Gli ospedali di don Calabria in rete contro il CoVid
Mentre il “Sacro Cuore” è ormai da qualche giorno senza più pazienti CoVid, la situazione è più critica in altre strutture sanitarie dei Poveri Servi della Divina Provvidenza e in particolare nell’ospedale di Marituba, alle porte dell’Amazzonia. Ecco come come gli ospedali dell’Opera affrontano l’emergenza facendo sistema tra loro
OSPEDALI CALABRIANI IN RETE
Da alcuni giorni il “Sacro Cuore” è “Covid free”, in quanto anche l’ultimo paziente positivo al virus è stato dimesso. Una bellissima notizia dopo tre mesi trascorsi in prima linea con tanti ammalati che si sono alternati nei 100 posti messi a disposizione dall’ospedale per il CoVid tra degenze in reparto, terapia sub-intensiva e intensiva. In ogni caso l’ospedale resta pronto per accogliere eventuali nuovi positivi essendo un riferimento per le malattie infettive e tropicali.
Purtroppo però la situazione non è così tranquillizzante nelle altre strutture sanitarie dell’Opera Don Calabria nel mondo: oltre all’IRCCS di Negrar ci sono anche l’Hospital Divina Providencia di Marituba (nord del Brasile), il “Divina Providencia” di Luanda (Angola) e centro medico “Bro. Perez” di Manila (Filippine) che in questi mesi di emergenza CoVid sono impegnate nella lotta contro il virus. Ed ora è soprattutto l’ospedale brasiliano a soffrire per la pandemia.
Fin dal mese di marzo, quando l’emergenza riguardava soprattutto l’Italia, le quattro strutture che fanno parte del “Sistema Calabriano di Sanità” sono state in contatto fra loro con riunioni periodiche per condividere le procedure e le informazioni utili per dare un’assistenza capace di stare al passo con i grandi bisogni del momento. In particolare il Sacro Cuore sta facendo da capofila fin dallo scorso 25 marzo, data del primo incontro online con la direzione dell’ospedale di Luanda.
Ecco una panoramica della situazione negli ospedali del Sistema Calabriano di Sanità…
MARITUBA
Lo stato del Parà, facendo parte della regione amazzonica, è uno dei più colpiti dalla pandemia che in quelle zone non ha ancora raggiunto il picco. Tra le vittime della malattie, purtroppo, c’è anche il direttore sanitario dell’ospedale calabriano, dottor Avelar Feitosa, deceduto lo scorso 27 aprile.
L’HDP di Marituba è uno degli ospedali che il governo dello Stato ha destinato alla presa in carico di pazienti con Covid-19. Dalla fine di marzo i programmi di assistenza dell’ospedale sono stati modificati e si è cominciato a sviluppare i protocolli specifici per il nuovo coronavirus. L’HDP è stato diviso in due settori. Uno riservato ai pazienti non sospetti per Covid-19, l’altro per i pazienti sospetti. La separazione avviene fin dal triage e dal pronto soccorso. Nella parte riservata ai pazienti Covid è stato allestito un reparto di degenza con 23 letti, inoltre è stato potenziato il servizio di terapia intensiva con capacità fino a 16 letti.
Uno dei maggiori problemi da affrontare è stata finora la carenza dei dispositivi di protezione individuale e dei respiratori. In parte tale problema è stato risolto grazie a progetti ad hoc promossi dall’Opera Don Calabria insieme all’Unione Medico Missionaria Italiana e dall’Associazione “Amici di monsignor Pirovano”.
LUANDA
In Angola resta molto limitato a poche decine il numero di casi di CoVid. Tuttavia nel Paese sono in vigore norme molto restrittive fin dal mese di marzo per prevenire il contagio. L’Hospital Divina Providência di Luanda ha dovuto adattarsi ed entrare anch’esso in modalità emergenza: ha sospeso le visite specialistiche e le visite mediche di routine. Le cinque unità periferiche hanno mantenuto in funzione solo il servizio per le urgenze e i vaccini. Nell’unità centrale, invece, continuano ad essere seguite le urgenze, è attivo il laboratorio, la farmacia, i centri per l’HIV e la TB e i due reparti adulti e bambini per garantire l’assistenza sanitaria nei limiti del possibile, rispettando anche tutte le disposizioni in materia di biosicurezza. La difficoltà maggiore rimane la reperibilità dei DPI (dispositivi di protezione individuale) e la forte speculazione sui prezzi di materiali ed equipaggiamenti sanitari, dovuta anche alla crisi economica che affligge il paese ormai da qualche anno. L’ospedale cerca di sostenere anche il suo stesso personale sanitario, attraverso corsi di formazione specifici per spiegare a tutti i collaboratori come prevenire i contagi e mostrare le migliori pratiche da adottare sull’utilizzo dei DPI e infine si è attivato per l’autoproduzione di mascherine. Anche in questo caso l’Amministrazione Generale dei Poveri Servi e l’Unione Medico Missionaria Italiana hanno dato un supporto in termini di progetti per far fronte alle necessità più immediate.
FILIPPINE
Dopo il lockdown imposto nel Paese dal 15 marzo il Centro Medico “Bro. Francisco Perez”, essendo una piccola struttura poliambulatoriale, ha chiuso i battenti per alcune settimane non essendo attrezzata per affrontare l’eventuale diffondersi del contagio. Dopo un percorso di preparazione del personale e di dotazione dei dispositivi di protezione, anche con l’aiuto del settore progetti della Congregazione, il Centro Medico ha potuto riaprire lo scorso 18 maggio predisponendo tutte le misure di sicurezza per la salute dei propri operatori e dei pazienti stessi: viene garantito il distanziamento sociale e vengono utilizzati guanti, mascherine, occhiali di protezione. Rimangono i servizi ambulatoriali ed è stato riorganizzato l’accesso degli utenti predisponendo un’area triage fuori dalla clinica, in cui viene fatta anche un’intervista mirata basata su modello standard del Ministero della Salute filippino per garantire l’esclusione dei paziente sospetti, i quali vengono a loro volta reindirizzati alle strutture dedicate alla cura del Covid-19. Al momento la clinica presta servizio “Free Covid”, proprio per garantire l’assistenza dei tanti altri problemi di salute che continuano ad affliggere la popolazione locale e che ora più che mai non vanno dimenticati.
matteo.cavejari@sacrocuore.it
Per la logopedia ai tempi del Coronavirus ci vuole il... plexiglass
La terapia logopedica richiede che la bocca sia del paziente che del terapeuta sia ben visibile, cosa difficile se è necessario indossare la mascherina. La soluzione arriva da un divisorio in plexiglass adottato dal Servizio di riabilitazione cognitiva e logopedia
Sembra il classico uovo di Colombo, ma è forse l’unico modo per proseguire la terapia logopedica ai tempi del Coronavirus. La soluzione l’hanno trovata le logopediste del Servizio di Medicina Fisica e Riabilitativa, diretto dal dottor Renato Avesani. Si tratta di un divisorio in plexiglass tra l’operatore e il paziente, che consente di lavorare in piena sicurezza senza indossare la mascherina e gli altri dispositivi di protezione individuale.
“Quando sono riprese progressivamente le attività ospedaliere, ci siamo chiesti come potevamo proseguire una terapia per la quale è fondamentale che la bocca sia visibile”, spiega la dottoressa Maria Grazia Gambini, psicologa e coordinatrice del servizio di Riabilitazione cognitiva e logopedia. “Infatti il terapeuta deve mostrare al paziente i movimenti per emettere un determinato suono o verificare le capacità del paziente di effettuare questi movimenti non solo della bocca, ma anche della lingua e della guance. Abbiamo così pensato di mutuare per la nostra attività, un divisore in plexiglass, un ausilio che troviamo in molti uffici e anche nei negozi, il quale, tra l’altro, ci consente di ovviare il problema dovuto al fatto che molti dei nostri pazienti non riescono a tenere la mascherina”, sottolinea la dottoressa Gambini.
Una soluzione molto semplice, che si sta verificando anche un utile strumento di lavoro. “Possiamo così lavorare non solo su una superficie orizzontale, ma anche verticale sulla quale scrivere e mostrare delle immagini. Questo consente per esempio di ampliare le possibilità per i pazienti con problemi di disturbi del campo visivo o affetti da negligenza visuo-spaziale”, precisa la psicologa.
Del Servizio di Riabilitazione cognitiva e logopedia fanno parte 4 logopediste e una fisioterapista esperta in questo ambito ed è coordinato, appunto, da una psicologa per la presa in carico completa del paziente sia degente che esterno.
“Il campo della riabilitazione cognitiva, del linguaggio e della comunicazione si occupa di una vasta gamma di disturbi in base alla tipologia del paziente. I problemi infatti sono diversi a seconda se ci troviamo di fronte a degli esiti da ictus, da grave emorragia cerebrale o da trauma cranico”, precisa la dottoressa Gambini.
Il paziente colpito da ictus presenta dei problemi molto caratterizzati: se l’emisfero del cervello danneggiato dall’ischemia è quello sinistro, i disturbi maggiori sono a livello del linguaggio. Se è quella destro, invece, ad essere compromessa è soprattutto l’organizzazione spaziale, fino, nei casi più gravi, al non riconoscimento da parte del paziente di tutto ciò che è collocato a sinistra anche il lato del proprio corpo.
“Più complessa è la situazione nel caso di un paziente colpito da trauma cranico o da emorragia, quando ad essere interessate dal danno sono vaste aree cerebrali – sottolinea la psicologa -. I disturbi sono diversi da persona a persona e possono riguardare numerose funzioni: la memoria, l’attenzione, il pensiero, la personalità. .
Fondamentale è il ruolo delle logopediste anche nel caso di riabilitazione della voce e della deglutizione. Vengono infatti trattati casi di disfonia (difficoltà di emissione dei suoni), disartria (difficoltà nell’articolazione delle sillabe) e disfagia.
“Con l’emergenza Covid-19 anche tutta l’attività riabilitativa in generale ha subito un deciso rallentamento – conclude la dottoressa Gambini -. Da alcune settimane abbiamo progressivamente ripreso con tutte le misure necessarie di protezione personale sia per gli operatori sia per i pazienti. Questo ci consente di proseguire con serenità un servizio per il quale il contatto operatore- paziente è fondamentale oltre che necessario”.
elena.zuppini@sacrocuore.it
Il "Sacro Cuore a Verona" ha ripreso visite ed esami a pieno ritmo
Come l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar ha ripreso a pieno ritmo le attività dopo l’emergenza Covid, così anche il suo Centro a Verona (in via San Marco 121). Naturalmente l’accesso richiede il rispetto di tutte le misure anticontagio
Dopo l’interruzione dovuta all’emergenza Covid, il “Sacro Cuore a Verona” ha ripreso a pieno ritmo tutte le attività. Il complesso dell’ospedale di Negrar che si trova nel capoluogo scaligero (via San Marco 121) comprende il Centro Diagnostico Terapeutico, la Medicina dello Sport, la Riabilitazione Ortopedica e Traumatologia dello Sport, il Centro Odontostomatologico e ASD Polisportiva Don Calabria. Tutti gli accessi avvengono nel rispetto delle misure di anticontagio: misurazione della temperatura corporea, distanziamento sociale, uso della mascherina, detersione delle mani e sanificazione frequente dell’ambiente. Per i piccoli interventi, esami particolari o prestazioni dentistiche vengono assunte ulteriore misuri. Si raccomanda sempre di non recarsi presso i Centri con una temperatura superiore ai 37,5 e con sintomi riconducibili al Covid.
Centro Diagnostico Terapeutico
Al Centro medico offrono prestazioni libero-professionali gran parte dei medici (tra cui molti primari) dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. Inoltre vengono effettuati esami radiologici, ckech up e interventi di day surgery.
Prenotazioni:
- on line: www.sacrocuore.it bottone “Prenota visite/esami”
- Tel. 045.6014844 dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17
- Direttamente al Centro: dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 19; il sabato dalle 8 alle 12
Medicina dello Sport
Il Centro offre un servizio integrale non solo all’atleta professionista ma anche alle società, alle associazioni sportive e ai singoli che operano nei settori amatoriale e dilettantistico.
Prenotazioni:
- Tel. 045. 6013600 dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 14
- Presso la segreteria con lo stesso orario
Riabilitazione Ortopedica e Traumatologia dello sport
Sono riprese le prestazioni di fisioterapia e le visite private in attività istituzionale a pagamento e in libera professione e anche le onde d’urt:o dal lunedì al venerdì dalle 7 alle 19
Prenotazioni:
- Tel. 045.6013980 dal lunedì al venerdì dalle 7.30 alle 18.30
- Presso il Centro nello stesso orario
Centro Odontostomatologico
In via San Marco si trova una delle due sedi del Centro Odontostomatologico dell’Ospedale di Negrar, dove, precisamente viene svolta l’attività libero professionale
Prenotazioni:
- Tel. 045.601.46.50 dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17
ASD Polisportiva
Idrossiclorochina e malati reumatici: timori infondati
La sospensione da parte dell’AIFA dell’utilizzo dell’idrossiclorochina per i malati Covid, se non all’interno di studi clinici, ha creato preoccupazione tra i malati reumatici che lo usano da molti anni. “L’allarme sui possibili gravi effetti collaterali in campo reumatologico è del tutto ingiustificato e non confermato dalla mia lunghissima esperienza clinica”, dice il reumatologo Antonio Marchetta
Fin dall’inizio della pandemia da Coronavirus, si è parlato molto di Clorochina e Idrossiclorochina per il loro utilizzo nel trattamento dei pazienti affetti da Covid-19. E’ di pochi giorni fa la notizia delle sospensione di tutti gli studi promossi dall’OMS che prevedono l’impiego a scopo terapeutico delle molecole, seguita dalla decisione di AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) di bloccare ogni uso, sia a scopo terapeutico sia preventivo, se non all’interno di sperimentazioni cliniche. Secondo la nota AIFA, la motivazione è dovuta all’esito di alcuni studi clinici che non avrebbero confermato la sua efficacia nel trattamento della infezione da Covid-19 e da un riportato aumento degli effetti collaterali, talora anche gravi. Studi pubblicati da riviste scientifiche prestigiose, come Lancet e New England Journal of Medicine, sui quali pesano dei grossi dubbi, tanto che l’OMS ha annunciato di voler riprende gli studi sull’idrossiclorochina.
Questa notizia ha creato non poco allarme tra i pazienti reumatici generando anche una certa loro diffidenza nei confronti dell’efficacia del farmaco e una allerta circa nuovi effetti indesiderati.
E’ quindi fondamentale, in questo momento di confusione mediatica, rasserenare e rassicurare i pazienti reumatici affetti da artrite reumatoide, Lupus eritematoso, sindrome di Sjogren e connettiviti varie sull’efficacia e sicurezza del Plaquenil con l’invito a non sospendere assolutamente il farmaco che è stato loro prescritto dal Reumatologo di fiducia.
Che cos’è l’Idrossiclorochina ovvero il Plaquenil
Il Plaquenil è un vecchio farmaco nato per il trattamento e la profilassi della malaria, oggi sempre meno utilizzato per questa indicazione. Viceversa in Reumatologia, pur essendo impiegato da moltissimi anni, è attualmente ancora uno dei farmaci essenziali nella terapia di patologia autoimmuni, come l’artrite reumatoide, il Lupus eritematoso sistemico e cutaneo e di numerose altre forme di connettivite come la Sindrome di Sjogren, la Sclerodermia cutanea e sistemica, quando vi sono aspetti di impegno articolare. E’ infatti un farmaco immunomodulante in grado cioè di modulare la risposta immunitaria quando questa diviene esuberante e fuori controllo come accade appunto nelle malattie reumatiche.
Perché l’uso off-label per i malati Covid
Alcuni studi in vitro hanno evidenziato che l’Idrossiclorochina possiede un’attività antivirale anche sul virus SARS-CoV-2 (oltre agli altri Coronavirus) attraverso un meccanismo in grado di bloccare la replicazione virale e di concentrarsi in maniera significativa a livello delle cellule polmonari dove è maggiormente presente il patogeno.
Dal momento in cui AIFA (agli inizi di marzo) ne aveva autorizzato l’uso off-label (fuori indicazione da scheda tecnica) nell’ambito di studi clinici vi è stato un susseguirsi continuo di conferme e smentite circa efficacia e sicurezza dell’Idrossiclorochina nel trattamento della infezione da Covid-19.
Nelle fasi iniziali della pandemia i pazienti reumatici hanno avuto non poche difficoltà a reperire il Plaquenil, poiché tante persone ne hanno fatto un uso indiscriminato e la produzione del farmaco da parte della Azienda Farmaceutica era stata destinata in gran parte per le Farmacie Ospedaliere che lo distribuivano direttamente ai pazienti affetti dal Covid per la cura a domicilio.
Perché i malati reumatologici non devono temere
Nel corso della mia lunga attività clinica, ho prescritto il Plaquenil a moltissimi pazienti reumatologici e tanti di loro continuano ad assumerlo da parecchi anni ininterrottamente. Raramente mi è capitato di doverlo sospendere per effetti collaterali, sempre reversibili e di modesta entità.
Ovviamente tutti i farmaci, in generale, e gli antireumatici, in particolare, possono dare luogo ad effetti collaterali più o meno importanti e specifici. Compito del reumatologo è conoscerli, condividerli e prevenirli con una attenta raccolta dei dati anamnestici e delle patologie pregresse o in atto nel paziente. Nella relazione di visita consegnata al paziente e rivolta al medico di famiglia, accanto alla prescrizione del farmaco e al suo dosaggio, viene riportato un promemoria sugli effetti collaterali e la necessità di sospendere il trattamento stesso e sul monitoraggio bioumorale e strumentale.
L’allarme creato in questi giorni sui possibili gravi effetti collaterali legati all’utilizzo del Plaquenil è, a mio modesto avviso, del tutto ingiustificato e non confermato dalla mia lunghissima esperienza. Gli effetti collaterali registrati negli studi sull’impiego in pazienti Covid sono da ricondurre alla prescrizione del farmaco a dosaggi molto più alti di quelli che utilizziamo di norma in reumatologia, spesso in associazione con altri farmaci che ne potenziano gli effetti collaterali e verosimilmente senza una adeguata indagine anamnestica sulle patologie del paziente.
In sintesi le problematiche principali legati alla assunzione del Plaquenil sono rappresentate dalla sua potenziale tossicità a livello oculare, dove può depositarsi nella retina formando accumuli di idrossiclorochina, e all’aumento della pressione dell’occhio (fattore di rischio per il glaucoma). Anche la comparsa di sindrome pruriginosa e dermatite possono portare alla sospensione del farmaco. E’ controindicato in pazienti affetti da favismo (condizione rara legata ad un deficit congenito di un enzima) che possono andare incontro ad una emolisi e in pazienti con alterazioni del ritmo cardiaco (allungamento del Q-T) o recente fatto ischemico miocardico.
Quindi esorto ancora i pazienti reumatici a non abbandonare la terapia con il Plaquenil e a rivolgersi sempre al proprio reumatologo di fiducia con cui hanno condiviso la scelta terapeutica.
Dottor Antonio Marchetta
responsabile del Servizio di Reumatologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria
Giornata del sollievo: l'attività della Terapia Antalgica contro il dolore
In occasione della Giornata Nazionale del Sollievo, che si celebra il 31 maggio, presentiamo l’attività della Terapia Antalgica che ha come obiettivo quello di curare il dolore cronico benigno ed oncologico attraverso l’approfondimento diagnostico e con l’ausilio di procedure farmacologiche ed interventistiche.
Domenica 31 maggio si celebra la XIX Giornata Nazionale del Sollievo, istituita nel 2001 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri allo scopo di “promuovere e testimoniare, attraverso idonea informazione e tramite iniziative di sensibilizzazione e solidarietà, la cultura del sollievo dalla sofferenza fisica e morale in favore di tutti coloro che stanno ultimando il loro percorso vitale, non potendo più giovarsi di cure destinate alla guarigione”.
Tra gli enti promotori – insieme al Ministero della Salute e alla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome – la Fondazione Nazionale Gigi Ghirotti, nel cui sito viene sottolineato che “nel corso degli anni, andando incontro ai bisogni reali dei cittadini, la mission della Giornata si è estesa alla diffusione della cultura del sollievo dalla sofferenza in tutte le condizioni di malattia ed esistenziali, pur mantenendo un posto di rilievo la fase terminale della vita”.
L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria è da sempre impegnato nel trattamento del dolore, con vari percorsi dedicati. Tra questi l’Unità Operativa Semplice di Terapia Antalgica, che fa parte del Dipartimento di Anestesia Rianimazione e Terapia Antalgica diretto dal dottor Massimo Zamperini.
“La Terapia Antalgica ha come obiettivo la diagnosi e la cura del dolore – spiega il responsabile, dottor Gerardo Serra -. In particolare si pone di curare il dolore cronico benigno ed oncologico attraverso l’approfondimento diagnostico e con l’ausilio di procedure farmacologiche ed interventistiche”. Le patologie maggiormente trattate riguardano il dolore vertebrale, cranio-facciale ed oncologico.
L’attività è rivolta ai pazienti degenti presso i vari reparti e a quelli esterni attraverso un ambulatorio dedicato. Quotidianamente viene svolta una seduta operatoria per i pazienti che necessitano di procedure antalgiche interventistiche. “Ogni anno vengono eseguite circa 200 procedure di vertebroplastica e altrettante procedure endoscopiche vertebrali. Sono invece circa 80 gli interventi di termorizotomia del trigemino. Si tratta di una tecnica chirurgica (eseguita ambulatorialmente con sedazione) che consiste nell’eliminazione del dolore tramite una lesione termica controllata della branca del nervo interessata, lasciando inalterata la sensibilità del viso”.
Sono anche altri i trattamenti chirurgici effettuati dalla Terapia Antalgica: l’iniezione epidurale di steroidi, l’impianto di pompe programmabili per l’infusione di farmaco; il posizionamento di cateteri intratecali; l’alcolizzazione del plesso celiaco; la cordotomia cervicale percutanea; i blocchi della faccette articolari e la stimolazione midollare.
Nella foto l’équipe della Terapia Antalgica
Covid-19 e tumori: il prof. Alongi autore di una guida internazionale pubblicata da Lancet Oncology
Il prof. Filippo Alongi, direttore della Radioterapia Oncologica Avanzata, è l’unico autore italiano di una guida tradotta in 23 lingue che riassume e completa tutte le raccomandazioni di 63 Società Scientifiche dedicate alla gestione del paziente oncologico durante la pandemia Covid-19
Rinunciare alle cure o recarsi in ospedale, con il timore di essere contagiati. E’ una delle tante preoccupazioni che vivono i pazienti oncologici in questi mesi di pandemia da CoVid-19, spesso disorientati da mille informazioni, non sempre attendibili.
Proprio con l’obiettivo di guidare e supportare coloro che in tutto il mondo sono affetti da tumore è nato un vademecum tradotto in 23 lingue, dove sono riportati i comportamenti e le misure da adottare da parte del malato di cancro ma anche degli operatori sanitari e degli stessi centri oncologici per prevenire e trattare l’infezione da SARS CoV2.
Il lavoro scientifico è stato pubblicato nei giorni scorsi dalla rivista Lancet Oncology (https://www.thelancet.com/journals/lanonc/article/PIIS1470-2045(20)30278-3/fulltext), a firma di quattro autori, tra cui quella di Filippo Alongi, unico italiano, direttore della Radioterapia Oncologica Avanzata dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona) e professore associato all’Università di Brescia.
La pubblicazione è nata grazie alla collaborazione di 48 medici provenienti da 27 Paesi che hanno rivisto e sintetizzato le linee guida sulla gestione del paziente oncologico in caso di pandemia, redatte da 63 società di oncologia, tra cui, per l’Italia, AIOM e AIRO. Le raccomandazioni che sono scaturite sono state tradotte in 22 lingue, al fine di consentirne l’accesso anche ai pazienti che non conoscono l’inglese. A breve saranno 23 con l’introduzione della versione in urdu. I testi e le traduzioni sono disponibili sui siti web della European Cancer Patient Coalition e della Hellenic Cancer Federation.
“A causa della pandemia i pazienti oncologici si trovano ad affrontare circostanze senza precedenti e sono alla ricerca continua di informazioni – afferma il professor Alongi -. Troppo spesso si affidano a fonti non attendibili, come il famoso “dottor Google”, anche per l’immediata comprensione dei loro contenuti. Il documento pubblicato da una rivista prestigiosa come Lancet Oncology contrasta queste fonti coniugando la semplicità del linguaggio con la solidità delle basi scientifiche. Una comunicazione di questo tipo diventa di fondamentale importanza per ridurre il rischio di contrarre il virus da parte del paziente e migliorare la sua qualità di vita”.
Una guida divisa in sei aree di interesse
Il documento è suddiviso in sei aree di interesse. La prima riguarda la definizione di rischio per chi è affetto da tumore, con la raccomandazione di rivolgersi sempre allo specialista per capire il livello di rischio personale.
L’importanza di applicare tutte le misure igieniche e comportamentali per evitare l’infezione è oggetto della seconda area, mentre la terza si focalizza su cosa fare se il paziente presenta sintomi riconducibili al Covid-19. Gli esperti sottolineano non solo che attualmente non ci sono né farmaci né vaccini che trattino o prevengano l’infezione da nuovo Coronavirus, ma anche che non ci sono prove scientifiche relative all’efficacia di interventi dietetici, medicine complementari e alternative o integratori al fine di dissuadere la tendenza, non poco diffusa, di assumere regimi alimentari o sostanze che possono essere nocive.
La quarta area di raccomandazione è relativa alla salute mentale del paziente oncologico già messo duramente alla prova a causa dell’ansia causata dal cancro. Esercizio fisico, attività creative, qualità del tempo in famiglia sono alcuni dei suggerimenti dati. Tuttavia quando il livello di stress diventa non più affrontabile è necessario rivolgersi al proprio medico.
Situazione possibile solo quando esiste un forte rapporto di fiducia tra medico e paziente (tema della quinta area), in modo tale che il paziente condivida la decisione sia di rimandare i trattamenti, se ci sono le condizioni, sia di continuarli se è necessario anche durante la pandemia. Il paziente deve avere la percezione che il suo team di oncologi sia a disposizione per supportarlo, evitando così che prenda decisioni autonome dettate dalla paura.
Infine la sesta aera di raccomandazione riguarda le procedure per il contenimento del contagio che devono adottare i centri oncologici.
I pazienti non Covid e la pandemia: la seconda fase dello studio psicologico
Prima e dopo il lockdown. Lo studio “ImpACT-COVID-19 for patients” entra nella seconda fase per valutare il vissuto psicologico dei pazienti no Covid dopo la fine della quarantena. Possono partecipare allo studio tutti i pazienti, e non solo quelli del “Sacro Cuore”, scaricando e compilando il questionario qui sotto
Mentre sono in elaborazione i dati raccolti nella prima fase dello studio “ImpACT-COVID-19 for patients”, promosso dalla Psicologia Clinica dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, è già iniziata la seconda fase, con la somministrazione di nuovi questionari rivolti a pazienti no CoViD. Se nella prima fase l’obiettivo della ricerca era identificare i bisogni reali dei pazienti al fine di garantire a loro aiuto e sostegno psicologico nel momento del lockdown, la seconda si pone l’intento di valutare l’impatto sul loro vissuto del ritorno alla normalità, seppur molto diversa precedente alla pandemia
Lo studio è aperto a tutti i pazienti e anche a coloro che hanno aderito alla prima fase dello studio. Questi permetteranno una valutazione più ampia dell’insorgenza del disturbo post traumatico da stress, che può verificarsi anche a distanza di mesi dall’evento traumatico e la cui durata può variare da un mese alla cronicità.
Lo studio clinico vede come centro coordinatore l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, capofila di una cordata formata da: Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano; Ospedale San Giovanni di Dio di Crotone; Azienda Sanitaria Alto Adige, comprensorio di Bressanone; Ospedale del comprensorio sanitario di Bolzano; AOOR Villa Sofia Cervello di Palermo; Policlinico di Catania; IRCCS San Martino di Genova; Salus Hospital Gruppo Villa Maria di Reggio Emilia; Humanitas di Roma; Clinica Oncologica P.O. SS Annunziata di Chieti e Ospedale Sacco di Milano.
Dai dati che emergeranno dalla raccolta dei questionari sarà possibile tracciare la fotografia di come ha vissuto questa pandemia chi si trova ad affrontarla in una situazione di fragilità fisica e psicologica come la malattia.
Lo studio è rivolto a tutti i pazienti ad eccezione di quelli colpiti da CoViD-19. Non è necessario essere un paziente del “Sacro Cuore Don Calabria” ed è sufficiente compilare il questionario (totalmente anonimo) che si può scaricare cliccando su questo link: https://forms.gle/9w8Svb4Mmv9wxoLE9
Prelievo senza coda: per fare gli esami del sangue è attiva la prenotazione
Da martedì 19 maggio sono attivi i sistemi di prenotazione per effettuare i prelievi e gli esami presso il Laboratorio Analisi. Anche la prenotazione è una disposizione introdotta per creare un ambiente ospedaliero più sicuro possibile
L’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar prosegue nella messa in atto di tutte le misure necessarie per rendere l’ospedale un luogo sicuro in questa Fase 2 dell’emergenza Coronavirus. Da martedì 19 maggio sono attivi i sistemi di prenotazione obbligatoria per effettuare i prelievi e gli esami presso il Laboratorio analisi.
Si può fissare l’ora e il giorno on line sul sito web www.sacrocuore.it cliccando “Prelievo senza coda”. Oppure telefonando al numero 045.6013081 dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 18 e il sabato dalle 8 alle 13. La prenotazione consente di rispettare le norme anti-contagio, ma anche di evitare fastidiose attese. Il giorno dell’esame verrà richiesta sempre la prescrizione medica, la tessera sanitaria e il codice di prenotazione.
Al Laboratorio Analisi, che si trova nell’area dell’Ospedale Sacro Cuore, si accede dopo aver varcato il check point all’ingresso. Qui il personale dedicato provvede alla misurazione della temperatura corporea, a verificare la presenza delle mascherina e a chiedere la detersione delle mani con gel idroalcolico. Con una temperatura corporea superiore a 37,5° l’accesso in ospedale sarà sottoposto a parere medico. Ad ogni visitatore viene consegnato un “lasciapassare” da mostrare all’ingresso di ogni reparto e servizio.
Anche la sala di attesa del Laboratorio Analisi è stata allestita per il rispetto del distanziamento sociale, con la riduzione dei posti a sedere di almeno 1/3.
Verona è pronta a una nuova normalità. A dirlo è uno studio dell'IRCCS Sacro Cuore
Lo studio epidemiologico “Comune di Verona 2020” – condotto dal “Sacro Cuore Don Calabria – ha rilevato che la città può ripartire in sicurezza essendo meno dell’1% i positivi asintomatici. Guardia alta per l’autunno: il 95% non è mai venuto in contatto con il virus
Verona è pronta a ripartire. E può farlo, unica città in Italia, in base a un’indagine epidemiologica, la quale rileva che oggi meno dell’1% dei veronesi è positivo asintomatico, cioè in grado di diffondere il Covid-19 senza saperlo. Guardia molto alta per il prossimo autunno: quasi il 95% dei cittadini non è venuto in contatto con il virus (vedi i video in fondo a questo articolo).
A dirlo sono i risultati della ricerca epidemiologica “Comune di Verona 2020” promossa dall’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria in collaborazione con il Comune scaligero, l’Ulss Scaligera 9, l’Azienda ospedaliero universitaria integrata e l’Ateneo veronese, con lo scopo di determinare per la prima volta in Italia la distribuzione del nuovo Coronavirus in una città di medie dimensioni.
Obiettivo centrato pienamente. A cominciare dal campione. Sono 1.515 i veronesi dei 1.527 del campione statisticamente rappresentativo della popolazione veronese (235.000 abitanti) che hanno aderito dal 24 aprile all’invito di partecipare volontariamente allo studio (99,2%). Tutte le età sono state ben rappresentate: di particolare interesse la presenza nel campione di ben 96 minorenni e 29 ultra 90-enni.
Venerdì 8 maggio si è conclusa al Centro Diagnostico Terapeutico “Sacro Cuore” di Verona la raccolta dei campioni biologici – test sierologici e tampone oro/nasofaringeo – dei parametri vitali (frequenza cardiaca, respiratoria e saturazione di ossigeno) e di eventuali sintomi presenti o che si sono manifestati nelle settimane precedenti. Dati che sono stati incrociati nell’analisi per un’indagine unica nel suo genere e con un margine di errore calcolato dell’1,5%.
I principali risultati
- 10 soggetti asintomatici positivi al tampone – cioè infetti – (0,7%) e corrispondenti, nella popolazione generale, a 1.645 cittadini veronesi, verosimilmente in grado di infettare.
- 68 soggetti con tampone negativo e anticorpi IgA/IgG positivi (4,5%) pari a 10.575 cittadini veronesi che hanno contratto il virus nelle settimane scorse. Di questi solo l’11% aveva già ricevuto una diagnosi, mediante tampone, di malattia da SARS-CoV2, mentre addirittura l’89% dei soggetti ha riferito di non aver avuto alcun sintomo o solo lievi sintomi correlabili a CoViD-19; talmente lievi da non inficiare la normale vita quotidiana. Questi fanno parte dei cosiddetti poco-sintomatici che hanno avuto un ruolo fondamentale nella diffusione del virus.
- 1.437 soggetti con tampone e anticorpi negativi (94,8%) pari a 222.730 cittadini veronesi.
Veronesi rispettosi del lockdown, ma attenzione
“I risultati incoraggianti emersi dallo studio indicano che a Verona attualmente è presente un basso rischio di infezione grazie al comportamento virtuoso dei cittadini veronesi che hanno in maggioranza rispettato il periodo di lockdown”, commentano il dottor Carlo Pomari, responsabile della Pneumologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, e il biostatistico Massimo Guerriero, coordinatori dello studio. “Tuttavia non possiamo non sottolineare che ben 1.645 veronesi sono attualmente potenzialmente infettivi. Questo cosa significa? Che il virus a Verona non è scomparso, ma la sua presenza in solo lo 0,7% della popolazione consente di ritornare, per così dire, a una nuova normalità. A una sola condizione però: che siano mantenute rigorosamente tutte le misure di contenimento del contagio: uso della mascherina, igiene frequente delle mani e distanziamento sociale. Solo comportandoci come se ciascuno di noi fosse infettivo, possiamo scongiurare di ritornare alla situazione drammatica negli ospedali di poche settimane fa”, sottolineano i due ricercatori.
Guardia alta per il prossimo autunno
Molto importante per il prossimo futuro è il dato dei veronesi che non sono ancora venuti a contatto con il virus. “Questi sono quasi il 95% – proseguono -. Ciò ci obbliga a non farci trovare impreparati nei confronti di un’eventuale nuova ondata di infezioni in autunno mediante un’adeguata programmazione sanitaria sia della medicina del territorio sia ospedaliera. Anche in questo caso l’impatto sarà proporzionale alla nostra capacità di mantenere tutte le misure per la riduzione del contagio e alla corretta reattività dei sistemi sanitari.”
Altri dati
Analisi dei sintomi
I positivi al tampone: non hanno dichiarato sintomi
I positivi alla sierologia e non al tampone (sono venuti a contatto con il virus):
Anosmia (perdita dell’olfatto): 28%
Stanchezza: 27%
Febbre: 20%
Tosse: 20%
I sani: meno del 2% ha dichiarato anosmia e febbre
Analisi dell’età
I positivi al tampone: media 53 anni
Coloro che hanno avuto tampone positivo in passato: media 44 anni
Tra coloro che hanno sierologia positiva: 4 casi dai 10 ai 17 anni e 4 casi: dai 18 ai 23 anni, a significare, calcolando anche il dato precedente, la bassa prevalenza del virus sulla popolazione giovane.
La ricerca
La fase operativa dell’indagine epidemiologica ha avuto inizio lo scorso venerdì 24 aprile al Centro Diagnostico Terapeutico “Sacro Cuore” di Verona, dove i primi cittadini scelti con criterio casuale dai registri dell’Anagrafe sono giunti per effettuare il test sierologico per la ricerca degli anticorpi anti-CoViD-19 (IgA/IgG) e il tampone oro/nasofaringeo. Tramite lettera consegnata dalla Protezione Civile sono stati invitati 2.061 veronesi (di almeno 10 anni), il 35% in più del campione necessario di 1.527, al fine di compensare il numero dei cittadini che fisiologicamente rifiutano di partecipare a uno studio.
Presso il Centro è stato allestito un vero e proprio circuito ad anello e a senso unico, in modo tale da garantire il massimo distanziamento sociale e quindi la maggiore sicurezza possibile. Già all’ingresso era prevista la misura della temperatura corporea affinché i soggetti con temperatura superiore a 37.5°C fossero inviati immediatamente alla zona drive-in per l’esecuzione del solo tampone, mentre gli altri iniziavano il percorso “pulito”. Questo prevedeva la compilazione e sottoscrizione di tutti i moduli della privacy, l’accettazione, la misurazione dei parametri vitali (frequenza cardiaca e respiratoria e saturazione di ossigeno) e il prelievo di sangue. A seguire la persona usciva dalla struttura per salire nella sua auto e portarsi quindi nella zona tamponi: l’esecuzione del tampone veniva effettuata direttamente in auto e all’aperto.
Le 65 persone che per vari motivi non potevano muoversi sono state raggiunte a domicilio con un’unità mobile dello stesso ospedale di Negrar, con a bordo un medico, due infermiere ed un autista.
Il Comitato scientifico dello studio “Comune di Verona 2020” è composto da:
Coordinatori: Carlo Pomari, responsabile della Pneumologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, e Massimo Guerriero, biostatistico ed epidemiologo.
Zeno Bisoffi, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria e professore associato di Malattie Infettive e Tropicali dell’Università di Verona
Albino Poli, direttore del Dipartimento di Diagnostica e Sanità Pubblica dell’Università di Verona
Claudio Micheletto, direttore della Pneumologia dell’Azienda ospedaliero universitaria di Verona
MICI: una Giornata mondiale celebrata in rete
Il 19 maggio si celebra in tutto il mondo la Giornata delle malattie infiammatorie croniche dell’intestino. L’emergenza sanitaria non consente manifestazioni, ma a far incontrare chi soffre queste patologie e chi se ne occupa ci pensa la rete
Nonostante il Coronavirus, anche quest’anno la Giornata Mondiale delle Malattie Infiammatori Croniche dell’Intestino (MICI o IBD in inglese), che si celebra il 19 maggio, non passerà inosservata e il colore viola avvolgerà la rete. L’Associazione Nazionale per le Malattie Croniche dell’Intestino (AMICI) ha promosso la manifestazione nazionale “Italian World IBD week: #AMICIaDISTANZA” che prevede collegamenti tramite youtube, Facebook, Twitter e Slido fra i vari centri, iniziati il 13 maggio. Durante i collegamenti in diretta, sono affrontati da parte di importanti specialisti della patologia i temi di maggior interesse per i pazienti. Il 19 maggio dalle 10 alle 12 saranno on line anche i medici del Centro IBD dell’IRCSS Ospedale Sacro Cuore- Don Calabria di Negrar, i dottori Andrea Geccherle e Mirko DI Ruscio, e la dottoressa Angela Variola. Per saperne di più: https://amiciitalia.eu/categorie/incontri-amici/italian-world-ibd-week-amiciadistanza
Si stima che in Italia le persone affette da MICI – morbo di Crohn e colite ulcerosa – siano circa 200.000. Tali patologie possono insorgere in qualsiasi momento della vita ma solitamente colpiscono i giovani e la maggiore incidenza è documentata fra i 20 e i 40 anni. Il decorso delle malattie è caratterizzato da fasi di attività intervallate da periodi di remissione, con un variabile rischio di complicanze nel corso del tempo. Il processo infiammatorio cronico intestinale, inoltre, espone nel tempo ad un aumentato rischio di cancro colo-rettale. L’evoluzione cronica e progressiva della malattia, presenta anche un andamento fluttuante che crea una condizione di disagio psico-sociale nella persona che ha difficoltà a vivere normalmente a causa della compromissione della qualità di vita in termini di benessere personale, lavorativo e interpersonale.
“Il concetto di multidisciplinarità per la gestione del paziente affetto da MICI è uno dei punti che da tempo perseguiamo presso il Centro IBD dell’IRCSS Ospedale Sacro Cuore- Don Calabria a cui afferiscono circa 2500 pazienti”, commenta il responsabile dottor Andrea Geccherle. “Già da anni le nostre attività educazionali, ed in parte anche quelle di ricerca scientifica, sono volte alla valorizzazione dell’approccio multidisciplinare, che vedono nella presa in carico psico-socio-assistenziale l’aspetto fondamentale per rendere concreto questo modello di gestione del paziente”.
Anche Ulss 9 Scaligera con la rete provinciale per le IBD ha confermato la volontà e la necessità di segnare l’evoluzione dal modello organizzativo di “rete”, dove l’accento è posto principalmente sull’approccio multidisciplinare e sull’integrazione dell’offerta tra l’ospedale e i servizi territoriali al fine di coniugare la continuità della presa in carico della persona nell’ottica di sostenibilità del sistema. “Molteplici sono i benefici previsti dall’attuazione del nuovo modello di cura – sottolinea il dottor Geccherle – un aumento dell’appropriatezza clinica, organizzativa e gestionale del paziente, una migliore integrazione tra le unità d’offerta della rete dei servizi, il raccordo ottimale tra varie competenze professionali, un migliore accesso alle prestazioni sanitarie, una funzione di accompagnamento del paziente nella gestione di tutti gli adempimenti collegati”.