Il sole: l'alleato speciale della pelle colpita da dermatite atopica

Dermatite atopica o eczema atopico. Si tratta di una patologia dermatologica molto diffusa che ha origine già dalla prima infanzia. Per le persone che ne soffrono, l’estate è la stagione in cui possono trarre maggiore giovamento, come spiega la dottoressa Federica Tomelleri, responsabile del Servizio di Dermatologia dell’IRCCS di Negrar

Il sintomo principale è il prurito, che si accompagna o anticipa lesioni della pelle di differente gravità. E’ la dermatite atopica, conosciuta anche come eczema atopico, una patologia dermatologica molto diffusa: si stima infatti che il 20% dei neonati ne sia affetto.

Dr.ssa Federica Tomelleri

La cute del soggetto atopico è caratterizzata da una infiammazione dovuta ad una iper reattività dell’organo- pelle legata ad un difetto immunologico che spesso è ereditato da uno dei due genitori o da entrambi. Lo stesso meccanismo genetico alterato è all’origine di altre patologie come la rinocongiuntivite allergica e l’asma bronchiale allergico. Di solito la dermatite compare in età neonatale e con andamento cronico recidivo tipico ricade stagionalmente in particolare in primavera ed autunno.

Ma ora è arrivata l’estate, stagione amica per molte malattie della pelle. Lo è anche per la dermatite atopica? Come comportarsi?

“Sicuramente il sole è un alleato della pelle atopica, naturalmente con la giusta protezione. La pelle di chi soffre di questa patologia è come se avesse delle barriere protettive difettose che lasciano passare sostanze, altrimenti lasciate all’esterno, che scatenano una reazione ‘abnorme’ del sistema immunitario. Per questo è importante proteggersi anche da fattori ambientali”, risponde la dottoressa Federica Tomelleri, responsabile del Servizio di dermatologia dell’IRCCS ospedale Sacro Cuore Don Calabria.

Il sintomo principale è il prurito

Esattamente. Esso che può manifestarsi anche prima delle lesioni cutanee le quali vanno da un lieve eritema alla lichenificazione (chiazze di pelle ispessita, indurita e pruriginosa) fino all’eritroderma, una grave infiammazione che interessa vaste aree del corpo.

Dove si localizza?

La localizzazione della dermatite varia con l’età. In età pediatrica le sedi più frequentemente colpite dall’eczema sono il volto, il cuoio capelluto, l’attaccatura del padiglione auricolare, le pieghe cubitali e i cavi poplitei. In età giovanile e adulta solitamente le zone del corpo maggiormente interessate diventano le palpebre, il decolletè collo, le pieghe cubitali, ma anche le mani e gli avambracci

I fattori ambientali possono scatenare una recidiva o un peggioramento della condizione del paziente?

Sicuramente. L’eccessiva igiene, con frequenti bagni o lavaggi, i saponi aggressivi, l’abbondante sudorazione, e il contatto con tessuti ruvidi o con la lana possono scatenare e/o peggiorare i sintomi. Anche il cambiamento di stagione e lo stress sono da includere tra i fattori negativi. Una delle cause principali della infiammazione e della cronicizzazione della dermatite atopica è la colonizzazione cutanea del batterio stafilococco aureo. La facilità di penetrazione di tutto ciò che arriva sulla pelle e la conseguente reazione infiammatoria immunitaria può modificare il sistema dei microrganismi che vivono sulla nostra pelle a favore di specie batteriche “cattive”, come lo stafilococco, che richiedono la somministrazione anche per bocca di antibiotici.

Come abbiamo detto, il sole è amico della pelle atopica. Ci sono dei solari particolari da adottare?

I filtri solari da privilegiare nei bambini sono quelli minerali a base di ossido di zinco e di titanio, ovviamente con la massima protezione 50 +. Talvolta l’esposizione al sole, la immersione in acqua salina o anche in quella della piscina (per la presenza di cloro e altre sostanze) possono procurare una maggiore irritazione temporanea, è consigliabile iniziare la vacanza estiva con la minor manifestazione possibile di dermatite.

La dermatite atopica si può curare e come?

Il primo approccio terapeutico alla malattia atopica cutanea solitamente viene effettuato dal medico pediatra. Quando la forma si manifesta in maniera un po’ persistente ed aggressiva entra in campo la dermatologia, che, a seconda della fascia di età e della gravità della malattia del paziente, consente di trovare la cura più opportuna. Il prurito, che è il sintomo principale, deve assolutamente essere migliorato. Le terapie locali spesso hanno un’ottima efficacia e vanno dagli emollienti lenitivi combinati a detergenti dedicati, alle terapie antibiotico cortisoniche in crema miscelate e gli immunomodulatori topici fino alle terapie antistaminiche per via generale. Queste ultime sicuramente da scegliere dopo i due anni di vita.
Tra i farmaci più recenti scaturiti dalla ricerca, l’anticorpo monoclonale, il dupilumab, somministrabile con iniezioni sottocutanee ogni due settimane ha dimostrato avere una grande efficacia già dopo il primo mese di utilizzo nel migliorare la dermatite atopica anche a lungo termine. Trovano sempre il loro collocamento terapeutico farmaci “storici” come il cortisone per via generale e la ciclosporina.


Partecipanti da tutto il mondo per la prima Summer School di Radioterapia adattativa

L’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria ha ospitato la prima edizione della Summer School di Radioterapia adattativa Partecipanti da tutto il mondo e prestigiosi relatori internazionali

Il prof. Alongi con la sua équipe

Nei giorni scorsi l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria ha ospitato la prima edizione della Summer School di Radioterapia clinica adattativa, promossa dal Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata, diretto dal professor Filippo Alongi.

Al corso hanno partecipato una trentina tra radioterapisti oncologi e fisici sanitari provenienti da diversi Paesi del mondo.

I partecipanti al corso in Piazza Bra a Verona

 

 

Prestigioso il panel dei relatori internazionali, tra i quali il presidente eletto ESTRO, la Società europea di Radioterapia e Oncologia, Matthias Guckenberger dall’Università di Zurigo, e il past-president ASTRO (American Society for Radiation Oncology), Laura Dawson dal Princess Margaret Hospital di Toronto. I partecipanti hanno ascoltato le letture magistrali degli esperti e hanno potuto seguire i trattamenti in tempo reale sui pazienti, con l’utilizzo degli acceleratori lineari Ethos e Unity.

L’acceleratore lineare Ethos integrato dotato di un sistema di intelligenza artificiale

L’acceleratore lineare Unity integrato con RM ad alto campo


Cosa fare in caso di morso di zecca: in un video i consigli degli esperti

Rimuovere la zecca senza schiacciarla, compilare le note relative al tempo e al luogo in cui è avvenuto il morso, chiedere al medico l’impegnativa per un esame parassitologico specifico e infine osservare eventuali sintomi nelle 6 settimane successive. Sono queste le fasi da seguire quando si scopre di essere stati morsi da una zecca, così come illustrato dagli esperti del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali nel video qui sotto. Ecco dunque alcuni utili consigli accompagnati da un’accattivante infografica…


Intelligenza artificiale e metaverso: le nuove tecnologie per migliorare le cure del paziente con tumore al retto

Venerdì 23 giugno alla Biblioteca Capitolare di Verona si è tenuto il congresso internazionale sulla chirurgia del retto, organizzato dalla Chirurgia Generale, diretta dal dottor Giacomo Ruffo. A confronto i maggiori chirurghi europei ed italiani sulle nuove frontiere tecnologiche applicate alla chirurgia: intelligenza artificiale, realtà aumentata e metaverso

Si chiama radiomica, ed è il termine che indica l’impiego anche dell’intelligenza artificiale per elaborare la quantità enorme di dati prodotti dalle tecnologie di diagnostica (Tac e Risonanza Magnetica) che vanno oltre alle classiche immagini, al fine di ricavare “informazioni quantitative” in grado di predire se un tumore possa rispondere o meno a una determinata terapia. Per il paziente significa accedere da subito al trattamento più indicato, chirurgia, chemioterapia o radioterapia.

Dr. Giacomo Ruffo

Si tratta di una vera e propria rivoluzione in campo diagnostico, di cui si è parlato nel corso del congresso   internazionale di chirurgia oncologica del retto che si è tenuto venerdì 23 giugno alla Biblioteca Capitolare di Verona, organizzato dalla Chirurgia Generale dell’IRCCS di Negrar, diretta dal dottor Giacomo Ruffo. Sulla radiomica sono già in corso esperienze anche in Italia e la disciplina applicata alla chirurgia sarà oggetto di un Dottorato di ricerca nato dalla collaborazione tra l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria e l’Università di Verona.

Il simposio – il quinto dal 2016 e il primo dopo lo stop dovuto alla pandemia – ha visto i maggiori chirurghi del retto italiani ed europei a confronto sulle nuove frontiere tecnologiche applicate alla chirurgia, come, appunto, l’intelligenza artificiale, la realtà aumentata e virtuale, il metaverso.

Prof. Sergio Alfieri

Prof. Massimo Carlini

Tra i relatori il professor Sergio Alfieri che da poco ha operato Papa Francesco e il cui centro detiene la più alta casistica italiana di interventi al colon-retto; i rappresentanti delle più importanti scuole europee di chirurgia laparoscopica colo-rettale (il professor Didier Mutter da Strasburgo) e di trattamento dei tumori del retto con tecnica trans-anale (il professor Jurriaan Tuynman da Amsterdam);  i presidenti della Società Italiana di Chirurgia (SIC) e della Associazione Chirurghi Ospedalieri (ACOI), rispettivamente il professor Massimo Carlini e il dottor Marco Scatizzi.

Il tumore del retto, che colpisce l’ultimo tratto dell’apparato digerente e gastrointestinale, è una delle neoplasie più diffuse in Occidente. In Italia nel 2022 si sono registrare circa 14mila nuove diagnosi e la percentuale di sopravvivenza dopo 5 anni è di oltre il 60%. Un dato, quest’ultimo, raggiunto grazie all’estensione dei programmi di screening, all’evolversi delle tecniche chirurgiche, unitamente all’aumento delle conoscenze sulle caratteristiche molecolari e genetiche dei tumori e all’applicazione di nuove terapie mediche e radioterapiche.

“Da sempre il mondo della chirurgia del retto è un campo di innovazione tecnologica per merito della quale oggi possiamo parlare di “tailored surgery”, di “chirurgia su misura” – spiega il dottor Ruffo -. Disponiamo cioè di metodiche chirurgiche differenti adatte per ogni stadio e localizzazione di malattia.  Dall’asportazione trans-rettale dei tumori allo stadio più precoce alla rimozione del retto e dei linfonodi circostanti, tramite laparoscopia e robotica, nel caso di malattia più estesa e a rischio di recidiva. Anche per le neoplasie localmente più avanzate, la chirurgia trova comunque indicazione come cura, e non solo con finalità palliativa”.

Oggi la chirurgia si trova di fronte alle nuove sfide dell’ultima frontiera tecnologica, in primis l’intelligenza artificiale, ma non solo.  “Il chirurgo alla tecnologia ha sempre chiesto di fornirgli strumenti per aumentare ulteriormente l’efficacia del suo operato. – precisa Ruffo –  L’evoluzione tecnologica attuale rappresenta un’enorme opportunità, non solo nell’ambito diagnostico con la radiomica e la genomica, ma anche a supporto dell’analisi sui rischi e benefici di un intervento o di una determinata procedura chirurgica. Molto spesso ci troviamo di fronte a pazienti con anatomie molto complesse: i modelli 3D ci aiutano a ricostruire esattamente, prima di entrare in sala operatoria, l’anatomia del paziente e il rapporto della lesione tumorale con gli organi circostanti a vantaggio di una maggior precisione e radicalità dell’intervento. Il metaverso, dove mondo reale e virtuale si incontrano, si prospetta come l’ambiente ideale dove i chirurghi possono applicare nuove procedure prima di applicarle sul paziente oppure dove due chirurghi a distanza possono condurre un intervento come se fossero nella stessa stanza”.

Naturalmente la tecnologia, seppur sempre più sofisticata, resta a servizio del chirurgo al quale non può mai sostituirsi. “E’ in atto un fermento di studi scientifici per testare su ampia scala l’efficacia, il valore aggiunto rispetto alle precedenti pratiche, i lati critici e la sostenibilità economica di queste nuove tecnologie – conclude il primario -. Tuttavia in sala operatoria l’attore principale resta sempre il chirurgo con il suo know how, chirurgo al quale spetta sempre l’interpretazione delle informazioni ricevute dai vari supporti tecnologici”.


Festa del Sacro Cuore: taglio del nastro per la Risonanza Magnetica ad alto campo e la nuova Pet-Tc

In occasione della ricorrenza liturgica del Sacro Cuore, festa patronale dell’IRCCS di Negrar, sono state inaugurate due nuove macchine biomedicali: una Risonanza Magnetica ad alto campo (3Tesla) e una nuova Pet-Tc. Due macchine, dotate anche di intelligenza artificiale, che rilevano i più piccoli dettagli anatomici e funzionali, effettuando esami diagnostici più veloci e garantendo maggior confort per i pazienti. Le nuove dotazioni tecnologiche aumentano ulteriormente la qualità dell’attività diagnostica del “Sacro Cuore Don Calabria” a vantaggio della cura del paziente, soprattutto, ma non solo, nel campo oncologico.

Taglio del nastro per due nuove apparecchiature biomedicali questa mattina all’IRCCS di Negrar in occasione della ricorrenza liturgica del Sacro Cuore, festa patronale dell’Ospedale. Si tratta di una Risonanza Magnetica (RM) con elevato campo magnetico (3Tesla), collocata presso il Servizio di Diagnostica per Immagini, diretto dal dottor Giovanni Foti, e della nuova PET della Medicina Nucleare, diretta dal dottor Matteo Salgarello. Sono due nuove acquisizioni tecnologiche di ultima generazione, che vanno ad aumentare ulteriormente la qualità dell’attività diagnostica del “Sacro Cuore Don Calabria” a vantaggio della cura del paziente, soprattutto, ma non solo, nel campo oncologico.

Mons. Roberto Campostrini

La mattinata si è aperta con la Messa presieduta da mons. Roberto Campostrini, vicario generale della Diocesi di Verona. Erano presenti il presidente dell’IRCCS, fratel Gedovar Nazzari (leggi il suo intervento), l’amministratore delegato, Mario Piccinini, il direttore sanitario, dottor Fabrizio Nicolis, il direttore amministrativo Claudio Cracco, e tra gli ospiti il direttore generale dell’Università di Verona, Federico Gallo, il direttore generale dell’Ulss 9, Pietro Girardi, e il sindaco di Negrar, Roberto Grison.

Con le nuove apparecchiature, salgono così a cinque le Risonanze Magnetiche (quattro con campo magnetico di 1,5 Tesla: due in Diagnostica per immagini e altrettante in Radioterapia) in dotazione all’Ospedale di Negrar. Le PET sono due, con la nuova che si aggiunge a quella installata nel 2015.

La RM 3Tesla viene utilizzata per indagini su gran parte dei distretti anatomici: encefalo, addome superiore (fegato e pancreas) e inferiore (prostata e apparato ginecologico), ambito muscolo-scheletrico. Inoltre è particolarmente adatta per le angio-risonanze che comprendono encefalo, collo, torace, addome e arti inferiori. Gli esami PET sono indicati per le patologie oncologiche, neurologiche (decadimento cognitivo e malattia di Alzheimer) e ortopediche per quanto riguarda le infezioni. La finalità degli esami PET non è solo diagnostica, ma anche di follow up per verificare l’efficacia della terapia.

Dr. Mario Piccinini

“L’acquisizione di tecnologie di ultima generazione ha un unico fine che è lo stesso del nostro fondatore: mantenere l’ospedale sempre all’altezza dei tempi”, ha detto l’Amministratore Delegato, Mario Piccinini. “Utilizzare macchinari per la diagnostica all’avanguardia, significa poter offrire le migliori cure al paziente. Naturalmente anche le tecnologie più innovative non potrebbero fare molto senza un personale preparato professionalmente e anche umanamente, come quello del “Sacro Cuore Don Calabria”.

 

Macchine complementari

 

Da sinistra il dottor Alberto Beltramello, neuroradiologo, e il dottor Eugenio Oliboni, vicedirettore della Diagnostica per immagini

Entrambe le macchine sono state realizzate della multinazionale United Imaging (con sede di sviluppo a Houston) e pur utilizzando metodiche di immagini differenti, sono complementari: la Risonanza Magnetica fornisce informazioni dettagliate su anomalie morfologiche di organi e tessuti grazie a un campo magnetico; la PET (con TAC integrata) rileva le alterazioni funzionali degli stessi, attraverso la somministrazione al paziente di radiofarmaci. Molti protocolli – per esempio per la Malattia di Alzheimer o per il tumore alla prostata – prevedono l’esecuzione di entrambi gli esami per il completamento della diagnosi.

 

Rilevano i più piccoli dettagli morfologici e funzionali
Dr. Matteo Salgarello, direttore della Medicina Nucleare, davanti alla nuova PET

Si tratta di esami possibili anche con Risonanze Magnetiche a più basso campo (1 e 1,5 Tesla,) e da PET analogiche e  non digitali come quella appena acquistata dal “Sacro Cuore Don Calabria”, ma l’upgrade tecnologico di entrambi i macchinari consente diagnosi più dettagliate, grazie a una maggiore risoluzione spaziale che rileva anche i più piccoli dettagli morfologici e funzionali, e riduce in modo rilevante i tempi degli esami aumentando il comfort per il paziente.

Comfort per il paziente ed esami più veloci

Comfort, che nel caso della RM è dato anche dalla maggiore ampiezza del tubo di scansione dove si posiziona il paziente, il cui diametro è di 75 cm, il più ampio a disposizione tra le macchine in commercio. Questo permette anche a coloro che soffrono di claustrofobia di affrontare e portare a termine l’esame e ai pazienti in generale di restare immobili per tutta la durata, riducendo così il rischio di artefatti (immagini non corrispondenti alla realtà anatomica) dovuti al movimento.

Mentre per quanto riguarda la PET la tecnologia digitale, rispetto a quella analogica, oltre a rilevare anche i più piccoli dettagli, garantisce maggiore sensibilità: si passa dai 15 minuti dell’esame standard agli 8 grazie alla nuova macchina e con una somministrazione inferiore di radiofarmaco. Anche in questo caso a vantaggio di un maggior comfort per il paziente (non deve restare a lungo nell’apparecchio senza muoversi) che viene inoltre sottoposto a una minore dose di radiazioni.

Entrambe le macchine sono dotate di programmi di intelligenza artificiale 

Sia la PET che la RM sono dotate di programmi integrati di intelligenza artificiale (AI). Per quanto riguarda la PET sono già applicati e hanno l’obiettivo di dimezzare ulteriormente la tempistica degli esami: è possibile effettuare un esame whole-body (su tutto il corpo) in soli 4 minuti, la metà rispetto i tempi consentiti dalla sola tecnologia digitale.

Anche la RM è dotata di programmi di AI, per ora utilizzati solo a scopo di ricerca perché non ancora provvisti di marchio CE. Pure in questo caso agiscono sulla durata dell’esame, da sempre poco tollerato dai pazienti per la lunghezza. Una RM all’addome secondo il protocollo standard richiede dai 20 ai 25 minuti, con il supporto dell’intelligenza artificiale, quando sarà possibile applicarla, si scende a 10-15 minuti. La riduzione dei tempi di esame da una parte va a vantaggio di una diagnosi più completa, perché vi sono i margini per effettuare sequenze di scansioni particolari senza procurare troppo disagio al paziente; dall’altra riduce il rischio che il paziente si muova all’interno del tunnel. La velocità di scansione della RM 3Tesla, potenziata dai programmi di intelligenza artificiale, potrebbe rendere fattibili esami in grado di identificare con dettaglio anatomico le strutture in movimento, in particolare i tendini dell’apparato osteoarticolare o l’intestino. Un’ipotesi di applicazione della RM su cui stanno lavorando i medici e i tecnici del Servizio di Diagnostica per immagini in collaborazione con la casa produttrice United Imaging.

L’attività della Diagnostica per immagini e della Medicina Nucleare

 

 

 

 

 

 

La Diagnostica per immagini nel 2022 ha effettuato 127.198 prestazioni di carattere radiologico, di cui 20.233 risonanze magnetiche. Con la nuova RM 3Tesla, da gennaio, vengono eseguiti circa 25 esami al giorno.

Lo    scorso anno al Servizio di Medicina Nucleare hanno avuto accesso 5.949 pazienti. Gli esami PET, con la presenza di due Tomografi, sono stati circa 6mila, con oltre il 29% di pazienti provenienti da fuori regione. Il 70% delle diagnosi sono oncologiche grazie alla disponibilità di una vasta gamma di radiofarmaci, alcuni dei quali prodotti direttamente dall’Officina Radiofarmaceutica dell’Ospedale.

Da sinistra Fr. Gedovar Nazzari (presidente), dr. Salgarello, Mario Piccinini (amministratore delegato), Claudio Cracco (direttore amministrativo)


Trattamento chirurgico dell'obesità: all’IRCCS di Negrar i primi interventi con il robot Da Vinci Xi

Ad utilizzarlo sono ancora pochi centri in Italia; minori complicanze operatorie, una ripresa più rapida dopo l’intervento e tempi di degenza più brevi sono i vantaggi del sistema robotico che l’Ospedale di Negrar impiega già dal 2015 per la chirurgia urologica, generale e ginecologica

Minori complicanze operatorie, una ripresa più rapida dopo l’intervento e tempi di degenza più brevi. Sono questi i vantaggi dell’impiego del robot chirurgico Da Vinci Xi nella chirurgia bariatrica, rispetto alla laparoscopia, la metodica maggiormente diffusa nel trattamento dell’obesità.

Sono infatti ancora pochi i centri in Italia ad utilizzare la robotica in ambito bariatrico: tra questi l’Irccs Sacro Cuore Don Calabria, che nelle scorse settimane ha effettuato i primi cinque interventi, “inaugurando” l’utilizzo del robot chirurgico Da Vinci Xi, in dotazione all’ospedale dal 2015, oltre l’ambito urologico, ginecologico e di chirurgia generale, dove è ampiamente utilizzato.

“Abbiamo eseguito un bypass gastrico e quattro mini bypass”, spiega il dottor Roberto Rossini, della Chirurgia generale, diretta dal dottor Giacomo Ruffo. “Entrambe le metodiche hanno lo stesso obiettivo: la perdita di circa il 70-75% del peso corporeo in eccesso, attraverso la riduzione dello stomaco in modo che il paziente raggiunga la sensazione di sazietà con l’introduzione di minor quantità di cibo, e l’isolamento di un ampio tratto di intestino – circa dai 150 ai 250 cm circa – al fine di limitare l’assorbimento delle proprietà nutritive. Il risultato viene ottenuto nel caso del bypass con due suture (la prima collega la tasca gastrica all’intestino tenue, mentre l’altra connette l’ansa intestinale a un’altra sezione dell’intestino); il mini bypass, invece, comporta una sola sutura per unire la porzione di stomaco rimasta e l’intestino”.

L’impiego del robot chirurgico in entrambe le metodiche rappresenta un valore aggiunto, perché permette di superare i limiti della tecnica laparoscopica. “L’utilizzo del robot consente di effettuare gli stessi movimenti della chirurgia open, anzi di andare oltre, perché i bracci robotici hanno la capacità di muoversi all’interno dell’addome del paziente a 360°, cosa che non può fare la mano dell’uomo”, sottolinea il chirurgo. “Inoltre la qualità delle anastomosi che devono essere effettuate dipende dalla prestazione della suturatrice automatica in laparoscopia, mentre con il robot a fare la differenza è la manualità del chirurgo. Questo si traduce in una riduzione delle complicanze post operatorie, come fistole e sanguinamenti, e quindi in una più rapida ripresa e in meno giorni di degenza”.

Dal 2015 la Chirurgia bariatrica del Sacro Cuore Don Calabria (centro accreditato SICOB- Società Italiana di Chirurgia dell’obesità e delle malattie metaboliche) ha trattato più di 400 pazienti, tra questi il 20% proviene da fuori regione e una percentuale non irrilevante (il 10%) riguarda i cosiddetti Re-Do Surgery, cioè pazienti, giunti da altri ospedali, che si sono rivolti a Negrar per un secondo intervento, a causa di complicazioni dovute alla prima procedura chirurgica o per fallimento nella perdita di peso. La maggior parte dei pazienti in generale sono donne con un’età media di 39 anni e un indice di massa corporea (divisione del peso in Kg per il quadrato dell’altezza in m.) superiore a 40 oppure compreso tra 35 e 40 ma associato ad altre problematiche di salute relative all’obesità.

L’intervento chirurgico non è fine a se stesso, è solo una tappa di un cambiamento totale di vita, che implica sana alimentazione, attività motoria costante e il superamento delle cause psicologiche per cui il cibo diventa dipendenza e compensazione”, sottolinea il dottor Rossini. “Per questo i nostri pazienti vengono presi in carico da un’équipe formata anche da gastroenterologi, nutrizionisti e psicologi che preparano il paziente all’intervento e lo seguono nel corso del follow up. Il 70% dei nostri pazienti effettua almeno fino al primo anno post intervento tutti i controlli periodici e registra un soddisfacente calo ponderale”.

 

 

 

 

 

 


Da Negrar a S. Zeno in Monte: il secondo turno del corso per i medici neoassunti

Circa trenta giovani medici del “Sacro Cuore” hanno partecipato sabato 10 giugno al secondo turno del corso “Natura e fini istituzionali” a San Zeno in Monte, presso la Casa Madre dell’Opera Don Calabria (il primo turno, con altri trenta medici, si era svolto il 27 maggio – vedi link).

Anche in questo caso si è trattato di un incontro molto intenso che ha permesso di conoscere meglio la figura di san Giovanni Calabria e i valori fondanti dell’Opera da lui fondata, di cui fa parte anche la Cittadella della Carità di Negrar.  Nella foto il gruppo dei partecipanti sulla terrazza di San Zeno in Monte, sopra la città di Verona.

La giornata si è conclusa con la visita alle stanze e alla tomba del fondatore, che ha vissuto per oltre 40 anni a San Zeno in Monte, e con il pranzo conviviale.


Lo studio europeo con IRCCS Negrar capofila: la radioterapia può curare metastasi come la chirurgia

La radioterapia può trattare efficacemente anche le metastasi e non essere impiegata solo a scopo palliativo, con percentuali di cura sovrapponibili a quelle della chirurgia, nei pazienti che pur avendo una malattia estesa ai diversi organi, sviluppano un numero limitato di metastasi. E’ quanto viene confermato dallo studio europeo “Oligocare”, il più ampio mai realizzato sull’impatto della radioterapia nei pazienti con più metastasi, da poco presentato al Congresso della Società Europea di Radioterapia Oncologica (ESTRO), dal professor Filippo Alongi, Direttore della Radioterapia Oncologica Avanzata all’IRCCS di Negrar, capofila del progetto con il numero più alto di pazienti trattati.

Il prof. Alongi durante la sua relazione al congresso ESTRO di Vienna

La radioterapia, in aggiunta alla terapia medica, è una soluzione per curare anche forme di cancro avanzate, con efficacia pari alla chirurgia, ma con minor impatto sul paziente. E’ quanto viene confermato dallo studio “Oligocare, i cui risultati preliminari sono stati presentati al congresso annuale dell’ESTRO, appena concluso a Vienna, dal professor Filippo Alongi, direttore della Radioterapia Oncologica Avanzata dell’IRCSS di Negrar, capofila del progetto per il numero più alto di casi trattati nello studio.

La ricerca – promossa dalla Società Europea di Radioterapia Oncologica (ESTRO) e dall’European Organization for Research and Treatment Cancer (EORTC) – ha valutato l’impatto radicale della radioterapia su 1.600 pazienti, che presentavano da una a cinque metastasi, reclutati da 44 istituti di 12 Paesi europei.

Gli ‘oligometastatici’ sono quei pazienti che pur avendo una malattia estesa in più sedi nell’organismo, presentano un numero limitato di lesioni, fino a 3-5, in uno o più organi – spiega Alongi, che è anche professore ordinario all’Università di Brescia -. In Italia si stima che siano 1 su 5 e solitamente per questi pazienti si ricorre alla radioterapia a scopo palliativo, cioè per alleviare il dolore o prevenire i sintomi, per cui viene prescritta a basse dosi e mirata sulla sede delle lesioni che possono causare grandi sofferenze. Lo studio ‘Oligocare” invece ha valutato l’impatto della radioterapia in pazienti con più metastasi con l’obiettivo della remissione locale”.

I pazienti arruolati sono stati 1.600 di cui più di 200, il numero più alto, provenienti dall’IRCSS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, uno dei centri più all’avanguardia del nostro Paese nella cura radioterapica dei tumori. “La gran parte di essi presentava da 1 a 3 metastasi di tumori primitivi della mammella, del colon, della prostata e del polmone, localizzate prevalentemente su polmoni, linfonodi, ossa e in alcuni casi anche nel cervello”, precisa il radioterapista oncologo. Per il trattamento delle lesioni è stata impiegata la radioterapia stereotassica, cioè ad alte dosi ionizzanti erogate con precisione millimetrica, grazie anche alla possibilità di somministrazione sotto la guida di TAC o risonanza magnetica. I trattamenti prevedevano mediamente 5 sedute della durata variabile da pochi minuti a meno di un’ora e in molti casi sono stati effettuati contemporaneamente alla terapia medica (chemioterapia, immunoterapia e farmaci a bersaglio molecolare). “Dai risultati preliminari emerge che la radioterapia, in aggiunta ai farmaci, e in qualche caso anche da sola, è in grado di distruggere più metastasi spegnendo localmente la malattia, con una sopravvivenza del 97% dopo 6 mesi dal trattamento ed effetti collaterali rilevanti in appena l’1% dei casi – riferisce l’esperto -. Siamo di fronte a dati molto promettenti anche che necessitano di essere confermati con follow up più lungo. Tuttavia anche se preliminari questi dati delineano il ruolo della radioterapia nel percorso terapeutico del paziente metastatico, ruolo che può essere non solo palliativo, ma anche localmente curativo”.

Tuttavia, nonostante la grande efficacia, sulla radioterapia pesa ancora troppa disinformazione, per cui continua a essere attribuito a questo approccio terapeutico un valore inferiore rispetto a quello chirurgico e farmacologico. “Cittadini, media e istituzioni hanno purtroppo una visione non bene bilanciata delle forze in campo per la cura dei tumori – conclude Alongi -. L’idea della radioterapia risente di un retaggio che appartiene al passato e che nella migliore dell’ipotesi le attribuisce uno scopo solo palliativo. Questo è un grave problema per i pazienti che in numerose situazioni cliniche potrebbero trarre beneficio da un’opzione terapeutica non invasiva, alternativa a quella chirurgica e sinergica con i moderni farmaci oncologici”.

 

 

 

 

 

 


Telemedicina a servizio degli anziani in casa di risposo: sinergia tra la Pia Opera Ciccarelli e l'IRCCS di Negrar

La neonata collaborazione consente di effettuare l’elettrocardiogramma senza spostare l’ospite dalla casa di riposo, grazie alla refertazione a distanza da parte della Cardiologia dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Gli anziani non autosufficienti coinvolti sono 600, accolti in otto Centri della Fondazione Pia Opera Ciccarelli.

Fondazione Pia Opera Ciccarelli

Da alcune settimane è attivo il progetto di refertazione cardiologica a distanza a favore dei seicento anziani non autosufficienti accolti negli otto centri di servizio della Fondazione Pia Opera Ciccarelli ONLUS. Grazie a un sistema di telemedicina ora è possibile effettuare l’elettrocardiogramma (ECG) direttamente in casa di riposo e trasmetterlo in tempo reale alla Cardiologia dell’Ospedale di Negrar per la refertazione.

Mons. Cristiano Falchetto

“Far viaggiare i dati e non le persone è una direzione sulla quale stiamo lavorando per garantire servizi di prossimità agli anziani a noi affidati. Per la Fondazione è una preziosa opportunità per dare forma concreta ai valori che ci ha consegnato il nostro Fondatore e dunque tutelare, nel miglior modo possibile, il diritto alla salute e migliorare l’accesso ai percorsi diagnostici e terapeutici, soprattutto per i più fragili che possono effettuare visite e controlli direttamente nelle residenze” riferisce il presidente mons. Cristiano Falchetto. I vantaggi sono tanti anche per il personale che può ottimizzare le proprie attività e dedicare più tempo alla cura e all’assistenza. Infatti “Il nuovo servizio ottimizza il monitoraggio cardiologico in termini di tempi e risorse impiegate e permette di monitorare periodicamente i pazienti a distanza, evitando loro spostamenti faticosi”.

Dr. Giulio Molon

In questo periodo di avvio della collaborazione, la Fondazione Pia Opera Ciccarelli ha acquistato cinque elettrocardiografi, la piattaforma informatica che consente l’invio dei tracciati all’ospedale di Negrar e pacchetti formativi per il personale sanitario. “Il sistema è più che collaudato con altre strutture sanitarie con cui abbiamo una storica collaborazione – spiega il dottor Giulio Molon direttore della Cardiologia del “Sacro Cuore Don Calabria”Gli elettrocardiografi, cioè gli strumenti medici necessari per effettuare l’elettrocardiogramma, sono compatibili per la connessione in rete con la nostra piattaforma di refertazione delle prestazioni. In questo modo il tracciato realizzato dal medico o dall’infermiere in loco, senza spostare il paziente, giunge in tempo reale a noi che possiamo procedere alla lettura. Nei casi urgenti la tempistica della risposta è di 3 minuti, per i controlli non oltre la giornata. Naturalmente tutto questo in totale sicurezza per quanto riguarda la tutela dei dati sensibili del paziente”.

Dr. Mario Piccinini

“Alla richiesta da parte della Fondazione Pia Ciccarelli, abbiamo risposto con la massima disponibilità”, afferma l’amministratore delegato dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria, Mario Piccinini. “Si tratta di una prestigiosa e storica istituzione veronese con la quale condividiamo gli stessi valori nei riguardi delle persone più fragili, gli ammalati e gli anziani. Da sempre il nostro ospedale è attento al tema dell’innovazione in medicina in quanto finalizzata ad offrire le migliori cure ai pazienti. La telemedicina è a tutti gli effetti uno degli strumenti innovativi destinati a trovare ampia applicazione nei prossimi anni con lo scopo rendere più accessibili i servizi ai pazienti e anche per contenere liste di attesa, uno dei problemi più urgenti della nostra sanità”.

 

 


Una Madonnina tra le rose del giardino di Casa Perez

A conclusione del mese di maggio, dedicato alla Santa Vergine Maria, mercoledì 31 maggio alle ore 15 è stata celebrata la Santa Messa nei giardini adiacenti a Casa Perez, dove è stata collocata una statua della Madonna di Lourdes, recuperata grazie a un certosino restauro dagli educatori di Casa Perez con l’aiuto degli ospiti.

“Tutto è nato un po’ per caso”, raccontano gli educatori Giovanni Melotto, Florio Guardini e Giulia Dalle Pezze. “Eravamo alle prese con l’organizzazione delle attività per il mese di maggio. Si pensava di fare qualcosa di significativo per la chiusura del mese dedicato alla Mamma di Gesù, ma andare tutti insieme alla Madonnina collocata nei giardini di Casa Nogarè ci sembrava troppo dispersivo e anche impegnativo. Ci siamo quindi chiesti: non abbiamo una Madonnina qui vicino? A dire la verità una statua della Madonna ce l’avevamo proprio in casa, relegata (e impolverata) nel magazzino del laboratorio. Una mano rotta, i piedi rovinati, imbruttita dal tempo e dagli anni che l’hanno dimenticata.

(ecco le varie fasi del restauro della Madonnina)

Era proprio quello che faceva al caso nostro. Con l’aiuto degli ospiti di Casa Perez abbiamo dato nuova vita e nuovo splendore alla statua che è stata poi collocata nel nostro giardino, sul ciocco di un albero circondata da un’aiuola di rose rigogliose.

E’ stato necessario molto impegno, costanza e dedizione. Abbiamo effettuato un grosso lavoro di pulitura, rimuovendo le vernici e le patine. Abbiamo ricostruito le parti mancanti o rovinate, e dipinto l’opera di un colore fresco e brillante.

La statua rappresenta la Madonna di Lourdes, colei che protegge e custodisce gli ammalati. Come noi ci siamo presi cura di Lei, confidiamo e preghiamo perché faccia lo stesso con noi”.