35 anni fa don Calabria veniva proclamato Beato da papa Giovanni Paolo II

Il 18 aprile 1999, 24 anni fa, don Calabria veniva proclamato santo da papa Giovanni Paolo II. Esattamente 11 anni prima, il 17 aprile 1988, il fondatore dell’Opera era stato beatificato con una solenne celebrazione allo stadio Bentegodi di Verona, sempre da papa Wojtyla che in quei giorni era in viaggio apostolico nella diocesi scaligera.

Proprio quel giorno si svolse anche la storica visita del Pontefice all’ospedale Sacro Cuore di Negrar, dove incontrò gli ammalati, i religiosi, le religiose e gli operatori sanitari per una memorabile visita (vedi le immagini e i dettagli della visita a Negrar)

Nel video qui sotto due religiosi dell’Opera, fratel Mario Bonora (per 24 anni presidente dell’ospedale) e fratel Mario Grigolini, ricordano con emozione quelle giornate e in particolare la celebrazione che si svolse allo stadio gremito in ogni ordine di posti.

Alcune foto della storica visita di Giovanni Paolo II al “Sacro Cuore”


Gli operatori di Oculistica "nei panni di..." ipovedenti e non vedenti

Cinquanta operatori dell’Unità Operativa Complessa di Oculistica per quattro ore si sono messi “nei panni di…” al fine di apprendere le tecniche di accompagnamento e di comunicazione necessarie per approcciarsi nel modo migliore con i pazienti ipovedenti e ciechi. Il corso è stato tenuto da due insegnanti d’eccezione: Fabio Lotti e Marco Andreoli del Progetto Yeah, ramo della cooperativa sociale QUID

Accompagnare una persona con disabilità visiva all’interno di un ospedale non consiste semplicemente “prenderla sottobraccio”, ma mettersi “nei panni di…”, come recita il titolo dell’innovativo percorso di aggiornamento professionale a cui hanno partecipato nelle scorse settimane gli operatori sanitari dell’Unità Operativa Complessa di Oculistica dell’IRCCS di Negrar, diretta dalla dottoressa Grazia Pertile.

Cinque incontri a cui hanno aderito in totale 50 persone, tra infermieri, operatori socio-sanitari ed ortottisti, impegnati per quattro ore in una full immersion nel mondo delle persone non vedenti e ipovedenti. Infatti oltre alla parte teorica, il corso prevedeva anche una dimostrazione pratica con i corsisti che a turno si alternavano nel ruolo dell’accompagnatore e in quello dell’accompagnato, bendato con apposite mascherine.

Anima e docenti del corso sono Fabio Lotti e Marco Andreoli, entrambi disabili visivi, fondatori del Progetto Yeah, della Cooperativa sociale Quid, che si occupa di inclusione a favore di chi è affetto da disabilità di tutti i tipi, offrendo attività di consulenza, progettazione e formazione.

“Supportare in maniera adeguata una persona non vedente o ipovedente durante la sua breve o lunga presenza in ospedale non è così scontato”, afferma la dottoressa Pertile. “Paradossalmente è meno complesso l’approccio con un paziente cieco rispetto a un ipovedente, riguardo al quale è difficile comprendere cosa riesca a fare autonomamente e in cosa invece necessita di aiuto. Ci sono inoltre le persone che prima del ricovero vedevano e che poi, a causa per esempio del distacco della retina dell’unico occhio sano, si trovano improvvisamente a non vedere nulla. Di solito si tratta di una condizione temporanea che comporta comunque la gestione, anche psicologica, di questa grave disabilità”.

In tutti questi casi è importante che l’operatore sia sufficientemente informato e conosca le tecniche di accompagnamento, “ma anche sia dotato di una certa empatia, affinché sia in grado di supportare senza però mettere la persona disabile in una condizione di sentirsi umiliata o avere difficoltà a chiedere aiuto. Il corso simulando la condizione di chi deve affrontare le attività quotidiane senza il supporto della vista è un mezzo efficace per mettersi nei panni dei non vedenti ed è di particolare aiuto per i più giovani e coloro che da poco sono stati assegnati al reparto”, sottolinea il primario.

L’errore più comune che viene fatto è quello di voler guidare i movimenti di un non vedente con le logiche spazio-temporali di chi vede”, spiega Lotti. Per esempio tenere la persona sottobraccio senza considerare lo spazio attorno, si rischia che al primo ostacolo, come lo stipite di una porta, lo si porti a sbattere. “Esistono invece delle tecniche specifiche universalmente riconosciute che se vengono apprese permettono di mettere a proprio agio i non vedenti o gli ipovedenti. Corsi simili sono già stati effettuati anche nelle Università, nelle scuole e nell’ambito dei trasporti. Il corso che si è svolto all’ospedale di Negrar è stato presentato al congresso nazionale Prisma della riabilitazione visiva che si è tenuto il 17 il 18 marzo a Firenze”.

Nella foto di copertina: da snistra la dottoressa Grazia Pertile,. Fabio Lotti e Marco Andreoli, Stefano Zullo e Roberta Foladori, rispettivamente coordinatore infermieristico del Reparto e del Servizio di Oculistica

Sotto il servizio del tg di Telearena


"Uniti nella ricerca più forti nella cura": come destinare il 5xmille a favore dell'IRCCS Sacro Cuore

Con l’inizio della compilazione della Dichiarazione dei redditi, riprende la nostra campagna “Uniti nella ricerca, più forti nella cura” per la donazione del 5xmille a favore della Ricerca Sanitaria dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di cui sopra riportiamo lo spot promozionale.

Per avere  informazioni su come destinare il 5xmille al “Sacro Cuore Don Calabria” è disponibile anche il sito 5xmille.sacrocuore.it che quest’anno ha una nuova veste grafica e si è arricchito di ulteriori contenuti. Qui potete trovare anche i progetti di ricerca che sono stati sviluppati grazie alla raccolta fondi 5xmille del 2019 e del 2020.

Donare il 5xmille è molto semplice. E’ sufficiente porre la firma nel riquadro “Finanziamento della Ricerca Sanitaria” della Dichiarazione dei redditi, specificando il codice fiscale 00280090234 – IRCCS Sacro Cuore Don Calabria

La scelta per il 5xmille non comporta aggravio sulle imposte del contribuente, non rappresenta un’alternativa a quella per l’8xmille ed è un gesto che si concretizza, se indirizzato a un IRCCS come il nostro, nello sviluppo di nuove terapie e di nuovi strumenti diagnostici a vantaggio dei pazienti affetti da varie patologie.

Hanno collaborato: Elena Zuppini/Matteo Cavejari (Ufficio stampa IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria)


"Buona Pasqua di vero cuore a tutta la Famiglia Calabriana!"

“Il contrario della morte non è la vita, ma è l’amore! Compiamo opere di amore tra di noi e con le anime a noi affidate e vedrete che la luce del Mattino di Pasqua entrerà anche nelle nostre case, nelle vite, nelle comunità”.

E’ in queste parole il cuore del messaggio che il Casante don Massimiliano Parrella rivolge a tutta la Famiglia Calabriana per questa Pasqua 2023, direttamente da quella che un tempo fu la stanza di San Giovanni Calabria. Un pensiero di incoraggiamento e di speranza, riportato nel video qui sotto, che facciamo nostro per augurare una serena Pasqua di Risurrezione a tutti coloro che collaborano con il nostro ospedale, agli ammalati e alle loro famiglie.


Il 20 aprile a Verona la presentazione del nuovo corso di laurea magistrale in Farmacia

SAVE THE DATE: Giovedì 20 aprile dalle 15 alle 17, all’Università di Verona si terrà la presentazione del nuovo corso di laurea magistrale a ciclo unico in Farmacia che partirà il prossimo anno accademico nelle sedi dell’ateneo scaligero per poi spostarsi nell’ottobre del 2024 nella nuova struttura all’interno della Cittadella della Carità di Negrar

Giovedì 20 aprile avrà luogo la presentazione del nuovo corso di laurea magistrale a ciclo unico in Farmacia, nato dalla collaborazione tra Università di Verona e IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria  (vedi articolo). Durante l’iniziativa saranno presentati gli aspetti innovativi del corso e gli sbocchi professionali.  Tra i relatori anche il dottor Giancarlo Gorgoni e della dottoressa Teresa Zuppini, rispettivamente direttore dell’Officina Radiofarmaceutica e della Farmacia ospedaliera dell’IRCCS di Negrar

L’appuntamento è al Polo Zanotto, Viale dell’Università di Verona, 4. Dalle ore 15 alle ore 17

Guarda l’intervista del prof. Cristiano Chiamulera, referente del Corso: https://www.univr.it/it/iniziative/-/evento/10925

 

 

 


Il vino potrebbe ridurre particolari lipidi nel sangue “nemici” del cuore. A breve i primi studi all’IRCSS Sacro Cuore di Negrar con l’Università di Verona

Le ceramidi, secondo recenti studi, sono “spie” del rischio di malattie cardiovascolari rispetto al colesterolo e il vino potrebbe modificare i livelli di tali molecole, con un effetto protettivo sul cuore. E’ questa una nuova ipotesi a cui si sta lavorando all’IRCCS Sacro Cuore di Negrar (VR) che, in collaborazione con l’Università scaligera, avvierà presto la prima sperimentazione clinica all’interno di un Dottorato di ricerca per verificare il possibile effetto “scudo” del vino contro le ceramidi.

Dietro gli effetti protettivi del vino sul cuore potrebbe celarsi un meccanismo che agisce su particolari lipidi presenti nel sangue, chiamati ceramidi. Proprio in occasione di Vinitaly, manifestazione che si è tenuta a Verona, i ricercatori dell’IRCCS Sacro Cuore di Negrar annunciano che avrà inizio a breve un Dottorato di ricerca, nato dalla collaborazione con l’Università scaligera, con l’obiettivo di dimostrare che l’assunzione lieve–moderata di vino può avere effetti cardiovascolari benefici agendo sulla riduzione delle ceramidi, acidi grassi presenti in quantità elevata nel sangue dei pazienti colpiti più volte da eventi ischemici come l’infarto cardiaco.

Il Dottorato in Medicina Biomolecolare, presieduto da Massimo Donadelli, professore ordinario di Biochimica dell’ateneo veronese, coinvolge per l’IRCCS Sacro Cuore di Negrar il dottor Stefano Bonapace, cardiologo, il dottor Gianluigi Lunardi, farmacologo clinico, e il dottor Antonio Conti, direttore del laboratorio di Chimica Clinica.

Perché le ceramidi sono pericolose

Le ceramidi sono oggetto di ricerca da parte del “Sacro Cuore” e dell’Università di Verona dal 2018 grazie all’utilizzo da parte del Laboratorio di Negrar di metodiche di analisi biochimica molto sofisticate e disponibili in pochi centri al mondo. Gli studi pubblicati dal gruppo sulle prestigiose riviste internazionali Arteriosclerosis, Thrombosis, and Vascular Biology e Metabolism Clinical and Experimental hanno dimostrato che le ceramidi tendono ad aumentare il rischio di malattia coronarica e di recidiva di eventi cardiaci come l’infarto, anche in soggetti trattati farmacologicamente in modo ottimale per la riduzione del colesterolo “cattivo”

I benefici del consumo lieve-moderato di vino rosso
Dr. Stefano Bonapace

“I benefici del consumo lieve-moderato di vino (12 grammi di alcol al giorno nella donna e 25 grammi nell’uomo, corrispondenti rispettivamente ad uno o due bicchieri da 125 ml) sono stati ampiamenti dimostrati, in particolare l’assunzione di vino rosso è stata correlata a un minor rischio di malattia coronarica”, spiega il dottor Bonapace -. Studi epidemiologici e meta-analisi hanno principalmente attribuito questo risultato alla grande varietà di composti polifenolici presenti nel vino rosso, come ad esempio il resveratrolo che inibisce la formazione di fattori infiammatori che causano malattie cardiovascolari”.

Gli effetti sulle ceramidi che favoriscono il deposito di colesterolo sulle arterie

Tuttavia i meccanismi biologici responsabili dei suoi effetti cardioprotettivi non sono completamente chiariti. “Ad oggi il potenziale effetto benefico del vino consumato in modo lieve moderato sembra essere prevalentemente legato ad un aumento nel sangue del colesterolo ‘buono’ detto HDL e ad una riduzione dell’ossidazione del colesterolo ‘cattivo’ LDL – continua il cardiologo -.  Peraltro, non vi sono dati sul possibile effetto del vino sulle ceramidi, che sembrano avere un ruolo di ‘facilitatori’ nel processo di aterogenesi favorendo con vari meccanismi la deposizione del colesterolo “cattivo” LDL nella parete delle arterie causandone così la progressiva ostruzione. Lo studio – conclude Bonapace – mira proprio a cercare di chiarire attraverso un’assunzione controllata in modo sperimentale di una certa quantità di vino, se parte dell’effetto benefico di questa popolare bevanda sul sistema cardiovascolare possa passare anche attraverso la modificazione nel sangue di queste ceramidi che, in prospettiva, potrebbero diventare un nuovo ‘target terapeutico’”.

 

 

 


Radiazioni per il tumore anche contro la fibrillazione atriale: l'innovativo trattamento all'IRCCS di Negrar

Nuova frontiera per la fibrillazione atriale: la radioterapia utilizzata abitualmente per la cura dei tumori, potrebbe essere un’alternativa per il trattamento delle aritmie cardiache. Questa è la cardiologia del futuro, già presente al “Sacro Cuore Don Calabria” che, dopo aver avviato nel 2020 il trattamento radioterapico nella tachicardia ventricolare recidivante, oggi è uno dei primi 5 centri al mondo ad applicare la stessa metodica per la fibrillazione atriale.

Una sola seduta di 10 minuti indolore per correggere il difetto elettrico del cuore dall’esterno, con alte dosi

di radiazioni, senza effetti collaterali né ricovero. È la soluzione che arriva dall’IRCCS di Negrar dove Giulio Molon, Direttore dell’UOC di Cardiologia, e Filippo Alongi, Direttore del Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata e professore ordinario all’Università di Brescia, hanno arruolato e trattato, due mesi fa, i primi due pazienti affetti da recidiva di fibrillazione atriale, utilizzando la radioterapia impiegata tradizionalmente per la cura dei tumori.

Si tratta di un trattamento innovativo, nell’ambito dello studio clinico sperimentale TRAST-AF, che prevede l’arruolamento di 15 pazienti, e che potrebbe nel prossimo futuro essere una alternativa terapeutica all’intervento di ablazione della fibrillazione atriale.

Fibrillazione atriale: causa principale di ictus e scompenso cardiaco

“La fibrillazione atriale colpisce dieci milioni di persone in Europa e 800mila in Italia. Si tratta dell’aritmia cardiaca più diffusa tra la popolazione generale, la cui incidenza è proporzionale all’aumentare dell’età ed è una delle cause principali di ictus e di scompenso cardiaco: si porta via il 25% dell’efficacia di ‘pompa’ del cuore, provocando stanchezza, affanno e mancanza di forzespiega Molon, Direttore della Cardiologia e coordinatore dello studio TRAST-AF.

Una procedura che non richiede ricovero e sedazione

Attualmente i pazienti con fibrillazione atriale vengono sottoposti a una procedura che prevede l’introduzione di un catetere attraverso l’arteria femorale. La punta del catetere eroga radiofrequenza ed elimina le parti di tessuto responsabili delle aritmie, collocate in un’area delicata in cui le vene polmonari entrano nell’atrio sinistro “Una procedura non chirurgica ma comunque invasiva, lunga e fastidiosa per il paziente che richiede ricovero e sedazione – osserva Molon La radioterapia invece indirizzando il fascio di radiazioni ionizzanti ad alte dosi contro le cellule responsabili dell’aritmia, ottiene la stessa cicatrizzazione dell’area, interrompendo il corto circuito che causa la fibrillazione, ma non è invasiva, è indolore e il trattamento viene effettuato in una sola seduta della durata massima di 10 minuti. Dopodiché il paziente può tornare tranquillamente a casa” sottolinea il cardiologo.

Monitoraggio con un elettrocardiogramma a distanza

“Nei mesi successivi al trattamento i pazienti hanno effettuato uno stretto monitoraggio con ripetuti elettrocardiogrammi comodamente da casa, oltre alla compilazione di un diario elettronico clinico trasmesso via web. Abbiamo infatti dotato i pazienti di un nuovo dispositivo che consente semplicemente appoggiando due dita su un sensore di ottenere un rapido tracciato del battito cardiaco. Questo esame viene trasmetto istantaneamente al cardiologo che può verificare in qualsiasi momento il buon funzionamento del cuore. L’obiettivo è quello di assistere il paziente in maniera continuativa anche al domicilio, cercando di limitare gli accessi in struttura. – riferisce Niccolò Giaj Levra, specialista in Radioterapia Oncologica e referente per i trattamenti cardiologici presso il Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata. “Attualmente i due pazienti su cui siamo intervenuti non hanno riportato effetti collaterali significativi. Questi iniziali risultati ci spingono a proseguire nella sperimentazione con l’arruolamento di altri pazienti, per definire meglio l’efficacia del trattamento radioterapico ablativo sul cuore, e i benefici in termini di qualità di vita sui pazienti oltre all’implementazione della telemedicina”.

 La radioterapia: dall’ambito oncologico a quallo cardiaco

“Il Dipartimento di radioterapia oncologia avanzata dell’IRCCS Negrar vanta una dotazione tecnologica tra le più avanzate a livello internazionale – afferma Filippo Alongi, Direttore del Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata e professore ordinario all’Università di Brescia – Il livello di precisione del trattamento garantito da acceleratori lineari, ci consente di irradiare non solo tumori primitivi o metastatici, senza danneggiare i tessuti circostanti, ma anche altri tessuti anomali, come quelli che scatenano le fibrillazioni atriali e ventricolari, salvaguardando il più possibile gli organi limitrofi. Le cellule colpite – prosegue l’espertosubiscono un danneggiamento tale da indurre l’interruzione dell’aritmia cardiaca”.

Nella foto di copertina:
da sinistra il professor Filippo Alongi, il dottor Giulio Molon e il dottor Niccolò Giaj Levra

 

 

 

 


Giornata Mondiale dell'Endometriosi: l'IRCCS di Negrar posa la sua panchina gialla

In occasione della Giornata mondiale dell’endometriosi, che si celebra il 28 marzo, questa mattina l’IRCCS di   Negrar ha collocato nei giardini della struttura una panchina gialla, colore simbolo universale della malattia che esprime la necessità di tenere “accesi i riflettori” su una patologia spesso sottovalutata che tuttavia colpisce solo in Italia 3 milioni di donne. Il “Sacro Cuore Don Calabria” è Centro di riferimento regionale per la cura dell’endometriosi. Nel 2022 la Ginecologia, diretta dal dottor Marcello Ceccaroni, ha effettuato 1.200 interventi, il 70% dei quali su pazienti provenienti da fuori regione

In occasione della Giornata mondiale dell’endometriosi, che si celebra il 28 marzo, questa mattina l’IRCCS di   Negrar ha collocato nei giardini della struttura una panchina gialla, colore simbolo universale della malattia che esprime la necessità di tenere “accesi i riflettori” su una patologia spesso sottovalutata che tuttavia colpisce solo in Italia 3 milioni di donne. Ragazze la cui qualità di vita è pesantemente condizionata da una malattia causata dalla presenza dell’endometrio (il tessuto che riveste la cavità uterina e si sfalda durante le mestruazioni) fuori dalla sede naturale: intestino, apparato urologico, nervi pelvici… Condizione che comporta dolori invalidanti e che, se tardivamente diagnosticata, può essere causa di infertilità.

Negrar, Centro di riferimento regionale per la cura dell’endometriosi: nel 2022, 1.200 interventi, il 70% su pazienti provenienti da fuori regione

Il “Sacro Cuore Don Calabria” dal 2019 è Centro di riferimento regionale per cura della malattia, ma lo sviluppo di tecniche chirurgiche laparoscopiche all’avanguardia e il numero dei casi complessi trattati ogni anno pongono l’Unità Operativa Complessa di Ginecologia, diretta dal dottor Marcello Ceccaroni, tra i centri di livello internazionale. Nel 2022 gli interventi chirurgici sono stati 1.200, il 70% dei quali su pazienti provenienti da fuori regione. Ma sono circa 15mila le donne che complessivamente ogni anno si rivolgono a Negrar a causa dell’endometriosi.

Alla breve cerimonia erano presenti il Presidente dell’Ospedale, fratel Gedovar Nazzari, l’Amministratore Delegato, Mario Piccinini, e il direttore dell’UOC di Ginecologia e Ostetricia, dottor Marcello Ceccaroni.  Alla fine il vicepresidente, padre Miguel Tofful, ha impartito la benedizione.

La targa  con la frase di Seneca, collocata sulla panchina: “Lieve è il dolore che parla. Il grande dolore è muto”

La panchina, che si trova nei giardini tra Casa Nogarè e l’Ospedale Don Calabria, riporta un QrCode con un’intervista al dottor Ceccaroni e una targa sulla quale è scritta una delle frasi più note del filosofo romano Seneca: “Lieve è il dolore che parla. Il grande dolore è muto”. E’ stata scelta per sottolineare quanto ancora troppo spesso chi soffre di endometriosi debba attendere anni (in media una decina) per una diagnosi. Anni durante i quali le pazienti non sono credute e il cui dolore fisico viene spesso attribuito a cause psicosomatiche. Come ha testimoniato la veronese Cecilia Santoro, 45 anni, presente al ‘taglio del nastro’, che solo dopo ben 14 anni di sofferenza ha potuto dare un nome alla sua malattia. Cecilia da alcuni anni è paziente del Centro del dottor Ceccaroni: grazie alle cure ha raggiunto una buona qualità di vita.

Dr. Mario Piccinini
Dottor Piccinini : “Uno dei primi Centri al mondo ad occuparsi di endometriosi”

“Il Sacro Cuore Don Calabria è stato uno dei primi centri al mondo ad occuparsi di endometriosi, quando ancora il mondo della ginecologia ignorava questa mattina – ha detto il dottor Piccinini –  Un primato che dobbiamo a un pioniere della chirurgia laparoscopica ginecologica, il dottor Luca Minelli, direttore della Ginecologia dal 1996 al 2014, precocemente scomparso nel 2020. Il dottor Ceccaroni ne ha raccolto il testimone, sviluppando un Centro multidisciplinare, coordinato dalla Ginecologia a cui concorrono varie specialità tra cui la chirurgia generale e l’urologia, la radiologia, l’anatomia patologica, la riabilitazione e altre. Dal 2019 è Centro di riferimento regionale per la cura dell’endometriosi ed è conosciuto e apprezzato a livello mondiale, anche grazie all’attività della Scuola internazionale di anatomia chirurgica (ISSA) fondata dal dottor Ceccaroni con sede in questo ospedale.  La presa in carico multidisciplinare e trattamenti chirurgici con tecniche innovative non sono i soli fiori all’occhiello del reparto di Ginecologia. Le molte testimonianze di pazienti che provengono da ogni parte d’Italia (e dall’estero) riportano una realtà fatta di competenza e professionalità, ma anche di tanta attenzione ed empatia per la loro condizione. Da parte di tutto il personale: medici, infermieri, operatori sanitari e amministrativi. E questo è un grande motivo di orgoglio”. 

Dr. Marcello Ceccaroni

Dottor Ceccaroni: “Il vero nemico è la diagnosi tardiva”. 

“Paradossalmente, la diagnosi tardiva è il nemico principale, più della stessa malattia, delle donne affette da endometriosi”, afferma il dottor Marcello Ceccaroni, direttore dell’UOC di Ginecologia e Ostetricia. “Si stima che dal momento in cui sorgono i primi sintomi alla diagnosi passano dai 7 ai 12 anni, durante i quali la malattia avanza, tra enormi sofferenze, potendo arrivare anche a coinvolgere in modo severo intestino, apparato urinario, nervi pelvici. L’endometriosi – sottolinea –  è un “incendio” che scoppia nell’addome della donna tutti i mesi per 14 volte all’anno. Un ritardo diagnostico di 10 anni è causa di circa 140 “incendi”, che si traducono in dolori lancinanti, assenze scolastiche e lavorative, compromissione della fertilità, depressione, rinuncia ad una normale adolescenza e vita di coppia. E soprattutto si traducono in conseguenze sulla salute, con la necessità spesso di effettuare interventi chirurgici anche aggressivi, e per molte sulla capacità procreativa”.

“Care ragazze, ribellatevi quando vi dicono che è normale avere il ciclo mestruale doloroso”

E’ necessario quindi tenere accesi i riflettori sulla malattia, soprattutto dal punto di vista culturale. “Il medico di medicina generale così come il pediatra di libera scelta sono i primi che possono vedere nei sintomi riferiti dalle loro giovani pazienti qualcosa di anomalo e indirizzarle in un centro specializzato. Lo stesso vale per il ginecologo ambulatoriale”, sottolinea il primario. Recentemente il dottor Ceccaroni e il suo team sono stati convolti anche nel Progetto endometriosi, promosso da Agenas e dal ministero della Salute che ha come obiettivi la formazione proprio di queste figure mediche fondamentali per la diagnosi precoce e l’informazione nelle scuole. “Le ragazze non devono rassegnarsi al dolore mestruale, soprattutto se si ripete tutti i mesi – ribadisce il dottor Ceccaroni -. Provocatoriamente dico sempre alle giovani che incontro: ribellatevi se le vostre nonne e le vostre mamme vi dicono che quel dolore è normale, perché non vi è nulla di normale. Rivolgetevi al medico, e se anche questo vi dice che è tutto a posto, ma voi continuate a stare male, non arrendetevi”.

Cecilia Santoro: “La mia via crucis lunga quattordici anni per avere una diagnosi”
Cecilia Santoro

Un invito che è stato ribadito anche da Cecilia Santoro, veronese di 45 anni. Soffre di endometriosi da quando ne aveva 15, ma solo a 29 ha incontrato dei medici che hanno dato un nome alla sua malattia. “Io ho avuto la fortuna di avere accanto una famiglia e un fidanzato, oggi mio marito, che mi hanno sempre creduto e sostenuto – racconta – Ma non è stato facile da adolescente vivere condizionata totalmente dall’endometriosi e non essere capita. Quando mi assalivano i dolori andavo a scuola imbottita di farmaci; non facevo sport; rinunciavo a vacanze o a uscite con gli amici se cadevano nei giorni del ciclo. Ma la cosa peggiore era che non venivo presa sul serio dai medici. Mi dicevano che stare male con le mestruazioni era normale, che avevo una soglia del dolore bassa… Qualcuno mi ha persino detto che il mio dolore era psicosomatico, sintomo di altri problemi”. Dopo 14 anni di via crucis tra un medico e l’altro è arrivata la diagnosi. “In un primo tempo sono stata curata con i farmaci, ma poi ho subito un intervento d’urgenza per substenosi intestinale, causata dall’infiltrazione dell’endometriosi nell’intestino”, prosegue Cecilia referente Ape, Associazione Progetto Endometriosi. “Dopo due anni il secondo intervento sempre all’intestino. Tuttavia i dolori continuavano insieme a difficoltà intestinali. Finché non ho conosciuto il dottor Ceccaroni e la sua équipe, da cui sono seguita con competenza ed enorme umanità. Posso dire che oggi ho raggiunto una buona qualità di vita”.

 

 

 


Covid-19: cruciale nella protezione dal virus lo sviluppo degli anticorpi IgM generati dal vaccino

Due ricerche realizzate dall’Università di Verona e dall’IRCCS di Negrar evidenziano  che Il rilevamento della risposta anticorpale IgM specifica dopo la vaccinazione potrebbe essere utilizzata come evidenza di una migliore immunità protettiva nei confronti dell’infezione da SARS-CoV-2, e costituirebbe un importante indicatore da prendere in considerazione nelle decisioni di sanità pubblica quali la definizione dei programmi di vaccinazione per i soggetti e le categorie più a rischio.

Lo sviluppo di anticorpi IgM generati dalla vaccinazione contro il SARS-CoV-2 è associato ad una migliore risposta immunitaria e ad un minor rischio di infezione: è quanto emerge da due ricerche condotte dall’Università di Verona e dall’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Vr). La presenza di IgM specifiche contro la proteina Spike del coronavirus in seguito alla vaccinazione potrebbe quindi rappresentare un valido “correlato di protezione”, ovvero un indicatore del livello di protezione garantito dalla vaccinazione, fornendo indicazioni sulla efficacia vaccinale e su quando somministrare eventuali dosi di richiamo.

I ricercatori hanno misurato il livello di anticorpi IgM e IgG specifici in una popolazione di circa 1.900 operatori sanitari, di cui circa 300 con una precedente infezione da SARS-CoV-2. Le IgM, così come le IgG, sono prodotte dal nostro sistema immunitario per combattere le infezioni o a seguito della vaccinazione, con la quale si introduce nell’organismo del paziente un antigene contro il quale si vuole indurre una risposta immunitaria oppure, come nel caso dei vaccini a mRNA, le istruzioni per farlo produrre dalle cellule umane. Le IgM costituiscono la risposta più immediata, la “prima linea” di difesa contro una nuova infezione, mentre le IgG vengono prodotte in grandi quantità negli stadi successivi dell’infezione, rimanendo in circolo per più tempo, e rappresentano la nostra memoria immunologica, che si attiva in caso di una nuova infezione da parte di un virus già incontrato, anche a distanza di anni.

Dall’analisi dei prelievi effettuati è emerso che i soggetti con una risposta coordinata all’infezione, che producevano cioè sia IgM che IgG specifiche per la proteina Spike del virus, mostravano un livello di anticorpi più elevato e una maggiore capacità di neutralizzare il virus. In molti altri casi invece le IgM apparivano dopo le IgG o non comparivano affatto, probabilmente perché l’infezione o la vaccinazione SARS-CoV-2 potrebbe aver risvegliato nell’organismo dei pazienti la “memoria” di infezioni recenti ad opera di uno degli altri quattro coronavirus umani endemici, quelli del comune raffreddore.

I ricercatori, ad ulteriore supporto di questa ipotesi, hanno dimostrato che i soggetti che dopo la prima e la seconda dose avevano sviluppato IgM specifiche contro la proteina Spike del SARS-CoV-2 avevano anche un livello più elevato di IgG, sia nell’immediato che nei follow-up a più lungo termine. Per di più, la maggior parte dei soggetti che avevano sviluppato le IgM non hanno contratto l’infezione, suggerendo così che la produzione di IgM possa essere collegata ad una migliore risposta immunologica e quindi ad un minor rischio di infezione. Pertanto, il rilevamento della risposta anticorpale IgM specifica dopo la vaccinazione potrebbe essere utilizzata come evidenza di una migliore immunità protettiva nei confronti dell’infezione da SARS-CoV-2, e costituirebbe un importante indicatore da prendere in considerazione nelle decisioni di sanità pubblica quali la definizione dei programmi di vaccinazione per i soggetti e le categorie più a rischio.

“Il nostro studio ha evidenziato la presenza di una risposta anticorpale ‘non convenzionale’, osservata in soggetti che non avevano mai incontrato il virus SARS-CoV-2”, afferma Chiara Piubelli, responsabile della ricerca biomedica del Laboratorio di Microbiologia e Malattie Tropicali dell’IRCCS di Negrar. “L’assenza di produzione di IgM era associata ad una minore produzione di IgG che neutralizzano il virus e tale differenza si manteneva nel tempo, anche dopo la dose booster. L’identificazione di questa risposta anticorpale ‘non convenzionale’ apre interessanti scenari di approfondimento, al fine di arrivare ad una migliore caratterizzazione dei fattori che influenzano la risposta al vaccino.”

“L’imprinting immunologico, noto anche come ‘peccato originale antigenico’, consiste nella propensione del sistema immunitario ad utilizzare preferenzialmente la memoria immunologica basata su una precedente infezione quando si incontra una nuova versione di un dato patogeno”, spiega Donato Zipeto, professore associato di Biologia molecolare dell’Università di Verona. “Questo ci dice che il nostro sistema immunitario considera il SARS-CoV-2 come un virus ‘simile’ ai coronavirus del raffreddore incontrati in precedenza: nonostante questa relativa ‘somiglianza’, tutti abbiamo ben presente i danni sanitari, sociali ed economici causati da questa pandemia. Immaginiamo solo cosa potrebbe succedere se un futuro salto di specie coinvolgesse un virus completamente diverso e totalmente nuovo. Bisognerà fare il possibile per evitare che questo possa accadere.”

 

 

 


Prosegue l'impegno dell'Opera in Ucraina vicino ai bambini sconvolti dalla guerra

Tre centri diurni, una piattaforma educativa online e la distribuzione di aiuti grazie al sostegno dall’Italia. Sono queste le principali attività portate avanti dalla Fondazione Don Calabria Ucraina nelle città di Kharkiv, Cernihiv e Stryi, mentre sempre più bambini e famiglie sono segnati dai traumi provocati dall’invasione russa che prosegue ormai da oltre un anno.

Un anno fa, subito dopo l’invasione russa, anche le attività della Fondazione Don Calabria Ucraina si sono trovate a dover fronteggiare l’emergenza del conflitto (vedi articolo). Grazie agli aiuti provenienti dall’Italia, con progetti sostenuti dall’Opera che hanno visto generosamente impegnato anche il personale del “Sacro Cuore”, gli operatori della Fondazione sono riusciti in questi mesi a dare continuità alla loro attività di aiuto a centinaia di bambini e famiglie in difficoltà, superando enormi problemi.

I collaboratori calabriani sul campo ci riferiscono che in Ucraina la vita prosegue a singhiozzo, seguendo il ritmo dei bombardamenti che a turno colpiscono un po’ tutto il territorio. Qualcuno li chiama con ironia “la discoteca”, perché spesso le bombe arrivano di notte con rumori e luci che ricordano vagamente l’atmosfera tipica di alcuni locali notturni.

Tantissimi sono i profughi interni, fuggiti dalle zone dove si combatte per rifugiarsi in aree solo appena più sicure. Innumerevoli le famiglie divise, i bambini separati dai genitori oppure orfani, le donne sole con i mariti al fronte, gli anziani strappati alle loro case. Si possono solo immaginare i traumi che queste persone hanno affrontato e affrontano ogni giorno, anzi ogni ora perché qui si vive nella precarietà più assoluta, in attesa di una sirena o di un botto che fa crollare il cielo sopra la testa. Con le persone più fragili, come gli orfani e i disabili, che sono doppiamente in difficoltà e molto spesso non possono contare su nessun aiuto.

È in questo contesto che la Fondazione Don Calabria Ucraina è impegnata a dare un sostegno materiale e psicologico a tanti bambini e ai loro genitori. Prima del 24 febbraio 2022 le attività della Fondazione erano concentrate su Kharkiv e si rivolgevano in particolare ai bambini e alle famiglie in difficoltà a causa del conflitto nel Donbass che andava avanti dal 2014. Dopo l’invasione russa dello scorso anno, Kharkiv è stata tra le città più martoriate dai bombardamenti e la maggior parte degli abitanti ha dovuto cercare rifugio altrove. Alcuni operatori della Fondazione si sono trasferiti in altre città ucraine e anche la maggior parte dei bambini sono scappati.

Ma nonostante le gravi difficoltà la Fondazione Don Calabria Ucraina, sostenuta dall’Opera in Italia e da molti benefattori, ha continuato a dare sostegno concreto sul territorio adattandosi alla situazione così mutevole e agli enormi bisogni della popolazione. Attualmente le sedi operative sono tre: a Kharkiv nella parte orientale del Paese al confine con la Russia, a Cernihiv che si trova a 150km a nord di Kiev verso il confine con la Bielorussia, e infine a Stryi, vicino a Leopoli nella parte occidentale a pochi km dalla Polonia.

I centri diurni

In ognuna delle sedi operative è attivo un centro diurno che funziona da lunedì a sabato. Questi centri rappresentano un’oasi per molti bambini che qui possono svolgere attività di formazione e scolarizzazione di base, laboratori, lavori di gruppo. Ma il sostegno più importante è senza dubbio quello psicologico. La guerra comporta lutti, sofferenze, separazioni e traumi difficili da superare. Ecco dunque che gli operatori della Fondazione hanno ritenuto fondamentale proporre momenti di consulenza psicologica per bambini e genitori, gruppi di parola per le madri costrette a emigrare senza i mariti, sessioni di arteterapia dove le persone possono esprimere attraverso l’arte i propri disagi ed elaborare le paure.

Le attività online

Dal momento che uscire di casa è rischioso e non sempre la situazione lo permette, si è pensato di sviluppare anche una proposta di sostegno online. Per questo la Fondazione ha sviluppato una piattaforma educativa dove poter svolgere alcune attività a distanza con i bambini e le consulenze psicologiche rivolte agli adulti. Sulla piattaforma si fanno lavori con gruppi di parola e gruppi di approfondimento su tematiche educative, sessioni di arteterapia, seminari di formazione per operatori e volontari, incontri individuali di supporto ai genitori colpiti dalle ostilità.

La distribuzione di aiuti

Un terzo filone del lavoro eseguito dalla Fondazione è la distribuzione di aiuti, iniziata poco dopo lo scoppio del conflitto per portare generi di prima necessità a coloro che hanno perso tutto. Grazie al materiale arrivato in particolar modo dall’Italia sono stati distribuiti generi alimentari, vestiti e attrezzature educative a decine di famiglie. Ecco un breve riepilogo degli aiuti consegnati nel 2022:

  • acquisto e consegna di alimentari al centro De Paul per i senzatetto e alla stazione di Kharkiv per 40 persone senza fissa dimora
  • acquisto e distribuzione di materiale didattico/educativo (12 scatole da 40 kg ciascuna) per 20 bambini nei rifugi presso le stazioni della metropolitana
  • distribuite a Kharkiv 50 tonnellate di vari generi di prima necessità, quali cibo, prodotti per igiene e vestiti per oltre 4,500 persone
  • acquisto e consegna di 50 pacchi alimentari alla popolazione del villaggio di Rohan, nel distretto di Kharkiv, rimasta sotto occupazione russa nella zona di guerra
  • acquisto e consegna di 50 pacchi alimentari agli sfollati interni di Stryi
  • acquisto e consegna di medicinali di urgenza per 40 persone a Stryi
  • acquisto e consegna di 90 set di biancheria intima e un fornello da cucina per 40 bambini (da 1 a 3 anni) accolti in ospedale a Stryi ed evacuati dalla regione di Zaporizhzia

Le perle dell’Opera

Si calcola che attraverso il progetto portato avanti dalla Fondazione Don Calabria Ucraina in questo anno tremendo di guerra si sia riusciti a raggiungere oltre mille bambini (300 nei centri diurni e 900 nelle attività online), ai quali bisogna sommare 600 adulti dei territori non occupati e circa 80 operatori e volontari che hanno partecipato alle attività di formazione.

Il tutto grazie all’impegno eroico di 9 operatori, tra educatori, psicologi e tecnici, guidati dal coordinatore Ruslan Lavlinskyi, che con competenza e grande sacrificio mantengono un contatto con i bambini e i genitori garantendo una presenza capace di infondere speranza in una realtà dove già sopravvivere ogni giorno è una conquista.