Pubblicati i risultati della prima ricerca realizzata grazie alle donazioni del 5xmille
Si tratta di una ricerca effettuata in Ecuador dal Dipartimento di Malattie infettive e tropicali e microbiologia al fine di verificare l’accuratezza e l’applicabilità in contesti a risorse limitate di alcuni test attualmente disponibili per la diagnosi della strongiloidosi, per la quale l’IRCCS di Negrar è centro colloboratore dell’Oms. Lo studio è stato infatti possibile grazie ai quasi 95mila euro donati dai cittadini attraverso la Dichiarazione dei Redditi del 2019. (clicca qui)
E’ stato pubblicato sulla rivista scientifica Lancet Global Health il primo studio finanziato con le donazioni del 5xmille a favore della Ricerca Sanitaria dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria. “The Estrella study” (Evaluation of Strongyloidiasis in Ecuador: a field Laboratory Accuracy study) è stato infatti possibile grazie ai quasi 95mila euro donati dai cittadini attraverso la Dichiarazione dei Redditi del 2019. (clicca qui)
Si tratta di una ricerca effettuata in Ecuador dal Dipartimento di Malattie infettive e tropicali e microbiologia al fine di verificare l’accuratezza e l’applicabilità in contesti a risorse limitate di alcuni test attualmente disponibili per la diagnosi della strongiloidosi, per la quale l’IRCCS di Negrar è centro colloboratore dell’Oms. Si stima che colpisca in tutto il mondo oltre 600 milioni di persone, appartenenti soprattutto a comunità svantaggiate in aree tropicali e subtropicali.
Allo studio hanno collaborato l’Università Centrale di Quito e il CECOMET (Centro de Epidemiologia Comunitaria y Medicina Tropical), un’istituzione privata senza fini di lucro che opera nel Paese sudamericano dal 1996 occupandosi di attività di ricerca e formazione in epidemiologia comunitaria, alla cui fondazione ha contribuito anche la dottoressa Mariella Anselmi, medico dell’Ospedale di Negrar dal 1998 al 2010. Mentre uno dei soci fondatori del CECOMET è stata la Fondazione Don Calabria per le Malattie Tropicali.
Per il “Sacro Cuore Don Calabria” la ricerca “sul campo” il Ecuador è stata condotta dalla dottoressa Francesca Tamarozzi, che nel settembre 2021 ha operato per tre settimane nella zona di San Lorenzo, al confine con la Colombia.
Dottoressa Tamarozzi, da dove nasce l’idea di questo studio?
L’Organizzazione mondiale della sanità si è recentemente impegnata a promuovere il controllo della strongiloidosi nei Paesi endemici, con l’obiettivo di stabilire entro il 2030 efficaci programmi di controllo dell’infezione nei bambini in età scolare, tramite la somministrazione del farmaco ivermectina. Ricordiamo che la strongiloidosi è causata da un geoelminta Strongyloides stercoralis, con cui l’uomo può venire in contatto toccando o camminando a piedi nudi su terreno inquinato da feci umane. L’infezione cronica è asintomatica o si manifesta con disturbi respiratori, gastrointestinali, dermatologici, malnutrizione, anemia ed eosinofilia (aumento di un tipo di globuli bianchi nel sangue ndr). Tuttavia nei pazienti immunodepressi, anche a causa di una terapia con cortisone, può causare una sindrome ad elevato tasso di mortalità. Da qui l’obiettivo dell’OMS. Obiettivo che però richiede strumenti diagnostici appropriati quando invece al momento non esiste un test gold standard per la diagnosi della strongiloidosi e ciò limita la capacità di sorveglianza e di controllo dell’infezione.
I test diagnostici sono proprio il “cuore” del vostro studio…
Lo scopo di questo progetto era infatti quello di fornire informazioni sull’accuratezza diagnostica e l’applicabilità “sul campo” di diversi metodi diagnostici, in quanto l’attenzione dell’OMS si focalizza soprattutto su Paesi in via di sviluppo, dove si concentra la maggior parte dei casi di infezione.
Come si è sviluppato lo studio?
I bambini arruolati sono stati 778. Tutti hanno fornito un campione di feci e una piccola quantità di sangue tramite la puntura di un dito. Una parte del sangue è stata usata immediatamente per l’esecuzione di un test rapido (simile a un test di gravidanza), l’altra è stata raccolta su carta filtro ed essiccata all’aria per l’esecuzione di due test sierologici di laboratorio effettuati dall’Università locale. Entrambi i test sono disponibili in commercio: uno è usato di routine da numerosi laboratori, tra cui quello di Negrar; l’altro solo a scopo di ricerca.
Lo stesso è accaduto per il campione di feci: una parte è stata utilizzata per un test parassitologico (“Baermann modificato”), riguardo al quale ho contribuito all’esecuzione e alla lettura per la prima metà dei campioni, formando gli operatori locali affinché lo applicassero alla seconda metà. L’altra parte del campione fornito dal bambino è stata conservata in alcol e poi sottoposta a un test di biologia molecolare (PCR) eseguito sempre dall’ateneo di Quito.
Quali risultati avete ottenuto?
La combinazione di un esame di laboratorio sul sangue, in particolare del test commerciale, associato a un test fecale è risultata la migliore in termini di capacità di definire la prevalenza di strongiloidosi nella popolazione scolastica considerata, che è risultata di circa il 10% in questa zona. Abbiamo tuttavia riscontrato problemi relativi alla fattibilità di alcuni test nel luogo in cui eravamo: lo smaltimento della plastica per Baermann e test rapido, il tempo molto lungo richiesto per eseguire e leggere il Baermann, la difficoltà a reperire alcuni reagenti per la PCR ed i loro costi a livello locale.
I bambini infetti sono stati trattati?
Sono stati trattati con ivermectina tutti i bambini che sono risultati positivi ad almeno un test, quindi prima di aver stabilito quale fosse il test più affidabile. Abbiamo agito in base al principio di precauzione, anche alla luce del fatto che il farmaco è ben tollerato e non provoca effetti collaterali importanti. I veri programmi di prevenzione non si basano però su questo principio. Testare una comunità non ha come obiettivo quello di sapere chi tra i suoi membri è affetto o meno dalla patologia, ma conoscere se la malattia è presente sopra o sotto una determinata soglia. Risultato che determina l’avvio o meno della terapia per tutti i membri della comunità, anche per quelli ‘sani’. In questo studio la soglia non è stata fissata, perché per farlo l’OMS avrà appunto bisogno di essere in possesso dei dati di sensibilità di ciascun test, o della combinazione di test, che noi abbiamo fornito.
Oggi la strongiloidosi è diffusa soprattutto nei Paesi tropicali e subtropicali, ma un tempo era presente anche in Italia, in particolare nella Pianura Padana, infatti era conosciuta come la malattia delle mondine…
L’infezione cronica autoctona in Italia è ancora presente, ma in soggetti anziani che erano abituati a camminare da bambini a piedi nudi o in giovane età a lavorare su terreno concimato da feci umane. Da quando questa procedura è stata vietata intorno agli anni Settanta per ovvi motivi igienici, le nuove infezioni sono scomparse o ridotte drasticamente, ma persistono quelle croniche in persone in età avanzata. Il problema della strongiloidosi sono le sue manifestazioni che sono totalmente aspecifiche. Il nostro Dipartimento ha condotto una review sistematica della Letteratura scientifica per cercare di capire quali fossero i sintomi più direttamente associati all’infezione, che ha confermato questo scenario: i sintomi associati alla strogiloidosi sono causati anche da molte altre condizioni, il che complica la diagnosti differenziale. Lo stesso aumento degli eosinofili nel sangue, che rappresenta uno sei segni tipici di infezione parassitaria con elminti, non è presente nel 50% dei casi. A questo si aggiunge il fatto che la strongiloidosi è una malattia negletta, poco conosciuta anche da molti clinici, per cui difficilmente il prurito o i dolori addominali in un anziano portano all’inclusione di questa infezione all’interno di una diagnosi differenziale. Questo comporta il rischio che nel caso di immunodepressione, anche dovuta a una terapia cortisonica, l’infezione diventi disseminata (diffusa) e porti ad esiti letali. In Sudamerica questa possibilità è notevolmente più elevata in quanto è diffuso il virus HTLV-1 (Virus Umano Linfotropo delle Cellule T), che è un fattore di rischio dell’aggravamento dell’infezione. Quindi diventa fondamentale stabilire quali sono gli strumenti diagnostici efficaci per consentire il controllo dell’infezione anche nelle aree più disagiate.
Tutto ciò che c'è da sapere sul nuovo corso di Laurea magistrale in Farmacia
Ha preso forma il Corso di Laurea magistrale a ciclo unico in Farmacia. Ora si attendono le date ufficiali della prova obbligatoria di ammissione (TOLC). Dopo una prima presentazione alle possibili matricole, il ciclo di studi sarà illustrato anche durante l’Open Week dell’Università di Verona dall’8 al 17 maggio. A questo link tutte le informazioni relative alle novità rispetto ai corsi di laurea in Farmacia stradizionali e agli bocchi lavorativi di un titolo magistrale che abilita alla professione
Manca ancora l’approvazione formale del ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione dell’Università e della Ricerca) e poi il nuovo Corso di Laurea Magistrale a Ciclo Unico, nato dall’accordo tra l’Università di Verona e l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, avrà tutte le carte in regola per iniziare già dal prossimo anno accademico.
Il Corso è ad accesso programmato (60 posti) e prevede una prova obbligatoria di ammissione (TOLC), le cui date non sono state ancora ufficializzate. E’ possibile trovare le informazioni a questo link.
Inoltre dall’8 al 17 maggio si terrà l’edizione primaverile dell’Open Week dove vengono presentate tutte le offerte formative dell’Ateneo scaligero, tra cui il ciclo di studi quinquennale in Farmacia.
Una prima presentazione alle possiibili future matricole si è svolta tuttavia giovedì 20 aprile, durante la quale sono state illustrate le caratteristiche del nuovo ciclo di studi e i possibili sbocchi professionali.
Al microfono si sono susseguiti non solo i vertici dell’Università e dell’IRCCS di Negrar – rispettivamente il direttore generale, Federico Gallo, e l’amministratore delegato, Mario Piccinini – , ma anche coloro che ogni giorno svolgono la professione del farmacista, tra cui, per il “Sacro Cuore Don Calabria”, Giancarlo Gorgoni, direttore della Radiofarmacia, e Teresa Zuppini, direttore della Farmacia Ospedaliera.
Era presente anche l’Ordine dei Farmacisti di Verona (con il presidente Federico Realdon) il cui apporto è fondamentale per la realizzazione del progetto non solo per gli aspetti didattici, ma soprattutto perché il titolo magistrale abilita alla professione.
A Cristiano Chiamulera, docente di Farmacologia del Dipartimento di Diagnostica e Sanità Pubblica e referente del corso, è spettato il compito di illustrare gli obiettivi dei 5 anni di insegnamento che esordiranno a Verona, nelle strutture Universitarie, nell’ottobre del 2023, mentre a partire dall’anno successivo le lezioni si svolgeranno in una nuova palazzina collocata nell’area della Cittadella della Carità di Negrar, accanto all’ospedale. Palazzina che sarà dotata di aule didattiche e di studio, oltre che di laboratori.
A questo link le slide l’intervento del professor Chiamulera che contengono tutti contenuti del corso: l’innovazione che lo contraddistingue, gli obiettivi e gli sbocchi professionali. Inoltre vengono spiegati i criteri di accesso e di iscrizione.
35 anni fa don Calabria veniva proclamato Beato da papa Giovanni Paolo II
Il 18 aprile 1999, 24 anni fa, don Calabria veniva proclamato santo da papa Giovanni Paolo II. Esattamente 11 anni prima, il 17 aprile 1988, il fondatore dell’Opera era stato beatificato con una solenne celebrazione allo stadio Bentegodi di Verona, sempre da papa Wojtyla che in quei giorni era in viaggio apostolico nella diocesi scaligera.
Proprio quel giorno si svolse anche la storica visita del Pontefice all’ospedale Sacro Cuore di Negrar, dove incontrò gli ammalati, i religiosi, le religiose e gli operatori sanitari per una memorabile visita (vedi le immagini e i dettagli della visita a Negrar)
Nel video qui sotto due religiosi dell’Opera, fratel Mario Bonora (per 24 anni presidente dell’ospedale) e fratel Mario Grigolini, ricordano con emozione quelle giornate e in particolare la celebrazione che si svolse allo stadio gremito in ogni ordine di posti.
Alcune foto della storica visita di Giovanni Paolo II al “Sacro Cuore”
Gli operatori di Oculistica "nei panni di..." ipovedenti e non vedenti
Cinquanta operatori dell’Unità Operativa Complessa di Oculistica per quattro ore si sono messi “nei panni di…” al fine di apprendere le tecniche di accompagnamento e di comunicazione necessarie per approcciarsi nel modo migliore con i pazienti ipovedenti e ciechi. Il corso è stato tenuto da due insegnanti d’eccezione: Fabio Lotti e Marco Andreoli del Progetto Yeah, ramo della cooperativa sociale QUID
Accompagnare una persona con disabilità visiva all’interno di un ospedale non consiste semplicemente “prenderla sottobraccio”, ma mettersi “nei panni di…”, come recita il titolo dell’innovativo percorso di aggiornamento professionale a cui hanno partecipato nelle scorse settimane gli operatori sanitari dell’Unità Operativa Complessa di Oculistica dell’IRCCS di Negrar, diretta dalla dottoressa Grazia Pertile.
Cinque incontri a cui hanno aderito in totale 50 persone, tra infermieri, operatori socio-sanitari ed ortottisti, impegnati per quattro ore in una full immersion nel mondo delle persone non vedenti e ipovedenti. Infatti oltre alla parte teorica, il corso prevedeva anche una dimostrazione pratica con i corsisti che a turno si alternavano nel ruolo dell’accompagnatore e in quello dell’accompagnato, bendato con apposite mascherine.
Anima e docenti del corso sono Fabio Lotti e Marco Andreoli, entrambi disabili visivi, fondatori del Progetto Yeah, della Cooperativa sociale Quid, che si occupa di inclusione a favore di chi è affetto da disabilità di tutti i tipi, offrendo attività di consulenza, progettazione e formazione.
“Supportare in maniera adeguata una persona non vedente o ipovedente durante la sua breve o lunga presenza in ospedale non è così scontato”, afferma la dottoressa Pertile. “Paradossalmente è meno complesso l’approccio con un paziente cieco rispetto a un ipovedente, riguardo al quale è difficile comprendere cosa riesca a fare autonomamente e in cosa invece necessita di aiuto. Ci sono inoltre le persone che prima del ricovero vedevano e che poi, a causa per esempio del distacco della retina dell’unico occhio sano, si trovano improvvisamente a non vedere nulla. Di solito si tratta di una condizione temporanea che comporta comunque la gestione, anche psicologica, di questa grave disabilità”.
In tutti questi casi è importante che l’operatore sia sufficientemente informato e conosca le tecniche di accompagnamento, “ma anche sia dotato di una certa empatia, affinché sia in grado di supportare senza però mettere la persona disabile in una condizione di sentirsi umiliata o avere difficoltà a chiedere aiuto. Il corso simulando la condizione di chi deve affrontare le attività quotidiane senza il supporto della vista è un mezzo efficace per mettersi nei panni dei non vedenti ed è di particolare aiuto per i più giovani e coloro che da poco sono stati assegnati al reparto”, sottolinea il primario.
“L’errore più comune che viene fatto è quello di voler guidare i movimenti di un non vedente con le logiche spazio-temporali di chi vede”, spiega Lotti. Per esempio tenere la persona sottobraccio senza considerare lo spazio attorno, si rischia che al primo ostacolo, come lo stipite di una porta, lo si porti a sbattere. “Esistono invece delle tecniche specifiche universalmente riconosciute che se vengono apprese permettono di mettere a proprio agio i non vedenti o gli ipovedenti. Corsi simili sono già stati effettuati anche nelle Università, nelle scuole e nell’ambito dei trasporti. Il corso che si è svolto all’ospedale di Negrar è stato presentato al congresso nazionale Prisma della riabilitazione visiva che si è tenuto il 17 il 18 marzo a Firenze”.
Nella foto di copertina: da snistra la dottoressa Grazia Pertile,. Fabio Lotti e Marco Andreoli, Stefano Zullo e Roberta Foladori, rispettivamente coordinatore infermieristico del Reparto e del Servizio di Oculistica
Sotto il servizio del tg di Telearena
"Uniti nella ricerca più forti nella cura": come destinare il 5xmille a favore dell'IRCCS Sacro Cuore
Con l’inizio della compilazione della Dichiarazione dei redditi, riprende la nostra campagna “Uniti nella ricerca, più forti nella cura” per la donazione del 5xmille a favore della Ricerca Sanitaria dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di cui sopra riportiamo lo spot promozionale.
Per avere informazioni su come destinare il 5xmille al “Sacro Cuore Don Calabria” è disponibile anche il sito 5xmille.sacrocuore.it che quest’anno ha una nuova veste grafica e si è arricchito di ulteriori contenuti. Qui potete trovare anche i progetti di ricerca che sono stati sviluppati grazie alla raccolta fondi 5xmille del 2019 e del 2020.
Donare il 5xmille è molto semplice. E’ sufficiente porre la firma nel riquadro “Finanziamento della Ricerca Sanitaria” della Dichiarazione dei redditi, specificando il codice fiscale 00280090234 – IRCCS Sacro Cuore Don Calabria
La scelta per il 5xmille non comporta aggravio sulle imposte del contribuente, non rappresenta un’alternativa a quella per l’8xmille ed è un gesto che si concretizza, se indirizzato a un IRCCS come il nostro, nello sviluppo di nuove terapie e di nuovi strumenti diagnostici a vantaggio dei pazienti affetti da varie patologie.
"Buona Pasqua di vero cuore a tutta la Famiglia Calabriana!"
“Il contrario della morte non è la vita, ma è l’amore! Compiamo opere di amore tra di noi e con le anime a noi affidate e vedrete che la luce del Mattino di Pasqua entrerà anche nelle nostre case, nelle vite, nelle comunità”.
E’ in queste parole il cuore del messaggio che il Casante don Massimiliano Parrella rivolge a tutta la Famiglia Calabriana per questa Pasqua 2023, direttamente da quella che un tempo fu la stanza di San Giovanni Calabria. Un pensiero di incoraggiamento e di speranza, riportato nel video qui sotto, che facciamo nostro per augurare una serena Pasqua di Risurrezione a tutti coloro che collaborano con il nostro ospedale, agli ammalati e alle loro famiglie.
Il 20 aprile a Verona la presentazione del nuovo corso di laurea magistrale in Farmacia
SAVE THE DATE: Giovedì 20 aprile dalle 15 alle 17, all’Università di Verona si terrà la presentazione del nuovo corso di laurea magistrale a ciclo unico in Farmacia che partirà il prossimo anno accademico nelle sedi dell’ateneo scaligero per poi spostarsi nell’ottobre del 2024 nella nuova struttura all’interno della Cittadella della Carità di Negrar
Giovedì 20 aprile avrà luogo la presentazione del nuovo corso di laurea magistrale a ciclo unico in Farmacia, nato dalla collaborazione tra Università di Verona e IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria (vedi articolo). Durante l’iniziativa saranno presentati gli aspetti innovativi del corso e gli sbocchi professionali. Tra i relatori anche il dottor Giancarlo Gorgoni e della dottoressa Teresa Zuppini, rispettivamente direttore dell’Officina Radiofarmaceutica e della Farmacia ospedaliera dell’IRCCS di Negrar
L’appuntamento è al Polo Zanotto, Viale dell’Università di Verona, 4. Dalle ore 15 alle ore 17
Guarda l’intervista del prof. Cristiano Chiamulera, referente del Corso: https://www.univr.it/it/iniziative/-/evento/10925
Il vino potrebbe ridurre particolari lipidi nel sangue “nemici” del cuore. A breve i primi studi all’IRCSS Sacro Cuore di Negrar con l’Università di Verona
Le ceramidi, secondo recenti studi, sono “spie” del rischio di malattie cardiovascolari rispetto al colesterolo e il vino potrebbe modificare i livelli di tali molecole, con un effetto protettivo sul cuore. E’ questa una nuova ipotesi a cui si sta lavorando all’IRCCS Sacro Cuore di Negrar (VR) che, in collaborazione con l’Università scaligera, avvierà presto la prima sperimentazione clinica all’interno di un Dottorato di ricerca per verificare il possibile effetto “scudo” del vino contro le ceramidi.
Dietro gli effetti protettivi del vino sul cuore potrebbe celarsi un meccanismo che agisce su particolari lipidi presenti nel sangue, chiamati ceramidi. Proprio in occasione di Vinitaly, manifestazione che si è tenuta a Verona, i ricercatori dell’IRCCS Sacro Cuore di Negrar annunciano che avrà inizio a breve un Dottorato di ricerca, nato dalla collaborazione con l’Università scaligera, con l’obiettivo di dimostrare che l’assunzione lieve–moderata di vino può avere effetti cardiovascolari benefici agendo sulla riduzione delle ceramidi, acidi grassi presenti in quantità elevata nel sangue dei pazienti colpiti più volte da eventi ischemici come l’infarto cardiaco.
Il Dottorato in Medicina Biomolecolare, presieduto da Massimo Donadelli, professore ordinario di Biochimica dell’ateneo veronese, coinvolge per l’IRCCS Sacro Cuore di Negrar il dottor Stefano Bonapace, cardiologo, il dottor Gianluigi Lunardi, farmacologo clinico, e il dottor Antonio Conti, direttore del laboratorio di Chimica Clinica.
Perché le ceramidi sono pericolose
Le ceramidi sono oggetto di ricerca da parte del “Sacro Cuore” e dell’Università di Verona dal 2018 grazie all’utilizzo da parte del Laboratorio di Negrar di metodiche di analisi biochimica molto sofisticate e disponibili in pochi centri al mondo. Gli studi pubblicati dal gruppo sulle prestigiose riviste internazionali Arteriosclerosis, Thrombosis, and Vascular Biology e Metabolism Clinical and Experimental hanno dimostrato che le ceramidi tendono ad aumentare il rischio di malattia coronarica e di recidiva di eventi cardiaci come l’infarto, anche in soggetti trattati farmacologicamente in modo ottimale per la riduzione del colesterolo “cattivo”
I benefici del consumo lieve-moderato di vino rosso
“I benefici del consumo lieve-moderato di vino (12 grammi di alcol al giorno nella donna e 25 grammi nell’uomo, corrispondenti rispettivamente ad uno o due bicchieri da 125 ml) sono stati ampiamenti dimostrati, in particolare l’assunzione di vino rosso è stata correlata a un minor rischio di malattia coronarica”, spiega il dottor Bonapace -. Studi epidemiologici e meta-analisi hanno principalmente attribuito questo risultato alla grande varietà di composti polifenolici presenti nel vino rosso, come ad esempio il resveratrolo che inibisce la formazione di fattori infiammatori che causano malattie cardiovascolari”.
Gli effetti sulle ceramidi che favoriscono il deposito di colesterolo sulle arterie
Tuttavia i meccanismi biologici responsabili dei suoi effetti cardioprotettivi non sono completamente chiariti. “Ad oggi il potenziale effetto benefico del vino consumato in modo lieve moderato sembra essere prevalentemente legato ad un aumento nel sangue del colesterolo ‘buono’ detto HDL e ad una riduzione dell’ossidazione del colesterolo ‘cattivo’ LDL – continua il cardiologo -. Peraltro, non vi sono dati sul possibile effetto del vino sulle ceramidi, che sembrano avere un ruolo di ‘facilitatori’ nel processo di aterogenesi favorendo con vari meccanismi la deposizione del colesterolo “cattivo” LDL nella parete delle arterie causandone così la progressiva ostruzione. Lo studio – conclude Bonapace – mira proprio a cercare di chiarire attraverso un’assunzione controllata in modo sperimentale di una certa quantità di vino, se parte dell’effetto benefico di questa popolare bevanda sul sistema cardiovascolare possa passare anche attraverso la modificazione nel sangue di queste ceramidi che, in prospettiva, potrebbero diventare un nuovo ‘target terapeutico’”.
Radiazioni per il tumore anche contro la fibrillazione atriale: l'innovativo trattamento all'IRCCS di Negrar
Nuova frontiera per la fibrillazione atriale: la radioterapia utilizzata abitualmente per la cura dei tumori, potrebbe essere un’alternativa per il trattamento delle aritmie cardiache. Questa è la cardiologia del futuro, già presente al “Sacro Cuore Don Calabria” che, dopo aver avviato nel 2020 il trattamento radioterapico nella tachicardia ventricolare recidivante, oggi è uno dei primi 5 centri al mondo ad applicare la stessa metodica per la fibrillazione atriale.
Una sola seduta di 10 minuti indolore per correggere il difetto elettrico del cuore dall’esterno, con alte dosi
di radiazioni, senza effetti collaterali né ricovero. È la soluzione che arriva dall’IRCCS di Negrar dove Giulio Molon, Direttore dell’UOC di Cardiologia, e Filippo Alongi, Direttore del Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata e professore ordinario all’Università di Brescia, hanno arruolato e trattato, due mesi fa, i primi due pazienti affetti da recidiva di fibrillazione atriale, utilizzando la radioterapia impiegata tradizionalmente per la cura dei tumori.
Si tratta di un trattamento innovativo, nell’ambito dello studio clinico sperimentale TRAST-AF, che prevede l’arruolamento di 15 pazienti, e che potrebbe nel prossimo futuro essere una alternativa terapeutica all’intervento di ablazione della fibrillazione atriale.
Fibrillazione atriale: causa principale di ictus e scompenso cardiaco
“La fibrillazione atriale colpisce dieci milioni di persone in Europa e 800mila in Italia. Si tratta dell’aritmia cardiaca più diffusa tra la popolazione generale, la cui incidenza è proporzionale all’aumentare dell’età ed è una delle cause principali di ictus e di scompenso cardiaco: si porta via il 25% dell’efficacia di ‘pompa’ del cuore, provocando stanchezza, affanno e mancanza di forze” spiega Molon, Direttore della Cardiologia e coordinatore dello studio TRAST-AF.
Una procedura che non richiede ricovero e sedazione
Attualmente i pazienti con fibrillazione atriale vengono sottoposti a una procedura che prevede l’introduzione di un catetere attraverso l’arteria femorale. La punta del catetere eroga radiofrequenza ed elimina le parti di tessuto responsabili delle aritmie, collocate in un’area delicata in cui le vene polmonari entrano nell’atrio sinistro “Una procedura non chirurgica ma comunque invasiva, lunga e fastidiosa per il paziente che richiede ricovero e sedazione – osserva Molon – La radioterapia invece indirizzando il fascio di radiazioni ionizzanti ad alte dosi contro le cellule responsabili dell’aritmia, ottiene la stessa cicatrizzazione dell’area, interrompendo il corto circuito che causa la fibrillazione, ma non è invasiva, è indolore e il trattamento viene effettuato in una sola seduta della durata massima di 10 minuti. Dopodiché il paziente può tornare tranquillamente a casa” sottolinea il cardiologo.
Monitoraggio con un elettrocardiogramma a distanza
“Nei mesi successivi al trattamento i pazienti hanno effettuato uno stretto monitoraggio con ripetuti elettrocardiogrammi comodamente da casa, oltre alla compilazione di un diario elettronico clinico trasmesso via web. Abbiamo infatti dotato i pazienti di un nuovo dispositivo che consente semplicemente appoggiando due dita su un sensore di ottenere un rapido tracciato del battito cardiaco. Questo esame viene trasmetto istantaneamente al cardiologo che può verificare in qualsiasi momento il buon funzionamento del cuore. L’obiettivo è quello di assistere il paziente in maniera continuativa anche al domicilio, cercando di limitare gli accessi in struttura. – riferisce Niccolò Giaj Levra, specialista in Radioterapia Oncologica e referente per i trattamenti cardiologici presso il Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata. “Attualmente i due pazienti su cui siamo intervenuti non hanno riportato effetti collaterali significativi. Questi iniziali risultati ci spingono a proseguire nella sperimentazione con l’arruolamento di altri pazienti, per definire meglio l’efficacia del trattamento radioterapico ablativo sul cuore, e i benefici in termini di qualità di vita sui pazienti oltre all’implementazione della telemedicina”.
La radioterapia: dall’ambito oncologico a quallo cardiaco
“Il Dipartimento di radioterapia oncologia avanzata dell’IRCCS Negrar vanta una dotazione tecnologica tra le più avanzate a livello internazionale – afferma Filippo Alongi, Direttore del Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata e professore ordinario all’Università di Brescia – Il livello di precisione del trattamento garantito da acceleratori lineari, ci consente di irradiare non solo tumori primitivi o metastatici, senza danneggiare i tessuti circostanti, ma anche altri tessuti anomali, come quelli che scatenano le fibrillazioni atriali e ventricolari, salvaguardando il più possibile gli organi limitrofi. Le cellule colpite – prosegue l’esperto – subiscono un danneggiamento tale da indurre l’interruzione dell’aritmia cardiaca”.
Nella foto di copertina:
da sinistra il professor Filippo Alongi, il dottor Giulio Molon e il dottor Niccolò Giaj Levra
Giornata Mondiale dell'Endometriosi: l'IRCCS di Negrar posa la sua panchina gialla
In occasione della Giornata mondiale dell’endometriosi, che si celebra il 28 marzo, questa mattina l’IRCCS di Negrar ha collocato nei giardini della struttura una panchina gialla, colore simbolo universale della malattia che esprime la necessità di tenere “accesi i riflettori” su una patologia spesso sottovalutata che tuttavia colpisce solo in Italia 3 milioni di donne. Il “Sacro Cuore Don Calabria” è Centro di riferimento regionale per la cura dell’endometriosi. Nel 2022 la Ginecologia, diretta dal dottor Marcello Ceccaroni, ha effettuato 1.200 interventi, il 70% dei quali su pazienti provenienti da fuori regione
In occasione della Giornata mondiale dell’endometriosi, che si celebra il 28 marzo, questa mattina l’IRCCS di Negrar ha collocato nei giardini della struttura una panchina gialla, colore simbolo universale della malattia che esprime la necessità di tenere “accesi i riflettori” su una patologia spesso sottovalutata che tuttavia colpisce solo in Italia 3 milioni di donne. Ragazze la cui qualità di vita è pesantemente condizionata da una malattia causata dalla presenza dell’endometrio (il tessuto che riveste la cavità uterina e si sfalda durante le mestruazioni) fuori dalla sede naturale: intestino, apparato urologico, nervi pelvici… Condizione che comporta dolori invalidanti e che, se tardivamente diagnosticata, può essere causa di infertilità.
Negrar, Centro di riferimento regionale per la cura dell’endometriosi: nel 2022, 1.200 interventi, il 70% su pazienti provenienti da fuori regione
Il “Sacro Cuore Don Calabria” dal 2019 è Centro di riferimento regionale per cura della malattia, ma lo sviluppo di tecniche chirurgiche laparoscopiche all’avanguardia e il numero dei casi complessi trattati ogni anno pongono l’Unità Operativa Complessa di Ginecologia, diretta dal dottor Marcello Ceccaroni, tra i centri di livello internazionale. Nel 2022 gli interventi chirurgici sono stati 1.200, il 70% dei quali su pazienti provenienti da fuori regione. Ma sono circa 15mila le donne che complessivamente ogni anno si rivolgono a Negrar a causa dell’endometriosi.
Alla breve cerimonia erano presenti il Presidente dell’Ospedale, fratel Gedovar Nazzari, l’Amministratore Delegato, Mario Piccinini, e il direttore dell’UOC di Ginecologia e Ostetricia, dottor Marcello Ceccaroni. Alla fine il vicepresidente, padre Miguel Tofful, ha impartito la benedizione.
La targa con la frase di Seneca, collocata sulla panchina: “Lieve è il dolore che parla. Il grande dolore è muto”
La panchina, che si trova nei giardini tra Casa Nogarè e l’Ospedale Don Calabria, riporta un QrCode con un’intervista al dottor Ceccaroni e una targa sulla quale è scritta una delle frasi più note del filosofo romano Seneca: “Lieve è il dolore che parla. Il grande dolore è muto”. E’ stata scelta per sottolineare quanto ancora troppo spesso chi soffre di endometriosi debba attendere anni (in media una decina) per una diagnosi. Anni durante i quali le pazienti non sono credute e il cui dolore fisico viene spesso attribuito a cause psicosomatiche. Come ha testimoniato la veronese Cecilia Santoro, 45 anni, presente al ‘taglio del nastro’, che solo dopo ben 14 anni di sofferenza ha potuto dare un nome alla sua malattia. Cecilia da alcuni anni è paziente del Centro del dottor Ceccaroni: grazie alle cure ha raggiunto una buona qualità di vita.
Dottor Piccinini : “Uno dei primi Centri al mondo ad occuparsi di endometriosi”
“Il Sacro Cuore Don Calabria è stato uno dei primi centri al mondo ad occuparsi di endometriosi, quando ancora il mondo della ginecologia ignorava questa mattina – ha detto il dottor Piccinini – Un primato che dobbiamo a un pioniere della chirurgia laparoscopica ginecologica, il dottor Luca Minelli, direttore della Ginecologia dal 1996 al 2014, precocemente scomparso nel 2020. Il dottor Ceccaroni ne ha raccolto il testimone, sviluppando un Centro multidisciplinare, coordinato dalla Ginecologia a cui concorrono varie specialità tra cui la chirurgia generale e l’urologia, la radiologia, l’anatomia patologica, la riabilitazione e altre. Dal 2019 è Centro di riferimento regionale per la cura dell’endometriosi ed è conosciuto e apprezzato a livello mondiale, anche grazie all’attività della Scuola internazionale di anatomia chirurgica (ISSA) fondata dal dottor Ceccaroni con sede in questo ospedale. La presa in carico multidisciplinare e trattamenti chirurgici con tecniche innovative non sono i soli fiori all’occhiello del reparto di Ginecologia. Le molte testimonianze di pazienti che provengono da ogni parte d’Italia (e dall’estero) riportano una realtà fatta di competenza e professionalità, ma anche di tanta attenzione ed empatia per la loro condizione. Da parte di tutto il personale: medici, infermieri, operatori sanitari e amministrativi. E questo è un grande motivo di orgoglio”.
Dottor Ceccaroni: “Il vero nemico è la diagnosi tardiva”.
“Paradossalmente, la diagnosi tardiva è il nemico principale, più della stessa malattia, delle donne affette da endometriosi”, afferma il dottor Marcello Ceccaroni, direttore dell’UOC di Ginecologia e Ostetricia. “Si stima che dal momento in cui sorgono i primi sintomi alla diagnosi passano dai 7 ai 12 anni, durante i quali la malattia avanza, tra enormi sofferenze, potendo arrivare anche a coinvolgere in modo severo intestino, apparato urinario, nervi pelvici. L’endometriosi – sottolinea – è un “incendio” che scoppia nell’addome della donna tutti i mesi per 14 volte all’anno. Un ritardo diagnostico di 10 anni è causa di circa 140 “incendi”, che si traducono in dolori lancinanti, assenze scolastiche e lavorative, compromissione della fertilità, depressione, rinuncia ad una normale adolescenza e vita di coppia. E soprattutto si traducono in conseguenze sulla salute, con la necessità spesso di effettuare interventi chirurgici anche aggressivi, e per molte sulla capacità procreativa”.
“Care ragazze, ribellatevi quando vi dicono che è normale avere il ciclo mestruale doloroso”
E’ necessario quindi tenere accesi i riflettori sulla malattia, soprattutto dal punto di vista culturale. “Il medico di medicina generale così come il pediatra di libera scelta sono i primi che possono vedere nei sintomi riferiti dalle loro giovani pazienti qualcosa di anomalo e indirizzarle in un centro specializzato. Lo stesso vale per il ginecologo ambulatoriale”, sottolinea il primario. Recentemente il dottor Ceccaroni e il suo team sono stati convolti anche nel Progetto endometriosi, promosso da Agenas e dal ministero della Salute che ha come obiettivi la formazione proprio di queste figure mediche fondamentali per la diagnosi precoce e l’informazione nelle scuole. “Le ragazze non devono rassegnarsi al dolore mestruale, soprattutto se si ripete tutti i mesi – ribadisce il dottor Ceccaroni -. Provocatoriamente dico sempre alle giovani che incontro: ribellatevi se le vostre nonne e le vostre mamme vi dicono che quel dolore è normale, perché non vi è nulla di normale. Rivolgetevi al medico, e se anche questo vi dice che è tutto a posto, ma voi continuate a stare male, non arrendetevi”.
Cecilia Santoro: “La mia via crucis lunga quattordici anni per avere una diagnosi”
Un invito che è stato ribadito anche da Cecilia Santoro, veronese di 45 anni. Soffre di endometriosi da quando ne aveva 15, ma solo a 29 ha incontrato dei medici che hanno dato un nome alla sua malattia. “Io ho avuto la fortuna di avere accanto una famiglia e un fidanzato, oggi mio marito, che mi hanno sempre creduto e sostenuto – racconta – Ma non è stato facile da adolescente vivere condizionata totalmente dall’endometriosi e non essere capita. Quando mi assalivano i dolori andavo a scuola imbottita di farmaci; non facevo sport; rinunciavo a vacanze o a uscite con gli amici se cadevano nei giorni del ciclo. Ma la cosa peggiore era che non venivo presa sul serio dai medici. Mi dicevano che stare male con le mestruazioni era normale, che avevo una soglia del dolore bassa… Qualcuno mi ha persino detto che il mio dolore era psicosomatico, sintomo di altri problemi”. Dopo 14 anni di via crucis tra un medico e l’altro è arrivata la diagnosi. “In un primo tempo sono stata curata con i farmaci, ma poi ho subito un intervento d’urgenza per substenosi intestinale, causata dall’infiltrazione dell’endometriosi nell’intestino”, prosegue Cecilia referente Ape, Associazione Progetto Endometriosi. “Dopo due anni il secondo intervento sempre all’intestino. Tuttavia i dolori continuavano insieme a difficoltà intestinali. Finché non ho conosciuto il dottor Ceccaroni e la sua équipe, da cui sono seguita con competenza ed enorme umanità. Posso dire che oggi ho raggiunto una buona qualità di vita”.