L'AD dell'IRCCS Sacro Cuore, Mario Piccinini, riconfermato presidente dell'ARIS Triveneto
Si tratta del quarto mandato quinquennale consecutivo alla guida dell’Associazione religiosa degli Istituti socio-sanitari del Veneto, della Provincia autonoma di Trento e del Friuli Venezia Giulia. Sedici strutture, tra cui due IRCCS. “Ringrazio gli associati per la loro rinnovata fiducia. La mia presidenza porterà avanti le diverse istanze degli istituti Aris, coadiuvata da un Consiglio in cui siederà un rappresentante per ogni differente tipologia di struttura”.
L’Amministratore Delegato dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, Mario Piccinini è stato rieletto, per il quarto mandato quinquennale consecutivo, presidente dell’Aris Triveneta, l’Associazione religiosa degli Istituti socio-sanitari.
L’elezione, all’unanimità, è avvenuta nei giorni scorsi a Negrar dove erano riuniti i delegati di sedici strutture sanitarie cattoliche del Veneto, della Provincia Autonoma di Trento e del Friuli Venezia Giulia. Fra queste, due Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, il “Sacro Cuore Don Calabria”, per la disciplina delle Malattie Infettive e Tropicali, e il “San Camillo” di Venezia per la Neuroriabilitazione. L’Aris Triveneta comprende anche cinque ospedali classificati , cioè equiparati al pubblico, centri di riabilitazione, Rsa e case di cura. Per un numero complessivo di 2.157 posti letto.
Mario Piccinini, laureato in Giurisprudenza, dal 1975 lavora al “Sacro Cuore Don Calabria” dove ha ricoperto l’incarico di direttore del personale e di direttore amministrativo, prima di essere nominato, nel 2015, amministratore delegato. Dallo scorso 31 maggio è coordinatore nell’Aris nazionale dei 14 IRCCS associati. Complessivamente in Italia le strutture aderenti sono oltre 260, tutte non profit (gli eventuali utili di bilancio vengono impiegati per l’attività istituzionale) perché appartenenti ad associazioni religiose.
“Innanzitutto ringrazio gli associati per la loro rinnovata fiducia”, afferma il dottor Piccinini. “La mia presidenza porterà avanti le diverse istanze degli istituti Aris, coadiuvata da un Consiglio in cui siederà un rappresentante per ogni differente tipologia di struttura”.
Se in generale la sanità italiana è in affanno per le sempre minori risorse a fronte di cure sempre più costose e di un aumento esponenziale di prestazioni, per quella non profit si sommano le difficoltà di sempre. “Le strutture sanitarie religiose per legge sono equiparate al pubblico, ma di fatto non vengono considerate tali anche se la loro attività rientra nella programmazione delle Regioni – afferma il dottor Piccinini – Questa contraddizione si traduce in una disparità di trattamento economico sia da parte dello Stato che delle Regioni. I fondi straordinari stanziati (un esempio, ma è uno dei tanti, sono quelli per il rinnovo dei contratti del personale) non contemplano mai le strutture private convenzionate. La nostra sola fonte di finanziamenti rimangono i DRG, i rimborsi che percepiamo per ogni prestazione effettuata. Con la sola tariffa dobbiamo coprire il costo dell’esame o dell’intervento e ricavare un margine per gli investimenti strutturali e tecnologici. Investimenti che invece per le strutture pubbliche vengono finanziati a parte. Il sistema potrebbe essere anche sostenibile, se i DRG venissero adeguati ai costi della sanità attuale aumentati esponenzialmente a causa dell’inflazione. E invece sono fermi da tanto tempo”.
Altro problema scottante sono le liste di attesa. “Da anni le nostre strutture devono fare i conti con i budget regionali che influiscono sulle liste di attesa, diventate oggi gravose per il cittadino anche a causa della pandemia Covid, e non solo. Il governo ha destinato fondi straordinari per il loro abbattimento, ma, nonostante la massima disponibilità, i nostri ospedali sono stati coinvolti solo marginalmente”, conclude il presidente ARIS.
I pazienti dell'Unità Spinale al Santuario della Corona con il supporto dell'Ordine di Malta
Un’uscita particolare quella che hanno vissuto sei pazienti dell’Unità Spinale: grazie al supporto logistico dell’Ordine di Malta hanno potuto visitare il Santuario della Madonna della Corona a Ferrara di Monte Baldo (Verona). “Anche il tempo vissuto fuori dall’ospedale fa parte del percorso di riabilitazione di questi pazienti. Queste occasioni dimostrano praticamente che nonostante la grave invalidità è possibile ritornare a una vita di inclusione sociale”, dice la dottoressa Elena Rossato, direttore della Medicina Fisica e Riabilitazione.
Nell’ambito del progetto “Turismo sociale inclusivo del Veneto” venerdì 1 settembre sei pazienti dell’Unità Spinale dell’IRCCS di Negrar, diretta dal dottor Giuseppe Armani, hanno visitato il Santuario della Madonna della Corona di Ferrara di Monte Baldo.
Il progetto, istituito dalla Presidenza del Consiglio dei ministri in collaborazione con la Regione Veneto e coordinato per la provincia di Verona dall’Ulss 9, ha come obiettivo “la promozione di azioni per favorire l’accessibilità e l’inclusione della persona con disabilità e la sua famiglia nel contesto sociale, attraverso Iniziative a carattere culturale e turistico, esperienze di tirocini lavorativi, attività per il tempo libero e lo sport”.
Ad accompagnare i pazienti, la dottoressa Elena Rossato, direttore della Medicina Fisica e Riabilitazione, e alcuni componenti della Delegazione veronese dell’Ordine di Malta, partner del progetto, che hanno assicurato il supporto logistico all’iniziativa.
Il dottor Antonio Giovinazzi e gli infermieri, Alessandro Ortombina e Giannella Stocher del Cisom (Corpo italiano di soccorso dell’Ordine di Malta) hanno presidiato, insieme alla fisioterapista dell’Unità Spinale, Annalisa Gobbetti, la parte sanitaria.
Il gruppo è stato accolto dal rettore del Santuario, mons. Martino Signoretto, che ha illustrato agli ospiti la storia di un luogo di culto dedicato alla Madonna che sembra sorgere dalla roccia del Monte Baldo e delle opere d’arte in esso contenute.
“Il percorso riabilitativo dei lesionati midollari che viene effettuato dal ‘Sacro Cuore Don Calabria’ ha sempre contemplato dei momenti all’esterno dell’ospedale dove questi pazienti, purtroppo, rimangono per molto tempo”, spiega la dottoressa Rossato. “Anche con il supporto dei volontari Galm (Gruppo animazione lesionati midollari) sono state organizzate giornate in montagna, perfino sulla neve, in luoghi turistici o dedicati allo sport terapia – prosegue -. Lo scopo è quello di dimostrare al paziente che, in maniera diversa, cioè su una carrozzina, è possibile fare moltissime cose, che apparentemente sembrano precluse. In altre parole che è possibile ritornare ad una vita di inclusione sociale anche dopo un grave trauma o una malattia che preclude l’uso parziale o totale degli arti. Anche la visita al Santuario della Madonna della Corona, grazie al progetto ‘Turismo sociale inclusivo del Veneto’ e alla generosa disponibilità dell’Ordine di Malta, rientra in questo percorso riabilitativo, oltre ad essere un’occasione di arricchimento spirituale e culturale per tutti noi che vi abbiamo partecipato”.
Corso per operatori socio-sanitari: ultimi giorni per iscriversi
Non tutte le zecche che mordono sono infette: l'esame per scoprirlo
Non tutte le zecche sono infette. Il solo modo per saperlo è non buttare lo sgradito ospite una volta estratto (guarda il video) e farlo analizzare presso l’Istituto Zooprofilattico della propria regione o rivolgendosi a laboratori specializzati anche in questo ambito. Come l’IRCCS di Negrar: in cinque giorni lavorativi il referto
Morso di zecca. Niente panico. La buona notizia è che non tutte le zecche sono infette. Il solo modo per saperlo è non buttare lo sgradito ospite una volta estratto (guarda il video) e farlo analizzare presso l’Istituto Zooprofilattico della propria regione o rivolgendosi a laboratori specializzati anche in questo ambito.
Il Laboratorio di Microbiologia del Dipartimento di Malattie infettive e tropicali dell’IRCCS di Negrar esegue l’identificazione della zecca mediante osservazione microscopica diretta: per fare ciò è necessario riporre la zecca preferibilmente integra in un barattolo pulito con la chiusura a vite come quello per la raccolta delle urine e consegnarlo presso il centro prelievi, unitamente all’apposito (clicca qui per scaricarlo). Il referto con la risposta di identificazione zecca è disponibile sul dossier sanitario in 5 giorni lavorativi.
Se invece non è stato possibile conservare e far analizzare la zecca, è necessario tenere sotto osservazione la zona interessata dal morso. La comparsa di un arrossamento occasionale non deve preoccupare, in quanto regredisce in 1-2 giorni dopo la rimozione della zecca. Invece se nell’arco di 6 settimane si presentano i seguenti sintomi è necessario recarsi in Pronto Soccorso per la valutazione infettivologica (al “Sacro Cuore Don Calabria” dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13):
- Eruzione cutanea circolare che si allarga progressivamente superando i 5 cm di diametro;
- Febbre con temperatura superiore ai 37,8 °C, dolori muscolari o articolari diffusi (simil-influenzali), stanchezza intensa
- Forte cefalea e persistente, tremori, vertigine, formicolii alle braccia e alle gambe, confusione
Sarà poi il medico ad indicare gli esami da eseguire e l’eventuale terapia. Il Laboratorio di Microbiologia effettua esami diagnostici su sangue, escara/biopsia e liquor per la ricerca diretta e indiretta di batteri e virus che possono essere trasmessi dal morso della zecca. Tutte le informazioni clicca qui
Per l’encefalite da zecche (TBE) è disponibile il vaccino, che all’IRCCS di Negrar viene somministrato nell’ambito dell’Ambulatorio di Medicina dei Viaggi in occasione dell’anamnesi pre-viaggio
West Nile: 1 caso grave su 1000 infettati. La prevenzione dalle punture di zanzare è la (sola) migliore difesa

L’estate 2023 non si prospetta “calda” sul fronte West Nile Virus, presente in Italia fin dal lontano 1998. Per ora non sono disponibili per contrastrare l’infezione né terapie specifiche né vaccini. L’unica arma è la prevenzione dalle punture delle zanzare, soprattutto per le persone immunodepresse, come gli anziani e coloro che sono affetti da patologie. L’IRCCS di Negrar effettua tutti gli esami diagnostici per l’accertamento della malattia e sul fronte della ricerca sono in corso degli studi sulla patogenesi dell’infezione.
Puntuale come il caldo, anche in questa estate rovente è arrivata l’emergenza West Nile Virus. Anche se, almeno fino a questo momento, emergenza non è. E molto probabilmente non lo sarà, visto che il primo caso di infezione umana da virus del Nilo Occidentale della stagione è stato registrato in Emilia-Romagna nel mese di luglio in provincia di Parma. A stagione estiva inoltrata. Il confronto è con il 2018 e il 2022, anni caratterizzati da numerosi casi di malattia neuro-invasiva e di decessi, quando le prime infezioni sono state segnalate all’inizio di giugno. Tuttavia la cautela è d’obbligo: il virus, scoperto nel 1937 in Uganda ed endemico in Italia dal 1998, è soggetto a continue mutazione che ne aumentano la contagiosità. Questo, unitamente al fatto che si serve come vettore di zanzare e come serbatoio di uccelli migratori, fa del West Nile un virus estremamente imprevedibile.
Secondo l’ultimo bollettino dell’Istituto Superiore di Sanità (17 agosto 2023) finora sono stati confermati 94 casi di infezione da West Nile Virus, di cui 52 con sintomi neuro-invasivi (meningiti, encefaliti e meningoecefaliti), i decessi notificati sono stati 3. L’anno scorso, nello stesso periodo, i casi accertati erano 440 di cui 216 neuroinvasivi e i morti 24.
Solo nell’1% dei casi il virus è neuro-invasivo
Naturalmente il numero complessivo delle infezioni è sottostimato in quanto nell’80% dei casi sono asintomatiche, il 20% si manifesta con sintomi simil-influenzali, mentre solo nell’1% dei casi viene interessato il sistema nervoso centrale. Nella percentuale di 1 su mille le complicanze dell’infezione possono portare al decesso. Le forme più gravi (meningiti e meningoencefaliti) colpiscono in genere persone immunodepresse come gli anziani o coloro che sono affetti da alcune patologie.
Non esiste terapia né vaccino
Attenzione quindi ai sintomi. Quelli più gravi sono febbre alta, forti mal di testa, debolezza muscolare, disorientamento, tremori, disturbi alla vista, torpore, convulsioni, fino alla paralisi. La diagnosi viene effettuata mediante la ricerca diretta del virus in diversi fluidi biologici (sangue, urine e Liquor) e tramite la ricerca di anticorpi specifici IgM ed IgG su sangue, e quando indicato, su fluido cerebrospinale. Tutti esami effettuati presso il Laboratorio di Microbiologia dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria, dove si svolge anche attività di ricerca che riguarda alcuni aspetti di patogenesi dell’infezione da virus West Nile, per il quale non sono ancora disponibili una terapia specifica ed un vaccino.
L’unica difesa è la prevenzione: evitare le punture di zanzare
In attesa che gli studi scientifici in generale diano dei risultati, resta fondamentale, soprattutto per i soggetti a rischio, mettere in atto tutte le protezioni necessarie contro le punture della zanzara comune (culex pipiens) che agisce alla sera e durante la notte. Quindi repellenti per pelle contenenti dietiltoluamide-DEET in una concentrazione possibilmente del 50% per una protezione che dura dalle 4 alle 6 ore: più è elevata la concentrazione più la protezione è duratura nel tempo. Ma anche repellenti per l’ambiente. Le zanzariere possono essere cosparse di permetrina, così come gli abiti, chiari e coprenti, che però devono essere lasciati ad asciugare prima di indossarli. Inoltre per impedire che le zanzare si riproducano facilmente, bisogna evitare che si formino piccole o grandi raccolte di acqua stagnante (pozze, bocche di lupo, sottovasi…). Nel caso fosse inevitabile, è necessario trattarle fin dall’autunno con appositi larvicidi.
Non si trasmette da uomo a uomo
La buona notizia è che il virus West Nile non si trasmette da uomo a uomo, se non attraverso trasfusioni di sangue e trapianti di organi – sui quali viene esercitata una stretta sorveglianza – e tra madre e feto. La presenza in natura del virus è garantita da un ciclo primario (ciclo endemico) di trasmissione: zanzara-uccello infetto-zanzara. Esiste poi un ciclo secondario (ciclo epidemico) che si verifica quando le zanzare adulte diventano capaci di trasmette il virus a uomo, equini e ad altri mammiferi. Si tratta di ospiti accidentali definiti a fondo cieco in quanto seppur infetti, la concentrazione di virus nel sangue non è sufficiente da poter infettare eventuali zanzare.
In Italia è presente un ottimo sistema di sorveglianza attiva integrata che vede coinvolti diverse autorità competenti (Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Istituti Zooprofilattici Sperimentali). La sorveglianza riguarda non solo i virus autoctoni, ma anche quelli trasmessi da vettori già presenti sul territorio (come la “zanzara tigre”) potrebbero essere importati (Dengue, Zika e Chikungunya).
In collaborazione
con la dottoressa Concetta Castilletti, resposabile dell’UOS di Virologia e patogeni emergenti
I nostri ricercatori: "Studiamo la 'carta di identità' dei tumori per trovare nuove terapie"

Conosciamo il dottor Giulio Settanni, responsabile del Laboratorio di Patologia molecolare dell’Anatomia Patologica. “Le informazioni contenute nel DNA e nell’RNA di una neoplasia ci consentono di scegliere la migliore opzione terapeutica. Senza lo studio dei tumori dal punto di vista molecolare non sarebbe stato possibile lo sviluppo della target therapy, cioè di farmaci a bersaglio molecolare in grado di agire su una determinata alterazione genetica di una neoplasia, bloccando così i processi biologici fondamentali per la sua sopravvivenza”
Ogni tumore è una patologia genetica. La fisiologica attività di replicazione delle cellule dà infatti vita ad errori di sequenza del DNA e dell’RNA che possono sfuggire ai sistemi di controllo e di riparazione del nostro organismo, dando inizio a una proliferazione di cellule anomale ovvero tumorali. In alcune persone le varianti patogenetiche hanno invece origine ereditaria e comportano un elevato rischio di ammalarsi di cancro durante la vita. In entrambi i casi quello della patologia genetica è terreno d’indagine del biologo molecolare, una figura sanitaria e di ricerca da cui la diagnostica oncologica non può prescindere.
Giulio Settanni, 35 anni, originario di Manduria (provincia di Taranto) dal luglio del 2021 è responsabile del Laboratorio di biologia molecolare presso Dipartimento di Anatomia patologica dell’IRCCS di Negrar, diretto dal professor Giuseppe Zamboni. Laurea magistrale in Scienze biomolecolari e cellulari all’Università di Ferrara, prima di approdare a Negrar nel 2016 ha lavorato quattro anni all’Istituto Nazionale Tumori di Milano. (guarda in video “pillole della ricerca”)
“Lo studio dei tumori dal punto di vista molecolare è ‘esploso’ 15-20 anni fa ed è andato di pari passo con lo sviluppo della cosiddetta target therapy, cioè di farmaci a bersaglio molecolare in grado di agire su una determinata alterazione genetica di una neoplasia, bloccando così i processi biologici fondamentali per la sua sopravvivenza – spiega Settanni -. Senza lo studio molecolare dei tumori e quindi senza la creazione di questi farmaci “intelligenti” tratteremmo ancora tutti i pazienti con la stessa terapia, a prescindere dalla “carta di identità” di ogni forma tumorale. Invece le informazioni contenute nel DNA e nell’RNA di una neoplasia non solo ci consentono di scegliere la migliore opzione terapeutica, ma di evitare di infondere terapie inutili e potenzialmente tossiche grazie alla conoscenza degli indicatori di resistenza. L’esempio classico riguarda i tumori del colon dove una mutazione del gene KRAS fa sì che il paziente sia resistente a un determinato farmaco”.
Altro grande capitolo della patologia molecolare è la ricerca delle alterazioni genetiche germinali, cioè di origine eredo-familiare.
In questo caso lo studio non viene eseguito sul reperto operatorio o sul materiale prelevato tramite biopsia di una persona già ammalata, ma sul sangue di soggetti non necessariamente affetti da tumore. Sono persone la cui anamnesi del genetista oncologo ha indicato un rischio rilevante, per storia personale e/o familiare, di contrarre una malattia neoplastica legata all’alterazione di uno o più geni. I più noti sono i geni BRCA1 e BRCA2 per quanto riguarda i tumori della mammella e dell’ovaio. Ma mutazioni genetiche sono all’origine anche della sindrome di Lynch che predispone a diversi tumori maligni primo fra tutti il cancro al colon; della poliposi familiare, caratterizzata dalla proliferazione di polipi che possono trasformarsi in tumori del colon; del melanoma familiare e di tante altre. Quelle eredo-familiari sono una piccola percentuale delle forme neoplastiche, ma la conoscenza delle alterazioni genetiche che le provocano permette di mettere in atto tutte le azioni preventive o di diagnosi precoce.
Quale tipo di ricerca viene svolta in patologia molecolare?
Si tratta di una ricerca cosiddetta traslazionale. Essa ha origine dall’attività diagnostica, nel senso che utilizza i dati diagnostici, previa autorizzazione del paziente e del Comitato etico. Dalla casistica prodotta dagli esami diagnostici possono emergere delle caratteristiche comuni a più pazienti, tali da meritare un approfondimento di ricerca.
In questo momento il suo Laboratorio in quali progetti di ricerca è impegnato?
Stiamo partecipando ad uno studio multicentrico promosso da Alleanza contro i cancro di cui l’IRCCS di Negrar fa parte. Il progetto s’intitola GerSom e si propone di confrontare, nell’ambito di determinati tumori (mammella, ovaio e colon), i dati emersi dagli esami di biologia molecolare sul reperto operatorio (somatici) e quelli sul sangue (germinali), utilizzando delle procedure di laboratorio messe a punto nei due centri capofila dello studio: la Fondazione Gemelli di Roma e l’Istituto Oncologico Europeo di Milano. Lo scopo è quello di testare una procedura comune che possa dare risposte sovrapponibili anche se gli esami vengono effettuati in differenti Laboratori. La finalità ultima è quella di fornire a tutti i pazienti la migliore diagnosi possibile e quindi una più adeguata presa in carico. Lo studio comparativo richiede sequenziatori di ultima generazione di cui disponiamo da alcuni anni e che ci permettono di studiare anche la casistica dell’ospedale San Matteo di Pavia.
Ha fatto esperienze all’estero?
Nel 2019 ho avuto la grande opportunità di clinical visiting observer presso il Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, il più grande e il più prestigioso Istituto oncologico del mondo. E’ stata una bellissima esperienza, seppur durata solo un mese, grazie alla quale ho potuto rendermi conto anche dell’eccellenza del Laboratorio che oggi dirigo.
In che senso?
Accogliendo malati da tutto il mondo, il Memorial di New York è irraggiungibile sul piano della casistica, ma su quello della qualità della risposta data al paziente la realtà di Negrar non ha nulla da invidiare a questo “colosso” dell’oncologia. Al “Sacro Cuore Don Calabria” nell’ambito della patologia molecolare, ma non solo, sono stati fatti investimenti mirati che hanno portato allo sviluppo di una diagnostica di eccellenza.
Cosa invece la realtà oncologica italiana, in generale, dovrebbe invidiare a quella americana?
Senza dubbio i finanziamenti per la ricerca, che negli Usa sono soprattutto privati. Ma ancora di più l’aspetto culturale. Quello del ricercatore in generale è un lavoro che richiede di essere adeguatamente strutturato e finanziato per il raggiungimento dei risultati: purtroppo nel nostro Paese tali criteri non vengono sempre soddisfatti, rendendo quella del ricercatore una professione poco appetibile per i giovani laureati. Pertanto il ruolo del ricercatore puro (io non lo sono, perché mi occupo principalmente di diagnostica) sembra non avere quell’appeal che invece meriterebbe data l’importanza, perché solo grazie alla ricerca possiamo ottenere gli strumenti necessari a sconfiggere le malattie. Così non di rado menti capaci emigrano all’estero – dove raggiungono stabilità e stipendio dignitoso – oppure virano verso il settore diagnostico o delle case farmaceutiche. In Italia dobbiamo fare un salto culturale e vedere nella ricerca (quindi nel ricercatore) un investimento che necessita di pazienza, perché i risultati non sono immediati e dietro scoperte eclatanti, che imprimono una svolta nella cura delle malattie, ci sono anni di duro lavoro e di studio. La ricerca di oggi rappresenta potenzialmente la terapia di domani.
Cippi vola sull'Ostetricia: l'uccellino creato dagli artisti di Casa Perez per adornare libri in regalo ai piccoli ospiti
Gli ospiti di Casa Perez hanno realizzato delle bellissime confezioni con protagonista l’uccellino Cippi, per adornare i libri offerti dalla Giunti Al Punto e donati all’Ostericia per i nuovi nati. Ma le creazioni dei nostri artisti non si conclude qui. Sono già in programma realizzazioni per altri reparti, soprattutto dove sono ricoverati i bambini.
E’ un peccato scartarlo. Mai frase è sembrata più adatta di fronte ai libri che le neo-mamme del reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria hanno ricevuto mercoledì 9 agosto per i loro bambini, direttamente dalle mani degli ospiti di Casa Perez, la struttura residenziale della Cittadella della Carità di Negrar, di cui fa parte anche l’Ospedale, dedicata a persone con problemi sociali e psichiatrici cronici.
Una confezione che rende ancora più prezioso il dono
Perché se i libri sono un regalo delle librerie Giunti Al Punto, la confezione è opera degli stessi ospiti, i quali non si sono limitati a scegliere la carta più adatta, ma hanno adornato la stessa ponendo una molletta in legno a forma di uccellino con un cuore dipinto sulle ali. Nulla è stato lasciato al caso: l’uccellino si chiama Cippi (dalle iniziali di Casa Perez) e il disegno porta inevitabilmente al Sacro Cuore di Gesù, a cui il fondatore San Giovanni Calabria ha affidato la Cittadella della Carità. Il tutto accompagnato da una brochure e da un biglietto, dove gli autori si presentano e augurano ai nuovi nati “Buona vita”!
Carlo e Miria e tutti gli “artisti” di Casa Perez
Il primo a ricevere il dono è stato Kevin, un frugoletto di poche ore beatamente addormentato nelle braccia della mamma. A porgerlo alcuni rappresentati della ventina di ospiti di Casa Perez attivi in Laboratorio: Carlo che, grazie alla sua passione giovanile per il traforo, si è occupato di trasformare il legno in tanti uccellini; Claudio che ha “firmato” la decorazione pittorica; le signore Miria e Giovanna (detta Iole) che si sono occupate delle confezioni. Ad accompagnarli, la caposala Debora Boscolo e le educatrici Giulia Dalle Pezze e Chiara Righetti. All’informale cerimonia con la consegna di circa 90 libri, erano presenti anche il dottor Marcello Ceccaroni, direttore dalla Ginecologia ed Ostetricia, la dottoressa Mariella Musola, responsabile di Ostetricia, e la caposala del reparto Emanuela Bonifacio.
L’incontro di due progetti: i libri donati dalla Giunti Al Punto e “Cre-arte” di Casa Perez
L’iniziativa nasce dall’incontro di due progetti, voluto e favorito dall’Ufficio Aiuti Umanitari della Cittadella della Carità. Il progetto delle Librerie Giunti Al Punto (“Aiutaci a crescere. Regalaci un libro”) che prevede l’acquisto da parte dei clienti di volumi da distribuire, a titolo di donazione, ai reparti ospedalieri dove sono presenti bambini. E il progetto Cre-Arte del Laboratorio artistico di Casa Perez in cui gli ospiti realizzano oggetti di artigianato in legno o di altri materiali destinati alla vendita per beneficienza presso lo stesso Laboratorio o in occasione di mercatini all’esterno dell’ospedale. Il ricavato va a sostegno dell’attività artiginale, del Centro di Solidarietà San Giovanni Calabria, che si occupa di aiuti destinati soprattutto alle missioni dell’Opera, e al progetto di adozione a distanza. Anche gli autori dei lavori ricevano un incentivo economico per prezioso servizio prestato.
“Così si sentono ancora attivi e artefici di cose belle”
“Molti degli ospiti che risiedono a Casa Perez esprimono il loro bisogno di essere stimolati e occupati, perché rimane forte l’esigenza di sentirsi attivi, di fare qualcosa che sia utile”, affermano le educatrici Giulia e Chiara che assieme ai maestri d’arte, Giovanni Melotto e Florio Guardini, si occupano del progetto Cre-Arte. “Nell’abito dei percorsi di laboratorio cerchiamo di favorire l’integrazione e l’inclusività attraverso lavori individuali e di gruppo, dove gli ospiti possono vivere l’arte con creatività. Osservando e partecipando in modo attivo hanno la possibilità di recuperare le abilità perdute durante la malattia e di sperimentare la consapevolezza di essere artefici e non solo fruitori di cose belle”.
Ma Cippi volerà anche su altri reparti
Non è la prima volta che gli ospiti di Casa Perez offrono i loro lavori al reparto di Ostetricia. Il 14 maggio, infatti, hanno donato alle neomamme, per la loro Festa, dei porta-pannolini in legno. Ma è in occasione del Natale e della Pasqua che le attività di Laboratorio si intensificano per la creazione pregevoli presepi e oggetti decorativi. Gli ospiti lavorano anche su ordinazione, per esempio, per la realizzazione di bomboniere.
Cippi non ha comunque intenzione di fermare il suo volo. E’ già in programma la realizzazione di molte altre mollette decorative che, al di là della fornitura dei libri da parte di Giunti, saranno regalate ai pazienti dell’ospedale, soprattutto ai bambini. Per la gioia di chi le riceve e degli artisti di Casa Perez.
La Medicina dei Viaggiatori: prevenzione, diagnosi e cura delle malattie legate al viaggio
Con l’intensificarsi degli spostamenti umani, anche da un continente all’altro, si è sviluppata la Medicina dei Viaggiatori, una specialità interdisciplinare che ha come ambito di interesse la prevenzione, la diagnosi e la cura delle malattie associate al viaggio. Gli specialisti in questa disciplina si occupano e rispondono di malattie dei viaggiatori, di epidemie, di vaccinazioni internazionali e sono in strettissimo contatto con le Agenzie internazionali preposte al monitoraggio delle malattie nel mondo.
Viaggiare è lavoro o studio; viaggiare è divertimento, viaggiare è lasciare il proprio Paese per cercare una vita migliore. L’importante, potrebbe declamare una pubblicità progresso, è farlo in salute.
Non a caso con l’intensificarsi degli spostamenti umani, anche da un continente all’altro, si è sviluppata la Medicina dei Viaggiatori, una specialità interdisciplinare che ha come ambito di interesse la prevenzione, la diagnosi e la cura delle malattie associate al viaggio. Gli specialisti in questa disciplina si occupano e rispondono di malattie dei viaggiatori, di epidemie, di vaccinazioni internazionali e sono in strettissimo contatto con le Agenzie internazionali preposte al monitoraggio delle malattie nel mondo.
In 24 ore da casa all’altra parte del mondo
Oggigiorno viaggiare è diventato relativamente semplice: in circa 24 ore si può andare da casa al posto più lontano dall’altra parte della Terra e, allo stesso modo, in un giorno si ritorna a casa dai luoghi più remoti del pianeta. Questo significa nel primo verso (quello dell’andata) che in pochissime ore ci possiamo ritrovare immersi in un ambiente completamente diverso da quello nel quale viviamo regolarmente; e nel secondo verso (il ritorno) che il rientro a casa avviene in tempi assai più brevi del tempo di incubazione di quasi tutte le malattie (conseguenza: queste malattie acquisite in Paesi lontani devono essere diagnosticate in patria, dove non sempre i medici sono addestrati a sufficienza per farlo).
Quanto si viaggia?
Fino al 2019, immediatamente prima della brusca interruzione causata dalla pandemia da COVID-19, ogni anno nel mondo si spostava più di 1 miliardo di persone. Ora, a pandemia conclusa, i viaggi sono ripresi, in alcuni Paesi addirittura non solo si è tornati ai numeri pre-pandemici, ma li si è superati. Si stima, comunque, che entro il 2030 si sposteranno ogni anno nel mondo circa 2 miliardi di persone. Gli italiani che ogni anno escono dai confini nazionali sono circa 18 milioni, il 10% dei quali si dirige verso Paesi della cosiddetta fascia tropicale o sub-tropicale.
Chi viaggia?
Se è vero che la maggior parte dei viaggi si fanno ancora per divertimento/vacanza, questa tipologia è andata via via diminuendo negli ultimi 20 anni, complice la crisi economica. Nel contempo, si sono fatte strada sempre più altre categorie di viaggiatori: i lavoratori, i cooperanti internazionali, i missionari, gli studenti che passano un periodo del loro iter di studio fuori Italia e i migranti che, una volta stabilizzatisi nel nuovo Paese, tornano periodicamente a far visita a familiari ed amici nelle terre d’origine.
Perché rivolgersi prima di partire a un ambulatorio di Medicina dei Viaggiatori
Un consulto all’Ambulatorio per la Medicina dei Viaggiatori comincia con un colloquio dal quale il medico riesce ad individuare i rischi cui il viaggiatore si espone specificamente per quel viaggio. A seconda dell’itinerario, della storia sanitaria e vaccinale del singolo individuo, degli eventuali farmaci assunti in cronico, della tipologia di viaggio (vacanza, di lavoro, di cooperazione, avventuroso, organizzato nei minimi dettagli, zaino-in-spalla…), viene creato un piano strategico per salvaguardare al meglio la salute del viaggiatore.
Questo significa, di volta in volta, somministrazione di vaccini, consigli per prevenire le varie forme di diarrea del viaggiatore o i modi migliori per gestirla se comparisse, profilassi anti-malarica o strategie per prevenire malattie tipiche del Paese mèta del viaggio.
L’ambulatorio di Medicina dei Viaggiatori del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali di Negrar si trova al sesto piano dell’ospedale Don Calabria. Per prenotare un consulto è necessario telefonare allo 045.6013257. Non si svolgono consulti telefonici.
E quando si torna a casa…
Il post viaggio non è un momento da sottovalutare. Non sempre le cose vanno per il verso giusto, e visto che i soggiorni spesso sono di pochi giorni anche in luoghi molto lontani, può capitare che le malattie contratte in Paesi tropicali e sub-tropicali si manifestino al rientro. Quindi se una volta tornati si presentano malessere, febbre, sfoghi cutanei, disturbi intestinali… è bene recarsi in un reparto di Malattie Infettive per gli opportuni accertamenti. Non solo per la propria salute, ma anche per quella pubblica.
Un esempio sono le malattie Dengue, Zika e Chikungunya, originarie dei Paesi tropicali e sub-tropicali, ma trasmesse dalla zanzara tigre comune (Aedes albopictus), presente da oltre 30 anni in Italia.
La diagnosi tempestiva di queste infezioni è fondamentale per evitare epidemie autoctone. Infatti una volta accertata la malattia, il caso viene segnalato al comune e all’ASL di appartenenza affinché provvedano alla disinfestazione per un raggio di 200 metri dalla casa del paziente al fine di evitare che una zanzara si infetti pungendo il malcapitato e trasmetta il virus a un’altra persona.
Con la collaborazione del dottor Andrea Rossanese
Medico di Medicina dei Viaggiatori dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria
150 anni dalla nascita di don Calabria: le immagini della mostra "Terra&Sangue" nel mondo
Abbiamo raccolto in un video le suggestive immagini e i filmati della mostra “Terra&Sangue”, dedicata a San Giovanni Calabria, che in questi mesi ha attraversato le missioni dell’Opera per celebrare i 150 anni dalla nascita del fondatore. Ora la mostra è in America Latina, ma in settembre arriverà a Verona e a Negrar
Cresce l’attesa per il ritorno a Verona della mostra “Terra&Sangue”, esposizione itinerante dedicata a san Giovanni Calabria in occasione del 150° anniversario della sua nascita. La mostra si compone di sette oggetti appartenuti a don Calabria, ognuno dei quali rappresenta un aspetto della sua vita e della sua spiritualità.
Il percorso comincia con le scarpe, prosegue con gli occhiali, quindi con una lettera autografa dal santo, poi con orologio, portafogli e stola sacerdotale. Il viaggio virtuale si conclude con un’ampolla di sangue di don Calabria incastonata in un reliquiario a forma di faro luminoso realizzato dal maestro Albano Poli.
La mostra era partita lo scorso 8 febbraio da San Zeno in Monte (vedi articolo) e in questi mesi ha attraversato la gran parte dei territori dove l’Opera Don Calabria è presente. Dapprima ha fatto tappa in Italia (esclusa Verona), Romania e Portogallo. Quindi è in marzo e aprile è stata la volta dell’Africa, con Kenya e Angola. In maggio è toccato a Filippine e India. Ora da alcune settimane la mostra si trova nei Paesi di lingua spagnola dell’America Latina, mentre in agosto e per la prima metà di settembre sarà in Brasile. Il rientro a Verona è previsto dopo il 20 settembre, in concomitanza con le celebrazioni per il 150° anniversario che culmineranno con la festa liturgica dell’8 ottobre.
Anche l’IRCCS di Negrar attende la mostra, che sarà esposta nei vari luoghi della Cittadella della Carità nelle giornate del 26 e 27 settembre con tante iniziative che coinvolgeranno i collaboratori, gli ammalati e tutte le persone legate all’ospedale.
Si tratta di un grande evento che finora ha mosso enorme entusiasmo nei luoghi delle missioni calabriane, dove le persone hanno vissuto con eccezionale partecipazione la possibilità di stare così vicino alla figura di don Calabria. Nel video qui sotto possiamo vedere le foto e i filmati di quanto accaduto finora nei vari territori…
Vaccini e un farmaco anche per la Delta: la lotta alle epatiti virali è sempre più efficace
Il 28 luglio ricorre la Giornata mondiale delle epatiti virali, che, solo per quanto riguarda la B e la C, colpiscono nel mondo rispettivamente 300 e 55 milioni di persone. Tuttavia grazie ai vaccini e ai farmaci, l’OMS conta di ridurre entro il 2030 del 90% i nuovi casi di infezioni proprio da HBV e HCV. Preoccupa, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, la Delta, ma l’introduzione di un nuovo farmaco fa ben sperare i pazienti con malattia compensata.
L’ultimo successo contro la numerosa famiglia delle epatiti riguarda la C, la patologia dovuta al virus HCV, che fino a pochi anni fa era la principale causa di cirrosi scompensate e di epatocarcinoma (tumore al fegato). Infatti solo in Italia sono circa 260mila le persone guarite dall’epatite C grazie a farmaci innovativi e lo screening, attivato per esempio dalla Regione Veneto (i dati), ha relegato i nuovi casi di positività a categorie fragili come i tossicodipendenti e i detenuti.
Per le altre forme di epatiti – la A, di origine alimentare, e la B, trasmissibile tramite sangue e derivati e rapporti sessuali non protetti – da anni sono disponibili vaccini e farmaci. Mentre è da pochi mesi rimborsabile in Italia il bulevirtide, le cui sperimentazioni per la messa in commercio hanno dimostrato l’efficacia nell’arginare la progressione dell’epatite Delta, la meno conosciuta ma la più aggressiva delle forme di epatopatia di origine virale.
Gli obiettivi OMS per il 2030
Alla vigilia della Giornata mondiale delle epatiti, che ricorre il 28 luglio, c’è quindi più che una luce in fondo al tunnel. Tanto che l’Organizzazione mondiale della Sanità si è posta come obiettivi per il 2030 la riduzione del 90% delle nuove infezioni di epatiti B e C e del 65% dei decessi per le conseguenze delle epatiti virali, cioè la cirrosi, lo scompenso epatico e l’epatocarcinoma; garantire una diagnosi alla quasi totalità delle persone colpite dall’HBV e dall’HBC e raggiungere l’80% delle persone a cui è indicato il trattamento Nei Paesi più industrializzati, l’obiettivo è vicino, il problema resta invece drammatico in quelli in via di sviluppo, dove la malattia è sotto-diagnosticata e manca un’adeguata profilassi vaccinale. L’esempio è proprio l’epatite Delta, che in Italia interessa 10-15 mila pazienti.
L’epatite virale Delta
“Sono in grandissima parte migranti provenienti dall’Est Europa ma soprattutto dall’Africa, che si presentano in ospedale con cirrosi molto avanzate e epatocarcinoma, nonostante la giovane età. In una percentuale variabile tra il 5 e il 15% dei casi di infezione da epatite B, è presente positività sia ad HBV che ad HDV, responsabili rispettivamente dell’epatite B e dell’epatite Delta”, spiega la dottoressa Sara Boninsegna, epatologa dell’Unità Operativa Complessa di Gastroenterologia e Endoscopia Digestiva, diretta dal dottor Paolo Bocus.
Non c’è Delta senza B
“Questo perché l’agente infettivo HDV appartiene ai cosiddetti virus satelliti o subvirioni: è quindi un virus difettivo, che necessita per replicarsi dell’HBV. Pertanto là dove l’epatite B è maggiormente diffusa (Paesi dell’Est e Africa) è più presente anche l’epatite Delta, la quale funziona come una sorta di acceleratore verso complicanze come la cirrosi e l’epatocarcinoma. Soprattutto quando la doppia infezione viene contratta per via verticale, da madre a figlio e tende a cronicizzare in modo subdolo”, sottolinea la dottoressa.
La scarsa diffusione in Italia grazie al vaccino contro l’HBV
Tra gli italiani il quadro è differente. “Grazie alla profilassi vaccinale contro l’HBV introdotta in Italia nel 1991 per tutti i nuovi nati (e retroattivamente ai nati dal 1979), oggi le nuove infezioni riguardano persone non vaccinate, quasi esclusivamente tossicodipendenti o soggetti che praticano attività sessuale non protetta – prosegue -. Mentre grazie all’estremo controllo sui donatori e sulle sacche la trasmissione tramite sangue e derivati è quasi inesistente. Con poche infezioni da HBV, di conseguenza anche l’epatite Delta è poco diffusa”.
Un farmaco innovativo per curare la Delta
Per l’epatite B, da anni, oltre al vaccino, sono disponibili farmaci antivirali, da assumere per tutta la vita, che bloccano la replicazione del virus ed evitano che le forme croniche (il 5-10% sul totale dei casi) favoriscano la cirrosi, lo scompenso epatico e tumore al fegato.
“Adesso abbiamo a disposizione anche una terapia innovativa per l’epatite delta, il bulevirtide, che agisce sul recettore NTCP, responsabile dell’ingresso nella cellula epatica del virus. I pazienti con infezione cronica da HDV, se paragonati a pazienti con monoinfezione da HBV, presentano una più rapida progressione in cirrosi, un aumento significativo del rischio di sviluppare epatocarcinoma, scompenso epatico, di incorrere in trapianto di fegato e di mortalità. Il farmaco è tuttavia indicato per i pazienti adulti positivi a HDV-RNA plasmatico (o sierico) con malattia compensata. Purtroppo spesso la diagnosi dell’epatite Delta viene effettuata quando è già in corso una cirrosi scompensata o è presente il tumore del fegato avanzato anche senza un quadro di cirrosi sottostante, ma rappresenta una grande possibilità terapeutica finalmente disponibile per i pazienti con malattia in compenso”, conclude la dottoressa Boninsegna.