Gli auguri del Casante: "Cerchiamo di essere donne e uomini di speranza"
Il team di Chirurgia toracica premiato al congresso nazionale SIET per l'illustrazione del caso più rilevante
Nell’ambito del XXII Congresso nazionale della Società Italiana di Endoscopia Toracica (SIET), che si è svolto nelle settimane scorse a Firenze, il team, guidato dal dottor Diego Gavezzoli, ha vinto la “Case Competition” per aver presentato il caso chirurgico più rilevate ed aver svolto la migliore comunicazione tramite poster. Si tratta del primo intervento in Italia, illustrato in un consesso scientifico, che ha utilizzato la chirurgia robotica associata al verde di indocianina per l’asportazione di un adenoma paratorideo mediastinico
Prestigioso riconoscimento per l’équipe di Chirurgia toracica dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria. Nell’ambito del XXII Congresso nazionale della Società Italiana di Endoscopia Toracica (SIET), che si è svolto nelle settimane scorse a Firenze, il team, guidato dal dottor Diego Gavezzoli, ha vinto la “Case Competition” per aver presentato il caso chirurgico più interessante ed aver svolto la migliore comunicazione tramite poster (clicca qui). Alla “competizione” hanno partecipato 52 lavori presentati da chirurghi ed endoscopisti toracici, pneumologi provenienti dai maggiori ospedali di tutta Italia.
Il premio del primo classificato, vinto dalla dottoressa Rosalia Romano che ha curato l’esposizione, riguarda un corso di alta formazione sulla gestione del sanguinamento intraoperatorio in chirurgia toracica presso il Centro Multidisciplinare di chirurgia robotica di Pisa.
Il dottor Gavezzoli con le dottoresse Romano e Barbara Canneto e il dottor Gianluca Perroni sono intervenuti una signora di 73 anni per l’asportazione un adenoma paratiroideo mediastinico, tramite chirurgia robotica guidata dalla fluorescenza di verde di indocianina. Questo tracciante è impiegato nell’individuazione degli adenomi in sede cervicale, ma in letteratura non è mai stato descritto l’utilizzo come guida nell’identificazione degli adenomi mediastinici. Quello della Chirurgia toracica del “Sacro Cuore Don Calabria” è stato il primo caso in Italia di questo tipo condiviso in una comunità scientifica di Chirurgia ed Endoscopia toracica.
L’adenoma paratiroideo
L’adenoma paratiroideo è un tumore benigno delle paratiroidi, le quattro ghiandole endocrine collocate dietro alla tiroide che hanno il compito di produrre e secernere l’ormone paratiroideo o paratormone (PTH), fondamentale per mantenere un livello adeguato di calcio nel sangue (calcemia), intervenendo quando tale livello si abbassa. L’adenoma, essendo causato da una proliferazione neoplastica di cellule delle paratiroidi, determina un aumento anomalo e incontrollato della calcemia.
L’adenoma nel 75% dei casi coinvolge una delle paratiroidi inferiori; nel 15% una delle paratiroidi superiori, mentre nel 10% dei casi circa vi è coinvolgimento di paratiroidi con localizzazione “anomala”, per esempio intratiroidea o intramediastinica.
Il caso della signora ricoverata al “Sacro Cuore Don Calabria” presentava un adenoma paratiroideo mediastinico, cioè situato nel torace, con un livello di calcemia persistentemente elevato e refrattario alla terapia medica.
L’intervento chirurgico
“L’intervento di asportazione di questi adenomi varia in base alla localizzazione anatomica”, spiega il dottor Gavezzoli. “In caso di sede mediastinica, l’adenoma può essere asportato sia con le tradizionali tecniche (con un’incisione a livello del torace o dello sterno), sia con le tecniche mininvasive come la toracoscopia. La localizzazione e l’asportazione radicale del tessuto paratiroideo ectopico iperfunzionante può essere una sfida, soprattutto quando le dimensioni della lesione sono esigue e il tumore è immerso in una zona anatomica ricca di tessuto adiposo, come può essere il mediastino”.
In questo caso i chirurghi toracici, in collaborazione con il professor Paolo Brazzarola, chirurgo endocrinologico sempre dell’IRCCS di Negrar, hanno utilizzato il verde di indocianina, un tracciante fluorescente che una volta iniettato nel sangue, è migrato velocemente verso l’adenoma, rendendolo così immediatamente visibile sul monitor della consolle del robot chirurgico. “L’impiego del tracciante e della tecnica robotica hanno permesso di ottenere un’asportazione dell’adenoma radicale e sicura con l’esecuzione di sole 3 piccole incisioni da 1 cm a livello del torace, favorendo il recupero molto rapido della paziente”, ha concluso il dottor Gavezzoli.
Nella foto da sinistra: i dottori Gianluca Perrone e il dottor Diego Gavezzoli, la dottoressa Rosalia Romano e il professor Paolo Brazzarola
Prevenzione e cura del tumore del colon-retto: il futuro sono i batteri del nostro intestino
Da tempo è noto che il microbioma intestinale svolge un ruolo attivo anche nell’insorgenza e nello sviluppo del tumore del colon-retto, la seconda neoplasia più diffusa in Italia, con circa 50mila nuovi casi all’anno. Nel prossimo futuro “la carta di identità genetica” della nostra flora batterica intestinale – diversa per ogni individuo – potrebbe diventare un elemento prezioso per la diagnosi precoce e predittivo per quanto riguarda l’efficacia delle terapie oncologiche.
L’ultima frontiera della prevenzione e della cura del tumore del colon-retto si chiama microbioma, ovvero la popolazione di batteri, virus e funghi che popola il nostro corpo – a partire dall’intestino dove si trova il 70% del totale – in continua simbiosi, fisiologica o patologica, con il nostro organismo.
Da tempo è noto che il microbioma intestinale svolge un ruolo attivo anche nell’insorgenza e nello sviluppo del tumore del colon-retto, la seconda neoplasia più diffusa in Italia, con circa 50mila nuovi casi all’anno. Nel prossimo futuro “la carta di identità genetica” della nostra flora batterica intestinale – diversa per ogni individuo – potrebbe diventare un elemento prezioso per la diagnosi precoce e predittivo per quanto riguarda l’efficacia delle terapie oncologiche.
Il microbioma come svolta nel trattamento del tumore del colon-retto è proprio il titolo di una delle sessioni del congresso di chirurgia che si è svolto lo scorso venerdì 13 dicembre presso la Biblioteca Capitolare di Verona . Giunto alla sesta edizione, il simposio è stato organizzato da Giacomo Ruffo, direttore della Chirurgia Generale dell’IRCCS di Negrar, e Corrado Pedrazzani della Chirurgia Generale ed Epatobiliare dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona e professore associato dell’Università scaligera. Tra i relatori anche Antonino Spinelli, presidente per l’anno in corso dell’ESCP- European Society of Coloproctology e Massimo Carlini, presidente SIC – Società italiana di Chirurgia.
“Diversi studi hanno dimostrato correlazioni tra determinate famiglie di batteri presenti nell’intestino e cancro del colon-retto”, ha sottolineato il dottor Ruffo. “Ma esistono anche interazioni tra altre famiglie di batteri e sistema immunitario umano che svolgono un ruolo protettivo rispetto al processo di nascita e sviluppo della neoplasia”. I principali fattori di rischio del tumore del colon-retto sono riconducibili allo stile di vita, in particolare all’alimentazione. “Per ridurre il rischio di tumore potrebbe essere utile modificare il microbioma agendo sulla dieta – ha ripreso il dottor Ruffo – senza dimenticare però che l’interazione tra microbioma e tumore è molto complessa ed è oggetto delle più recenti ricerche finalizzate proprio a definirne il ruolo per la diagnosi precoce e per le terapie mirate. Inoltre la modifica del mocrobioma intestinale prima dell’intervento chirurgico è sempre più un elemento importante per ridurre l’incidenza delle complicanze post-operatorie e migliorare gli esiti oncologici”.
Un altro focus importante del Congresso ha riguardato le innovazioni in chirurgia, in particolare l’utilizzo dei robot chirurgici in dotazione sia all’ospedale di Negrar sia al Policlinico di Borgo Roma. “Grazie alla piattaforma robotica disponibile presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona e all’esperienza maturata nel corso degli anni, oggi possiamo eseguire interventi chirurgici molto complessi come i tumori del retto o quelli in cui è necessaria la resezione contemporanea di altri organi quali, per esempio, il fegato, con un altissimo grado di precisione e di sicurezza. La chirurgia mini-invasiva, e in particolare quella robotica, riduce le complicanze post-operatorie e accelera il recupero. Inoltre, permette di iniziare trattamenti post-operatori, come la chemioterapia, in tempi significativamente ridotti, migliorando ulteriormente gli esiti complessivi.” Al congresso è intervenuto Gyu-Seog Choi del Kyungpook National University Hospital di Daegu (Corea del Sud), uno dei massimi esperti di chirurgia robotica e detentore della più alta casistica di interventi effettuati con la piattaforma robotica “single port”, che consente di eseguire operazioni di chirurgia colon-rettale con alta precisione attraverso un’unica incisione di pochi centimetri.
L’incontro scientifico si è aperto con una sessione dedicata a ERAS, il protocollo chirurgico finalizzato a migliorare il recupero dopo l’intervento grazie al quale la Chirurgia Generale di Negrar – che all’anno effettua circa 400 interventi di resezione del colon, di cui 150 oncologici – ha abbattuto le complicanze post operatorie, con la conseguente riduzione dei giorni di degenza passati da una media di 8,5 a 4,6. Risultato che ha portato il reparto guidato dal dottor Ruffo ad essere certificato dall’organismo internazionale ERAS Society primo ed unico centro formatore in Italia per l’insegnamento del protocollo.
Nella foto gli organizzatori del Congresso; da sinistra: Corrado Pedrazzani, Corrado Pedrazzani della Chirurgia Generale ed Epatobiliare dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona e professore associato dell’Università scaligera, e Giacomo Ruffo, direttore della Chirurgia Generale dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar
Diretta europea dalle sale dell'Endoscopia digestiva di Negrar: 800 specialisti in collegamento

Diretta live dalle sale dell’Endoscopia Digestiva dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria per il settimo corso internazionale dell’EGEUS – European Group for Endoscopic Ultrasonography sull’uso combinato dell’Ecoedoscopia (EUS) e della colangio-pancreatografia endoscopica retrograda (ECRP).
Si è aperto ieri mattina con interventi in diretta dall’IRCCS di Negrar, il settimo corso internazionale “live” dell’EGEUS – European Group for Endoscopic Ultrasonography sull’uso combinato dell’Ecoedoscopia (EUS) e della colangio-pancreatografia endoscopica retrograda (ECRP). L’appuntamento scientifico (clicca qui per il programma), che termina domani 14 dicembre, è co-diretto dal dottor Paolo Bocus, direttore della Gastroenterologia e Endoscopia digestiva del Sacro Cuore Don Calabria, e vede la partecipazione di 640 iscritti.
La sede teorica del corso è a Novara, con interventi trasmessi dall’Ospedale Maggiore della Carità della città piemontese, dall’Ospedale Ordine Mauriziano Umberto I di Torino e, appunto, dall’Ospedale di Negrar. Più precisamente da una delle sale dell’Endoscopia digestiva, di cui è responsabile il dottor Marco Benini.
Il dottor Paolo Bocus ha condotto con la sua équipe otto interventi tra il primo e il secondo giorno di corso su altrettanti pazienti, che si sono sommati ai 24 interventi tra Novara e Torino. Circa 800 persone erano in collegamento da tutta Europa.
“Abbiamo effettuato un’ecoendoscopia operativa ed endobiliare e colangiopancreatografie e colangioscopie con biopsie e minisonde ecografiche intraduttali”, spiega il dottor Bocus. Per la lettura delle biopsie è intervento in live anche il professor Giuseppe Zamboni, direttore dell’Anatomia patologica, sempre dell’IRCCS di Negrar.
Il primo corso live dell’EGEUS si è tenuto nel 2012 con l’obiettivo, che poi è proseguito per altre sei edizioni, di evidenziare gli sviluppi più aggiornati in materia di EUS e di ERCP e il loro utilizzo combinato, riassunto nel nuovo concetto di EURCP, che comprende un nuovo modo di affrontare la patologia biopancreatica sia dal punto di vista diagnostico che terapeutico.
E' di una farmacista dell'IRCCS di Negrar la migliore tesi europea di Dottorato nel campo delle scienze nucleari

La dottoressa Chiara Favaretto, farmacista dell’Officina Farmaceutica e Ciclotrone, diretta dal dottor Giancarlo Gorgoni, è la vincitrice del Best PhD Thesis Award in Europe 2024, il riconoscimento assegnato dall’European Nuclear Society (ENS) alla migliore tesi di Dottorato dell’anno nel campo delle scienze nucleari. Grazie a questa ricerca, due nuovi radiofarmaci (161Tb-DOTA-LM3 e 161Tb-SibuDAB) per la cura delle neoplasie neuroendocrine sono attualmente in fase I di sperimentazione clinica.
La dottoressa Chiara Favaretto, farmacista dell’Officina Farmaceutica e Ciclotrone, diretta dal dottor Giancarlo Gorgoni, è la vincitrice del Best PhD Thesis Award in Europe 2024, il riconoscimento assegnato dall’European Nuclear Society (ENS) alla migliore tesi di Dottorato dell’anno nel campo delle scienze nucleari.
La dottoressa Favaretto, 31 anni, originaria di Dolo (Venezia), lavora all’IRCCS di Negrar dal 9 Aprile 2024. Dal 2019 al 2022 ha svolto il Dottorato di ricerca sui radiofarmaci e la produzione di radioisotopi per la medicina nucleare al Politecnico Federale (ETH) di Zurigo. Lo studio documentato dalla tesi – dal titolo “Development of terbium radioisotopes towards clinical theragnostics applications in nuclear medicine”- si concentra sullo sviluppo di metodi per la produzione di isotopi radioattivi innovativi utilizzabili in medicina nucleare, sia per la diagnosi che per il trattamento di diversi tipi di tumore. Grazie a questa ricerca, due nuovi radiofarmaci (161Tb-DOTA-LM3 e 161Tb-SibuDAB) per la cura delle neoplasie neuroendocrine sono attualmente in fase I di sperimentazione clinica, cioè la prima fase di sperimentazione sull’uomo che ha l’obiettivo di testare la sicurezza e la tollerabilità del radiofarmaco.
Il Best PhD Thesis Award in Europe 2024 è un riconoscimento molto importante in quanto viene assegnato dalla più grande società scientifica (ENS) in Europa che ha l’obiettivo di promuovere lo sviluppo dell’uso pacifico dell’energia nucleare. I membri dell’ENS sono costituiti dai rappresentanti delle Società nucleari nazionali di 22 Paesi europei a cui si aggiunge quella di Israele. Le tesi in concorso erano una per ogni Paese membro della Società. Cinque i lavori finalisti, nell’ambito dei quali è stata scelta come vincitrice la tesi della dottoressa Favaretto.
70 anni fa moriva San Giovanni Calabria: il video con la testimonianza di chi era presente
Virus della bronchiolite: anche all'IRCCS di Negrar la campagna di prevenzione per i nuovi nati
Anche l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria aderisce alla campagna regionale di prevenzione contro il Virus Respiratorio Sinciziale (RSV), offrendo la somministrazione gratuita del nuovo anticorpo monoclonale Nirsevimab a tutti i nuovi nati del Punto nascita dell’Ospedale. L’RSV è la causa principale di bronchioliti e polmoniti nei bambini: nei neonati può portare a forme gravi che richiedono l’ospedalizzazione e, nel 20% dei casi, il ricovero in terapia intensiva,
Anche l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria aderisce alla campagna regionale di prevenzione contro il Virus Respiratorio Sinciziale (RSV), offrendo la somministrazione gratuita del nuovo anticorpo monoclonale Nirsevimab a tutti i nuovi nati del Punto nascita dell’Ospedale. La somministrazione è iniziata a novembre e proseguirà fino a marzo/aprile, quando conclude il periodo dell’anno durante il quale è più diffuso il virus. Per i bimbi nati da gennaio a novembre, la profilassi viene effettuata dai pediatri di libera scelta.
L’RSV è una delle principali cause di infezione delle vie respiratorie nei bambini più piccoli, causando bronchioliti (infezioni delle piccole vie respiratorie) e polmoniti (infezione dei polmoni).
E’ un virus molto diffuso, tanto che si stima che tutti i bambini, entro i due anni di vita, si infettino almeno una volta e, nella maggior parte dei casi, entro l’anno di età. I quadri più severi di bronchiolite e polmonite con febbre, tosse e difficoltà respiratoria da richiedere l’assistenza ospedaliera si verificano nei bimbi di età inferiore a un anno e in particolare sotto ai 6 mesi. Nel 20% dei casi è necessario il ricovero in terapia intensiva,
Purtroppo non esistono farmaci specifici per la cura delle infezioni da RSV e la terapia della bronchiolite si limita a trattamenti sintomatici e a misure di supporto (idratazione e ossigeno). Pertanto la prevenzione è l’unica strategia disponibile per contenere questa infezione.
Profilassi con gli anticorpi monoclonali
L’anticorpo monoclonale Nirsevimab rappresenta una grande risorsa per la prevenzione delle infezioni da virus RSV: diversi studi scientifici hanno dimostrato che la sua somministrazione è associata a una riduzione dell’80% delle infezioni respiratorie che richiedono assistenza medica, ma anche a una diminuzione di ricoveri, compresa tra il 77 e il 90%. Diversi Paesi europei, fra cui Francia e Spagna, hanno già introdotto, a partire dalla scorsa stagione 2023-2024, la profilassi universale dei neonati e dei bambini nel primo anno di vita, raggiungendo ottimi risultati, con una riduzione notevole dei ricoveri legati all’infezione da RSV.
Fino ad alcuni mesi fa era a disposizione un altro anticorpo monoclonale, il Palivizumab, che però è indicato solo per i bambini appartenenti alle categorie a maggior rischio di infezioni severe (grave prematurità, cardiopatie congenite e altre patologie). Il Nirsevimab è indicato invece per tutti i neonati e viene somministrato in un’unica iniezione (sulla coscia), a differenza del Palivizumab che richiede un’iniezione al mese per 5 mesi.
Effetti indesiderati
Meno di un bambino su 100 sottoposto a profilassi con Nirsevimab ha manifestato:
- eruzione cutanea
- reazione in sede di iniezione (ovvero arrossamento, gonfiore e dolore nel sito in cui viene somministrata l’iniezione),
- febbre (entro 7 giorni).
Eccezionalmente, come per tutti i farmaci, possono manifestarsi reazioni allergiche immediate come le reazioni anafilattiche; per tale motivo, al pari delle vaccinazioni, il bambino deve attendere 15 minuti prima di lasciare il luogo dove viene somministrato l’anticorpo.
Giornata mondiale per l'eliminazione della violenza contro le donne: un convegno all'IRCCS di Negrar
In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, mercoledì 27 novembre all’IRCCS di Negrar si terrà un incontro con i rappresentati della rete di presa in carico delle vittime: i sanitari, l’assistente sociale, le case- rifugio e le associazioni. Nel 2024 sono stati 22 i casi identificati come violenza di genere dagli operatori del Pronto Soccorso del Sacro Cuore Don Calabria
L’ospedale, e non solo il Pronto Soccorso, come luogo privilegiato dove intercettare le donne vittime di violenza e dare loro una via di uscita grazie alla presa in carico da parte di una rete che comprende non solo i sanitari, ma anche gli assistenti sociali, le case di accoglienza e le associazioni. Un circuito virtuoso già presente da anni sul nostro territorio, ma che necessità di essere sempre alimentato da un’azione di sensibilizzazione verso un fenomeno ancora troppo sommerso e negato anche da chi lo subisce.
“Violenza di genere: dalla percezione dei segnali alla presa in carico” (per il programma clicca qui) è il titolo dell’incontro che – nell’ambito della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne – si terrà mercoledì 27 novembre a partire dalle 14 presso la sala convegni Fr. Perez dell’Ospedale di Negrar. Aperto alla cittadinanza, il convegno è promosso dal dottor Giuseppe Deledda, responsabile della Psicologia clinica del Sacro Cuore Don Calabria, e vedrà, tra gli altri, anche l’intervento della professoressa Fulvia Signani – psicologa, psicoterapeuta e docente di Sociologia di genere all’Università di Ferrara – su “Alla ricerca dei prodomi dimenticati”. “I prodomi sono i segnali di violenza non riscontrabili sul piano fisico e non espressi a parole”, afferma il dottor Deledda. “Manifestazioni di disagio da parte della donna, di chiusura, verso i quali tutti dovremmo sviluppare maggiore sensibilità, ma in particolare gli operatori sanitari che hanno l’opportunità nella riservatezza anche di una semplice visita di andare oltre il puro aspetto clinico. E’ necessario imparare a riconoscerli”.
L’IRCCS di Negrar nel 2017 ha sottoscritto il protocollo “per la segnalazione e la presa in carico urgente di donne vittime di violenza”, insieme a Ulss 9 Scaligera-Distretto Ovest Veronese, i Comuni della stessa zona, e la Clinica Pederzoli di Peschiera. L’obiettivo è quello di “assicurare interventi urgenti di presa in carico e inserimento in strutture protette delle donne vittime di violenza affinché possano determinarsi nella scelta di uscire dalle situazioni di violenza”.
Quest’anno sono già 22 – lo stesso numero dell’intero 2023 – i casi identificati ufficialmente come “violenza di genere” (i sanitari li segnalano attraverso un’apposita scheda) che si sono rivolti al Pronto Soccorso del “Sacro Cuore Don Calabria”. Come spiegherà il dottor Flavio Stefanini, primario, e la dottoressa Paola Riolfi, si tratta di donne di tutte le età, la gran parte di nazionalità italiana, con titoli di studio differenti e appartenenti a tutti i ceti sociali, a dimostrazione che la piaga della violenza è veramente trasversale. In base al protocollo, uno dei primi contatti della vittima è con l’assistente sociale, che ha il compito di attivare la presa in carico, un passaggio molto delicato che sarà illustrato durante il convegno da Francesca Martinelli, assistente sociale dell’IRCCS di Negrar.
La psicologa Benedetta Tesoro porterà invece la sua testimonianza come coordinatrice dell’area donne di casa S. Benedetto- Fondazione Don Calabria per il Sociale, che dispone di due case rifugio. In sei anni le strutture hanno accolto 64 donne con i loro 79 bambini. La dottoressa Tesoro, con le sue collaboratrici, è costantemente impegnata nelle scuole, in parrocchie e nelle associazioni sportive per sensibilizzare le nuove generazioni sulle diverse tipologie di violenza affinché siano viste e riconosciute. La stessa fondamentale attività viene svolta anche dalle associazioni del territorio, di cui parlerà la dottoressa Teresa Zuppini, già direttore della Farmacia Ospedaliera e socia del Soroptimist International di Verona. Il sodalizio – che fa parte della Consulta delle Associazioni femminili – nel corso degli anni ha sviluppato numerosi progetti in favore delle donne in difficoltà. In particolare ha contribuito alla realizzazione delle aule di ascolto protetto per donne e minori vittime di violenza, prima in Tribunale (2013), poi presso il Comando provinciale dei Carabinieri (2020) e infine, lo scorso anno, in Questura.
Il prof. Targher nominato presidente triveneto della SID si conferma tra i ricercatori più influenti del mondo
Per il terzo anno consecutivo il prof. Giovanni Targher, responsabile dell’UOS di Malattie metaboliche dell’IRCCS di Negrar, viene inserito nella prestigiosa lista Highly Cited Researchers che comprende i ricercatori più citati al mondo. Inoltre è stato eletto presidente della Società Italiana di Diabetologia della Sezione Veneto e Trentino Alto Adige.
Il professor Giovanni Targer – responsabile dell’UOS di Malattie Metaboliche dell’IRCCS di Negrar e ordinario di Endocrinologia nel Dipartimento di Medicina dell’Università di Verona – è per il terzo anno consecutivo tra i ricercatori più citati al mondo. Il suo nome infatti compare ancora nella lista degli Highly Cited Researchers, stilata ogni anno da Clarivate, una delle società più accreditate nel fornire servizi basati sull’analisi di dati e informazioni relativi alla ricerca scientifica e accademica.
Un prestigioso riconoscimento al quale è seguita sabato 23 novembre l’elezione a presidente della Società Italiana di Diabetologia (SID) della Sezione Veneto e Trentino Alto Adige per il biennio 2024-2026.
Il professor Targher è stato confermato nell’importante classifica insieme ad altri due ricercatori dell’Ateneo scaligero: Corrado Barbui, docente di Psichiatria e direttore del dipartimento di Neuroscienze, biomedicina e movimento, e Giuseppe Lippi, docente di Biochimica clinica afferente al Dipartimento di Ingegneria per la medicina di innovazione e attuale preside della facoltà di Medicina. Invece Marianna Purgato, docente di Psichiatria nel Dipartimento di Neuroscienze, biomedicina e movimento entra per la prima volta nella classifica.
“Essere identificato per il terzo anno consecutivo tra i ricercatori più influenti al mondo In base alle pubblicazioni scientifiche è un’enorme soddisfazione”, afferma il prof. Targher. “Questo significa che il lavoro di ricerca che con il mio gruppo proseguo da 25 anni sulla relazione fra steatosi epatica (MASLD) e rischio di sviluppare complicanze cardiometaboliche e renali continua a suscitare interesse nella comunità scientifica internazionale. Condivido questo importante traguardo con i miei collaboratori, con l’amministrazione dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria dove sto proseguendo con ottimi risultati la mia attività scientifica e la governance dell’Università di Verona per avermi messo nella condizione poter proseguire i mei studi”.
L'Hospice "Don Luigi Pedrollo", un ambiente familiare dedicato ai pazienti nella fase terminale della malattia
L’Hospice “Don Luigi Pedrollo” è stato studiato per offrire strutturalmente al paziente un’accoglienza residenziale simile a quella familiare. Le 10 stanze, infatti, situate al piano terra, sono dei piccoli appartamenti in cui i pazienti possono portare anche i loro effetti personali. In linea con la funzione propria degli hospice, anche in quello del “Sacro Cuore Don Calabria” il prendersi cura è rivolto non solo al paziente, ma anche ai familiari. Per loro sono stati realizzati spazi comuni, dove possono incontrarsi e nell’eventualità condividere l’esperienza che stanno vivendo. Spazi come la cappella, il soggiorno e anche una tisaneria.
L’Hospice “Don Luigi Pedrollo”, inaugurato lo scorso 6 novembre dal presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, rientra nella Rete di Cure Palliative dell’ULSS 9. Gli hospice sono dedicati ai pazienti – non necessariamente oncologici – in fase terminale di vita, non più responsivi alle terapie convenzionali, ma che necessitano di cure palliative non erogabili a domicilio, cioè di trattamenti per il controllo dei sintomi (in particolare dolore, insufficienza respiratoria e distress psicologico), oltre che un supporto psicologico e spirituale. L’hospice può essere anche una sistemazione temporanea nel caso in cui il caregiver (colui, in genere un familiare, che si prende cura del paziente) sia momentaneamente impossibilitato ad assistere il proprio congiunto a domicilio oppure quando si verifica una stabilizzazione di malattia che permette al paziente di ritornare a casa, dopo un periodo di ricovero nella struttura.
L’accesso all’hospice è gestito dalla COT- Centrale Operativa Territoriale dell’ULSS 9 a cui il medico ospedaliero o di medicina generale invia la richiesta di ricovero. Pertanto possono essere accolti tutti i cittadini del territorio della “Scaligera”, non solo i pazienti dell’IRCCS di Negrar. Alla richiesta di accesso segue una valutazione multidimensionale finalizzata a definire un Piano di assistenza individuale (PAI) per ogni paziente. Il personale che opera nell’hospice è formato da medici, infermieri, psicologici, assistenti sociali e spirituali.
“L’erogazione delle cure palliative richiede competenza e professionalità perché la qualità di vita del paziente è un obiettivo primario quando egli è in fase terminale”, ha sottolineato il dottor Roberto Magarotto, responsabile medico dell’Hospice, oncologo ed esperto di cure palliative. “Questo hospice è il coronamento di un lavoro sulle cure palliative iniziato nel nostro ospedale nel 2007, quando è stata aperta nel reparto di Oncologia medica una sezione (8 letti) dedicata ai pazienti che necessitano di terapie di supporto – ha continuato -. Il lavoro è proseguito nel 2012 con la certificazione da parte di ESMO (European Society for Medical Oncology), rinnovata ogni tre anni, di Centro integrato di Oncologia e Cure palliative, dove integrato significa l’associazione dei trattamenti oncologici attivi alle cure continuative (che nel concreto non differiscono da quelle palliative) affinché il paziente possa affrontare nel miglior modo possibile tutto il percorso di cura. Infine nel 2021 è stato attivato un team intra-ospedaliero di cure palliative per i pazienti pre-terminali e terminali ricoverati in tutti i reparti”.
L’Hospice “Don Luigi Pedrollo” è stato studiato per offrire strutturalmente al paziente un’accoglienza residenziale simile a quella familiare. Le 10 stanze, infatti, situate al piano terra, sono dei piccoli appartamenti in cui i pazienti possono portare anche i loro effetti personali. I monolocali sono dotati di angolo cottura, tavolo da pranzo, servizi igienici privati e divano-letto per la permanenza anche notturna di un’altra persona. In linea con la funzione propria degli hospice, anche in quello del “Sacro Cuore Don Calabria” il prendersi cura è rivolto non solo al paziente, ma anche ai familiari. Per loro sono stati realizzati spazi comuni, dove possono incontrarsi e nell’eventualità condividere l’esperienza che stanno vivendo. Spazi come la cappella, il soggiorno e anche una tisaneria.
Gli ampi locali di degenza sono affacciati tutti verso l’esterno: alcuni danno direttamente sul giardino, mentre i rimanenti godono di un balcone privato, nel rispetto totale della privacy. Come per tutta la Cittadella della Carità, in cui l’Hospice è situato, è stato curato particolarmente il verde all’esterno della struttura, un ampio prato dove sono stati impiantati degli ulivi. Un ulivo è stato collocato anche all’interno del cavedio al centro dell’edificio a pianta quadrata.
Il piano terra, di 1.350 mq, oltre i monolocali, ospita uno studio medico, l’ambulatorio medico e infermieristico, un soggiorno comune, il bagno assistito, la cappella, una sala riunioni e alcuni uffici tra cui quello dell’assistente sociale. Nel seminterrato (1.180 mq) si trovano gli spogliatoi del personale, tre celle del commiato e i vani tecnici.
DON LUIGI PEDROLLO (1888-1986)
Il Servo di Dio Luigi Pedrollo nacque a San Gregorio di Veronella il 31 dicembre 1888. Venne ordinato sacerdote nel 1912 e poco dopo entrò nell’Opera fondata da don Giovanni Calabria. Don Pedrollo fu sempre molto vicino a don Calabria, tanto da diventare il suo vicario e, dopo la morte del Fondatore, il suo primo successore. Sotto la sua guida vennero aperte le prime missioni della Congregazione, inoltre venne costruito l’ospedale geriatrico “Don Calabria” di Negrar.
Morì in concetto di santità il 16 febbraio 1986. Attualmente è in corso la sua causa di canonizzazione.