Idrossiclorochina e malati reumatici: timori infondati
La sospensione da parte dell’AIFA dell’utilizzo dell’idrossiclorochina per i malati Covid, se non all’interno di studi clinici, ha creato preoccupazione tra i malati reumatici che lo usano da molti anni. “L’allarme sui possibili gravi effetti collaterali in campo reumatologico è del tutto ingiustificato e non confermato dalla mia lunghissima esperienza clinica”, dice il reumatologo Antonio Marchetta
Fin dall’inizio della pandemia da Coronavirus, si è parlato molto di Clorochina e Idrossiclorochina per il loro utilizzo nel trattamento dei pazienti affetti da Covid-19. E’ di pochi giorni fa la notizia delle sospensione di tutti gli studi promossi dall’OMS che prevedono l’impiego a scopo terapeutico delle molecole, seguita dalla decisione di AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) di bloccare ogni uso, sia a scopo terapeutico sia preventivo, se non all’interno di sperimentazioni cliniche. Secondo la nota AIFA, la motivazione è dovuta all’esito di alcuni studi clinici che non avrebbero confermato la sua efficacia nel trattamento della infezione da Covid-19 e da un riportato aumento degli effetti collaterali, talora anche gravi. Studi pubblicati da riviste scientifiche prestigiose, come Lancet e New England Journal of Medicine, sui quali pesano dei grossi dubbi, tanto che l’OMS ha annunciato di voler riprende gli studi sull’idrossiclorochina.
Questa notizia ha creato non poco allarme tra i pazienti reumatici generando anche una certa loro diffidenza nei confronti dell’efficacia del farmaco e una allerta circa nuovi effetti indesiderati.
E’ quindi fondamentale, in questo momento di confusione mediatica, rasserenare e rassicurare i pazienti reumatici affetti da artrite reumatoide, Lupus eritematoso, sindrome di Sjogren e connettiviti varie sull’efficacia e sicurezza del Plaquenil con l’invito a non sospendere assolutamente il farmaco che è stato loro prescritto dal Reumatologo di fiducia.
Che cos’è l’Idrossiclorochina ovvero il Plaquenil
Il Plaquenil è un vecchio farmaco nato per il trattamento e la profilassi della malaria, oggi sempre meno utilizzato per questa indicazione. Viceversa in Reumatologia, pur essendo impiegato da moltissimi anni, è attualmente ancora uno dei farmaci essenziali nella terapia di patologia autoimmuni, come l’artrite reumatoide, il Lupus eritematoso sistemico e cutaneo e di numerose altre forme di connettivite come la Sindrome di Sjogren, la Sclerodermia cutanea e sistemica, quando vi sono aspetti di impegno articolare. E’ infatti un farmaco immunomodulante in grado cioè di modulare la risposta immunitaria quando questa diviene esuberante e fuori controllo come accade appunto nelle malattie reumatiche.
Perché l’uso off-label per i malati Covid
Alcuni studi in vitro hanno evidenziato che l’Idrossiclorochina possiede un’attività antivirale anche sul virus SARS-CoV-2 (oltre agli altri Coronavirus) attraverso un meccanismo in grado di bloccare la replicazione virale e di concentrarsi in maniera significativa a livello delle cellule polmonari dove è maggiormente presente il patogeno.
Dal momento in cui AIFA (agli inizi di marzo) ne aveva autorizzato l’uso off-label (fuori indicazione da scheda tecnica) nell’ambito di studi clinici vi è stato un susseguirsi continuo di conferme e smentite circa efficacia e sicurezza dell’Idrossiclorochina nel trattamento della infezione da Covid-19.
Nelle fasi iniziali della pandemia i pazienti reumatici hanno avuto non poche difficoltà a reperire il Plaquenil, poiché tante persone ne hanno fatto un uso indiscriminato e la produzione del farmaco da parte della Azienda Farmaceutica era stata destinata in gran parte per le Farmacie Ospedaliere che lo distribuivano direttamente ai pazienti affetti dal Covid per la cura a domicilio.
Perché i malati reumatologici non devono temere
Nel corso della mia lunga attività clinica, ho prescritto il Plaquenil a moltissimi pazienti reumatologici e tanti di loro continuano ad assumerlo da parecchi anni ininterrottamente. Raramente mi è capitato di doverlo sospendere per effetti collaterali, sempre reversibili e di modesta entità.
Ovviamente tutti i farmaci, in generale, e gli antireumatici, in particolare, possono dare luogo ad effetti collaterali più o meno importanti e specifici. Compito del reumatologo è conoscerli, condividerli e prevenirli con una attenta raccolta dei dati anamnestici e delle patologie pregresse o in atto nel paziente. Nella relazione di visita consegnata al paziente e rivolta al medico di famiglia, accanto alla prescrizione del farmaco e al suo dosaggio, viene riportato un promemoria sugli effetti collaterali e la necessità di sospendere il trattamento stesso e sul monitoraggio bioumorale e strumentale.
L’allarme creato in questi giorni sui possibili gravi effetti collaterali legati all’utilizzo del Plaquenil è, a mio modesto avviso, del tutto ingiustificato e non confermato dalla mia lunghissima esperienza. Gli effetti collaterali registrati negli studi sull’impiego in pazienti Covid sono da ricondurre alla prescrizione del farmaco a dosaggi molto più alti di quelli che utilizziamo di norma in reumatologia, spesso in associazione con altri farmaci che ne potenziano gli effetti collaterali e verosimilmente senza una adeguata indagine anamnestica sulle patologie del paziente.
In sintesi le problematiche principali legati alla assunzione del Plaquenil sono rappresentate dalla sua potenziale tossicità a livello oculare, dove può depositarsi nella retina formando accumuli di idrossiclorochina, e all’aumento della pressione dell’occhio (fattore di rischio per il glaucoma). Anche la comparsa di sindrome pruriginosa e dermatite possono portare alla sospensione del farmaco. E’ controindicato in pazienti affetti da favismo (condizione rara legata ad un deficit congenito di un enzima) che possono andare incontro ad una emolisi e in pazienti con alterazioni del ritmo cardiaco (allungamento del Q-T) o recente fatto ischemico miocardico.
Quindi esorto ancora i pazienti reumatici a non abbandonare la terapia con il Plaquenil e a rivolgersi sempre al proprio reumatologo di fiducia con cui hanno condiviso la scelta terapeutica.
Dottor Antonio Marchetta
responsabile del Servizio di Reumatologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria
Giornata del sollievo: l'attività della Terapia Antalgica contro il dolore
In occasione della Giornata Nazionale del Sollievo, che si celebra il 31 maggio, presentiamo l’attività della Terapia Antalgica che ha come obiettivo quello di curare il dolore cronico benigno ed oncologico attraverso l’approfondimento diagnostico e con l’ausilio di procedure farmacologiche ed interventistiche.
Domenica 31 maggio si celebra la XIX Giornata Nazionale del Sollievo, istituita nel 2001 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri allo scopo di “promuovere e testimoniare, attraverso idonea informazione e tramite iniziative di sensibilizzazione e solidarietà, la cultura del sollievo dalla sofferenza fisica e morale in favore di tutti coloro che stanno ultimando il loro percorso vitale, non potendo più giovarsi di cure destinate alla guarigione”.
Tra gli enti promotori – insieme al Ministero della Salute e alla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome – la Fondazione Nazionale Gigi Ghirotti, nel cui sito viene sottolineato che “nel corso degli anni, andando incontro ai bisogni reali dei cittadini, la mission della Giornata si è estesa alla diffusione della cultura del sollievo dalla sofferenza in tutte le condizioni di malattia ed esistenziali, pur mantenendo un posto di rilievo la fase terminale della vita”.
L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria è da sempre impegnato nel trattamento del dolore, con vari percorsi dedicati. Tra questi l’Unità Operativa Semplice di Terapia Antalgica, che fa parte del Dipartimento di Anestesia Rianimazione e Terapia Antalgica diretto dal dottor Massimo Zamperini.
“La Terapia Antalgica ha come obiettivo la diagnosi e la cura del dolore – spiega il responsabile, dottor Gerardo Serra -. In particolare si pone di curare il dolore cronico benigno ed oncologico attraverso l’approfondimento diagnostico e con l’ausilio di procedure farmacologiche ed interventistiche”. Le patologie maggiormente trattate riguardano il dolore vertebrale, cranio-facciale ed oncologico.
L’attività è rivolta ai pazienti degenti presso i vari reparti e a quelli esterni attraverso un ambulatorio dedicato. Quotidianamente viene svolta una seduta operatoria per i pazienti che necessitano di procedure antalgiche interventistiche. “Ogni anno vengono eseguite circa 200 procedure di vertebroplastica e altrettante procedure endoscopiche vertebrali. Sono invece circa 80 gli interventi di termorizotomia del trigemino. Si tratta di una tecnica chirurgica (eseguita ambulatorialmente con sedazione) che consiste nell’eliminazione del dolore tramite una lesione termica controllata della branca del nervo interessata, lasciando inalterata la sensibilità del viso”.
Sono anche altri i trattamenti chirurgici effettuati dalla Terapia Antalgica: l’iniezione epidurale di steroidi, l’impianto di pompe programmabili per l’infusione di farmaco; il posizionamento di cateteri intratecali; l’alcolizzazione del plesso celiaco; la cordotomia cervicale percutanea; i blocchi della faccette articolari e la stimolazione midollare.
Nella foto l’équipe della Terapia Antalgica
Covid-19 e tumori: il prof. Alongi autore di una guida internazionale pubblicata da Lancet Oncology
Il prof. Filippo Alongi, direttore della Radioterapia Oncologica Avanzata, è l’unico autore italiano di una guida tradotta in 23 lingue che riassume e completa tutte le raccomandazioni di 63 Società Scientifiche dedicate alla gestione del paziente oncologico durante la pandemia Covid-19
Rinunciare alle cure o recarsi in ospedale, con il timore di essere contagiati. E’ una delle tante preoccupazioni che vivono i pazienti oncologici in questi mesi di pandemia da CoVid-19, spesso disorientati da mille informazioni, non sempre attendibili.
Proprio con l’obiettivo di guidare e supportare coloro che in tutto il mondo sono affetti da tumore è nato un vademecum tradotto in 23 lingue, dove sono riportati i comportamenti e le misure da adottare da parte del malato di cancro ma anche degli operatori sanitari e degli stessi centri oncologici per prevenire e trattare l’infezione da SARS CoV2.
Il lavoro scientifico è stato pubblicato nei giorni scorsi dalla rivista Lancet Oncology (https://www.thelancet.com/journals/lanonc/article/PIIS1470-2045(20)30278-3/fulltext), a firma di quattro autori, tra cui quella di Filippo Alongi, unico italiano, direttore della Radioterapia Oncologica Avanzata dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona) e professore associato all’Università di Brescia.
La pubblicazione è nata grazie alla collaborazione di 48 medici provenienti da 27 Paesi che hanno rivisto e sintetizzato le linee guida sulla gestione del paziente oncologico in caso di pandemia, redatte da 63 società di oncologia, tra cui, per l’Italia, AIOM e AIRO. Le raccomandazioni che sono scaturite sono state tradotte in 22 lingue, al fine di consentirne l’accesso anche ai pazienti che non conoscono l’inglese. A breve saranno 23 con l’introduzione della versione in urdu. I testi e le traduzioni sono disponibili sui siti web della European Cancer Patient Coalition e della Hellenic Cancer Federation.
“A causa della pandemia i pazienti oncologici si trovano ad affrontare circostanze senza precedenti e sono alla ricerca continua di informazioni – afferma il professor Alongi -. Troppo spesso si affidano a fonti non attendibili, come il famoso “dottor Google”, anche per l’immediata comprensione dei loro contenuti. Il documento pubblicato da una rivista prestigiosa come Lancet Oncology contrasta queste fonti coniugando la semplicità del linguaggio con la solidità delle basi scientifiche. Una comunicazione di questo tipo diventa di fondamentale importanza per ridurre il rischio di contrarre il virus da parte del paziente e migliorare la sua qualità di vita”.
Una guida divisa in sei aree di interesse
Il documento è suddiviso in sei aree di interesse. La prima riguarda la definizione di rischio per chi è affetto da tumore, con la raccomandazione di rivolgersi sempre allo specialista per capire il livello di rischio personale.
L’importanza di applicare tutte le misure igieniche e comportamentali per evitare l’infezione è oggetto della seconda area, mentre la terza si focalizza su cosa fare se il paziente presenta sintomi riconducibili al Covid-19. Gli esperti sottolineano non solo che attualmente non ci sono né farmaci né vaccini che trattino o prevengano l’infezione da nuovo Coronavirus, ma anche che non ci sono prove scientifiche relative all’efficacia di interventi dietetici, medicine complementari e alternative o integratori al fine di dissuadere la tendenza, non poco diffusa, di assumere regimi alimentari o sostanze che possono essere nocive.
La quarta area di raccomandazione è relativa alla salute mentale del paziente oncologico già messo duramente alla prova a causa dell’ansia causata dal cancro. Esercizio fisico, attività creative, qualità del tempo in famiglia sono alcuni dei suggerimenti dati. Tuttavia quando il livello di stress diventa non più affrontabile è necessario rivolgersi al proprio medico.
Situazione possibile solo quando esiste un forte rapporto di fiducia tra medico e paziente (tema della quinta area), in modo tale che il paziente condivida la decisione sia di rimandare i trattamenti, se ci sono le condizioni, sia di continuarli se è necessario anche durante la pandemia. Il paziente deve avere la percezione che il suo team di oncologi sia a disposizione per supportarlo, evitando così che prenda decisioni autonome dettate dalla paura.
Infine la sesta aera di raccomandazione riguarda le procedure per il contenimento del contagio che devono adottare i centri oncologici.
I pazienti non Covid e la pandemia: la seconda fase dello studio psicologico
Prima e dopo il lockdown. Lo studio “ImpACT-COVID-19 for patients” entra nella seconda fase per valutare il vissuto psicologico dei pazienti no Covid dopo la fine della quarantena. Possono partecipare allo studio tutti i pazienti, e non solo quelli del “Sacro Cuore”, scaricando e compilando il questionario qui sotto
Mentre sono in elaborazione i dati raccolti nella prima fase dello studio “ImpACT-COVID-19 for patients”, promosso dalla Psicologia Clinica dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, è già iniziata la seconda fase, con la somministrazione di nuovi questionari rivolti a pazienti no CoViD. Se nella prima fase l’obiettivo della ricerca era identificare i bisogni reali dei pazienti al fine di garantire a loro aiuto e sostegno psicologico nel momento del lockdown, la seconda si pone l’intento di valutare l’impatto sul loro vissuto del ritorno alla normalità, seppur molto diversa precedente alla pandemia
Lo studio è aperto a tutti i pazienti e anche a coloro che hanno aderito alla prima fase dello studio. Questi permetteranno una valutazione più ampia dell’insorgenza del disturbo post traumatico da stress, che può verificarsi anche a distanza di mesi dall’evento traumatico e la cui durata può variare da un mese alla cronicità.
Lo studio clinico vede come centro coordinatore l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, capofila di una cordata formata da: Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano; Ospedale San Giovanni di Dio di Crotone; Azienda Sanitaria Alto Adige, comprensorio di Bressanone; Ospedale del comprensorio sanitario di Bolzano; AOOR Villa Sofia Cervello di Palermo; Policlinico di Catania; IRCCS San Martino di Genova; Salus Hospital Gruppo Villa Maria di Reggio Emilia; Humanitas di Roma; Clinica Oncologica P.O. SS Annunziata di Chieti e Ospedale Sacco di Milano.
Dai dati che emergeranno dalla raccolta dei questionari sarà possibile tracciare la fotografia di come ha vissuto questa pandemia chi si trova ad affrontarla in una situazione di fragilità fisica e psicologica come la malattia.
Lo studio è rivolto a tutti i pazienti ad eccezione di quelli colpiti da CoViD-19. Non è necessario essere un paziente del “Sacro Cuore Don Calabria” ed è sufficiente compilare il questionario (totalmente anonimo) che si può scaricare cliccando su questo link: https://forms.gle/9w8Svb4Mmv9wxoLE9
Prelievo senza coda: per fare gli esami del sangue è attiva la prenotazione
Da martedì 19 maggio sono attivi i sistemi di prenotazione per effettuare i prelievi e gli esami presso il Laboratorio Analisi. Anche la prenotazione è una disposizione introdotta per creare un ambiente ospedaliero più sicuro possibile
L’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar prosegue nella messa in atto di tutte le misure necessarie per rendere l’ospedale un luogo sicuro in questa Fase 2 dell’emergenza Coronavirus. Da martedì 19 maggio sono attivi i sistemi di prenotazione obbligatoria per effettuare i prelievi e gli esami presso il Laboratorio analisi.
Si può fissare l’ora e il giorno on line sul sito web www.sacrocuore.it cliccando “Prelievo senza coda”. Oppure telefonando al numero 045.6013081 dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 18 e il sabato dalle 8 alle 13. La prenotazione consente di rispettare le norme anti-contagio, ma anche di evitare fastidiose attese. Il giorno dell’esame verrà richiesta sempre la prescrizione medica, la tessera sanitaria e il codice di prenotazione.
Al Laboratorio Analisi, che si trova nell’area dell’Ospedale Sacro Cuore, si accede dopo aver varcato il check point all’ingresso. Qui il personale dedicato provvede alla misurazione della temperatura corporea, a verificare la presenza delle mascherina e a chiedere la detersione delle mani con gel idroalcolico. Con una temperatura corporea superiore a 37,5° l’accesso in ospedale sarà sottoposto a parere medico. Ad ogni visitatore viene consegnato un “lasciapassare” da mostrare all’ingresso di ogni reparto e servizio.
Anche la sala di attesa del Laboratorio Analisi è stata allestita per il rispetto del distanziamento sociale, con la riduzione dei posti a sedere di almeno 1/3.
Verona è pronta a una nuova normalità. A dirlo è uno studio dell'IRCCS Sacro Cuore
Lo studio epidemiologico “Comune di Verona 2020” – condotto dal “Sacro Cuore Don Calabria – ha rilevato che la città può ripartire in sicurezza essendo meno dell’1% i positivi asintomatici. Guardia alta per l’autunno: il 95% non è mai venuto in contatto con il virus
Verona è pronta a ripartire. E può farlo, unica città in Italia, in base a un’indagine epidemiologica, la quale rileva che oggi meno dell’1% dei veronesi è positivo asintomatico, cioè in grado di diffondere il Covid-19 senza saperlo. Guardia molto alta per il prossimo autunno: quasi il 95% dei cittadini non è venuto in contatto con il virus (vedi i video in fondo a questo articolo).
A dirlo sono i risultati della ricerca epidemiologica “Comune di Verona 2020” promossa dall’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria in collaborazione con il Comune scaligero, l’Ulss Scaligera 9, l’Azienda ospedaliero universitaria integrata e l’Ateneo veronese, con lo scopo di determinare per la prima volta in Italia la distribuzione del nuovo Coronavirus in una città di medie dimensioni.
Obiettivo centrato pienamente. A cominciare dal campione. Sono 1.515 i veronesi dei 1.527 del campione statisticamente rappresentativo della popolazione veronese (235.000 abitanti) che hanno aderito dal 24 aprile all’invito di partecipare volontariamente allo studio (99,2%). Tutte le età sono state ben rappresentate: di particolare interesse la presenza nel campione di ben 96 minorenni e 29 ultra 90-enni.
Venerdì 8 maggio si è conclusa al Centro Diagnostico Terapeutico “Sacro Cuore” di Verona la raccolta dei campioni biologici – test sierologici e tampone oro/nasofaringeo – dei parametri vitali (frequenza cardiaca, respiratoria e saturazione di ossigeno) e di eventuali sintomi presenti o che si sono manifestati nelle settimane precedenti. Dati che sono stati incrociati nell’analisi per un’indagine unica nel suo genere e con un margine di errore calcolato dell’1,5%.
I principali risultati
- 10 soggetti asintomatici positivi al tampone – cioè infetti – (0,7%) e corrispondenti, nella popolazione generale, a 1.645 cittadini veronesi, verosimilmente in grado di infettare.
- 68 soggetti con tampone negativo e anticorpi IgA/IgG positivi (4,5%) pari a 10.575 cittadini veronesi che hanno contratto il virus nelle settimane scorse. Di questi solo l’11% aveva già ricevuto una diagnosi, mediante tampone, di malattia da SARS-CoV2, mentre addirittura l’89% dei soggetti ha riferito di non aver avuto alcun sintomo o solo lievi sintomi correlabili a CoViD-19; talmente lievi da non inficiare la normale vita quotidiana. Questi fanno parte dei cosiddetti poco-sintomatici che hanno avuto un ruolo fondamentale nella diffusione del virus.
- 1.437 soggetti con tampone e anticorpi negativi (94,8%) pari a 222.730 cittadini veronesi.
Veronesi rispettosi del lockdown, ma attenzione
“I risultati incoraggianti emersi dallo studio indicano che a Verona attualmente è presente un basso rischio di infezione grazie al comportamento virtuoso dei cittadini veronesi che hanno in maggioranza rispettato il periodo di lockdown”, commentano il dottor Carlo Pomari, responsabile della Pneumologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, e il biostatistico Massimo Guerriero, coordinatori dello studio. “Tuttavia non possiamo non sottolineare che ben 1.645 veronesi sono attualmente potenzialmente infettivi. Questo cosa significa? Che il virus a Verona non è scomparso, ma la sua presenza in solo lo 0,7% della popolazione consente di ritornare, per così dire, a una nuova normalità. A una sola condizione però: che siano mantenute rigorosamente tutte le misure di contenimento del contagio: uso della mascherina, igiene frequente delle mani e distanziamento sociale. Solo comportandoci come se ciascuno di noi fosse infettivo, possiamo scongiurare di ritornare alla situazione drammatica negli ospedali di poche settimane fa”, sottolineano i due ricercatori.
Guardia alta per il prossimo autunno
Molto importante per il prossimo futuro è il dato dei veronesi che non sono ancora venuti a contatto con il virus. “Questi sono quasi il 95% – proseguono -. Ciò ci obbliga a non farci trovare impreparati nei confronti di un’eventuale nuova ondata di infezioni in autunno mediante un’adeguata programmazione sanitaria sia della medicina del territorio sia ospedaliera. Anche in questo caso l’impatto sarà proporzionale alla nostra capacità di mantenere tutte le misure per la riduzione del contagio e alla corretta reattività dei sistemi sanitari.”
Altri dati
Analisi dei sintomi
I positivi al tampone: non hanno dichiarato sintomi
I positivi alla sierologia e non al tampone (sono venuti a contatto con il virus):
Anosmia (perdita dell’olfatto): 28%
Stanchezza: 27%
Febbre: 20%
Tosse: 20%
I sani: meno del 2% ha dichiarato anosmia e febbre
Analisi dell’età
I positivi al tampone: media 53 anni
Coloro che hanno avuto tampone positivo in passato: media 44 anni
Tra coloro che hanno sierologia positiva: 4 casi dai 10 ai 17 anni e 4 casi: dai 18 ai 23 anni, a significare, calcolando anche il dato precedente, la bassa prevalenza del virus sulla popolazione giovane.
La ricerca
La fase operativa dell’indagine epidemiologica ha avuto inizio lo scorso venerdì 24 aprile al Centro Diagnostico Terapeutico “Sacro Cuore” di Verona, dove i primi cittadini scelti con criterio casuale dai registri dell’Anagrafe sono giunti per effettuare il test sierologico per la ricerca degli anticorpi anti-CoViD-19 (IgA/IgG) e il tampone oro/nasofaringeo. Tramite lettera consegnata dalla Protezione Civile sono stati invitati 2.061 veronesi (di almeno 10 anni), il 35% in più del campione necessario di 1.527, al fine di compensare il numero dei cittadini che fisiologicamente rifiutano di partecipare a uno studio.
Presso il Centro è stato allestito un vero e proprio circuito ad anello e a senso unico, in modo tale da garantire il massimo distanziamento sociale e quindi la maggiore sicurezza possibile. Già all’ingresso era prevista la misura della temperatura corporea affinché i soggetti con temperatura superiore a 37.5°C fossero inviati immediatamente alla zona drive-in per l’esecuzione del solo tampone, mentre gli altri iniziavano il percorso “pulito”. Questo prevedeva la compilazione e sottoscrizione di tutti i moduli della privacy, l’accettazione, la misurazione dei parametri vitali (frequenza cardiaca e respiratoria e saturazione di ossigeno) e il prelievo di sangue. A seguire la persona usciva dalla struttura per salire nella sua auto e portarsi quindi nella zona tamponi: l’esecuzione del tampone veniva effettuata direttamente in auto e all’aperto.
Le 65 persone che per vari motivi non potevano muoversi sono state raggiunte a domicilio con un’unità mobile dello stesso ospedale di Negrar, con a bordo un medico, due infermiere ed un autista.
Il Comitato scientifico dello studio “Comune di Verona 2020” è composto da:
Coordinatori: Carlo Pomari, responsabile della Pneumologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, e Massimo Guerriero, biostatistico ed epidemiologo.
Zeno Bisoffi, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria e professore associato di Malattie Infettive e Tropicali dell’Università di Verona
Albino Poli, direttore del Dipartimento di Diagnostica e Sanità Pubblica dell’Università di Verona
Claudio Micheletto, direttore della Pneumologia dell’Azienda ospedaliero universitaria di Verona
MICI: una Giornata mondiale celebrata in rete
Il 19 maggio si celebra in tutto il mondo la Giornata delle malattie infiammatorie croniche dell’intestino. L’emergenza sanitaria non consente manifestazioni, ma a far incontrare chi soffre queste patologie e chi se ne occupa ci pensa la rete
Nonostante il Coronavirus, anche quest’anno la Giornata Mondiale delle Malattie Infiammatori Croniche dell’Intestino (MICI o IBD in inglese), che si celebra il 19 maggio, non passerà inosservata e il colore viola avvolgerà la rete. L’Associazione Nazionale per le Malattie Croniche dell’Intestino (AMICI) ha promosso la manifestazione nazionale “Italian World IBD week: #AMICIaDISTANZA” che prevede collegamenti tramite youtube, Facebook, Twitter e Slido fra i vari centri, iniziati il 13 maggio. Durante i collegamenti in diretta, sono affrontati da parte di importanti specialisti della patologia i temi di maggior interesse per i pazienti. Il 19 maggio dalle 10 alle 12 saranno on line anche i medici del Centro IBD dell’IRCSS Ospedale Sacro Cuore- Don Calabria di Negrar, i dottori Andrea Geccherle e Mirko DI Ruscio, e la dottoressa Angela Variola. Per saperne di più: https://amiciitalia.eu/categorie/incontri-amici/italian-world-ibd-week-amiciadistanza
Si stima che in Italia le persone affette da MICI – morbo di Crohn e colite ulcerosa – siano circa 200.000. Tali patologie possono insorgere in qualsiasi momento della vita ma solitamente colpiscono i giovani e la maggiore incidenza è documentata fra i 20 e i 40 anni. Il decorso delle malattie è caratterizzato da fasi di attività intervallate da periodi di remissione, con un variabile rischio di complicanze nel corso del tempo. Il processo infiammatorio cronico intestinale, inoltre, espone nel tempo ad un aumentato rischio di cancro colo-rettale. L’evoluzione cronica e progressiva della malattia, presenta anche un andamento fluttuante che crea una condizione di disagio psico-sociale nella persona che ha difficoltà a vivere normalmente a causa della compromissione della qualità di vita in termini di benessere personale, lavorativo e interpersonale.
“Il concetto di multidisciplinarità per la gestione del paziente affetto da MICI è uno dei punti che da tempo perseguiamo presso il Centro IBD dell’IRCSS Ospedale Sacro Cuore- Don Calabria a cui afferiscono circa 2500 pazienti”, commenta il responsabile dottor Andrea Geccherle. “Già da anni le nostre attività educazionali, ed in parte anche quelle di ricerca scientifica, sono volte alla valorizzazione dell’approccio multidisciplinare, che vedono nella presa in carico psico-socio-assistenziale l’aspetto fondamentale per rendere concreto questo modello di gestione del paziente”.
Anche Ulss 9 Scaligera con la rete provinciale per le IBD ha confermato la volontà e la necessità di segnare l’evoluzione dal modello organizzativo di “rete”, dove l’accento è posto principalmente sull’approccio multidisciplinare e sull’integrazione dell’offerta tra l’ospedale e i servizi territoriali al fine di coniugare la continuità della presa in carico della persona nell’ottica di sostenibilità del sistema. “Molteplici sono i benefici previsti dall’attuazione del nuovo modello di cura – sottolinea il dottor Geccherle – un aumento dell’appropriatezza clinica, organizzativa e gestionale del paziente, una migliore integrazione tra le unità d’offerta della rete dei servizi, il raccordo ottimale tra varie competenze professionali, un migliore accesso alle prestazioni sanitarie, una funzione di accompagnamento del paziente nella gestione di tutti gli adempimenti collegati”.
In un video le nuove regole per un accesso sicuro al "Sacro Cuore"
Insieme al dottor Davide Brunelli mostriamo le procedure che garantiscono a pazienti ed operatori un accesso in sicurezza ad ogni aspetto dell’attività ospedaliera. Perchè in questa “fase 2” dell’emergenza coronavirus tutto sta tornando ad una nuova normalità
In un video itinerante all’interno della Cittadella della Carità mostriamo le procedure che garantiscono a pazienti ed operatori un accesso in sicurezza durante la fase 2 dell’emergenza coronavirus. Ad accompagnarci è il dottor Davide Brunelli, vicedirettore sanitario del Sacro Cuore, che spiega il nuovo protocollo studiato appositamente per favorire percorsi assistenziali “puliti dal coronavirus” in ogni aspetto dell’attività ospedaliera: dalle visite alle sale d’attesa, dai ricoveri programmati agli interventi chirurgici, dalla prenotazione degli esami agli ingressi tramite pronto soccorso. Un protocollo che permette di tornare ad una “nuova normalità”, accogliendo i pazienti e prendendosi cura delle loro patologie con nuove regole ma anche con la consueta umanità e competenza.
Per il dettaglio delle procedure adottate vedi anche questo link: ospedale in sicurezza e la brochure allegata (vedi brochure)
Covid-19, Negrar a capo di grande studio sull'idrossiclorochina per la prevenzione
L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria è capofila italiano di un grande studio internazionale promosso da Oxford sull’efficacia della clorochina/idrossiclorochina nel prevenire l’infezione da nuovo Coronavirus. Coinvolgerà 40mila operatori sanitari di Asia, Africa ed Europa.
L’idrossiclorochina può prevenire il Coronavirus? A stabilirlo sarà uno studio internazionale su 40mila operatori sanitari di tre continenti, che vede capofila per l’Italia l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona). Almeno ottocento i medici ed infermieri che saranno arruolati nel nostro Paese, dando vita al più grande studio italiano sul personale sanitario, la categoria maggiormente esposta al contagio da Sars-Cov2. Dai risultati, previsti entro l’anno, ci si attende un contributo fondamentale nella risposta alla pandemia, soprattutto in assenza di un vaccino.
Lo studio COP-COV (clorochina profilassi-coronavirus) è promosso dall’Università di Oxoford e coordinato dalla sua Unità di Ricerca in Malattie tropicali dell’Università di Mihidol di Bangkok (MORU). Con 40mila partecipanti distribuiti tra circa 100 ospedali in Asia, Africa ed Europa, vede in Italia accanto al centro coordinatore “Sacro Cuore Don Calabria”, l’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi di Firenze.
“La clorochina è un farmaco ben conosciuto, essendo un vecchio antimalarico risalente agli anni ’30. Per quanto riguarda l’Europa, la sperimentazione impiegherà il suo derivato, l’idrossiclorochina, utilizzato, anche per le sue proprietà antinfiammatorie, contro le malattie autoimmuni, come l’artrite reumatoide e il lupus eritematoso”, spiega la dottoressa Dora Buonfrate, coordinatrice della ricerca e infettivologa del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali di Negrar. “In Italia l’idrossiclorochina è già stata usata fuori indicazione in alcuni casi di COVID-19 sulla base di una attività antivirale dimostrata in vitro. Ma gli studi clinici sono ancora pochi e i risultati su pazienti, al momento, scarsi – prosegue Buonfrate – Da qui l’importanza di questa sperimentazione che grazie ai suoi grandi numeri potrà darci una risposta sull’efficacia di questo farmaco in chiave preventiva. Tanto più che i risultati dovrebbero arrivare entro l’anno quando con tutta probabilità non avremo ancora il vaccino”, conclude Buonfrate.
L’idrossiclorochina è un farmaco bene tollerato ed essendo lo scopo dello studio quello di determinarne l’efficacia preventiva e non terapeutica sarà impiegato nella sperimentazione a dosi relativamente basse. Il personale medico-infermieristico che accetta di partecipare riceverà idrossiclorochina o un placebo (compressa identica ma senza sostanza attiva) in base a una scelta generata da un computer (randomizzazione), in modo che né i ricercatori né i soggetti partecipanti sappiano in quale braccio di studio si trovi l’operatore. La modalità, detta a doppio cieco, viene attuata al fine evitare che giudizi personali possano influenzare i risultati. Alla fine dello studio si paragoneranno i tassi di infezione nei due gruppi e si valuterà se il farmaco ha apportato un vantaggio nella prevenzione dell’infezione.
Secondo Piero Olliaro, professore in malattie infettive correlate alla povertà all’Università di Oxford, fra i coordinatori di questo studio internazionale e membro del comitato tecnico scientifico dell’IRCCS di Negrar “il numero di contagi è in crescita in molti Paesi e anche in quelli che come l’Italia in cui si assiste a un’inversione della tendenza non possiamo escludere un ripresa o una seconda ondata, per cui trovare un rimedio semplice ed efficace di prevenzione, specialmente per il personale sanitario, rimane una priorità in tutto il mondo. Il farmaco allo studio è l’idrossiclorochina in Europa e Africa e la clorochina in Asia. Trattandosi di prevenire e non di curare una malattia in atto, possiamo usare dosi relativamente basse di farmaco, che sappiamo essere ben tollerate.”
“Il nostro ospedale aggiunge alla pratica clinica un‘intensa attività di ricerca e sperimentazione – commenta Zeno Bisoffi, direttore Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar e professore associato dell’Università di Verona. “Basti pensare che, solo su Covid-19, l’IRCCS ha attivi oltre 15 studi. In sostanza, vogliamo studiare l’infezione nel modo più ampio possibile e dare il nostro contributo nella lotta contro il Covid-19 in prima linea anche nello scenario internazionale”.
Nel video allegato il servizio del Tg2 con l’intervista alla dottoressa Dora Buonfrate
I tamponi confermano i test rapidi: tutti negativi nella Rsa e Case di Riposo di Negrar
Vista la tipologia dei pazienti accolti, i 293 ospiti sono stati sottoposti ad un indagine approfondita realizzata in tre fasi: test sierologici rapidi, tampone su un campione statistico e tampone su tutti gli ospiti. Il risultato è stato sempre confermato: tutti negativi al SARS CoV-2
La conferma è arrivata anche dai tamponi: tutti gli ospiti delle Case di Riposo e delle Rsa della “Cittadella della Carità” – l’insieme delle strutture di cui fa parte anche l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria – sono negativi al virus SARS COV2, quello che provoca il CoViD-19.
Ad attestarlo in un primo momento sono stati i test sierologici rapidi per la ricerca degli anticorpi anti COVID-19 a cui sono stati sottoposti i 293 ospiti, anziani e disabili, residenti nell’area-socio sanitaria.
Nonostante il risultato del tutto positivo, per maggior sicurezza la direzione ha commissionato al biostatistico Massimo Guerriero un’indagine campionaria, cioè è stato creato un campione statisticamente rappresentativo degli ospiti delle strutture (90 soggetti) ed è stato sottoposto al tampone. Il risultato dei test sierologici è stato confermato anche dall’analisi molecolare sui tamponi. L’indagine tramite tamponi è stata sarà allargata nei giorni successivi anche ai restanti ospiti. Ancora una volta tutti negativi.
“Fin dall’inizio della pandemia siamo stati particolarmente accorti nei confronti nostra area socio-sanitaria, proprio per la tipologia degli ospiti, pazienti fragili per età e gravi patologie. I risultati emersi dai test rapidi e dai tamponi ci confortano molto, confermando la strategia che abbiamo impostato e che ci ha portato ad oggi ad non avere ospiti positivi al virus e nessun decesso. La Cittadella della Carità ha una direzione unica – afferma l’amministratore delegato, Mario Piccinini – pertanto l’area socio-sanitaria è stata considerata alla stregua di un reparto dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria: è stata attivata fin da subito la formazione del personale, messi a disposizione di tutti gli operatori i dispositivi di protezione, disposti i tamponi per il personale e per gli ospiti che verranno ripetuti periodicamente come previsto anche dalle disposizioni regionali; interrotte le visite dei familiari, con i quali gli ospiti hanno mantenuto il contatto tramite video-chiamate. La guardia rimane sempre alta, ma l’approccio ospedaliero alle Case di riposo e alle RSA, si conferma il miglior metodo preventivo in caso di pandemia”.
La Cittadella della Carità comprende oltre all’ospedale, Casa Nogarè (Centro servizi anziani autosufficienti e non autosufficienti, Residenza Sanitaria Assistenziale e Speciale Unità di Accoglienza per Stati Vegetativi Permanenti), Casa Fr. Perez (Centro Servizi per adulti e anziani non autosufficienti con problemi psichiatrici e sociali cronici) e Casa Clero (Centro Servizi per religiosi anziani non autosufficienti).