Nasce in Amazzonia un ambulatorio per l'epilessia
l servizio è stato avviato all’ospedale Divina Providência di Marituba grazie alla collaborazione tra il Sacro Cuore e il Centro universitario “Bettina Ferro” di Belem. Servirà un bacino d’utenza di 2 milioni di persone
UN SERVIZIO FONDAMENTALE
Un ambulatorio per l’epilessia che serve un bacino d’utenza di 2 milioni di persone nell’area metropolitana di Belem, capitale dello stato brasiliano del Parà: è questo il risultato di un progetto nato dalla collaborazione tra il Sacro Cuore di Negrar e l’ospedale Divina Providência di Marituba, struttura sanitaria gestita dall’Opera Don Calabria nella regione amazzonica del Brasile (130 posti letto, 500 collaboratori – vedi approfondimento). Al progetto ha partecipato anche l’ospedale universitario “Bettina Ferro” di Belem, che fa capo all’università federale del Parà e si occupa di patologie neurologiche dell’infanzia e adolescenza.
Il nuovo ambulatorio che si trova nell’ospedale Divina Providência rappresenta già un punto di riferimento fondamentale per tutta la regione in quanto nell’intero stato del Parà non ci sono strutture pubbliche accreditate per fare diagnosi accurate di epilessia. Una grave carenza, tanto più che nella sola città di Belem si stimano oltre 4mila casi di epilessia, che salgono a 15mila se si considera l’intero stato. La previsione è quella di garantire, attraverso questo servizio, tra le 1500 e le 2000 visite specialistiche annuali.
Nell’ambulatorio lavorano attualmente due neuro pediatre con formazione specifica sull’epilessia e una neurologa per adulti. Sono impiegati inoltre due infermieri formati in Neurofisiologia. L’ambulatorio va ad integrare il Servizio di Neurofisiologia che è operativo da alcuni anni al Divina Providência. Presso tale servizio si eseguono già elettroencefalografie ed elettromiografie, mentre a breve si partirà con le video-elettroencefalografie che sono indispensabili per la diagnosi di epilessia.
IL RUOLO DEL SACRO CUORE
La formazione specialistica del personale tecnico, fondamentale per questo tipo di esami, viene garantita attraverso la collaborazione con il dott. Davide Tonon coordinatore del personale tecnico del Servizio di Neurofisiologia del Sacro Cuore di Negrar. Da sette anni il Sacro Cuore organizza corsi specifici a Marituba e medici dell’ospedale brasiliano seguono periodi di perfezionamento presso l’ospedale di Negrar. In Brasile il personale sia tecnico che medico di Marituba svolge inoltre periodicamente un tempo di formazione a Porto Alegre, presso il centro di riferimento federale brasiliano per le patologie neurologiche.
“Al di là del rapporto tra Negrar e Marituba, consolidato ormai da dieci anni, vorrei sottolineare l’importanza della collaborazione con il centro universitario “Bettina Ferro” che prosegue ormai da tre anni, durante i quali sono stati fatti molti eventi di formazione reciproca nel campo della Neurofisiologia e delle malattie genetiche in Neurologia pediatrica“, dice il dott. Claudio Bianconi, direttore dell’Unità di Neurologia al Sacro Cuore, che è stato recentemente a Marituba per seguire gli sviluppi del progetto. “Il servizio dedicato all’epilessia è un risultato molto importante – aggiunge il dott. Bianconi – ma nella regione amazzonica c’è bisogno di fare ancora molti passi avanti nel campo della presa in carico delle malattie neurologiche, perciò stiamo perfezionando altri progetti che riteniamo fondamentali“.
TANTI PROGETTI PER IL FUTURO
Quali progetti? Anzitutto è in fase di preparazione uno studio epidemiologico, finanziato dallo stato del Parà, per valutare l’incidenza dell’epilessia infantile nella zona di Marituba (al momento non ci sono studi né dati di alcun tipo in proposito). L’indagine verrà condotta tra i quasi quattromila bambini degli asili e delle scuole che l’Opera Don Calabria gestisce nella città di Marituba. Il gruppo di lavoro che se ne sta occupando, coordinato dalla dott.ssa Helena Feio, comprende medici dell’ospedale Divina Providência e del centro universitario “Bettina Ferro.”
Un altro progetto prevede la creazione di un database unico per la raccolta dati dei pazienti che accedono alle due strutture, con l’obiettivo di creare una modalità comune di presa in carico dei pazienti affetti da epilessia, definendo un protocollo di trattamento farmacologico condiviso che permetta di avere dati omogenei da analizzare successivamente in un lavoro scientifico congiunto. Inoltre si sta lavorando per creare un’équipe di medici esperti nella diagnosi e trattamento delle epilessie farmaco-resistenti, con definizione di un protocollo per intervento chirurgico.
“L’obiettivo di lungo periodo – conclude il dott. Bianconi – è quello di arrivare alla creazione di un centro di riferimento statale per la diagnosi e la cura delle epilessie e delle epilessie farmaco resistenti pediatriche, con definizione di trattamenti farmacologici e chirurgici condivisi. Inoltre si sta lavorando per creare un gruppo multidisciplinare per la diagnosi genetica e molecolare delle patologie epilettiche complesse“.
Morte encefalica: aspetti medici e culturali
Morte encefalica: aspetti medici e culturali
Sabato 20 febbraio sala Perez ospiterà un convegno sugli aspetti medici e culturali della morte encefalica. Interverranno il dottor Francesco Procaccio del Centro Nazionale Trapianti e il filosofo Umberto Galimberti
Avrà come tema la morte encefalica il convegno che si terrà sabato 20 febbraio, a partire dalle 8.30, nella sala Perez dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Promossa dal Dipartimento di diagnostica per immagini, diretto dal dottor Giovanni Carbognin, la mattinata sarà divisa in due parti.
«La prima parte sarà incentrata sugli aspetti rianimatori, neuro-radiologici e medico-legali della diagnosi di morte encefalica – spiega il dottor Carbognin – e vedrà la relazione anche del dottor Francesco Procaccio del Centro nazionale trapianti. La seconda parte, invece, avrà carattere culturale interessando gli ambiti filosofici, antropologici e sociologici che il tema coinvolge. Potremo ascoltare la relazione del noto filosofo Umberto Galimberti».
Perché un tema come la morte encefalica viene promosso da un ospedale dove non è presente né una Neurochirurgia né una Terapia intensiva neurochirurgica? «Anche in una struttura che non è sede di procurement di organi per i trapianti – risponde Alberto Beltramello, consulente scientifico di Neuroraradiologia per l’ospedale di Negrar e presidente in carica dell’Associazione italiana di Neuroradiologia – approfondire un tema come la morte encefalica significa un’acquisizione culturale importante per la professionalità chi opera con pazienti in fine vita”.
In Italia la dichiarazione di morte encefalica è obbligatoria al di là che la persona sia candidata o meno al prelievo degli organi e viene effettuata mediante osservazione nell’arco di sei ore da una commissione formata da un neurologo, da un rianimatore e da un medico legale. Si tratta di una diagnosi clinica e strumentale che comporta una serie di esami. Negli anni si è realizzata una migliore interpretazione di tecniche ormai consolidate, come i test di flusso, di cui si parlerà anche nel convegno.
«Ci sono situazioni in cui per le condizioni del paziente l’elettroencefalogramma non è effettuabile o altre in cui la diagnosi clinica non è assolutamente certa – prosegue Beltramello -. In questi casi si ricorre ai test di flusso, per verificare l’arresto alla base del cranio del flusso ematico, un criterio fondamentale per la diagnosi di morte encefalica». I test di flusso sono comunque obbligatori per i bambini di età inferiore ad un anno e sono l’angiografia, la scintigrafia e l’ecodoppler transcranico.
«Sette anni fa è stata aggiunta anche l’angioTac – prosegue il neuroradiologo -. Tuttavia anche con quest’ultimo esame si può verificare, soprattutto nei bambini, un minimo ingresso di liquido di contrasto all’interno del cranio attraverso le arterie carotidi, che pur essendo evidente manifestazione di stagnazione dello stesso, rende impossibile, applicando i criteri in vigore, stabilire la morte encefalica».
Grazie a uno studio collaborativo che ha coinvolto alcuni ospedali «il dottor Procaccio ed io nell’ambito del Gruppo di lavoro per l’aggiornamento del decreto ministeriale sull’accertamento di morte encefalica, di cui facciamo parte, abbiamo messo a punto un algoritmo in base al quale in presenza della stagnazione del liquido di contrasto nelle carotidi si verifica, secondo il modello francese, se le vene centrali del cervello sono iniettate. Se la risposta è negativa viene dichiarata la morte anche in presenza di un minimo ingresso intracranico di contrasto».
elena.zuppini@sacrocuore.it
Il messaggio di don Calabria per gli ammalati
In occasione della 24ma giornata mondiale del Malato, il Superiore generale dell’Opera Don Calabria rivolge parole di incoraggiamento ai pazienti, ai loro familiari e agli operatori
In occasione della 24ma giornata mondiale del Malato, che si celebra oggi 11 febbraio, il Superiore generale dell’Opera Don Calabria, padre Miguel Tofful, ha rivolto un video-messaggio a tutti gli ammalati della Cittadella della Carità di Negrar, ai loro familiari e agli operatori sanitari che li assistono. Nel breve intervento, riportato qui sotto nella video-gallery, padre Tofful esprime la vicinanza della famiglia calabriana a tutti i sofferenti, citando le parole di papa Francesco e del fondatore san Giovanni Calabria. Sempre nella video-gallery, a tal proposito, è riportata la registrazione di alcune parole originali di don Calabria sul tema della sofferenza che tanto gli stava a cuore.
Nel pomeriggio di oggi, inoltre, la ricorrenza verrà celebrata nella Cittadella della Carità con una S. Messa alle ore 16.00 presso la chiesa dell’ospedale Don Calabria, presieduta dal parroco di Negrar don Luca Masin. I volontari dell’Unitalsi saranno a disposizione per il trasporto degli ammalati in chiesa. Al termine della celebrazione ci sarà il consueto rinfresco nel tunnel che unisce l’ospedale Don Calabria al Sacro Cuore.
La giornata mondiale del Malato, che tutta la Chiesa cattolica celebra nella ricorrenza della Madonna di Lourdes, venne istituita da papa Giovanni Paolo II nel 1993. Il tema di quest’anno, proposto da papa Francesco, prende spunto dal brano evangelico delle nozze di Cana: “Affidarsi a Gesù misericordioso come Maria – «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5)”.
matteo.cavejari@sacrocuore.it
Qui le persone in stato vegetativo sono a casa
La Cittadella della Carità ospita una speciale unità di accoglienza per le persone in stato vegetativo, la prima nata nel Veronese
Il 9 febbraio del 2009 moriva Eluana Englaro, la giovane donna vissuta in stato vegetativo per 17 anni a causa di un incidente stradale, il cui decesso è sopraggiunto dopo la sospensione della nutrizione artificiale a seguito della decisione della magistratura. In questa data dal 2011 viene celebrata la Giornata nazionale degli stati vegetativi.
Una condizione di cui la Cittadella della Carità si occupa direttamente dal 2001, anno in cui è stata creata presso Casa Nogarè la prima Speciale unità di accoglienza permanente (Suap) del Veronese dedicata proprio ai pazienti in stato vegetativo o di minima responsività (filmato allegato con i contributi di Graziano Bottura, direttore di struttura, del dottor Giorgio Carbognin, responsabile medico di Casa Nogarè, del dottor Renato Avesani, direttore del Dipartimento di riabilitazione, e della dottoressa Rosalba Dall’Olio, dirigente dei Servizi socio-sanitari).
La Suap comprende dodici posti letto che non soddisfano assolutamente la richiesta del territorio, nonostante la presenza nel Veronese di altre strutture simili. Il turnover è infatti quasi inesistente perché la maggior parte degli ospiti vi rimane fino al decesso, il che significa, per quelli più giovani, anche decine di anni. Non esiste infatti una normativa regionale di riferimento che stabilisca i limiti temporali della permanenza.
“Le Suap sono nate per rispondere alle esigenze dei pazienti più giovani e dei traumatizzati cranici che richiedevano uno standard di assistenza e di protezione elevato – spiega il dottor Renato Avesani, direttore del Dipartimento di riabilitazione -. Nel tempo i traumi cranici dovuti essenzialmente a incidenti stradali sono diminuiti e si è dato accesso a tutte le condizioni di stato vegetativo di varia origine (infarti, arresti cardiaci, emorragie cerebrali…) e non più in relazione all’età. Nel 2016 c’è ancora bisogno di questo standard elevato di protezione? Farei dei distinguo. Le persone più anziane avrebbero il diritto di essere collocate nelle case di riposo, mentre queste unità dovrebbero essere riservate ai casi più selezionati. Cioè a persone giovani che hanno bisogno di una maggior sorveglianza, non solo assistenziale, ma anche in vista di ‘eventuali’ risvegli”.
Renzo Dalle Pezze da otto anni è il coordinatore del personale della Speciale unità, la “famiglia adottiva” dei pazienti ricoverati. È agli infermieri e agli operatori che spetta la cura costante di questi fragili pazienti, esposti a qualsiasi complicazione. L’assistenza è svolta con dedizione, professionalità ed efficienza, tanto che nessun paziente soffre di piaghe da decubito.
“Ogni giorno accudiamo persone con cui non possiamo comunicare e questo comporta una serie di “fatiche” psicologiche ed emotive importanti – afferma Dalle Pezze – alle quali si va a sommare il rapporto quotidiano con i parenti. Ci facciamo carico delle domande, delle paure, delle richieste di padri, madri, mariti e mogli e veniamo resi partecipi delle problematiche presenti nelle singole famiglie che la malattia ha fatto emergere o ha contribuito a dilatare. Soprattutto i genitori dei ragazzi sono presenti ogni giorno e per loro non esiste altro mondo se non quello dentro queste mura, dove c’è il loro ‘bambino’. Sono coscienti della dura condizione del loro caro, ma dai discorsi emerge sempre la speranza che le cose possano cambiare… Sono costantemente in una condizione di attesa. Ho lavorato in altri reparti, ma questo è veramente ‘un altro mondo’, dove si tocca con mano l’insondabilità del mistero dell’uomo”.
Testo: elena.zuppini@sacrocuore.it
Filmato: matteo.cavejari@sacrocuore.it
Virus Zika: per ora nessun allarme in Italia
Virus Zika: per ora nessun allarme in Italia
Prudenza nei viaggi per le donne in gravidanza e incremento in Veneto della sorveglianza delle febbri estive a causa della presenza in Italia della zanzara “tigre
Al momento nessun allarme in Italia per il virus Zika che invece sta provocando seri problemi sanitari in Sudamerica. Solo prudenza per le donne in gravidanza e un incremento della sorveglianza sulle febbri estive per impedire che l’agente patogeno (isolato per la prima volta nel 1947 nella foresta di Zika, in Uganda) non si diffonda anche in Italia a causa della presenza della zanzara tigre. Il messaggio rassicurante arriva dal dottor Federico Gobbi (nella foto), medico del Centro per le Malattie tropicali, diretto da dottor Zeno Bisoffi, Centro di riferimento per le patologie d’importazione della Regione Veneto.
“Si tratta di una patologia simile alla Dengue e alla Chikungunya. Causa una sindrome simil-influenzale caratterizzata da febbre, dolori alle articolazioni e congiuntivite; solo una persona contagiata su cinque sviluppa la malattia. Il quadro clinico si risolve in pochi giorni anche senza ospedalizzazione”, sottolinea il medico. L’attenzione deve essere rivolta soprattutto alle donne in attesa di un bambino. “In Brasile l’anno scorso si sono registrati quasi 4mila casi di microcefalia fetale, contro i 147 dell’anno precedente – prosegue il dottor Gobbi -. Questo fa ipotizzare, perché non c’è ancora la certezza scientifica assoluta, la correlazione tra il virus e le nascite di bambini con un insufficiente sviluppo del cranio”.
Alle donne in gravidanza quindi “deve essere decisamente sconsigliato di recarsi in zone dove lo Zika è presente da tempo (Africa, Asia e Oceania) a cui si devono aggiungere adesso anche il Centro e Sud America. Inoltre non è consigliabile concepire un figlio in quei Paesi”.
E per gli altri viaggiatori? Si raccomandano le solite precauzioni che devono essere adottate anche per proteggersi dal contagio di altre malattie che hanno come vettori le zanzare (oltre alla Dengue e alla Chikungunya anche la Malaria). “Cercare di evitare le punture di zanzara tramite repellenti cutanei, zanzariere e abiti lunghi e chiari. Se entro le due settimane dal rientro si manifesta febbre anche non alta, è bene rivolgersi al medico. Tutte precauzioni importanti per non ammalarsi e nello stesso tempo per evitare di diventare inconsapevolmente importatori del virus in Italia” afferma l’infettivologo.
Anche se sono stati riportati in letteratura alcuni casi sporadici di trasmissione sessuale, la trasmissione del virus avviene principalmente attraverso la puntura di zanzara Aedes. Sicuramente un vettore molto efficace è Aedes aegypti, presente in Asia, Africa e Sudamerica, ma non in Italia. “In Italia dal 1990 abbiamo la zanzara Aedes albopictus, la comune “tigre”, che appartiene alla stessa famiglia di Aedes aegypti e può quindi trasmettere il virus da persona a persona se punge un soggetto infetto “.
“Proprio per evitare che lo Zika diventi endemico anche nelle nostre zone – conclude il medico – la Regione Veneto ha deciso di allargare la sorveglianza delle febbri estive, di cui Negrar è uno dei coordinatori del Servizio, anche a questo virus che si aggiunge al Dengue, Chikungunya e West Nile”.
elena.zuppini@sacrocuore.it
L'impegno dei cappellani ospedalieri per il Giubileo
Ogni lunedì dalle 9 alle 12 un sacerdote è a disposizione nella chiesa del Sacro Cuore per impartire il sacramento della confessione durante l’Anno Santo della Misericordia
In occasione dell’Anno Santo della Misericordia indetto da papa Francesco, i cappellani della Cittadella della Carità di Negrar hanno deciso di rendere il sacramento della confessione più accessibile per tutti coloro che frequentano l’ospedale. Per questo ogni lunedì dalle 9 alle 12, durante tutto il periodo giubilare, un sacerdote sarà a disposizione nella chiesa del Sacro Cuore, situata dietro al pronto soccorso nella parte più antica del nosocomio.
“Il vicariato della Valpolicella ci ha proposto di istituire un ‘punto confessione’ all’interno dell’ospedale e noi abbiamo accettato volentieri – dice don Gaetano Gecchele, sacerdote dell’Opera Don Calabria e responsabile della pastorale ospedaliera -. Naturalmente potrà accedervi chiunque: ammalati, visitatori, personale ospedaliero e più in generale gli abitanti della zona“.
La presenza dei cappellani è da sempre una caratteristica peculiare dell’ospedale calabriano, in linea con i fini istituzionali del nosocomio e con la convinzione del fondatore san Giovanni Calabria, secondo il quale l’ospedale deve essere un luogo di cura non solo per il corpo ma anche per lo spirito. Attualmente ci sono cinque cappellani che fanno da assistenti spirituali nelle varie strutture della Cittadella della Carità. Ogni cappellano è a disposizione per impartire i sacramenti ai malati o semplicemente per fare un colloquio con chi ha bisogno di assistenza e conforto.
L’istituzione del “punto confessione” al lunedì mattina rappresenta solo una delle iniziative intraprese dalla pastorale ospedaliera con lo sguardo sul giubileo. “Già in Avvento abbiamo proposto alcuni incontri formativi sul tema giubilare – conclude don Gecchele -. Ora l’esperienza si ripeterà in Quaresima, con quattro incontri che si terranno al giovedì a partire dal 18 febbraio, sempre in Sala Perez alle 17. Il tema saranno le opere di misericordia, corporali e spirituali, con la guida di padre Angelo Brusco“.
matteo.cavejari@sacrocuore.it
Tradotta anche in arabo la "App del cuore"
La App, ideata dal dottor Giulio Molon, fornisce un valido supporto per i portatori di pacemaker e defibrillatori
Ha una nuova grafica ed è stata tradotta in sette lingue (inglese, tedesco, spagnolo, francese, portoghese, russo e arabo) la prima e unica App per i portatori di pacemaker e defibrillatori impiantabili, ideata nel 2013 dal dottor Giulio Molon, responsabile della struttura semplice di Elettrofisiologia e cardiostimolazione del Sacro Cuore Don Calabria, insieme all’ingegner Sergio Datteri.
MyPacemaker (questo il nome dell’applicazione per IPhone scaricabile gratuitamente dall’App Store) è un valido supporto per migliorare la quotidianità e la gestione di pazienti dotati di dispositivi che facilitano la funzionalità del cuore: solo in Italia si stimano circa 60mila impianti all’anno di pacemaker e circa 5mila defibrillatori.
Finora MyPacemaker ha registrato 2.417 download, la maggior parte dei quali negli ultimi mesi vengono effettuati negli Stati Uniti (qui sotto, nella videogalley, il video tutorial per l’utilizzo della App)
MyPacemaker è stata concepita per diverse funzioni. “Innanzitutto – spiega il dottor Molon – è una sicura alternativa al tesserino fornito al paziente dall’ospedale che ha effettuato l’impianto, in cui sono contenuti i dati anagrafici del portatore e le caratteristiche del pacemaker o del defibrillatore. Un documento che la persona deve sempre tenere con sè, soprattutto nell’eventualità di un malore e quindi di un ricovero urgente. Spesso però lo dimentica, anche nei controlli periodici, ed essendo di cartoncino a lungo andare diventa illeggibile. Il telefonino invece farebbe fronte a tutto questo”.
Nell’App, inoltre, è possibile inserire la terapia che il paziente assume, e che non di rado ricorda in modo vago, e il nome di un famigliare da chiamare in caso di bisogno, quello del cardiologo o dell’ospedale di riferimento.
L’applicazione è stata studiata infine per fornire utili informazioni al fine di aiutare il paziente a risolvere eventuali difficoltà quotidiane dovute alla sua condizione. In caso di lontananza da casa per vacanza o per lavoro diventa anche facile trovare l’ospedale più vicino alla propria posizione consultando la mappa di MyPacemaker.
E per i pazienti più anziani che di solito non usano telefonini di ultima generazione? “In genere sono seguiti dai loro figli – conclude il cardiologo -. L’App è una risorsa anche per i familiari che con comodità possono portare con sè tutte le informazioni che vengono richieste dai medici in occasione dei periodici controlli clinici e strumentali o in caso di ricovero del loro caro”.
Ulteriori informazioni su MyPacemaker e sull’attività che il dottor Giulio Molon effettua in ospedale si possono trovare sul sito www.aritmologo.it, in cui è riservato uno spazio dove l’utente può porre le proprie domande.
elena.zuppini@sacrocuore.it
Risonanza Magnetica cardiaca: video-interviste sul convegno
Risonanza Magnetica cardiaca: video-interviste sul convegno
Grande partecipazione al convegno “Risonanza Magnetica cardiaca: istruzioni per l’uso” che si è tenuto sabato 16 gennaio in Sala Perez
Sala Perez al completo e numerosi convegnisti in video conferenza al Centro di formazione e solidarietà per il convegno “Risonanza magnetica cardiaca: istruzioni per l’uso” che si è svolto sabato 16 gennaio all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria. L’incontro – organizzato dal professor Enrico Barbieri, direttore dell’Unità operativa di Cardiologia, e dal dottor Giovanni Carbognin, direttore del Dipartimento di diagnostica per immagini – ha visto la partecipazione di esperti delle più importanti scuole italiane di Cardiologia e Radiologia (nella Photo Gallery i relatori)
Nel primo filmato, riportato qui sotto, la dottoressa Antonella Cecchetto, cardiologa dell’Unità operativa di Cardiologia dell’ospedale di Negrar, traccia l’ampia panoramica degli ambiti cardiologici in cui la RM è un fondamentale strumento diagnostico.
Il dottor Roberto Filippini, direttore della Medicina dello sport, sempre del nosocomio calabriano, interviene invece sul ruolo importante della Risonanza Magnetica per escludere il sospetto di cardiopatia nel momento del rilascio di un certificato di idoneità sportiva agonistica ma anche non agonistica.
Nel secondo filmato la dottoressa Alessandra Frigiola, cardiologa presso il Guy’s & St. Tomas’s Hospital di Londra, parla delle cardiopatie congenite, anomalie del cuore con le quali un neonato nasce e che nel 25% dei casi richiede un intervento immediato. Ne sono affetti l’1% per cento circa dei neonati.
* Video-interviste a cura di matteo.cavejari@sacrocuore.it
Il calore che cura l'adenomiosi
I dottori Marcello Ceccaroni e Stefano Scarperi firmano il primo studio al mondo pubblicato sull’utilizzo della termoablazione con radiofrequenza per la cura dell’adenomiosi, una patologia ginecologica invalidante.
Porta la firma del dottor Marcello Ceccaroni e del dottor Stefano Scarperi, rispettivamente direttore e medico del Dipartimento per la tutela della salute e della qualità di vita della donna (Unità operativa complessa di Ginecologia e Ostetricia) dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, il primo studio al mondo pubblicato (in allegato il testo) sull’utilizzo della termoablazione con radiofrequenza per la terapia non invasiva dell’adenomiosi, patologia ginecologica benigna, spesso invalidante, la cui terapia fino a pochi anni fa si limitava all’intervento di isterectomia.
Lo studio multicentrico è stato pubblicato sul Journal of the Society of Laparoendoscopic Surgeons (JSLS), la rivista ufficiale della Società americana di laparoscopia. Lo studio ad oggi ha coinvolto 60 donne tutte candidate all’asportazione dell’utero e ha avuto la durata di tre anni. Il dottor Ceccaroni ha dato il suo contributo per la parte scientifica, mentre il dottor Scarperi ha coordinato la ricerca ed eseguito i trattamenti essendo il Sacro Cuore Don Calabria – già centro di riferimento per la terapia chirurgia dell’endometriosi – , l’unico ospedale in Italia ad offrire questa terapia.
L’adenomiosi si manifesta quando il tessuto endometriale (la mucosa che riveste la parte interna dell’utero soggetta a modifiche durante il ciclo mestruale) invade il miometrio, cioè la parete muscolare dell’utero. La patologia è causa di mestruazioni dolorose e molto abbondanti, di perdite ematiche fuori dal periodo mestruale, di dolore durante i rapporti sessuali ed infine di infertilità. La prevalenza riguarda il 20-25% delle pazienti che sono state sottoposte a isterectomia e si manifesta soprattutto in donne in tarda età riproduttiva, dai 40 ai 50 anni.
Fino a pochi anni fa, la terapia per adenomiosi sintomatica si limitava all’intervento di asportazione dell’utero, quando la patologia non rispondeva alla cura ormonale. L’evoluzione della diagnostica per immagini – come l’ecografia transvaginale e la risonanza magnetica – ha permesso di ottenere informazioni molto più precise circa la presenza e il volume dell’adenomiosi.
Tra le nuove terapie la termoablazione con radiofrequenza, diventata nell’ultimo decennio degli anni Novanta un’opportunità terapeutica internazionalmente condivisa, in particolare per il trattamento di tumori solidi non asportabili e più recentemente, per il trattamento chirurgico conservativo dei fibromi uterini. Da circa 4 anni la termoablazione con radiofrequenza viene usata anche per la cura dell’adenomiosi e i ginecologi di Negrar sono i primi a pubblicare i risultati del trattamento.
“Ci serviamo di un particolare ago a radiofrequenza (la foto nella Gallery) che viene inserito nell’utero sotto guida laparoscopica – spiega il dottor Scarperi -. Una volta centrata la lesione si produce un riscaldamento dell’adenomiosi ad una temperatura di 98°. A questa temperatura il tessuto malato va incontro ad un fenomeno di apoptosi”. Si tratta di una sorte di “morte cellulare programmata”, un processo fisiologico delle cellule che non provoca traumi immediati ma permette la “trasformazione” del tessuto malato per lasciare posto ad una piccola cicatrice. Transizione che nel caso del trattamento dell’adenomiosi avviene nell’arco di tre mesi.
“Le donne sottoposte a termoablazione con radiofrequenza dopo la terapia riferiscono di una riduzione drastica dei sintomi – sottolinea il medico – che corrisponde ad un’altrettanta riduzione del tessuto dell’endometrio nella parte esterna dell’utero. Alcune hanno potuto realizzare il sogno di diventare madri”. L’intervento avviene in una sola seduta e la paziente viene dimessa il giorno seguente se non vi sono motivi per prolungare il ricovero.
L’Unità operativa complessa di Ginecologia e Ostetricia è centro di riferimento nazionale per la terapia chirurgica dell’endometriosi, con circa 1.500 interventi annuali, di cui 700 di endometriosi severa e si pone, anche grazie a questa tecnologia, come leader nel trattamento completo dell’endometriosi e dell’adenomiosi.
elena.zuppini@sacrocuore.it
Da Negrar a Luanda: "missionari" in camice bianco
Tre operatori del “Sacro Cuore Don Calabria” lavoreranno per un anno all’ospedale Divina Providencia dell’Opera calabriana
Da Negrar a Luanda con la trepidazione di rincontrare una terra, quella africana, che hanno già conosciuto e che, raccontano, “è capace di donarti più di quanto sei in grado di dare”. Sergio Cavagna, infermiere del Pronto Soccorso, Angelo Peretti, tecnico di laboratorio dell’Anatomia Patologica, e Gian Paolo Chiecchi, infermiere della Medicina generale, entro gennaio si recheranno per un anno (“rinnovabile”, sottolineano all’unisono) in Angola per lavorare nell’ospedale Divina Providencia dell’Opera Don Calabria, punto di riferimento per i più poveri in un quartiere, quello di Golf, che conta 1 milione di abitanti. Con loro anche Angela Chesini, moglie di Gian Paolo, collaboratrice dell’Ummi, l’Unione medico missionaria italiana, l’organizzazione non governativa legata al “Sacro Cuore Don Calabria”.
Giovedì 7 gennaio la direzione e i colleghi dell’ospedale di Negrar hanno voluto salutarli con una messa celebrata nella cappella del santo fondatore, a cui ha partecipato anche Stefania, tecnico di laboratorio. “Per un anno farò parte di un comunità veronese di suore di clausura – racconta Stefania -. Anche questa è una terra di missione, da dove potrò aiutare con la preghiera e con le opere caritative le tante persone che anche in città come le nostre hanno bisogno di sostegno. Poi? Deciderà il Signore…”.
Per Sergio e Angelo il viaggio verso Luanda è un ritorno. “Ho lavorato nell’ospedale Divina Providencia per tre anni, dal 2001 al 2003 – sottolinea Sergio Cavagna, 49 anni, di origini trentine -. Per altri due anni (dal 2006 al 2008) sono stato in Mozambico con il Cuamm-Medici con l’Africa e successivamente per un anno in Guinea Bissau. Forse quella della missione è la mia vera strada… A Luanda opererò in un Centro di formazione per infermieri, quindi sarà un lavoro più didattico che sanitario”.
Nel nosocomio angolano Angelo Peretti, 30 anni, è ormai “di casa”: “Per me è la terza volta: ci sono stato per un mese, poi per sei mesi, e adesso per un lasso di tempo adeguato… Lavorerò sempre come tecnico, ma in un laboratorio di analisi chimico-cliniche”. Entrambi definiscono l’esperienza precedente “molto bella, in un contesto sanitario totalmente differente a quello a cui siamo abituati”. “Dagli angolani c’è tanto da imparare – dice Angelo – soprattutto per quanto riguarda il loro modo di concepire la vita. Vivono il momento con una certa serenità e vanno avanti con quel poco che hanno”. “Sono persone molto orgogliose – prosegue Sergio – quindi bisogna entrare nel loro mondo con rispetto. Ma hanno il pregio, a differenza di noi, di andare all’essenziale, anche per quanto riguarda il rapporto con l’altro”.
Anche per Gian Paolo, 34 anni, e Angela, 28 anni, la realtà missionaria non è una novità. Oltre a far parte di gruppi missionari parrocchiali, Gian Paolo è stato in Kenia per tre anni con la Comunità Papa Giovanni XXIII, mentre Angela è stata un mese in Bolivia. “Volevamo vivere questa esperienza assieme – raccontano -. In contesti come quelli africani s’impara a non dare per scontata la nostra quotidianità: come dormire sotto un tetto, mangiare tutti i giorni o disporre di cure mediche. S’impara ad essere grati alla vita per quello che abbiamo”.
L’ospedale Divina Providência di Luanda, fondato nel 1994, è convenzionato con il sistema sanitario angolano ed è inserito in un quartiere dove esiste una sola struttura sanitaria pubblica e molte cliniche private, inaccessibili, quest’ultime, per le moltissime persone povere del popoloso quartiere. Conta oltre 100 posti letto distribuiti in tre reparti: medicina generale, pediatria e centro nutrizionale per far fronte alla malnutrizione infantile. Inoltre sono stati riservati degli spazi per la cura della tubercolosi e dell’Aids, patologie molto diffuse in Angola. L’ospedale offe anche visite specialiste (stomatologia, ortopedia e optometria), trasfusioni, analisi chimico-cliniche ed esami radiologici. Nel 2013 sono stati eseguiti 218.461 esami di laboratorio e 10.533 radiografie.
Una parte fondamentale del lavoro sanitario della Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza nel quartiere Golf è la rete dei posti di salute. Operano infatti cinque poliambulatori sparsi sul territorio, che si occupano dei casi che non richiedono il ricovero. Nei posti di salute vengono effettuate visite generali, pediatriche e prenatali, analisi del sangue e soprattutto vaccinazioni. Nel 2013 le vaccinazioni sono state 57.565. L’Opera Don Calabria è presente in Angola dal 1982 e le case calabriane si trovano a Luanda, Benguela, Saurimo, Uige, Huambo, Kuimbae Mukonda. Le attività, oltre a quella ospedaliera, sono di tipo sociale (in particolare con accoglienza di bambini), parrocchiale e vocazionale.
elena.zuppini@sacrocuore.it
Nella foto di copertina, da sinistra, Angelo Peretti, Sergio Cavagna, Angela Chesini e Gian Paolo Chiecchi. Nella Photo Gallery alcune immagini dell’ospedale Divina Providencia di Luanda