Io fui accolto nella Casa che don Calabria aveva aperto nella nostra città. Avevo 12 anni.

Come fu l’esperienza del collegio?
All’inizio non ne volevo sapere, tanto che il direttore don Pietro Murari decise di rimandarmi a casa. Un giorno chiamò mia mamma e quando la vidi uscire piangente dal suo studio capii che dovevo cambiare.

Le cose sono cambiate al punto che ha scelto di diventare Fratello…
Un po’ alla volta mi sono lasciato entusiasmare dai “Fratelli”. Si dedicavano a noi ragazzi con un impegno incredibile e vivevano al nostro fianco giorno e notte, proprio secondo lo spirito del fondatore. Credo che qui stia il seme della mia vocazione. Poi, dopo le medie, andai a Verona per fare un periodo di formazione e infine entrai in noviziato.

Qual è stato il suo percorso nell’Opera prima di arrivare all’ospedale?
Nella mia formazione avevo ricevuto una preparazione di tipo pedagogico, ma fin da subito i superiori mi diedero incarichi in campo amministrativo: prima a Costozza (Vicenza), poi nella Casa di Milano e infine a Roma. Nel 1972 il Superiore generale don Adelio Tomasin mi chiese di affiancare l’economo della Congregazione, ovvero fratel Rino Nordera. Infine nel 1978, dopo il Capitolo, fui nominato economo generale.

Nel 1990 lei è arrivato a Negrar. Immagino che all’inizio non fu semplice…
L’ospedale era già una realtà molto importante e ci volle del tempo per capire bene come funzionava. Ma la cosa che mi è rimasta più impressa è l’impatto con il mondo della sofferenza e della malattia. A Negrar ho potuto imparare che la persona malata si trova in una situazione molto particolare ed ha bisogno di un accompagnamento speciale non solo a livello sanitario ma anche umano e spirituale.

Cosa le chiesero i superiori quando le affidarono l’incarico all’ospedale?
Ricordo che mi chiesero in particolare due cose. In primo luogo di collaborare affinchè l’ospedale rimanesse al passo con i tempi, sia a livello di professionalità sia di tecnologie perché questo è il modo per rendere il miglior servizio possibile ai pazienti. In secondo luogo mi chiesero di avere un’attenzione particolare per l’area socio-sanitaria accanto a quella sanitaria. E in effetti oggi l’area socio-sanitaria è una parte importante della Cittadella della Carità anche a livello numerico, con le sue tre residenze: Casa Nogarè, Casa Perez e Casa Clero.

Cosa è cambiato nell’ospedale nei 24 anni in cui lei è stato presidente?
In questi anni l’ospedale ha camminato con i tempi grazie all’impegno di tutti. Sono state fatte tante innovazioni, sia tecnologiche sia strutturali. Sono aumentati i servizi e i collaboratori sono triplicati fino a raggiungere il numero attuale che supera le 1800 unità. L’ospedale oggi offre cure qualificate per migliaia di persone che provengono dal Veneto e da tutta Italia. Ma mi piace pensare che lo spirito sia rimasto inalterato e fedele ai valori trasmessi dal nostro fondatore san Giovanni Calabria.

Cosa rende il Sacro Cuore un ospedale “calabriano”?
Io credo che la prima caratteristica che lo rende “calabriano” sia la motivazione dei nostri operatori. A Negrar c’è davvero un’attenzione speciale alla persona ammalata in tutte le sue necessità e gli operatori in moltissimi casi se ne fanno carico con un vero spirito di servizio. In questo credo sia rimasta una profonda adesione allo spirito di don Calabria, il quale durante tutta la sua vita sentì un grande interesse per gli ammalati e gli anziani. Un altro aspetto che rende “calabriano” il nostro ospedale è il lavoro pastorale portato avanti in modo particolare dal Consiglio Pastorale Ospedaliero.

Dal 2004 lei è presidente dell’ARIS (Associazione Religiosa Istituti Socio-Sanitari) che riunisce i vari enti religiosi che si occupano di sanità in Italia. Qual è a suo giudizio la funzione oggi di questi enti?
L’ARIS riunisce circa 250 enti, tra cui una trentina di ospedali, e poi vari centri di riabilitazione, RSA, case di cura, hospice, ex istituzioni psichiatriche e istituti scientifici (IRCCS). Io credo che questi enti, pur in un momento di grave crisi per molti, continuino ad assolvere un ruolo fondamentale, che è quello di assistere le persone ammalate testimoniando il Vangelo. Inoltre non va dimenticato che spesso tali istituzioni intervengono con efficacia laddove ci sono carenze nel servizio pubblico.

Quale saluto si sente di dare ai collaboratori dell’ospedale e agli ammalati che vi sono curati?
Auguro a tutti gli operatori di continuare nel loro servizio qualificato all’ammalato, mantenendo quello spirito di servizio e di umanità che rende “speciale” il Sacro Cuore. E poi non dobbiamo dimenticare che abbiamo una marcia in più. Come diceva don Calabria: “Le nostre radici sono in alto“!

matteo.cavejari@sacrocuore.it


Cancro: contro le false cure vince il dialogo

Stefania Gori, direttore dell’Oncologia: “Solo le cure convenzionali danno risultati scientifici e la chemioterapia oggi fa meno paura, grazie ai farmaci che controllano gli effetti collaterali”

Solo le terapie oncologiche hanno evidenze scientifiche nella lotta contro il cancro. Contrariamente alle cosiddette cure alternative, a causa delle quali anche oggi registriamo decessi evitabili”. Scandisce le parole la dottoressa Stefania Gori, direttore del Dipartimento di Oncologia dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria e presidente eletto dell’Aiom, l’associazione che comprende circa 3mila oncologi italiani.

Decessi evitabili come quelli di Eleonora Bottaro, morta a soli 18 anni per una leucemia linfoblastica acuta, che poteva essere curata se la ragazza non avesse rifiutato la chemioterapia per affidarsi al “metodo Hamer”. O quello di Alessandra Tosi, colpita da tumore al seno, una delle neoplasie per le quali si registrano il maggior numero di guarigioni se trattate adeguatamente. Cure che Alessandra non ha accettato.

Sono questi solo gli ultimi capitoli di un tragico romanzo fantascientifico – in cui i morti però sono reali – dove trovano spazio oltre a “terapie” come il “metodo Hamer”, per cui il tumore è solo frutto di un trauma psicologico, la cura Di Bella, quella dello scorpione di Cuba, Stamina e tante altre che la dottoressa Gori ha incontrato lungo la sua professione di medico-oncologo.

Il problema è che noi oncologi il più delle volte non sappiamo se il paziente in trattamento antitumorale assume anche farmaci o terapie fitoterapiche “alternative” – sottolinea -. Il paziente può comunicarcelo solo se si stabilisce un forte rapporto di fiducia. E’ molto importante che il paziente informi il medico, perché le cosiddette cure alternative potrebbero interferire con i trattamenti oncologici standard. Come AIOM, ci stiamo occupando di questa problematica, sia in ambito di congressi sia pianificando una survey conoscitiva tra i pazienti oncologici, per capire l’entità del fenomeno”.

Pochi decenni fa, molti tipi di tumori risultavano incurabili: oggi, da almeno 15 anni, la mortalità è in costante diminuzione ed alcuni tumori, come il cancro al seno, se diagnosticati precocemente e trattati adeguatamente, possono avere un’altissima percentuale di guarigione. Inoltre sono oltre 3 milioni le persone che vivono in Italia con una pregressa diagnosi di tumore. Tutti dati che dimostrano come una diagnosi sempre più precoce ed una terapia farmacologica antitumorale (chemioterapia, ormonoterapia, terapia a bersaglio molecolare), insieme all’evolversi della chirurgia oncologica e della radioterapia, rappresentino armi efficaci contro il cancro. Allora perché un paziente rifiuta le terapie convenzionali e si affida a “cure” che non hanno mai dato risultati?

Si affidano a “cure alternative” alcuni pazienti per i quali si sono esaurite tutte le opzioni terapeutiche – risponde la dottoressa Gori – dopo essere stati trattati con chirurgia, radioterapia o chemioterapia. Sono persone che non vogliono perdere la speranza, e che comunque vogliono essere sottoposti ad un qualche tipo di terapia, non importa quale sia. In rari casi, ci sono atteggiamenti di rifiuto del trattamento standard sin dall’inizio: ma sono casi veramente molto molto rari”.

Permane oggi il timore della chemioterapia, tanto da indurre il paziente a rifiutarla? “La paura verso questa forma di trattamento, che resta comunque impegnativa per il paziente, si è fortemente ridimensionata negli ultimi venti anni. Grazie ad alcuni farmaci riusciamo a controllare gli effetti collaterali degli antiblastici, tipo la nausea ed il vomito. In varie forme metastatiche, possiamo utilizzare un solo farmaco antitumorale, riducendo al massimo le tossicità associate“.

Casi, come quelli recenti, quali riflessioni devono sollevare nella classe medica? “Il caso Di Bella, che scoppiò alla fine degli anni Novanta, fu una lezione per noi oncologi. Siamo infatti stati “costretti”, in senso positivo, a rivalutare l’importanza del rapporto con il paziente: un rapporto che deve essere non solo professionale, ma anche umano. Se il paziente non viene considerato una persona, con tutte le sue fragilità, può sentirsi solo, non compreso e rivolgersi a coloro che invece sono pronti a comunicargli questa vicinanza umana, come per esempio i propinatori di cure alternative”.

Quanto i mass media possono aiutare le persone a decidere un corretto percorso terapeutico? “Moltissimo. Sappiamo quanto i giornali, televisione e web influenzino oggi la popolazione nel campo sanitario. Ma ci deve essere uno sforzo comune a diffondere notizie corrette dal punto di vista scientifico e comunicate senza sensazionalismi. Chi legge o ascolta può essere una persona ammalata che ha il diritto di essere informata, ma non illusa da false speranze: ecco perché come AIOM e come Fondazione AIOM dal 2015 abbiamo iniziato a parlare, insieme ai giornalisti medico-scientifici, di etica della notizia.

elena.zuppini@sacrocuore.it