La Medicina dei Viaggiatori: prevenzione, diagnosi e cura delle malattie legate al viaggio

Con l’intensificarsi degli spostamenti umani, anche da un continente all’altro, si è sviluppata la Medicina dei Viaggiatori, una specialità interdisciplinare che ha come ambito di interesse la prevenzione, la diagnosi e la cura delle malattie associate al viaggio. Gli specialisti in questa disciplina si occupano e rispondono di malattie dei viaggiatori, di epidemie, di vaccinazioni internazionali e sono in strettissimo contatto con le Agenzie internazionali preposte al monitoraggio delle malattie nel mondo.

Viaggiare è lavoro o studio; viaggiare è divertimento, viaggiare è lasciare il proprio Paese per cercare una vita migliore. L’importante, potrebbe declamare una pubblicità progresso, è farlo in salute.

Non a caso con l’intensificarsi degli spostamenti umani, anche da un continente all’altro, si è sviluppata la Medicina dei Viaggiatori, una specialità interdisciplinare che ha come ambito di interesse la prevenzione, la diagnosi e la cura delle malattie associate al viaggio. Gli specialisti in questa disciplina si occupano e rispondono di malattie dei viaggiatori, di epidemie, di vaccinazioni internazionali e sono in strettissimo contatto con le Agenzie internazionali preposte al monitoraggio delle malattie nel mondo.

In 24 ore da casa all’altra parte del mondo

Oggigiorno viaggiare è diventato relativamente semplice: in circa 24 ore si può andare da casa al posto più lontano dall’altra parte della Terra e, allo stesso modo, in un giorno si ritorna a casa dai luoghi più remoti del pianeta. Questo significa nel primo verso (quello dell’andata) che in pochissime ore ci possiamo ritrovare immersi in un ambiente completamente diverso da quello nel quale viviamo regolarmente; e nel secondo verso (il ritorno) che il rientro a casa avviene in tempi assai più brevi del tempo di incubazione di quasi tutte le malattie (conseguenza: queste malattie acquisite in Paesi lontani devono essere diagnosticate in patria, dove non sempre i medici sono addestrati a sufficienza per farlo).

Quanto si viaggia?

Fino al 2019, immediatamente prima della brusca interruzione causata dalla pandemia da COVID-19, ogni anno nel mondo si spostava più di 1 miliardo di persone. Ora, a pandemia conclusa, i viaggi sono ripresi, in alcuni Paesi addirittura non solo si è tornati ai numeri pre-pandemici, ma li si è superati. Si stima, comunque, che entro il 2030 si sposteranno ogni anno nel mondo circa 2 miliardi di persone. Gli italiani che ogni anno escono dai confini nazionali sono circa 18 milioni, il 10% dei quali si dirige verso Paesi della cosiddetta fascia tropicale o sub-tropicale.

Chi viaggia?

 Se è vero che la maggior parte dei viaggi si fanno ancora per divertimento/vacanza, questa tipologia è andata via via diminuendo negli ultimi 20 anni, complice la crisi economica. Nel contempo, si sono fatte strada sempre più altre categorie di viaggiatori: i lavoratori, i cooperanti internazionali, i missionari, gli studenti che passano un periodo del loro iter di studio fuori Italia e i migranti che, una volta stabilizzatisi nel nuovo Paese, tornano periodicamente a far visita a familiari ed amici nelle terre d’origine. 

Perché rivolgersi prima di partire a un ambulatorio di Medicina dei Viaggiatori

Un consulto all’Ambulatorio per la Medicina dei Viaggiatori comincia con un colloquio dal quale il medico riesce ad individuare i rischi cui il viaggiatore si espone specificamente per quel viaggio. A seconda dell’itinerario, della storia sanitaria e vaccinale del singolo individuo, degli eventuali farmaci assunti in cronico, della tipologia di viaggio (vacanza, di lavoro, di cooperazione, avventuroso, organizzato nei minimi dettagli, zaino-in-spalla…), viene creato un piano strategico per salvaguardare al meglio la salute del viaggiatore.

Questo significa, di volta in volta, somministrazione di vaccini, consigli per prevenire le varie forme di diarrea del viaggiatore o i modi migliori per gestirla se comparisse, profilassi anti-malarica o strategie per prevenire malattie tipiche del Paese mèta del viaggio.
L’ambulatorio di Medicina dei Viaggiatori del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali di Negrar si trova al sesto piano dell’ospedale Don Calabria. Per prenotare un consulto è necessario telefonare allo 045.6013257. Non si svolgono consulti telefonici.

E quando si torna a casa…

Il post viaggio non è un momento da sottovalutare. Non sempre le cose vanno per il verso giusto, e visto che i soggiorni spesso sono di pochi giorni anche in luoghi molto lontani, può capitare che le malattie contratte in Paesi tropicali e sub-tropicali si manifestino al rientro. Quindi se una volta tornati si presentano malessere, febbre, sfoghi cutanei, disturbi intestinali… è bene recarsi in un reparto di Malattie Infettive per gli opportuni accertamenti. Non solo per la propria salute, ma anche per quella pubblica.

Un esempio sono le malattie Dengue, Zika e Chikungunya, originarie dei Paesi tropicali e sub-tropicali, ma trasmesse dalla zanzara tigre comune (Aedes albopictus), presente da oltre 30 anni in Italia.

La diagnosi tempestiva di queste infezioni è fondamentale per evitare epidemie autoctone. Infatti una volta accertata la malattia, il caso viene segnalato al comune e all’ASL di appartenenza affinché provvedano alla disinfestazione per un raggio di 200 metri dalla casa del paziente al fine di evitare che una zanzara si infetti pungendo il malcapitato e trasmetta il virus a un’altra persona.

Con la collaborazione del dottor Andrea Rossanese
Medico di Medicina dei Viaggiatori dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria


150 anni dalla nascita di don Calabria: le immagini della mostra "Terra&Sangue" nel mondo

Abbiamo raccolto in un video le suggestive immagini e i filmati della mostra “Terra&Sangue”, dedicata a San Giovanni Calabria, che in questi mesi ha attraversato le missioni dell’Opera per celebrare i 150 anni dalla nascita del fondatore. Ora la mostra è in America Latina, ma in settembre arriverà a Verona e a Negrar

Cresce l’attesa per il ritorno a Verona della mostra “Terra&Sangue”, esposizione itinerante dedicata a san Giovanni Calabria in occasione del 150° anniversario della sua nascita. La mostra si compone di sette oggetti appartenuti a don Calabria, ognuno dei quali rappresenta un aspetto della sua vita e della sua spiritualità.

Il percorso comincia con le scarpe, prosegue con gli occhiali, quindi con una lettera autografa dal santo, poi con orologio, portafogli e stola sacerdotale. Il viaggio virtuale si conclude con un’ampolla di sangue di don Calabria incastonata in un reliquiario a forma di faro luminoso realizzato dal maestro Albano Poli.

La mostra era partita lo scorso 8 febbraio da San Zeno in Monte (vedi articolo) e in questi mesi ha attraversato la gran parte dei territori dove l’Opera Don Calabria è presente. Dapprima ha fatto tappa in Italia (esclusa Verona), Romania e Portogallo. Quindi è  in marzo e aprile è stata la volta dell’Africa, con Kenya e Angola. In maggio è toccato a Filippine e India. Ora da alcune settimane la mostra si trova nei Paesi di lingua spagnola dell’America Latina, mentre in agosto e per la prima metà di settembre sarà in Brasile. Il rientro a Verona è previsto dopo il 20 settembre, in concomitanza con le celebrazioni per il 150° anniversario che culmineranno con la festa liturgica dell’8 ottobre.

Anche l’IRCCS di Negrar attende la mostra, che sarà esposta nei vari luoghi della Cittadella della Carità nelle giornate del 26 e 27 settembre con tante iniziative che coinvolgeranno i collaboratori, gli ammalati e tutte le persone legate all’ospedale.

Si tratta di un grande evento che finora ha mosso enorme entusiasmo nei luoghi delle missioni calabriane, dove le persone hanno vissuto con eccezionale partecipazione la possibilità di stare così vicino alla figura di don Calabria. Nel video qui sotto possiamo vedere le foto e i filmati di quanto accaduto finora nei vari territori…


Vaccini e un farmaco anche per la Delta: la lotta alle epatiti virali è sempre più efficace

Il 28 luglio ricorre la Giornata mondiale delle epatiti virali, che, solo per quanto riguarda la B e la C, colpiscono nel mondo rispettivamente 300 e 55 milioni di persone. Tuttavia grazie ai vaccini e ai farmaci, l’OMS conta di ridurre  entro il 2030 del 90% i nuovi casi di infezioni proprio da HBV e HCV. Preoccupa, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, la Delta, ma l’introduzione di un nuovo farmaco fa ben sperare i pazienti con malattia compensata.

L’ultimo successo contro la numerosa famiglia delle epatiti riguarda la C, la patologia dovuta al virus HCV, che fino a pochi anni fa era la principale causa di cirrosi scompensate e di epatocarcinoma (tumore al fegato). Infatti solo in Italia sono circa 260mila le persone guarite dall’epatite C grazie a farmaci innovativi e lo screening, attivato per esempio dalla Regione Veneto (i dati), ha relegato i nuovi casi di positività a categorie fragili come i tossicodipendenti e i detenuti.

Per le altre forme di epatiti – la A, di origine alimentare, e la B, trasmissibile tramite sangue e derivati e rapporti sessuali non protetti – da anni sono disponibili vaccini e farmaci. Mentre è da pochi mesi rimborsabile in Italia il bulevirtide, le cui sperimentazioni per la messa in commercio hanno dimostrato l’efficacia nell’arginare la progressione dell’epatite Delta, la meno conosciuta ma la più aggressiva delle forme di epatopatia di origine virale.  

Gli obiettivi OMS per il 2030

Alla vigilia della Giornata mondiale delle epatiti, che ricorre il 28 luglio, c’è quindi più che una luce in fondo al tunnel. Tanto che l’Organizzazione mondiale della Sanità si è posta come obiettivi per il 2030 la riduzione del 90% delle nuove infezioni di epatiti B e C e del 65% dei decessi per le conseguenze delle epatiti virali, cioè la cirrosi, lo scompenso epatico e l’epatocarcinoma; garantire una diagnosi alla quasi totalità delle persone colpite dall’HBV e dall’HBC e raggiungere l’80% delle persone a cui è indicato il trattamento Nei Paesi più industrializzati, l’obiettivo è vicino, il problema resta invece drammatico in quelli in via di sviluppo, dove la malattia è sotto-diagnosticata e manca un’adeguata profilassi vaccinale. L’esempio è proprio l’epatite Delta, che in Italia interessa 10-15 mila pazienti.

L’epatite virale Delta 
Dr.ssa Sara Boninsegna

“Sono in grandissima parte migranti provenienti dall’Est Europa ma soprattutto dall’Africa, che si presentano in ospedale con cirrosi molto avanzate e epatocarcinoma, nonostante la giovane età. In una percentuale variabile tra il 5 e il 15% dei casi di infezione da epatite B, è presente positività sia ad HBV che ad HDV, responsabili rispettivamente dell’epatite B e dell’epatite Delta”, spiega la dottoressa Sara Boninsegna, epatologa dell’Unità Operativa Complessa di Gastroenterologia e Endoscopia Digestiva, diretta dal dottor Paolo Bocus.

Non c’è Delta senza B

“Questo perché l’agente infettivo HDV appartiene ai cosiddetti virus satelliti o subvirioni: è quindi un virus difettivo, che necessita per replicarsi dell’HBV. Pertanto là dove l’epatite B è maggiormente diffusa (Paesi dell’Est e Africa) è più presente anche l’epatite Delta, la quale funziona come una sorta di acceleratore verso complicanze come la cirrosi e l’epatocarcinoma. Soprattutto quando la doppia infezione viene contratta per via verticale, da madre a figlio e tende a cronicizzare in modo subdolo”, sottolinea la dottoressa.

La scarsa diffusione in Italia grazie al vaccino contro l’HBV

Tra gli italiani il quadro è differente. “Grazie alla profilassi vaccinale contro l’HBV introdotta in Italia nel 1991 per tutti i nuovi nati (e retroattivamente ai nati dal 1979), oggi le nuove infezioni riguardano persone non vaccinate, quasi esclusivamente tossicodipendenti o soggetti che praticano attività sessuale non protetta – prosegue -. Mentre grazie all’estremo controllo sui donatori e sulle sacche la trasmissione tramite sangue e derivati è quasi inesistente. Con poche infezioni da HBV, di conseguenza anche l’epatite Delta è poco diffusa”.

Un farmaco innovativo per curare la Delta

Per l’epatite B, da anni, oltre al vaccino, sono disponibili farmaci antivirali, da assumere per tutta la vita, che bloccano la replicazione del virus ed evitano che le forme croniche (il 5-10% sul totale dei casi)  favoriscano la cirrosi, lo scompenso epatico e tumore al fegato.

“Adesso abbiamo a disposizione anche una terapia innovativa per l’epatite delta, il bulevirtide, che agisce sul recettore NTCP, responsabile dell’ingresso nella cellula epatica del virus. I pazienti con infezione cronica da HDV, se paragonati a pazienti con monoinfezione da HBV, presentano una più rapida progressione in cirrosi, un aumento significativo del rischio di sviluppare epatocarcinoma, scompenso epatico, di incorrere in trapianto di fegato e di mortalità. Il farmaco è tuttavia indicato per i pazienti adulti positivi a HDV-RNA plasmatico (o sierico) con malattia compensata. Purtroppo spesso la diagnosi dell’epatite Delta viene effettuata quando è già in corso una cirrosi scompensata o è presente il tumore del fegato avanzato anche senza un quadro di cirrosi sottostante, ma rappresenta una grande possibilità terapeutica finalmente disponibile per i pazienti con malattia in compenso”,  conclude la dottoressa Boninsegna.


Oms: la rosolia non è più endemica in Italia, grazie alla vaccinazione

L’OMS ha annunciato che la rosolia non è più endemica in Italia. Un obiettivo, raggiunto grazie alla copertura vaccinale, che tuttavia non autorizza ad abbassare la guardia. Interruzione della trasmissione endemica non significa eradicazione della malattia, ma che nel nostro Paese si è creato il fenomeno dell’immunità di gregge per la patologia esantematica. Il virus della rosolia, molto pericoloso se contratto in gravidanza, circola ancora

Dopo i terribili anni dell’era Covid, arriva una bella notizia che non riguarda direttamente il famigerato virus Sars-Cov2, ma dimostra ancora una volta quanto i vaccini siano l’arma per eccellenza nella lotta contro i virus. Perché grazie al vaccino, oggi la rosolia non è più endemica in Italia. Ad annunciarlo nei giorni scorsi la Commissione di verifica regionale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per l’eliminazione delle patologia infettiva in Europa. Una malattia esantematica, generalmente lieve, ma se contratta in gravidanza può essere trasmessa al feto (rosolia congenita) con gravi conseguenze fisiche e cognitive ai danni del nascituro.

Dr. Andrea Rossanese

“Con una copertura vaccinale dei oltre l’80% il nostro Paese ha raggiunto l’immunità di gregge”, spiega il dottor Andrea Rossanese del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria. “Questo significa che se in una stanza delle dieci persone presenti, otto sono state vaccinate, anche le altre due sono protette dal rischio di ammalarsi”.

Un risultato ottenuto dopo oltre mezzo secolo (era il 1972) dall’introduzione del vaccino, che inizialmente veniva somministrato solo alle bambine prima della pubertà in vista di una futura gravidanza. Nei primi anni Novanta, quando è stato immesso sul mercato il vaccino combinato rosolia-parotite-morbillo, la profilassi vaccinale è stata estesa a tutti i nuovi nati, anche ai maschi, dopo il 14° mese di vita (con richiamo tra i 5 e i 6 anni) e nel 2017 è stata resa obbligatoria, con lo scopo, appunto, di bloccare la diffusione del virus,

“Il fatto che in Italia non si registrino casi di rosolia da almeno 12 mesi e che dal 2019 non sia stato notificato alcun caso di rosolia congenita, non ci autorizza ad abbassare la guardia”, sottolinea il dottor Rossanese. “Interruzione della trasmissione endemica, non significa eradicazione del virus, come per esempio è accaduto in tutto il mondo per il vaiolo, nel 1980, sempre grazie alla vaccinazione. Il virus della rosolia in Italia circola ancora, ma si è creato quel fenomeno (l’immunità di gregge) per cui anche chi non si è vaccinato o non ha acquisito l’immunità naturale è protetto. Ma se la copertura vaccinale scende sotto una determinata percentuale (l’80%) potremmo assistere a un aumento vertiginoso dei casi”.

Pertanto, continua Rossanese, “oltre al rispetto del calendario vaccinale per i nuovi nati, è particolarmente importante che le donne in età fertile, prima di iniziare una gravidanza, verifichino se si sono sottoposte a vaccino o hanno in passato contratto l’infezione. Nel caso contrario è altamente consigliabile procedere con la profilassi vaccinale. Lo stesso dovrebbero fare coloro che si recano all’estero per lavoro o per turismo: sono ancora tanti i Paesi in cui la rosolia è molto diffusa”.

 


Aneurisma dell’aorta addominale: l'anidride carbonica in alternativa al mezzo di contrasto tradizionale

I primi interventi all’IRCCS di Negrar. “Inerte e atossica, consente il trattamento anche per pazienti con grave insufficienza renale per i quali era precluso l’intervento, a causa dello iodio, tossico per i reni, contenuto nel mezzo di contrasto tradizionale”, afferma il dottor Luca Garriboli, direttore della Chirurgia Vascolare

L’utilizzo dell’anidride carbonica in alternativa al mezzo di contrasto iodato apre nuove prospettive per i pazienti ai quali era precluso l’intervento per aneurisma dell’aorta proprio a causa dello iodio tossico per i reni contenuto nel farmaco.

Nelle scorse settimane all’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria sono stati eseguiti i primi due trattamenti chirurgici vascolari utilizzando la Co2, su due pazienti affetti da aneurisma dell’aorta addominale con grave insufficienza renale cronica, a causa della quale la somministrazione del mezzo di contrasto iodato avrebbe comportato gravi complicanze.

Una procedura adottata in pochi centri d’Italia, in quanto richiede non solo una elevata expertise da parte del  chirurgo vascolare, ma anche una tecnologia adeguata, fatta di una pompa in grado di iniettare determinati volumi di Co2, associata a un angiografo dotato di un particolare software dedicato a questo tipo di procedure.

“L’aneurisma dell’aorta è una dilatazione anomala dell’arteria che comporta un alto rischio di rottura della parete, un evento che quando avviene ha un indice di mortalità del 70-80%”, spiega il dottor Luca Garriboli, direttore della Chirurgia Vascolare dell’IRCCS di Negrar. “Prima dell’inserimento della protesi attraverso l’arteria femorale, che va a creare un nuovo condotto per il flusso del sangue, impedendo a questo di fare pressione sulla parete, è necessario ‘scattare la fotografia’ dell’aneurisma, per determinare la sua posizione e la sua forma. Questo avviene attraverso un’angiografia, un esame radiologico che richiede il mezzo di contrasto al fine di rendere visibili ai raggi X i vasi sanguigni e le arterie malate”.

A causa dell’elevato numero atomico dello iodio contenuto nel farmaco, il mezzo di contrasto non è indicato per coloro che soffrono di insufficienza renale cronica. Ma non solo. “La sostanza iodiata viene eliminata attraverso i reni, pertanto comporta il rischio di insufficienza anche in pazienti con valori renali normali, in particolare se anziani. Inoltre – prosegue il dottor Garriboli – può influire sulla funzionalità tiroidea e non può essere impiegata in pazienti che hanno un’allergia manifesta al mezzo di contrasto. In alcuni di questi casi, per prevenire complicanze, vengono somministrati dei farmaci prima dell’esame angiografico, oppure ridotta la quantità di mezzo di contrasto e nelle situazioni più gravi di insufficienza renale cronica non si procede con l’intervento.

“L’anidride carbonica invece – riprende il primario – è una sostanza inerte e atossica che si diluisce velocemente nel sangue e una volta completato il ciclo ematico, viene eliminata attraverso i polmoni preservando i reni”

La Co2, iniettata in forma gassosa, nel sistema circolatorio produce una bolla che si espande sino ad occupare il lume del vaso e a spingere il sangue in tutte le ramificazioni. Utilizzando angiografi di ultima generazione in grado di eseguire raffinate tecniche di analisi digitale dell’immagine è possibile visualizzare l’albero circolatorio attraversato dalla CO2, creando i presupposti per eseguire l’intervento.

“L’impiego dell’anidride carbonica come mezzo di contrasto aggiunge un nuovo elemento di sviluppo delle procedure mini-invasive per il trattamento degli aneurismi dell’aorta – afferma Garriboli-. Negli ultimi 30 anni si è passati da interventi che richiedevano un mese di convalescenza a tecniche endovascolari per il posizionamento della protesi in anestesia locale. Con l’utilizzo della Co2 vengono a ridursi anche i giorni di degenza: il paziente viene dimesso il giorno dopo, mentre con il mezzo di contrasto tradizionale in presenza di variazioni pur minime della funzionalità renale si rende necessario un ricovero più prolungato”.

La Chirurgia Vascolare dell’IRCCS di Negrar esegue ogni anno circa 60-70 interventi per aneurisma dell’aorta addominale di cui il 70% con tecniche mini-invasive. “Con l’invecchiamento della popolazione la patologia è in progressivo aumento: oggi ha un’incidenza del 5% in soggetti maschi al di sopra dei 65 anni di età con fattori di rischio e del 2% in soggetti femminili. Purtroppo la rottura dell’aneurisma dell’aorta addominale è ancora un killer silente perché la dilatazione anomala dell’arteria viene il più delle volte diagnosticata in modo casuale. E’ necessario quindi lavorare di più sulla prevenzione: in presenza di fumo, obesità, colesterolo elevato e familiarità è bene sottoporsi ogni anno a un’ecografia di controllo”, conclude il primario.

 

 

 


L'IRCCS Sacro Cuore Don Calabria vince il Premio Verona Network 2023

Doppio riconoscimento per l’Ospedale di Negrar: l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria ha ricevuto il Premio assoluto Verona Network 2023 e il Premio Verona Network 2023 Categoria Economia&Impresa.

Doppio riconoscimento per l’Ospedale di Negrar: l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria ha ricevuto il Premio assoluto Verona Network 2023 e il Premio Verona Network 2023 Categoria Economia&Impresa.

La cerimonia di premiazione si è svolta ieri sera al Teatro Vittoria di Bosco Chiesanuova alla presenza di oltre 200 persone, tra cui molte autorità, sindaci del territorio e ospiti istituzionali.

Il giornalista Matteo Scolari, che ha condotto la serata assieme alla cantante Beatrice Pezzini, ha chiamato sul palco l’Amministratore Delegato Mario Piccinini, in rappresentanza dell’Ospedale, per la consegna, da parte di Luca Cenzato di BCC Verona e Vicenza, del Premio Verona Network 2023 Categoria Economia&Impresa.

Il dottor Piccinini ritira il Premio Verona Network 2023 cartegoria Econima&Impresa

Questa la motivazione: “Per aver creato un modello di cura sano, virtuoso, attento ai pazienti, al personale e a tutti i visitatori. Per il management, capace di generare utili per milioni di euro, reinvestiti nelle più avanzate tecnologie presenti sul mercato sanitario. Per l’attività di ricerca sulle principali patologie, sempre all’avanguardia e punto di riferimento a livello internazionale”.

“Essendo un ospedale privato dobbiamo usare bene i soldi dei cittadini: i nostri utili vengono sempre reinvestiti. Negli ultimi anni siamo cresciuti molto, investendo nell’ambito oncologico e delle malattie infettive e tropicali, oltre che nella medicina in generale. Ci fa molto piacere questo riconoscimento, perché non esiste grande ospedale senza grande territorio, e il nostro, quello della Lessinia, è un grande territorio», ha detto l’Amministratore Delegato.

A ritirare la targa del Premio assoluto Verona Network 2023 è stato invece l’intero staff dirigenziale dell’Ospedale: il Presidente fratel Gedovar Nazzari, accompagnato dal dottor Piccinini, dal Direttore Sanitario dottor Fabrizio Nicolis, dal Direttore Amministrativo dottor Claudio Cracco e dal Direttore Sanitario dell’Area socio-sanitaria, dottor Davide Brunelli.

“Il merito del Premio va a tutti i collaboratori di ieri e di oggi – hanno detto -. Solo grazie alla loro competenza e alla particolare cura che ogni giorno riservano alla persona del malato, e non solo alla malattia, l’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria è diventata una realtà sanitaria di eccellenza. Cura che è anche ascolto del paziente, tante cose sono state realizzate proprio perché ad indicarci una carenza da colmare sono stati i nostri stessi malati”.

Gli altri riconoscimenti della serata sono stati assegnati al Comune di Peschiera del Garda (Categoria Enti), a Manifattura Italiana Cucirini Spa e Cantina Villa Medici (ex aequo Categoria Obiettivo Sostenibilità), al Montorio FC (Categoria Sport) e a Le Piazze dei Sapori 2023 (Categoria Eventi e Spettacolo).

Il premio, giunto alla 13esima edizione, è stato istituito dall’Associazione Verona Network, che riunisce diverse realtà tra enti, istituzioni e aziende, con lo scopo di farsi promotrice di occasioni di confronto in una logica propositiva per la città. Ad oggi Verona Network raccoglie oltre 60 primari soci istituzionali e altri importanti soggetti scaligeri in rappresentanza di 3000 operatori economici e oltre 50.000 cittadini veronesi.

Nelle passate edizioni il Premio assoluto Verona Network è andato alla  Scaligera Basket (2022), all’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della Provincia di Verona (2021), alla professoressa Evelina Tacconelli (2020), titolare della cattedra di Malattie Infettive all’Università di Verona, agli studenti del iDB Tech-No-Logic Team che hanno partecipato e vinto la 20a edizione del FIRST* LEGO League World Championship di Houston con il progetto “Wemit” (2019), a Gianmarco Mazzi (2018), oggi sottosegretario del Ministero della Cultura,  all’imprenditore Giuseppe Manni (2017). In passato con un altro nome dato al Premio, sono stati consegnati riconoscimenti agli imprenditori Sandro Veronesi, Giordano Veronesi e Mario Moretti Polegato.


Il sole: l'alleato speciale della pelle colpita da dermatite atopica

Dermatite atopica o eczema atopico. Si tratta di una patologia dermatologica molto diffusa che ha origine già dalla prima infanzia. Per le persone che ne soffrono, l’estate è la stagione in cui possono trarre maggiore giovamento, come spiega la dottoressa Federica Tomelleri, responsabile del Servizio di Dermatologia dell’IRCCS di Negrar

Il sintomo principale è il prurito, che si accompagna o anticipa lesioni della pelle di differente gravità. E’ la dermatite atopica, conosciuta anche come eczema atopico, una patologia dermatologica molto diffusa: si stima infatti che il 20% dei neonati ne sia affetto.

Dr.ssa Federica Tomelleri

La cute del soggetto atopico è caratterizzata da una infiammazione dovuta ad una iper reattività dell’organo- pelle legata ad un difetto immunologico che spesso è ereditato da uno dei due genitori o da entrambi. Lo stesso meccanismo genetico alterato è all’origine di altre patologie come la rinocongiuntivite allergica e l’asma bronchiale allergico. Di solito la dermatite compare in età neonatale e con andamento cronico recidivo tipico ricade stagionalmente in particolare in primavera ed autunno.

Ma ora è arrivata l’estate, stagione amica per molte malattie della pelle. Lo è anche per la dermatite atopica? Come comportarsi?

“Sicuramente il sole è un alleato della pelle atopica, naturalmente con la giusta protezione. La pelle di chi soffre di questa patologia è come se avesse delle barriere protettive difettose che lasciano passare sostanze, altrimenti lasciate all’esterno, che scatenano una reazione ‘abnorme’ del sistema immunitario. Per questo è importante proteggersi anche da fattori ambientali”, risponde la dottoressa Federica Tomelleri, responsabile del Servizio di dermatologia dell’IRCCS ospedale Sacro Cuore Don Calabria.

Il sintomo principale è il prurito

Esattamente. Esso che può manifestarsi anche prima delle lesioni cutanee le quali vanno da un lieve eritema alla lichenificazione (chiazze di pelle ispessita, indurita e pruriginosa) fino all’eritroderma, una grave infiammazione che interessa vaste aree del corpo.

Dove si localizza?

La localizzazione della dermatite varia con l’età. In età pediatrica le sedi più frequentemente colpite dall’eczema sono il volto, il cuoio capelluto, l’attaccatura del padiglione auricolare, le pieghe cubitali e i cavi poplitei. In età giovanile e adulta solitamente le zone del corpo maggiormente interessate diventano le palpebre, il decolletè collo, le pieghe cubitali, ma anche le mani e gli avambracci

I fattori ambientali possono scatenare una recidiva o un peggioramento della condizione del paziente?

Sicuramente. L’eccessiva igiene, con frequenti bagni o lavaggi, i saponi aggressivi, l’abbondante sudorazione, e il contatto con tessuti ruvidi o con la lana possono scatenare e/o peggiorare i sintomi. Anche il cambiamento di stagione e lo stress sono da includere tra i fattori negativi. Una delle cause principali della infiammazione e della cronicizzazione della dermatite atopica è la colonizzazione cutanea del batterio stafilococco aureo. La facilità di penetrazione di tutto ciò che arriva sulla pelle e la conseguente reazione infiammatoria immunitaria può modificare il sistema dei microrganismi che vivono sulla nostra pelle a favore di specie batteriche “cattive”, come lo stafilococco, che richiedono la somministrazione anche per bocca di antibiotici.

Come abbiamo detto, il sole è amico della pelle atopica. Ci sono dei solari particolari da adottare?

I filtri solari da privilegiare nei bambini sono quelli minerali a base di ossido di zinco e di titanio, ovviamente con la massima protezione 50 +. Talvolta l’esposizione al sole, la immersione in acqua salina o anche in quella della piscina (per la presenza di cloro e altre sostanze) possono procurare una maggiore irritazione temporanea, è consigliabile iniziare la vacanza estiva con la minor manifestazione possibile di dermatite.

La dermatite atopica si può curare e come?

Il primo approccio terapeutico alla malattia atopica cutanea solitamente viene effettuato dal medico pediatra. Quando la forma si manifesta in maniera un po’ persistente ed aggressiva entra in campo la dermatologia, che, a seconda della fascia di età e della gravità della malattia del paziente, consente di trovare la cura più opportuna. Il prurito, che è il sintomo principale, deve assolutamente essere migliorato. Le terapie locali spesso hanno un’ottima efficacia e vanno dagli emollienti lenitivi combinati a detergenti dedicati, alle terapie antibiotico cortisoniche in crema miscelate e gli immunomodulatori topici fino alle terapie antistaminiche per via generale. Queste ultime sicuramente da scegliere dopo i due anni di vita.
Tra i farmaci più recenti scaturiti dalla ricerca, l’anticorpo monoclonale, il dupilumab, somministrabile con iniezioni sottocutanee ogni due settimane ha dimostrato avere una grande efficacia già dopo il primo mese di utilizzo nel migliorare la dermatite atopica anche a lungo termine. Trovano sempre il loro collocamento terapeutico farmaci “storici” come il cortisone per via generale e la ciclosporina.


Partecipanti da tutto il mondo per la prima Summer School di Radioterapia adattativa

L’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria ha ospitato la prima edizione della Summer School di Radioterapia adattativa Partecipanti da tutto il mondo e prestigiosi relatori internazionali

Il prof. Alongi con la sua équipe

Nei giorni scorsi l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria ha ospitato la prima edizione della Summer School di Radioterapia clinica adattativa, promossa dal Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata, diretto dal professor Filippo Alongi.

Al corso hanno partecipato una trentina tra radioterapisti oncologi e fisici sanitari provenienti da diversi Paesi del mondo.

I partecipanti al corso in Piazza Bra a Verona

 

 

Prestigioso il panel dei relatori internazionali, tra i quali il presidente eletto ESTRO, la Società europea di Radioterapia e Oncologia, Matthias Guckenberger dall’Università di Zurigo, e il past-president ASTRO (American Society for Radiation Oncology), Laura Dawson dal Princess Margaret Hospital di Toronto. I partecipanti hanno ascoltato le letture magistrali degli esperti e hanno potuto seguire i trattamenti in tempo reale sui pazienti, con l’utilizzo degli acceleratori lineari Ethos e Unity.

L’acceleratore lineare Ethos integrato dotato di un sistema di intelligenza artificiale

L’acceleratore lineare Unity integrato con RM ad alto campo


Cosa fare in caso di morso di zecca: in un video i consigli degli esperti

Rimuovere la zecca senza schiacciarla, compilare le note relative al tempo e al luogo in cui è avvenuto il morso, chiedere al medico l’impegnativa per un esame parassitologico specifico e infine osservare eventuali sintomi nelle 6 settimane successive. Sono queste le fasi da seguire quando si scopre di essere stati morsi da una zecca, così come illustrato dagli esperti del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali nel video qui sotto. Ecco dunque alcuni utili consigli accompagnati da un’accattivante infografica…


Intelligenza artificiale e metaverso: le nuove tecnologie per migliorare le cure del paziente con tumore al retto

Venerdì 23 giugno alla Biblioteca Capitolare di Verona si è tenuto il congresso internazionale sulla chirurgia del retto, organizzato dalla Chirurgia Generale, diretta dal dottor Giacomo Ruffo. A confronto i maggiori chirurghi europei ed italiani sulle nuove frontiere tecnologiche applicate alla chirurgia: intelligenza artificiale, realtà aumentata e metaverso

Si chiama radiomica, ed è il termine che indica l’impiego anche dell’intelligenza artificiale per elaborare la quantità enorme di dati prodotti dalle tecnologie di diagnostica (Tac e Risonanza Magnetica) che vanno oltre alle classiche immagini, al fine di ricavare “informazioni quantitative” in grado di predire se un tumore possa rispondere o meno a una determinata terapia. Per il paziente significa accedere da subito al trattamento più indicato, chirurgia, chemioterapia o radioterapia.

Dr. Giacomo Ruffo

Si tratta di una vera e propria rivoluzione in campo diagnostico, di cui si è parlato nel corso del congresso   internazionale di chirurgia oncologica del retto che si è tenuto venerdì 23 giugno alla Biblioteca Capitolare di Verona, organizzato dalla Chirurgia Generale dell’IRCCS di Negrar, diretta dal dottor Giacomo Ruffo. Sulla radiomica sono già in corso esperienze anche in Italia e la disciplina applicata alla chirurgia sarà oggetto di un Dottorato di ricerca nato dalla collaborazione tra l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria e l’Università di Verona.

Il simposio – il quinto dal 2016 e il primo dopo lo stop dovuto alla pandemia – ha visto i maggiori chirurghi del retto italiani ed europei a confronto sulle nuove frontiere tecnologiche applicate alla chirurgia, come, appunto, l’intelligenza artificiale, la realtà aumentata e virtuale, il metaverso.

Prof. Sergio Alfieri

Prof. Massimo Carlini

Tra i relatori il professor Sergio Alfieri che da poco ha operato Papa Francesco e il cui centro detiene la più alta casistica italiana di interventi al colon-retto; i rappresentanti delle più importanti scuole europee di chirurgia laparoscopica colo-rettale (il professor Didier Mutter da Strasburgo) e di trattamento dei tumori del retto con tecnica trans-anale (il professor Jurriaan Tuynman da Amsterdam);  i presidenti della Società Italiana di Chirurgia (SIC) e della Associazione Chirurghi Ospedalieri (ACOI), rispettivamente il professor Massimo Carlini e il dottor Marco Scatizzi.

Il tumore del retto, che colpisce l’ultimo tratto dell’apparato digerente e gastrointestinale, è una delle neoplasie più diffuse in Occidente. In Italia nel 2022 si sono registrare circa 14mila nuove diagnosi e la percentuale di sopravvivenza dopo 5 anni è di oltre il 60%. Un dato, quest’ultimo, raggiunto grazie all’estensione dei programmi di screening, all’evolversi delle tecniche chirurgiche, unitamente all’aumento delle conoscenze sulle caratteristiche molecolari e genetiche dei tumori e all’applicazione di nuove terapie mediche e radioterapiche.

“Da sempre il mondo della chirurgia del retto è un campo di innovazione tecnologica per merito della quale oggi possiamo parlare di “tailored surgery”, di “chirurgia su misura” – spiega il dottor Ruffo -. Disponiamo cioè di metodiche chirurgiche differenti adatte per ogni stadio e localizzazione di malattia.  Dall’asportazione trans-rettale dei tumori allo stadio più precoce alla rimozione del retto e dei linfonodi circostanti, tramite laparoscopia e robotica, nel caso di malattia più estesa e a rischio di recidiva. Anche per le neoplasie localmente più avanzate, la chirurgia trova comunque indicazione come cura, e non solo con finalità palliativa”.

Oggi la chirurgia si trova di fronte alle nuove sfide dell’ultima frontiera tecnologica, in primis l’intelligenza artificiale, ma non solo.  “Il chirurgo alla tecnologia ha sempre chiesto di fornirgli strumenti per aumentare ulteriormente l’efficacia del suo operato. – precisa Ruffo –  L’evoluzione tecnologica attuale rappresenta un’enorme opportunità, non solo nell’ambito diagnostico con la radiomica e la genomica, ma anche a supporto dell’analisi sui rischi e benefici di un intervento o di una determinata procedura chirurgica. Molto spesso ci troviamo di fronte a pazienti con anatomie molto complesse: i modelli 3D ci aiutano a ricostruire esattamente, prima di entrare in sala operatoria, l’anatomia del paziente e il rapporto della lesione tumorale con gli organi circostanti a vantaggio di una maggior precisione e radicalità dell’intervento. Il metaverso, dove mondo reale e virtuale si incontrano, si prospetta come l’ambiente ideale dove i chirurghi possono applicare nuove procedure prima di applicarle sul paziente oppure dove due chirurghi a distanza possono condurre un intervento come se fossero nella stessa stanza”.

Naturalmente la tecnologia, seppur sempre più sofisticata, resta a servizio del chirurgo al quale non può mai sostituirsi. “E’ in atto un fermento di studi scientifici per testare su ampia scala l’efficacia, il valore aggiunto rispetto alle precedenti pratiche, i lati critici e la sostenibilità economica di queste nuove tecnologie – conclude il primario -. Tuttavia in sala operatoria l’attore principale resta sempre il chirurgo con il suo know how, chirurgo al quale spetta sempre l’interpretazione delle informazioni ricevute dai vari supporti tecnologici”.