Endometriosi profonda: quei segnali svelati dall'ecografia transvaginale
Si tiene al “Sacro Cuore Don Calabria”, la seconda edizione del corso avanzato di Diagnostica ecografica dell’endometriosi pelvica per fornire anche allo specialista ambulatoriale gli strumenti per diagnosticare precocemente la malattia
Se l’evoluzione in senso bi e tridimensionale dell’ecografia trasvaginale ha rivoluzionato la diagnostica dell’endometriosi profonda, a fare la differenza è ancora l’occhio attento dello specialista. A lui spetta il compito, aiutato dalla tecnica, di saper scorgere i “campanelli d’allarme” di un endometrio (la cui sede naturale è l’utero) infiltrato in organi come le ovaie, le tube, l’intestino, l’apparato urinario e perfino i nervi che hanno origine nella parte terminale della colonna vertebrale. Condizione che se protratta nel tempo richiede trattamenti chirurgici demolitivi, al fine di migliorare la qualità di vita della paziente, compromessa da anni di dolori invalidanti dovuti all’improprio sfaldamento del tessuto endometriale dentro l’addome e la pelvi durante le mestruazioni.
Proprio la corretta diagnostica ecografica di una malattia, che colpisce solo in Italia 3 milioni di donne, è al centro della seconda edizione del corso avanzato che si tiene venerdì 12 ottobre all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. La giornata di studio è organizzata dal dottor Marcello Ceccaroni, direttore del Dipartimento per la tutela della salute e della qualità di vita della donna, O.U.C. Ostetricia e Ginecologia-International School of Surgical Anatomy , di Negrar, e dal dottor Luca Savelli del Policlinico Universitario Sant’Orsola-Malpighi di Bologna.
Anche quest’anno il programma prevede gli interventi degli specialisti, seguiti da collegamenti in diretta con gli ambulatori di ecografia e con le sale operatorie, per favorire la correlazione tra gli aspetti ecografici e anatomici degli stessi casi. Tra i relatori anche la professoressa Lil Valentin, della Malmo University (Svezia), una delle più grandi ricercatrici mondiali nel campo dell’ecografia per la diagnosi di endometriosi ed oncologica (vedi programma).
“Il nostro obiettivo è quello di fornire anche allo specialista ambulatoriale gli strumenti per diagnosticare precocemente l’endometriosi profonda – sottolinea il dottor Ceccaroni -. Si tratta di una malattia complessa che molto spesso si ‘svela’ solo se si va oltre a una falsa apparenza di normalità dei tessuti. Se non fosse così, le stime non direbbero che trascorrono in media sette anni dalla comparsa dei primi sintomi alla diagnosi. In mezzo giorni e giorni di sofferenza, fertilità spesso compromessa e spese enormi per il servizio sanitario nazionale a causa di esami strumentali inutili, quando è sufficiente un’ecografia trasvaginale. Il nostro centro dispone della più alta casistica internazionale di interventi per endometriosi severa (1.500 all’anno) e il 70% delle pazienti che giungono da noi hanno avuto una diagnosi sbagliata o sono state considerate sane”.
Per migliorare la diagnostica dell’endometriosi, l’ospedale di Negrar ha acquisito un nuovo software (“Fly-Thru”) che, tramite l’elaborazione di immagini ottenute mediante l’ecografia 3D, consente la ricostruzione virtuale della cavità uterina senza ricorrere ad esami invasivi come l’isteroscopia. Tramite questa tecnica è possibile studiare anche il volume delle tube, la cui riduzione o aumento può essere un segnale di malattia endometrica.
Durante il corso verrà illustrata metodica dello studio ecografico per endometriosi con riferimento ai segni ecografici certi e ai cosi detti “soft markers” – segni sospetti per la presenza di endometriosi. Questi segni di endometriosi ovarica, profonda e peritoneale possono essere valutati secondo lo schema IDEA – proposto nello studio multicentrico internazionale nel quale è coinvolto anche il Dipartimento diretto dal dottor Ceccaroni – che studia il ruolo dell’ecografia nella diagnosi dell’endometriosi e nella sua stadiazione ecografica.
Metastasi spinali: il "Sacro Cuore" ospedale pilota in Europa con un'innovativa radioterapia
Inaugurato ufficialmente un nuovo sistema di radioterapia dedicato alle metastasi della colonna vertebrale che ha l’obiettivo non solo di ridurre il dolore, ma di eliminare le lesioni quindi di incidere sulla sopravvivenza del paziente
In occasione della Festa patronale del Sacro Cuore, che si celebra oggi, è stato inaugurato ufficialmente all’ospedale di Negrar un innovativo sistema di Radioterapia per le metastasi alla colonna vertebrale, utilizzato per la prima volta in Europa nell’aprile scorso proprio dalla Radioterapia Oncologica del Sacro Cuore, diretta dal professor Filippo Alongi.
Alla presentazione sono intervenuti il presidente dell’ospedale calabriano, fratel Gedovar Nazzari, l’amministratore delegato, dottor Mario Piccinini, il direttore sanitario, dottor Fabrizio Nicolis, e naturalmente il professor Alongi che ha illustrato il valore aggiunto di questo nuova terapia a cui sono già stati sottoposti dieci pazienti. Più tardi anche l’assessore alla Sanità della Regione Veneto, Luca Coletto, ha voluto rendersi conto di persona della nuova opportunità per molti pazienti con tumore avanzato.(nella video Gallery le interviste e nella PhotoGallery alcune immagini della mattinata).
Novalis-Elements Spine SRSL
L’innovativo trattamento si basa su un software – Novalis-Elements Spine SRS – integrato all’acceleratore lineare TrueBeam. Il sistema è in grado di ricostruire l’anatomia della vertebra colpita dalla lesione tumorale fondendo le immagini di TAC e Risonanza Magnetica, e quando è necessario anche quelle della PET. Ma la vera particolarità di questo software è che esso individua con precisione millimetrica il segmento malato della vertebra e la regione vertebrale dove potrebbe propagarsi la malattia, (comparti ossei della vertebra), procedimento che prima veniva realizzato “manualmente” dal medico specialista in Radioterapia. In altre parole Novalis-Elements Spine SRS amplia informaticamente le competenze dello specialista migliorando l’accuratezza del trattamento, in modo tale da permettere di concentrare sul target tumorale un’alta dose di radiazioni, senza interessare il midollo spinale, situato a pochi millimetri dalla metastasi. Una differenza sostanziale rispetto alla radioterapia tradizionale, che non consentendo una tale precisione si limita a un trattamento palliativo, cioè all’irradiazione a basse dosi dell’intera vertebra per prevenire (o ridurre) il sintomo dolore e la frattura vertebrale che potrebbe causare la metastasi e non per eliminare la lesione tumorale. L’irradiazione a basse dosi è necessaria per non danneggiare il midollo spinale e quindi non compromettere le terminazioni nervose che regolano la mobilità degli arti. Con il nuovo software la radioterapia diventa radiochirurgia, comportandosi come il bisturi del chirurgo, ma in maniera totalmente non invasiva, senza richiedere nessuna forma di sedazione.
Cosa sono le metastasi alla colonna vertebrale
Le metastasi sono gruppi di cellule maligne che si staccano dal tumore originario e vanno, attraverso il sangue e le vie linfatiche, a collocarsi in organi diversi da quello dove si è formato il cancro. Le metastasi, nella maggior parte dei casi, sono tipiche delle fasi più avanzate della progressione del tumore che inizialmente è localizzato, cioè limitato all’organo dove si è formato. Un terzo dei pazienti nel corso della malattia metastatica presenta un coinvolgimento osseo, il 70% dei quali a livello della colonna vertebrale. In particolare le donne colpite da cancro alla mammella e gli uomini affetti da neoplasia prostatica. Dolore e cedimento vertebrale sono i maggiori sintomi, molto spesso invalidanti.
Per chi è indicato il trattamento
Il trattamento è riservato a pazienti selezionati, in buone condizioni generali e affetti al massimo da cinque metastasi (non necessariamente tutte collocate alla colonna) derivanti da un tumore primitivo già curato chirurgicamente e/o farmacologicamente.
Efficacia e risposta del trattamento
L’efficacia sintomatologica, cioè la remissione del sintomo dolore, può avvenire nell’immediato o dopo alcune settimane dalla fine del trattamento. Per quanto riguarda la risposta visualizzabile dalle immagini, si può valutare ripetendo una Risonanza Magnetica o una Pet a partire da 45/60 giorni dalla conclusione della terapia. I risultati dei primi trattamenti saranno presentati dal professor Alongi nel corso della Conferenza europea di Radiochirurgia che si terrà a settembre a Monaco di Baviera.
Il primo paziente
Ad applicare per prima in Europa l’innovativo trattamento è stata la Radioterapia Oncologica dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, diretta dal professor Filippo Alongi, professore associato all’Università di Brescia. Il primo paziente è un uomo con tumore alla prostata già trattato chirurgicamente e con in corso la terapia ormonale. Presentava una sola metastasi a livello lombare che è stata trattata con il nuovo sistema senza effetti collaterali.
La Radioterapia Oncologica del “Sacro Cuore Don Calabria”
La Radioterapia Oncologica del “Sacro Cuore Don Calabria” tratta ogni anno un migliaio di pazienti, il 20% dei quali proviene da altre regioni, in particolare dalle regioni centro-meridionali, ma anche dalla Lombardia e dall’Emilia Romagna, realtà sanitarie qualificate. Si avvale di tre acceleratori lineari, tra cui il Truebeam, che consente l’applicazione di trattamenti ipofrazionati (con durata minore) irradiando alla massima intensità il tumore e risparmiando al tempo stesso i tessuti sani limitrofi. E’ stata la prima al mondo ad utilizzare un’innovativa tecnica di radiochirurgia (HyperArc) che consente di trattare contemporaneamente più metastasi cerebrali in soli dieci minuti. La Radioterapia Oncologica di Negrar è sede della scuola di Specializzazione in Radioterapia dell’Università di Brescia dove il direttore Alongi insegna come professore associato.
Dall'alcol alle sfere radioattive: i trattamenti locali del tumore epatico
L’Epatologia interventistica dispone di diversi trattamenti realizzati direttamente sull’organo malato, che vengono scelti a seconda delle condizioni del paziente e del numero/grandezza dei noduli tumorali
L’epatocarcinoma (HCC) è il tumore maligno più frequente del fegato, con un’incidenza nel mondo di 750mila nuovi casi all’anno. Solo in Italia nel 2017 sono stati registrati 13mila nuovi pazienti.
Per l’epatocarcinoma la medicina dispone di opzioni terapeutiche basate su procedure loco-regionali che hanno lo scopo, impiegate anche in modo combinato, di cronicizzare la malattia e aumentare la sopravvivenza che a cinque anni è ancora solo del 20%. Infatti l’epatocarcinoma è un tumore ad alta percentuale di recidiva. Da qui l’importanza del vaccino che si sta sperimentando anche al Sacro Cuore Don Calabria (vedi articolo).
Cause dell’epatocarcinoma
Il 70% di questi tumori è riconducibile a fattori di rischio noti e tra questi i più frequenti sono l’infezione da virus dell’epatite C, da virus dell’epatite B (per cui esiste il vaccino) e da abuso di sostanze alcoliche. Si stima che il 95% dei casi di epatocarcinoma deriva da complicanze della cirrosi epatica dovuta principalmente all’alcol, anche se stanno aumentando i tumori primitivi del fegato per steatosi (il cosiddetto fegato grasso) e per diabete.
I trattamenti loco-regionali
L’epatocarcinoma è raramente una malattia tumorale sistemica, presenta cioè localizzazioni extraepatiche solo in piccola percentuale di casi, inoltre non è responsiva alla chemioterapia. Ottimi risultati in termini di sopravvivenza si hanno con il trapianto epatico (nel 6% dei casi) e in buona percentuale con la resezione chirurgica del tumore (possibile solo nel 10-20% dei casi), ma quando il trapianto e la chirurgia non sono attuabili per il grado di malattia o per la condizione e l’età del paziente, vengono utilizzati i trattamenti loco- regionali .
L’Epatologia interventistica ha a disposizione le seguenti terapie loco-regionali che si dividono in:
1. Percutanee
a) PEI (Percutaneous Ethanol Injection o Alcolizzazione Epatica)
b) RFTA (Radiofrequency Thermal Ablation o termoablazione) con onde a radiofrequenza o a microonde
2. Intrarteriose
a) TACE (Transcatheter Arterial Chemoembolization o chemioembolizzazione epatica)
b) TARE (Trans Arterial Radio Embolization o radioembolizzazione epatica)
“Per il trattamento loco-regionale del tumore al fegato, l’epatologo, coadiuvato da un’équipe multidisciplinare, è una sorta di sarto che cuce l’abito su misura: la decisione terapeutica di impiegare quello o l’altro trattamento, oppure entrambi, è dettata da molti fattori come le condizioni del paziente, la dimensione e la localizzazione sul fegato del nodulo tumorale, o dei noduli, da eliminare”, afferma il dottor Alberto Masotto, responsabile della Struttura semplice di Epatologia interventistica della Gastroenterologia del Sacro Cuore Don Calabria, diretta dal dottor Paolo Bocus. “L’obiettivo è quello di aumentare la sopravvivenza del paziente, intervenendo con tutte le armi terapeutiche a nostra disposizione affrontando il tumore come una malattia cronica”.
Alcolizzazione Epatica (PEI)
E’ una tecnica che consiste nell’iniezione percutanea di etanolo direttamente nel nodulo tumorale. Non richiede ospedalizzazione e viene eseguita in anestesia locale. Il numero delle sedute e la quantità totale di alcol iniettata varia in base alle dimensioni e alle caratteristiche della lesione e dalla compliance del paziente (capacità di sopportare la metodica). La PEI è indicata nella fase precoce o molto precoce della malattia, in pazienti non trattabili chirurgicamente (trapianto o resezione epatica) o con termoablazione. E’ efficace in presenza di un nodulo di al massimo 3 centimetri o 3 noduli inferiori ai 3 cm.
Termoablazione (RFTA)
Per ottenere la necrosi del nodulo tumorale, il trattamento sfrutta il calore provocato da onde a radiofrequenza (RF) o microonde. Al “Sacro Cuore Don Calabria” la termoablazione viene effettuata in sala operatoria con anestesia generale, sia per agire in ambiente sterile, sia per ottenere una ottima centratura della lesione. In generale il trattamento di termoablazione è indicato per pazienti in classe A o B di Child (un sistema di punteggio utilizzato per valutare la gravità delle epatopatie croniche, in particolar modo la cirrosi epatica) che non presentano metastasi a distanza, non hanno lesioni in vicinanza della colecisti e della capsula epatica. I risultati migliori si hanno con noduli fino a 3 centimetri per un massimo di 3 lesioni, ben identificabili ecograficamente.
Termoablazione con onde a radiofrequenza
La radiofrequenza è indicata per i tumori primitivi del fegato (epatocarcinoma), non localizzati in prossimità dei grossi vasi: la dispersione del calore causata dal sangue richiederebbe infatti un aumento della temperatura che avrebbe come effetto la carbonizzazione del tessuto. Molti studi clinici, invece, hanno evidenziato la scarsa efficacia della radiofrequenza per le metastasi originate da altri tumori. Le cause sono ancora sconosciute.
Termoablazione con microonde
Contrariamente dalla termoablazione a radiofrequenza, quella con microonde, in quanto più potente, può essere impiegata anche per le metastasi di altri tumori e per noduli in vicinanza dei vasi arteriosi. L’ago viene inserito non al centro della lesione, ma al limite della stessa andando a distribuire il calore (fino a 100°) in modo uniforme su tutta l’area tumorale. I tempi di esecuzione sono più brevi rispetto alla radiofrequenza, ma il trattamento con microonde può provocare la stenosi delle viene biliari anche a distanza di mesi e comporta un alto rischio di trombosi della vena porta e delle vene sovraepatiche.
TACE o chemioembolizzazione epatica
La chemioembolizzazione epatica è una procedura mini-invasiva che comporta l’infusione per via intrarteriosa di un farmaco antiblastico inserito in micro particelle (Hepasfere). La procedura è indicata per epatocarcinomi di stadio intermedio, non aggredibili con tecniche percutanee. Viene utilizzata anche come trattamento neo-adiuvante in attesa del trapianto.
La TACE è preceduta da un’angiografia epatica con liquido di contrasto per visualizzare la rete vascolare intraepatica dell’arteria epatica che irrora la massa tumorale. L’esame radiologico avviene, previa anestesia locale, con l’inserimento di un catetere a livello del linguine per raggiungere attraverso l’arteria femorale, l’arteria epatica. Una volta visualizzata la vascolarizzazione del nodulo neoplastico, con la stessa procedura vengono iniettate più selettivamente possibile delle microsfere “cariche” di farmaco chemioterapico (doxorubicina) che agiscono in duplice modo: da un lato provocano la chiusura dei vasi arteriosi determinando un ischemia parziale (nel fegato l’ossigeno arriva anche attraverso il sistema venoso portale), dall’altra rilasciano localmente il farmaco chemioterapico. Gli effetti collaterali sono paragonabili a quelli provocati dal farmaco antiblastico somministrato in vena (sintomatologia facilmente controllabile grazie ai farmaci), mentre il ricovero dura in media due giorni ed entro una settimana il paziente può riprendere l’attività quotidiana.
Il rischio maggiore della TACE rimane la trombosi della vena porta. Conseguenza, che, se si verifica, non consente la ripetizione del trattamento. Infatti la chemioembolizzazione può comportare l’ostruzione dell’arteria epatica, ma questo non compromette la funzionalità del fegato in quanto l’organo è vascolarizzato dalla vena porta e dal sistema dei vasi che afferiscono ad essa.
Venerdì 8 giugno la Cittadella della Carità in festa per il Sacro Cuore
Sarà presentato un innovativo trattamento di radioterapia per le metastasi alla colonna vertebrale con il quale l’ospedale di Negrar ha trattato il primo paziente in Europa
Venerdì 8 giugno l’ospedale di Negrar e tutta la Cittadella della Carità celebrano come da tradizione la festa patronale del Sacro Cuore. In occasione di questa importante ricorrenza sarà presentato un nuovo sistema di Radioterapia Oncologica per il trattamento delle metastasi alla colonna vertebrale, che è stato utilizzato per la prima volta in Europa proprio dal “Sacro Cuore Don Calabria”.
Dall’aprile scorso l’ospedale di Negrar ha infatti acquisito “Novalis-Elements Spine SRS”, un sistema integrato all’acceleratore lineare, che apre nuove prospettive terapeutiche per pazienti altrimenti candidabili solo a un trattamento palliativo. Con l’applicazione di alte dosi di radiazioni mirate con precisione millimetrica esclusivamente sulla lesione tumorale da colpire, preservando il midollo spinale, la Radioterapia si comporta come il bisturi del neurochirurgo, ma in maniera totalmente non invasiva.
L’obiettivo è un’azione radicale sulla metastasi, con risultati positivi non solo sulla eliminazione o riduzione del sintomo dolore e sulla prevenzione dei cedimenti vertebrali, come avviene con la radioterapia tradizionale. Ma mirando allo spegnimento del focolaio di malattia a livello della colonna vertebrale, il nuovo trattamento può incidere sul prolungamento della sopravvivenza del paziente con patologia oncologica avanzata.
L’innovativa tecnica sarà presentata alle autorità e alla stampa dal professor Filippo Alongi, direttore della Radioterapia Oncologica e professore associato all’Università di Brescia, presso la Radioterapia Oncologia alla presenza dell’assessore regionale alla Sanità, Luca Coletto, e della direzione dell’ospedale (ore 11). Il Responsabile della Delegazione Europea dell’Opera Don Calabria, don Ivo Pasa, impartirà la benedizione inaugurale a cui seguirà la Messa presieduta dal vescovo di Verona, mons. Giuseppe Zenti, nella cappella del Sacro Cuore.
Con la sigaretta va in fumo anche la salute
Il 31 maggio è la Giornata mondiale senza tabacco: il fumo di sigaretta è uno dei maggiori fattori di rischio per molte malattie, come spiega in un video la dottoressa Stefania Gori, direttore dell’Oncologia Medica di Negrar
“Tabacco e malattie cardiache” è il tema scelto quest’anno dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per la Giornata senza tabacco che si tiene in tutto il mondo il 31 maggio. Un tema che mette in luce quanto il consumo di sigarette sia uno dei fattori di rischio più impattanti sulla salute del nostro cuore: le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte al mondo per patologia.
Ma non solo. Al fumo di sigaretta è imputabile il 33% delle neoplasie, percentuale che sale 85-90% per quanto riguarda il tumore al polmone, di cui in Italia si registrano circa 41mila nuovi casi all’anno (dati AIOM e AIRTUM). Il 33% delle nuove diagnosi interessa il sesso femminile a dimostrazione che il consumo di tabacco non è una cattiva abitudine che appartiene esclusivamente agli uomini. In Veneto per esempio i casi di tumore nel sesso femminile sono passati da 871 ogni anno nel periodo 2008-2010 a 1.250 nel 2017. Mentre si registra un lieve calo negli uomini, che sembrano più sensibili alle campagne antifumo.
Come dimostrano importanti dati epidemiologici, il rischio aumenta con il numero di sigarette fumate e con la durata dell’abitudine al fumo. Il rischio relativo dei fumatori rispetto ai non fumatori aumenta di circa 14 volte rispetto ai non fumatori e di 20 volte nel caso dei forti fumatori (più di 20 sigarette al giorno). Altrettanto importanti studi scientifici hanno dimostrato che la sospensione del fumo di sigaretta produce nel tempo una forte riduzione del rischio.
Nel video la dottoressa Stefania Gori, direttore dell’Oncologia Medica dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria e presidente dell’Associazione Italiana Oncologia Medica (AIOM), quanto sia importante la diffusione di una cultura “antifumo” anche grazie a campagne mirate affinché le giovani generazioni non intraprendano il consumo di sigaretta e si prenda coscienza della pericolosità di questa cattiva abitudine per la salute del nostro corpo e per qualità di vita.
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Festa della famiglia della Cittadella della Carità
Domenica 3 giugno presso la Casa Madre dell’Opera Don Calabria si terrà la tradizionale Festa della Famiglia dedicata a tutti i collaboratori della “Cittadella della Carità”
Domenica 3 giugno, presso la Casa Madre dell’Opera Don Calabria (via San Zeno in Monte 23-Verona), si terrà Festa della Famiglia dedicata a tutti i collaboratori della “Cittadella della Carità”, di cui fa parte l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria e le strutture socio-sanitarie (Casa Nogarè, Casa Perez e Casa del Clero).
Un appuntamento tradizionale e “uno di quei momenti in cui maggiormente possiamo sperimentare il nostro essere un gruppo unito dai medesimi valori lasciati in eredità dal nostro Santo Fondatore”, sottolinea fratel Gedovar Nazzari, presidente della “Cittadella della Carità”.
L’inizio della giornata è previsto alle 9.30 con un momento di accoglienza a cui seguirà il saluto della direzione. Alle 10.30 don Valdecir Tressoldi, incaricato della Formazione dell’Opera Don Calabria e superiore della Casa Madre, terrà un intervento su “Lo spirito di famiglia nell’Opera Don Calabria”.
Alle 11 sarà celebrata la Messa, presieduta da don Ivo Pasa,responsabile della Delegazione Europea San Giovanni Calabria. La mattinata si concluderà con un momento conviviale.
Chirurgia laparoscopica anche per i tumori ginecologici avanzati
Interventi radicali sul tumore con tecniche mini-invasive che consentono una rapida ripresa della donna: l’esperienza della Ginecologia del ‘Sacro Cuore’ sarà illustrata in convegno questo sabato
La presa in carico delle pazienti affette da tumori ginecologici è al centro del convegno che si terrà questo sabato 26 maggio nella sala congressi della Cantina della Valpolicella di Negrar. Organizzato dal dottor Marcello Ceccaroni (in primo piano nella foto di copertina), direttore del Dipartimento per la tutela della salute e la qualità della vita della donna della Ginecologia e Ostetricia del ‘Sacro Cuore Don Calabria’, l’incontro scientifico ha un duplice obiettivo: fare il punto sull’attività dell’ospedale di Negrar nell’ambito della ginecologia oncologica e fornire ai ginecologi ambulatoriali del territorio gli elementi diagnostici per indirizzare in caso di necessità le donne ai Centri oncologici di riferimento, come il nosocomio calabriano.
“Dal 2016 siamo strutturati formalmente come un Cancer Care Center – spiega il dottor Ceccaroni – e come tale disponiamo di tutte le specialità per la diagnosi, il trattamento e il follow up della donna affetta da neoplasia ginecologia. Infatti al convegno saranno presenti i direttori delle Unità operative che nella logica della multidisciplinarietà intervengono nel trattamento della paziente oncologica: Ginecologia, Oncologia, Radiologia, Anatomia Patologica, Chirurgia Generale, Urologia, Medicina Nucleare e Radioterapia. Ma avremo anche come relatori specialisti dell’Istituto Oncologico Veneto (IOV) di Padova, dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano e del Sant’Orsola di Bologna“. (vedi programma)
Dottor Ceccaroni, quali sono i tumori ginecologici più diffusi?
Sicuramente il tumore dell’ovaio e quelli dell’utero, i quali, a loro volta, si suddividono in tumore della cervice e dell’endometrio, cioè il tessuto che riveste l’utero Le neoplasie dell’ovaio e dell’endometrio colpiscono in media le donne intorno ai 55-65 anni. Le prime registrano in Italia 4mila casi all’anno, le seconde 5mila. Il tumore della cervice, invece, colpisce maggiormente tra 35 e i 55 anni con un’incidenza di 27 casi ogni 100mila donne. Non molto tempo fa le cifre erano diverse.
In che senso?
Il pap test introdotto come screening ha radicalmente cambiato la storia del tumore alla cervice dell’utero nei Paesi sviluppati dove, fino a pochi anni fa, era il tipo di tumore più diffuso tra la popolazione femminile. Rilevando le lesioni in fase precancerosa, il pap test consente di intervenire prima che si formi il tumore. In futuro potremmo avere un numero ancora inferiore di casi, grazie all’introduzione in Italia nel programma di vaccinazione del vaccino contro l’HPV, virus responsabile di questa forma di cancro. Oggi purtroppo vediamo tumori avanzati al collo dell’utero nella donne provenienti dai Paesi in via di sviluppo dove la prevenzione è inesistente.
Il convegno è diviso in tre sessioni, la prima è riservata appunto alla prevenzione e alla diagnosi precoce. Per il tumore all’endometrio e all’ovaio come avviene?
Per il cancro all’endometrio, la prevenzione e la diagnosi precoce si effettua per via isteroscopica, cioè con l’introduzione attraverso il collo dell’utero di una videocamera miniaturizzata che permette di localizzare eventuali lesioni sospette ed nel caso procedere con una biopsia. La diagnosi isteroscopica è molto importante, ma lo è altrettanto quella ecografica. Anche per il tumore all’ovaio, il più aggressivo delle tre forme tumorali che raramente è possibile diagnosticare in stadi precoci perché non dà sintomi precisi. Durante il convegno vedremo quali sono i criteri ecografici per considerare sospetta una cisti ovarica.
Nella prevenzione del tumore ovarico, la genetica sta diventando fondamentale, soprattutto nel caso dei tumori ereditari.
Da più di un anno il nostro ospedale effettua il test genetico per la ricerca delle mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2, coinvolti nell’ereditarietà del tumore alle ovaio e al seno. Al test non vengono sottoposte tutte le donne, ma solo le pazienti che appartengono a categorie a rischio per storia familiare o personale e dopo un’attenta valutazione da parte del genetista oncologo. Stabilire la presenza della mutazione è molto importante per la donna malata al fine di un eventuale utilizzo terapeutico di peculiari farmaci per cui la mutazione BRCA rappresenta un fattore predittivo di risposta al trattamento. Ma anche per le parenti più strette (madre, figlie e nipoti) per le quali si può stabilire un programma di prevenzione personalizzato.
Il trattamento chirurgico è invece protagonista della seconda sessione del convegno
La Ginecologia che dirigo oggi è in grado di proporre la chirurgia laparoscopica, quindi mini-invasiva, anche per certi specifici sottogruppi di pazienti con tumori avanzati all’ovaio. Ma nello stesso tempo applichiamo tecniche, come il linfonodo sentinella, che consentono di effettuare chirurgie conservative o di modulare la radicalità chirurgica. Ad esempio per conservare l’apparato produttivo in pazienti giovani e con tumori iniziali. Applichiamo anche tecniche nerve-sparing, ossia che consentono una radicalità chirurgica del tumore, risparmiando le fibre nervose che regolano le funzioni vescicali, intestinali, sessuali, con conseguente miglioramento della qualità di vita post-operatoria. Tecniche per cui il nostro è uno dei centri più conosciuti a livello internazionale.
La chirurgia laparoscopica per il cancro all’ovaio ha la stessa efficacia di quella tradizionale in termini di asportazione del tumore e di sopravvivenza?
Sì e lo abbiamo dimostrato anche in uno studio prospettico che abbiamo presentato alla comunità scientifica internazionale e pubblicato lo scorso ottobre su “Surgical Endoscopy”. Con la laparoscopia si raggiungono gli stessi obiettivi ma con notevoli vantaggi: una paziente che ha subito un intervento laparoscopico dopo tre giorni può essere sottoposta a chemioterapia. Con la tecnica tradizionale, a cielo aperto, dopo un mese. Si guadagna tempo che significa sopravvivenza. Sono interventi complessi che nel nostro ospedale hanno radici in una grande tradizione laparoscopica, affinata anche grazie al trattamento chirurgico dell’endometriosi avanzata, di cui siamo centro di riferimento, e alla collaborazione multidisciplinare, fondamentale quando si tratta di interventi che interessano più distretti anatomici.
La tecnica del linfonodo sentinella, di cosa si tratta?
E’ la stessa che viene utilizzata per il tumore al seno. Negli interventi di carcinoma dell’endometrio si ricerca, tramite un procedimento che si serve di un colorante, il primo linfonodo che potrebbe essere interessato da cellule cancerose. Lo si asporta, da entrambi i lati della pelvi, e lo si fa analizzare in tempo reale. Se il risultato è negativo, si può evitare una linfoadenectomia, un procedimento chirurgico più demolitivo.
Il dopo intervento. Chirurgie complesse e terapie, come la radioterapia e la chemioterapia, lasciano in segno…
Ci sono molti aspetti da considerare del dopo intervento: la frequenza dei controlli, la gestione del dolore pelvico cronico, l’impatto fisico e psicologico della paziente giovane quando la menopausa è indotta e molto altro. Ogni paziente è una storia clinica e umana a sé che deve essere valutata attentamente per mettere in campo tutti gli interventi necessari – terapeutici, riabilitativi, nutrizionali, antalgici..- al fine dii garantire una buona qualità di vita.
elena.zuppini@sacrocuore.it
La sfida di comunicare il Carisma di don Calabria oggi
È dedicato al tema della comunicazione il quarto incontro dei gestori dell’Opera Don Calabria, in programma il 24 e 25 maggio a Verona. Ospite d’eccezione padre Federico Lombardi, già direttore della Sala Stampa della Santa Sede
È dedicato alla comunicazione nelle organizzazioni nate da un carisma il quarto incontro rivolto ai gestori delle Case dell’Opera Don Calabria, che si terrà a Verona giovedì 24 e venerdì 25 maggio.
Promosso dalla Delegazione Europea San Giovanni Calabria e ospitato presso la Casa Madre dei Poveri Servi della Divina Provvidenza (via San Zeno in Monte), il convegno vuole essere un momento di riflessione e di formazione su come comunicare oggi una realtà, come quella calabriana, nata dall’azione profetica di un Santo senza venir meno alla sua autenticità.
Ospite d’eccezione della due giorni sarà padre Federico Lombardi,direttore della Sala Stampa della Santa Sede durante tutto il pontificato di Benedetto XVI e nei primi tre anni del pontificato di papa Francesco. Padre Lombardi interverrà con il confratello gesuita padre Flavio Emanuele Bottaro, già direttore dell’Ufficio Comunicazione della Provincia d’Italia della Compagnia di Gesù nel pomeriggio di giovedì sul tema del convegno.
Ad aprire i lavori nella mattinata di giovedì sarà invece il professor Mario Risso, preside della Facoltà di Economia dell’Università Nicolò Cusano di Roma e preside del Master in Digital Marketing presso lo stesso Ateneo. Il professor Risso terrà una relazione su “Comunicazione o marketing: quali sfide per le organizzazioni ecclesiastiche oggi”.
Gli interventi proseguiranno nella mattinata di venerdì con “esperienze a confronto”. In una tavola rotonda si confronteranno sul tema “Comunicare un carisma restando a passo con i tempi ma senza perdere l’anima”: il professor Gianni La Bella, dirigente della Comunità di Sant’Egidio, il dottor Silvano Pedrollo, fondatore e presidente della Pedrollo Spa, e padre Fabio Scarsato, direttore editoriale de “Messaggero di Sant’Antonio”, del “Messaggero dei ragazzi” e delle Edizioni Messaggero di Padova. L’incontro – a cui è possibile partecipare solo su invito – proseguirà con i lavori di Delegazione.
Tiroide, la piccola ghiandola che vigila sulla nostra salute
Fino al 27 maggio si tiene in tutto il mondo la Settimana della tiroide: al “Sacro Cuore” un team multispecialistico per la presa in carico del paziente tiroideo in particolare quello oncologico
E’ in corso in tutto il mondo fino 27 maggio la Settimana della tiroide, sei giorni dedicati all’informazione e alla prevenzione sulle più diffuse patologie che colpiscono la piccola ghiandola endocrina alla base del collo. Piccola, ma fondamentale per il nostro benessere e la nostra salute. Infatti quando non svolge appieno la sua funzione a risentirne è tutto l’organismo. Non a caso lo slogan coniato per la Settimana mondiale di quest’anno – promossa dalle principali società scientifiche che si occupano di patologie tiroidee con il patrocinio dell’Istituto Superiore della Sanità – recita: “Tiroide è energia”.
“La tiroide è fondamentale per il buon funzionamento del muscolo cardiaco e scheletrico, per il metabolismo osseo, lipidico e glucidico”, spiega il dottor Lino Furlani, responsabile del Servizio di Endocrinologia dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria. “E’ infatti a capo dell’omeostasi energetica, cioè del mantenimento del giusto apporto di energia affinché tutta ‘la macchina-organismo’ possa lavorare al meglio. Infatti quando si verifica una condizione di carenza dell’ormone tiroideo (ipotiroidismo) tutti i processi vengono rallentati, al contrario nel momento in cui siamo in presenza di un eccesso di ormone (ipertiroidismo) tutto subisce un’accelerazione. Una conseguenza in questo caso sono le aritmie cardiache o un aggravarsi dell’osteoporosi “.
Ma quali sono le malattie della tiroide? Le più diffuse sono le patologie nodulari a cui seguono quelle funzionali (ipertiroidismo e ipotiroidismo) di origine autoimmune (morbo di Basedow e morbo di Hashimoto) e non (noduli autonomi più tipici dell’anziano). I noduli tiroidei sono riscontrati ecograficamente nel 50-60% della popolazione dopo i quarant’anni, ma solo nel 3% – 5% dei casi si tratta di tumori.
“Quelle tiroidee sono patologie complesse – prosegue il dottor Furlani – che richiedono una presa in carico del paziente da parte di un team multispecialistico. Nel nostro ospedale è composto dall’endocrinologo, dal radiologo, dal chirurgo endocrino, dall’anatomopatologo, dall’oncologo e dal medico nucleare”. Con la presenza al ‘Sacro Cuore Don Calabria’ di un Servizio di Terapia Radiometabolica, riservata al trattamento post operatorio delle neoplasie, il paziente “tiroideo oncologico”, trova nella stessa struttura tutti i trattamenti necessari”. La chirurgia endocrina, di cui è responsabile il dottor Alessandro Sandrini, esegue all’anno circa 200 interventi sulla tiroide, per patologie meccaniche, i cosiddetti “gozzi nodulari e non”, per ipertiroidismo e nel 25%. Le tecniche impiegate sono mininvasive, con un tasso di complicanze il più delle volte transitorie
nella foto allegata il team multidisciplinare della tiroide: da sinistra i dottori Alberto Dellera (endocrinologo), Roberto Magarotto (oncologo) Alessandro Sandrini (chirurgo), Stefania Gori (oncologa) Giuseppe Bogina (anatomopatologo), Lino Furlani (endocrinologo), Matteo Salgarello (medico nucleare), Maria Pia Iagulli (endocrinologo), Stefano Rodella (radiologo), Andrea Guerriero (endocrinologo)
Come si prevengono le malattie della tiroide? Molto importante per la salute della ghiandola endocrina è l’assunzione del giusto apporto giornaliero di iodio. Questo è possibile consumando sale iodiato (in commercio anche nei supermercati), ma solo crudo, perché quello per esempio aggiunto all’acqua della pasta o della verdura perde il contenuto di iodio. Contengono iodio, inoltre, alimenti come il pesce, il latte e i suoi derivati. Per il sale e i latticini il consumo deve essere sempre moderato per non incorrere ad un aumento del colesterolo.
“L’assunzione di iodio è fondamentale in tutte le fasi della vita – sottolinea l’endocrinologo – ma in particolare in gravidanza, quando la madre, attraverso le urine, perde una quantità maggiore del minerale di quanto ne assuma. La carenza di iodio in gravidanza può provocare una condizione di ipotiroidismo materno o materno-fetale con conseguenti alterazioni dello sviluppo intellettivo e cognitivo del nascituro. Per questo è necessario che durante i nove mesi l’apporto di iodio avvenga tramite specifici integratori”.
Quando far controllare la propria tiroide? “In condizioni asintomatiche non è necessario un controllo sistematico della funzionalità tiroidea – risponde il dottor Furlani -. E’ invece raccomandabile farlo se in famiglia ci sono consanguinei affetti da ipertiroidismo, da ipotiroidismo, da Tiroiditi croniche o che hanno avuto una storia oncologica tiroidea. Inoltre se si è sottoposti a trattamenti oncologici o si assumono farmaci come l’amiodarone, per le aritmie cardiache. In questi casi, per una valutazione di screening, è sufficiente un solo esame del sangue: il TSH. Stanchezza eccessiva, ipersudorazione, tachicardia, disturbi del sonno, disturbi della funzione sessuale (in entrambi i sessi) o del ciclo mestruale, nelle donne, sono invece campanelli d’allarme di un possibile malfunzionamento della tiroide e richiedono un approfondimento”.
Un capitolo diverso sono i noduli tiroidei. Nella maggior parte dei casi vengono diagnosticati accidentalmente, il più delle volte in occasione dell’ecocolordoppler ai vasi del collo. “Un controllo ecografico è raccomandabile sempre quando c’è familiarità per le neoplasie tiroidee – sottolinea il medico -. L’esame ecografico è in primo step anche in presenza di noduli visibili o palpabili e se si hanno all’altezza della gola sensazioni di compressione. Se l’ecografia rileva un nodulo sospetto, il completamento della diagnosi avviene con l’agoaspirato, un’indagine minimamente invasiva che consente di analizzare la natura cellulare della formazione nodulare”.
Premio Federica, i malati oncologici si raccontano
Domenica al Palazzo della Gran Guardia di Verona si terrà il Premio letterario “Federica” – Le parole della vita, che vede come protagonista il vissuto dei malati oncologici, dei loro familiari e degli operatori raccontato in prosa e in rima
Domenica 20 maggio l’Auditorium della Gran Guardia di Verona ospiterà la terza edizione del Premio letterario “Federica” – Le parole della vita. Giunto alla terza edizione, il Premio è dedicato ai pazienti affetti da tumore, ai loro familiari e agli operatori professionali del settore oncologico, unici protagonisti del pomeriggio (inizio alle 17) con i loro racconti e le loro poesie. Un premio speciale è stato assegnato alla fiction di Rai 1 Braccialetti rossi, che racconta le vicende ambientate in ospedale di un gruppo di ragazzi affetti da gravi patologie. A ritirare il premio sarà uno dei protagonisti principali, Carmine Boschini. (in allegato la locandina)
Ideato dalla dottoressa Stefania Gori, presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) e direttore dell’Oncologia Medica dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, il Premio Federica è promosso dalla Fondazione Aiom in collaborazione con Verona per l’Arena.
Un evento che vuole innanzitutto ricordare una giovane donna, Federica Troisi, che ha combattuto la sua malattia con determinazione, continuando a scrivere, lavorare e progettare. Come lei tantissimi pazienti oncologici che ogni giorno non si arrendono alla malattia e usano la scrittura come ‘armaterapeutica’ per guardare in faccia le emozioni senza esserne travolti e dare voce a un’esperienza tanto intima quanto possibile, in modo differente, per ciascuno di noi. Con loro i familiari e gli operatori oncologici che ogni giorno combattono la loro personale battaglia contro il cancro e hanno voluto raccontarla in prosa o in rima.
A fare da contorno alle premiazioni, alcuni momenti musicali con il clarinettista Nicola Giammarino, il chitarrista Francesco Buzzurro, il fisarmonicista Pietro Adragna, l’armonicista Giuseppe Milici e la cantante Alessandra Salerno. Conduce Chiara Giallonardo di Rai 1.
Ingresso libero fino ad esaurimento dei posti disponibili. Per informazioni: Fondazione Verona per l’Arena, info@veronaperlarena.it, tel. 045.592544.