BRCA1 e BRCA2: anche in Veneto esenzione dal ticket per i portatori sani

Un provvedimento importante che consente di sottoporsi gratuitamente alla sorveglianza intensiva al fine di una diagnosi precoce dei tumori ereditari

Dal primo gennaio 2020, in Veneto, i portatori della mutazione genetica BRCA1 e BRCA2, che comporta un elevato rischio di contrarre una neoplasia – in particolare della mammella e dell’ovaio -, saranno esentati dalla spesa di compartecipazione sanitaria (ticket) al fine di sottoporsi gratuitamente a una forma di screening avanzata. Lo ha deciso la Giunta regionale, su proposta dell’assessore alla Sanità, Manuela Lanzarin, allineando così il Veneto all’Emilia-Romagna, Lombardia, Liguria, Campania, Toscana, Sicilia e Piemonte che avevano già assunto il provvedimento.

I tumori interessati alla mutazione BRCA

Nel 2019, in Italia, sono stimati 53.500 nuovi casi di carcinoma della mammella, il 5-7% è legato a fattori ereditari, il 25% dei quali riferibile a una mutazione BRCA (936). Di 5.300 nuove diagnosi di tumore dell’ovaio stimate nel 2019 nel nostro Paese, il 15% è riconducibile ad alterazioni in questi stessi geni (795). E, nel complesso, fino al 4-5% di tutti i pazienti con carcinoma pancreatico presenta una variante patogenetica di BRCA1 o BRCA2 (675 casi su 13.500 previsti nel 2019). In famiglie con tumori della mammella o dell’ovaio associati a tumori del pancreas, la presenza di mutazione BRCA può arrivare fino al 25%.

Chi deve sottoporsi al test genetico pe rindividuare la mutazione

Il test genetico per l’individuazione delle mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2 viene proposto, anche nel nostro ospedale (vedi articolo; vedi video) e dopo consulenza genetica, alle donne colpite da neoplasia al seno e alle ovaie e agli uomini affetti da cancro mammario con una storia clinica e familiare ben precisa (in genere casi di tumore mammario e/o ovarico in consanguinei in età giovanile). L’esame genetico al momento della diagnosi permette di identificare la mutazione nelle persone malate e di conseguenza di estendere il test ai familiari sani per scoprire se sono portatori della stessa mutazione. In caso di risposta positiva, i familiari possono essere avviati, a seconda delle indicazioni, alla chirurgia profilattica (mastectomia bilaterale o/e l’asportazione chirurgica delle tube e delle ovaie) o alla sorveglianza intensiva.

Test positivo su parenti sani: la sorveglianza intensiva

La sorveglianza intensiva sarà prevista gratuitamente in Veneto dal 1° gennaio 2020 per le donne sane portatrici di BRCA1 e BRCA2 a partire dai 25 anni fino ai 70 e prevede una serie di esami (strumentali ed ematochimici) a cadenza semestrale o annuale in base alla fascia di età di appartenenza. “La sorveglianza intensiva permette la dioreagno si in fase molto precoce di questi tumori, tale da consentire interventi terapeutici risolutivi”, sottolinea la dottoressa Stefania Gori, direttore dell’Oncologia Medica.

Perché fare il test se si è compiti da tumore

“L’individuazione inoltre della mutazione in un paziente di nuova diagnosi condiziona anche la scelta della terapia – continua l’oncologa -. Studi clinici hanno evidenziato che le donne con tumore dell’ovaio portatrici di mutazione BRCA presentano una maggiore sensibilità a combinazioni di chemioterapia contenenti derivati del platino e a terapie mirate che ‘sfruttano’ la mutazione BRCA per potenziare l’efficacia delle cure. Si tratta di molecole che fanno parte della classe dei PARP inibitori, indicate nelle pazienti che hanno risposto alla chemioterapia a base di platino. I PARP inibitori sono efficaci anche nel tumore della mammella in fase metastatica con mutazione BRCA. E per la prima volta nei tumori del pancreas metastatici, insorti in pazienti con mutazioni BRCA, è stato dimostrato un vantaggio in sopravvivenza utilizzando un PARP inebitore.”

Non solo mammella e ovaio

Gli studi sui geni BRCA1 e BRCA2 rappresentano una delle frontiere più avanzate nel campo dell’oncogenetica e la punta di diamante della ‘medicina di precisione’ nella ricerca e sviluppo di nuove terapie personalizzate su base molecolare – conclude Gori -. Da tempo vi sono evidenze sul ruolo dell’alterazione di questi geni nei tumori della mammella e dell’ovaio, e oggi si stanno aprendo prospettive importanti che coinvolgono il carcinoma del pancreas, uno dei più difficili da trattare, e della prostata”.


Il presente e il futuro delle protesi ortopediche

Il dottor Claudio Zorzi, direttore dell’Ortopedia del “Sacro Cuore” in un’intervista al TGR Veneto spiega l’evolversi della chirurgia protesica negli ultimi anni, interventi che interessano sempre di più giovani adulti

Si inizia a fare sport molto presto e si vuole continuare a farlo anche quando, in età adulta, le articolazioni inziano ad essere doloranti. Nel momento in cui la situazione non è più arginabile, grazie alla medicina rigenerativa (come la procedura lipogems), è necessario rivolgersi alla chirurgia protesica che negli ultimi anni, per quando riguarda le tecniche e i materiali utilizzati, ha avuto sviluppi importanti.

Soprattutto nell’ambito della revisione delle protesi, cioè quando diventa necessario, dopo anni, sostituire l’impianto per impoverimento dell’osso interessato. Si tratta di interventi chirurgici complessi, come spiega il dottor Claudio Zorzi, direttore dell’Ortopedia e Traumatologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, in un’intervista al TGR Veneto.

Per l’importante casistica e l’expertice acquisita dai chirurghi ortopedici, la Regione Veneto nelle ultime schede ospedaliere (maggio 2019) ha riconosciuto l’Ospedale di Negrar, centro di riferimento regionale per la revisione di protesi del ginocchio e dell’anca


ERAS: il paziente protagonista del suo percorso chirurgico

Due video illustrano il protocollo applicato da circa un anno a Negrar dalla chirurgia colorettale e che è stato oggetto di una menzione speciale del premio Sham per la prevenzione dei rischi sanitari

Nell’ambito del 14° Forum Risk Management, promosso dal Governo del Rischio Clinico della Regione Toscana, è stata conferita all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria una menzione speciale del premio Sham 2019, per la prevenzione dei rischi sanitari.

Il prestigioso riconoscimento è andato al protocollo ERAS (Enhanced Recovery After Surgery) applicato da circa un anno all’ospedale di Negrar nell’ambito della chirurgia colorettale (oncologica e non), riguardo al quale pubblichiamo un video esplicativo (vedi i video in fondo a questo articolo).

“Best practice” per prevenire i rischi clinici
Il premio Sham – giunto alla quarta edizione – è istituito dall’omonima assicurazione, una delle maggiori a livello europeo, e persegue l’obiettivo di incoraggiare e valorizzare le “best practice” intraprese dalle strutture sanitarie, volte a favorire la prevenzione dei rischi. Al concorso hanno partecipato 122 progetti presentati da 78 ospedali, 62 pubblici e 16 privati. Il riconoscimento è stato conferito a Firenze durante le giornate del Forum (dal 26 al 29 novembre) ed è stato ritirato dal dottor Davide Brunelli, vicedirettore sanitario del “Sacro Cuore Don Calabria” che ha presentato il progetto.

 

Gli obiettivi del protocollo ERAS
Come viene illustrato dal video, i due principali obiettivi del protocollo ERAS sono quelli di diminuire al minimo la risposta dell’organismo allo stress chirurgico e di accelerare il recupero del paziente ottenendo una riduzione delle complicanze post operatorie, una ripresa funzionale precoce e una durata inferiore della degenza con riflessi vantaggiosi anche sui costi sanitari.

 

Il paziente protagonista
L’attuazione del programma ERAS si fonda su due principi. Innanzitutto quello della multidisciplinarietà. L’applicazione del protocollo viene seguita da un gruppo multidisciplinare e multiprofessionale formato da: chirurgo, anestesista, nutrizionista, fisioterapista, farmacista e personale infermieristico. Inoltre esso prevede il paziente come protagonista: fondamentale è l’educazione del paziente nella fase pre-operatoria sul significato del percorso ERAS, sui vantaggi e sugli obiettivi quotidiani.

 

L’APP per aiutare il paziente
Per ottimizzare l’adesione a questo protocollo da parte del paziente, la Chirurgia generale di Negrar, diretta da dottor Giacomo Ruffo, ha creato anche un’APP. una sorta di diario digitale scaricabile da gennaio sullo smartphone, tablet e computer (vedi articolo).

 

I dati dei benefici del protocollo ERAS
Il miglioramento complessivo delle cure offerte al paziente grazie all’applicazione del protocollo ERAS hanno un riscontro oggettivo nei risultati. Dall’ottobre del 2018 all’aprile del 2019 la chirurgia colorettale ha reclutato 98 pazienti, 45 dei quali hanno aderito al 75% delle “raccomandazioni” (item) del protocollo. In questi pazienti la percentuale di complicanze post operatorie è risultata inferiore della metà rispetto al gruppo di pazienti che ha rispettato meno del 75% degli item. Nei 45 pazienti si è inoltre registrata una riduzione della degenza post operatoria di 4 giorni.

 

Nel video il percorso ERAS nella fasi pre-operatoria, intra-operatorìa e post-operatoria, spiegate dai clinici e dai farmacisti.


Viaggi e malattie tropicali: dalla prevenzione alla ricerca all'IRCCS di Negrar

Nel servizio di Medicina33 del Tg2, il dottor Andrea Angheben e la dottoressa Francesca Perandin presentano le peculiarità del Dipartimento di Malattie infettive e tropicali, diretto dal professor Zeno Bisoffi

Il Dipartimento di Malattie infettive e tropicali dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretto dal professor Zeno Bisoffi, si differenzia dalle altre realtà italiane in quanto accanto a un reparto di degenza è stato istituito un Laboratorio di Biologia Molecolare per lo studio del DNA di virus e parassiti. Quello di Negrar è stato il primo laboratorio in Italia ad introdurre la biologia molecolare per le parassitosi, al fine di fornire metodi diagnostici da applicare nella attività clinica sui pazienti.A “Medicina33”, la trasmissione di salute e benessere del Tg2, il dottor Andrea Angheben, resposabile del reparto di Malattie infettive e tropicali, e la dottoressa Francesca Perandin, responsabile dell’UOS di Microbiologia e SAELMIT, presentano le attività del Dipartimento, soffermandosi su cosa fare prima di un viaggio ai tropici e anche dopo se al rientro subentrano dei sintomi.


In volo come in sala operatoria: a lezione da una freccia tricolore

Il comandante Gianluigi Zanovello al “Sacro Cuore” per alcuni corsi sulle non technical skills, le capacità non professionali fondamentali per affrontare un’emergenza e rimediare all’errore umano.

Che ci azzecca un ex pilota dell’Aeronautica Militare e Civile con un gruppo di medici, infermieri e ostetriche? Ci azzecca, eccome. L’ex pilota in causa è il comandante Gianluigi Zanovello. Membro dell’Aviazione Militare con esperienza pluriennale su veicoli ed elicotteri, ha fatto parte (per dieci anni) della pattuglia delle Frecce Tricolori occupando varie posizioni tra le quali leader della formazione in volo e comandante dell’intero gruppo. Prima di “riporre le ali”, ha volato fino al 2018 per una compagnia aerea civile. Oggi la sua prima occupazione– come cofondatore di Umaniversitas Academy – è quella di insegnare in ambiti del tutto estranei al suo, le “non technical skills”, cioè le capacità che non riguardano strettamente la professione, ma sono trasversali a molti e fondamentali per affrontare in modo efficace le emergenze, ponendo rimedio all’errore umano, sempre in agguato, mai eliminabile del tutto.

 

Una di queste lezioni si è svolta nelle scorse settimane all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria nell’ambito di un corso di formazione promosso dall’Unità Operativa Complessa di Ginecologia ed Ostetrica, diretta dal dottor Marcello Ceccaroni. Il corso sarà ripetuto giovedì 12 e venerdì 13 dicembre, rivolto principalmente al personale del reparto con la partecipazione anche di alcuni anestesisti.

 

I piloti e i medici hanno più punti in comune di quanto si possa pensare.Entrambi abbiamo in ‘affido’ la vita delle persone, a volte in situazioni di emergenza, e il tasso di incidenti dovuto ad errore umano degli equipaggi è lo stesso individuato nei team medici: l’80% “, spiega la dottoressa Silvia Baggio, ginecologa dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. “Tuttavia in aeronautica l’errore umano per ovvie ragioni ha risultati catastrofici e conseguenze dirette sulla sopravvivenza dello stesso equipaggio. Quindi i piloti per primi hanno sentito la necessità di mettere a punto quelle procedure che aiutano innanzitutto la ‘squadra’ a prevenire l’errore e quindi a creare la cultura della sicurezza. E in secondo luogo ad agire sotto il peso dell’emergenza per rimediare all’errore commesso o affrontare l’imprevisto” sottolinea la ginecologa. Tali procedure hanno migliorato nettamente la sicurezza del volo.
Per questo, visti i successi in campo aeronautico, alcune grandi Organizzazioni come l’OMS o Università (Aberdeen, Harvard e Manchester) hanno pensato di trasferire questa nuova cultura alla Sanità.

 

 

Ma quali sono queste non technical skills? “Innanzitutto la consapevolezza della situazione (Situation Awareness)“, risponde Emanuela Bonifacio, caposala della Ginecologia ed ostetricia. “Capire esattamente cosa sta succedendo, focalizzare i punti critici e in base a questi scegliere a chi chiedere supporto”. Alla Situation Awareness si affiancano la Decision Making, cioè la capacità decisionale, la Leadership, la Communication and Teamwork, e la Task Management.

 

 

“Il lavoro di squadra – da sempre promosso da questa unità, in particolare dal direttore dottor Marcello Ceccaroni – assieme alla capacità comunicativa e una leadership oculata ed attenta (non sempre identificabile con la persona di grado più alto) sono considerate la più efficace risposta a quelle situazioni nelle quali lo stress e la velocità di esecuzione obbligata rappresentano una minaccia importante per la sicurezza del paziente”, sottolinea Baggio. Un esempio in ostetricia sono i tagli cesarei di urgenza e l’emorragie post partum.

 

 

Fondamentali per l’apprendimento delle no technical skills sono le simulazioni di casi reali, che verranno effettuate durante i corsi di formazione a Negrar sotto la guida del comandante Zanovello. “Le simulazioni prevedono anche la gestione di elementi esterni all’emergenza che possono essere i parenti della donna o anche un elemento del team che entra in contrasto con il leader mettendo a rischio l’efficacia dell’azione che si sta svolgendo”. conclude la dottoressa Baggio.


Tumore della prostata: l'importanza di un team di specialisti

L’approccio multidisciplinare consente di costruire per il paziente affetto da tumore alla prostata un percorso terapeutico personalizzato: in un convegno a Negrar si farà il punto sulle cure della neoplasia più diffusa tra il sesso maschile

Un uomo su nove nel corso della sua vita si ammala di tumore alla prostata. Questo fa sì che la neoplasia prostatica sia il tumore più diffuso tra il sesso maschile con 37mila nuove diagnosi previste nel 2019. Tuttavia è anche uno dei tumori che ha un indice di sopravvivenza più alto: dopo 5 e 10 anni anni è pari rispettivamente al 92% e al 90%. Un risultato ottenuto grazie alla diagnosi precoce e al progresso delle terapie mediche, chirurgiche e radioterapiche.

Trattamenti che entrano in gioco – da soli o in combinazione – a seconda dell’estensione anatomica e dell’aggressività della neoplasia. A cui si aggiungono altri fattori prognostici quali l’età e la presenza di altre malattie che possono diminuire l’aspettativa di vita in maniera superiore al carcinoma prostatico stesso. Per questo è fondamentale che il paziente venga preso in carico da un team multidisciplinare che valuti attentamente il suo caso e prescriva un trattamento personalizzato.

Al team multidisciplinare nel carcinoma alla prostata è dedicato il secondo convegno nazionale che si terrà venerdì 6 e sabato 7 dicembre nella sala convegni dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Il simposio scientifico – patrocinato da AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e da AIRO (Associazione Italiana di Radioterapia e Oncologia Clinica) – è coordinato da tre primari di Negrar: la dottoressa Stefania Gori, dell’Oncologia Medica, dal professor Filippo Alongi, della Radioterapia Oncologica Avanzata, e dal dottor Stefano Cavalleri, dell’Urologia. Il convegno vede la presenza di oncologi, urologi, radioterapisti, anatomo-patologi e altri specialisti interessati al tumore alla prostata (endocrinologi, andrologi, internisti, cardiologi..) provenienti dalla maggiori strutture ospedaliere italiane (vedi programma).

Il “Sacro Cuore Don Calabria” è un centro di riferimento per il tumore alla prostata con 263 casi solo chirurgici nel 2018. Il paziente viene preso in carico dalla diagnosi, al trattamento fino alla riabilitazione, potendo usufruire di alte professionalità e di tecnologie di ultima generazione come il robot chirurgico Da Vinci Xi e l’acceleratore lineare “Unity“. Inoltre la radiologia esegue la biopsia prostatica in sede di Risonanza Magnetica e presso il Servizio di Terapia Radiometabolica vengono effettuati trattamenti con il radiofarmaco Xofigo per la cura delle metastasi ossee da carcinoma prostatico.

Oggi possediamo molte armi terapeutiche per combattere il tumore prostatico e la ricerca è sempre in evoluzione su questo ambito – spiega la dottoressa Gori -. Rimane fondamentale tuttavia costruire un percorso terapeutico personalizzato per ogni paziente e collaborare all’interno del team multidisciplinare anche con l’endocrinologo e il cardiologo. Infatti in una sessione del congresso, intitolata “Prendersi cura del paziente”, interverranno due endocrinologi-andrologi che affronteranno il tema dell’impotenza nel paziente con carcinoma alla prostata, mentre un cardiologo parlerà della cardiotossicità come effetto della terapia ormonale.La sessione sarà moderata da Edoardo Fiorini, presidente dell’associazione dei pazienti PaLiNUro”.

 

Dottoressa Gori, oltre alla terapia medica, chirurgica e radioterapica, si parla anche di ‘sorveglianza attiva’. In cosa consiste e per quali pazienti è indicata?

La diagnosi precoce di un tumore in fase iniziale può significare per le neoplasie a rischio basso/molto basso (cioè limitate alla prostata, ben differenziate, con un minimo volume tumorale e a bassi valori di PSA) e in uomini con aspettativa di vita superiore a 10 anni, scegliere tra la chirurgia, la radioterapia o la sorveglianza attiva. Con questo termine s’intende il monitoraggio del decorso della patologia per intervenire nel caso di progressione tumorale. Di solito si prevede la valutazione del PSA ogni 3-6 mesi, l’esplorazione rettale ogni 6-12 mesi ed eventualmente il ricorso a biopsie addizionali. L’obiettivo degli oncologi, ma anche dei chirurghi urologi e dei radioterapisti è quello di procrastinare il trattamento chirurgico o radioterapico per evitare gli effetti collaterali conseguenti. Naturalmente la scelta della sorveglianza attiva va comunque ampiamente condivisa con il paziente che dovrà essere informato sui rischi e sui benefici”.

 

Nella malattia metastatica, quali terapie abbiamo a disposizione?

Oltre all’ormonoterapia, cioè la soppressione della produzione degli ormoni androgeni, che rappresenta il trattamento di prima scelta consentendo solitamente di ottenere un controllo della malattia per un tempo compreso tra i 18 e i 24 mesi, oggi sono disponibili la chemioterapia e l’ormonoterapia alternativa. Non dimenticando nel caso delle metastasi ossee, i farmaci che inibiscono l’eccessivo riassorbimento osseo e il conseguente danno scheletrico (con dolore e fratture patologiche) la radioterapia e la terapia radiometabolica”.

 

Dal 2015 il Servizio di Medicina Nucleare dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretta dal dottor Matteo Salgarello, effettua trattamenti con il radiofarmaco Xofigo. Questo radiofarmaco oltre ad avere un’azione sulla sintomatologia dolorosa, ha dimostrato di aumentare la sopravvivenza dei pazienti trattati e di avere un ottimo profilo di tollerabilità rispetto ai trattamenti radiometabolici del passato.

 

Dottor Cavalleri, l’intervento di prostatectomia è ancora visto con molto timore da parte dei pazienti per le eventuali sequele temporanee o permanenti (incontinenza urinarie e disfunzione erettile). Ci sono delle novità in proposito?

“La prostatectomia radicale è un intervento che prevede l’asportazione della prostata, dei tessuti vicini e dei linfonodi regionali al fine di prevenire eventuali recidive, pertanto il rischio di un interessamento dei nervi dell’apparato uro-genitale non è inconsistente. In un centro ad alto volume come il nostro grazie all’elevato expertise dei chirurghi urologi e all’utilizzo del Robot Da Vinci la chirurgia della prostata è solo mini-invasiva. Tale metodica, quando è possibile praticarla, aumenta la possibilità di preservare una normale funzione urinaria e sessuale dopo l’intervento. L’importante è che dopo l’intervento eseguire un trattamento di fisioterapia per la riabilitazione del pavimento pelvico”.

 

Professor Alongi, la radioterapia ha un ruolo chiave nella cura dei tumore alla prostataSicuramente, anche grazie all’avvento di apparecchiature che consentono di irradiare con alte dosi ed estrema precisione il tumore risparmiando i tessuti sani.

Questo si traduce per il paziente in maggiore efficacia e minori effetti collaterali. Un esempio di questi macchinari è “Unity”, l’acceleratore lineare integrato con la Risonanza Magnetica ad alto campo (1,5 tesla), che nell’Europa del Sud (vedi articolo) dispone solo l’ospedale di Negrar. In pazienti con tumore localizzato alla prostata, la radioterapia oggi rappresenta un’alternativa non invasiva all’intervento chirurgico radicale. Inoltre a radioterapia ha un ruolo importante anche in altri stadi della malattia tumorale a scopo adiuvante, cioè dopo l’intervento chirurgico, e anche in presenza di metastasi, per controllare sia i sintomi sia la malattia insieme ai farmaci. In particolare in questo ambito, come avviene per casi selezionati di singole o poche metastasi nelle sedi linfonodali o ossee, la radioterapia ablativa stereotassica può contribuire ad aumentare la sopravvivenza”.


Radioterapia Oncologica Avanzata IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar

Radioterapia: risultati incoraggianti per i primi trattamenti con "Elekta Unity"

Radioterapia Oncologica Avanzata IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar

Nel servizio di “Medicina33” del Tg2, il professor Filippo Alongi spiega l’innovativo macchinario Elekta Unity e i risultati raggiunti con i primi cicli di terapie sui pazienti

Sono cinque i trattamenti già conclusi con “Elekta Unity”, il sistema di radioterapia oncologica di massima precisione avviato per la prima volta in Sud Europa dall’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Nel servizio di “Medicina33, la rubrica di salute del TG2, andato in onda giovedì 28 novembre, il professor Filippo Alongi, spiega le grandi potenzialità del macchinario ibrido, composto da un acceleratore lineare e da una risonanza magnetica ad alto campo (1,5 Tesla), la stessa usato a scopo diagnostico (vedi servizio televisivo).

 

 

Con il professor Alongi, direttore della Radioterapia Oncologica Avanzata e associato all’Università di Brescia, la testimonianza del primo paziente trattato, affetto da tumore alla prostata. Dopo tre settimane dalle 5 sedute giornaliere di radioterapia effettuate, al signor Furlan è stato comunicato che i valori del PSA nel sangue si sono dimezzati. Gli altri trattamenti conclusi riguardano altri 3 pazienti colpiti da tumore alla prostata e altri due ai linfonodi addominali. Sono in corso nuovi cicli radioterapici con “Unity”.

 

 

Dopo un’attenta valutazione multidisciplinare- spiega il prof. Alongi-, abbiamo proposto a signor Furlani ppiù opzioni: sorveglianza attiva, intervento con il robot chirurgico o trattamento radioterapico radicale. Il paziente, alla luce della non invasività della cura radioterapica e della tecnologia ad alta precisione proposta, ha deciso di essere trattato con radiazioni. Il trattamento è stato effettuato in 5 sedute giornaliere contro le 6-7 necessarie nei trattamenti tradizionali”.

 

Per garantire ancora maggiore precisione, al paziente sottoposto al trattamento prostatico è stato precedentemente introdotto un gel spaziatore che è andato a posizionarsi tra la prostata e il retto, distanziandolo. “Il gel spaziatore è perfettamente visibile nelle immagini fornite dalla Risonanza Magnetica e si riassorbe alcune settimane dopo la fine del trattamento. In questo modo il retto viene protetto dalle alte dosi di radiazioni e dalle possibili sequele, mentre la vicina prostata riceve la dose efficace per neutralizzare il tumore”, sottolinea Alongi.

 

 

Una possibile soluzione alternativa all’intervento chirurgico

Sono circa 37mila all’anno le nuove diagnosi di tumore alla prostata, il cancro più diffuso nel sesso maschile. L’intervento chirurgico è il trattamento più praticato, ma nonostante l’utilizzo di metodiche chirurgiche robotiche mini-invasive, permane, anche se ridotto rispetto al passato, il rischio di incorrere in conseguenze – temporanee o permanenti – come l’incontinenza vescicale e la disfunzione erettile, che alcune volte incidono pesantemente sulla qualità di vita del paziente.

“Anche con i precedenti sistemi eravamo già in grado di effettuare una Radioterapia Stereotassica Corporea (SBRT-Stereotactic Body Radiation Terapy) capace di ottenere la necrosi del tumore utilizzando un’elevata dose di radiazioni – prosegue il professor Alongi -. Ora con “Elekta Unity” effettuiamo tutto questo con ancora maggior precisione. La Risonanza Magnetica incorporata mette a disposizione del radioterapista oncologo immagini di altissima qualità e definizione che lo guidano nella scelta in tempo reale del piano terapeutico al fine di offrire un trattamento efficace e personalizzato al paziente. In casi selezionati, in diversi distretti corporei, la Radioterapia sostituisce la chirurgia (infatti si parla anche di Radiochirurgia se effettuata in singola seduta) in modo completamente non invasivo, indolore e senza effetti collaterali importanti».

 

 

La Risonanza Magnetica: immagini ad altissima definizione senza ulteriori radiazioni

La ripetizione della RM ad alto campo a ogni seduta (giornaliera) e in corso di trattamento è totalmente sicura per il paziente, in quanto non è soggetto a radiazioni ionizzanti (raggi X) come avviene per la TC o altre metodiche radiologiche usate per produrre immagini che facciano da guida al trattamento. Ricordiamo infatti che la Risonanza Magnetica utilizza campi magnetici e non radiazioni ionizzanti.

Non solo prostata

Il sistema Elekta Unity è applicabile sui tumori di diversi distretti anatomici. “Il vantaggio maggiore è soprattutto per la radioterapia dei tessuti molli, in particolare degli organi addominali quali pancreas, fegato, linfonodi e prostata, le cui lesioni tumorali, con i sistemi tradizionali, sono spesso non del tutto distinguibili rispetto ai tessuti sani da escludere dalle radiazioni», precisa lo specialista.


Poveri Servi della Divina Provvidenza

Verso il Capitolo dei Poveri Servi: incontro con il cardinale Zuppi

Poveri Servi della Divina Provvidenza

L’arcivescovo di Bologna martedì 26 novembre è a San Zeno in Monte per parlare di “Don Calabria profeta di comunione”. L’evento si svolge in occasione del 112° anniversario di fondazione dell’Opera calabriana ed è in preparazione al Capitolo Generale 2020

Sarà il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, il relatore d’eccezione per la 99ma Giornata di Studi Calabriani in programma martedì 26 novembre alle ore 18 a San Zeno in Monte, presso la Casa Madre dell’Opera Don Calabria.

Il neo cardinale, creato da Papa Francesco lo scorso 5 ottobre insieme, tra gli altri, al veronese dell’Opera Don Calabria monsignor Eugenio Dal Corso, affronterà il tema “Don Giovanni Calabria profeta di comunione”. Sarà anche l’occasione per celebrare i 112 anni dalla fondazione dell’Opera Don Calabria, che avvenne il 26 novembre 1907 quando i primi Buoni Fanciulli di don Calabria andarono ad abitare in una piccola casa di Vicolo Case Rotte, vicino a San Giovanni in Valle.

L’evento è organizzato dal Centro di Cultura e Spiritualità Calabriana e si colloca nel cammino di preparazione al XII Capitolo generale della Congregazione fondata dal santo veronese, che si svolgerà a maggio 2020 e sarà dedicato proprio al tema della comunione. L’ingresso è libero e aperto a tutti.

S. Em. il Cardinale Matteo Zuppi, 64 anni, è stato nominato vescovo nel 2012 da Papa Benedetto XVI e dal 2015 guida l’arcidiocesi di Bologna. Ha conosciuto l’Opera Don Calabria durante gli anni trascorsi a Roma nel lavoro pastorale in diocesi e nel 2017 era già stato a San Zeno in Monte su invito della Congregazione per celebrare la festa liturgica di San Giovanni Calabria, l’8 ottobre di quell’anno.


Giacomo Ruffo direttore della Chirurgia generale IRCCS Sacro Cuore Don Calabria presenta l'APP per la chirurgia colorettale

Nasce un'APP per il paziente sottoposto a chirurgia colorettale

Giacomo Ruffo direttore della Chirurgia generale IRCCS Sacro Cuore Don Calabria presenta l'APP per la chirurgia colorettale

L’applicazione digitale è stata realizzata dalla Chirurgia generale e presentata dal direttore Giacomo Ruffo durante il convegno nazionale sulla chirurgia del tumore al retto che si è tenuto a Verona.

 

Un’App che aiuta il paziente ad affrontare l’intervento chirurgico nelle migliori condizioni fisiche e lo supporta, in diretto contatto con il medico, prima del ricovero e dopo la dimissione. A realizzarla, nell’ambito della chirurgia colo-rettale, è la Chirurgia Generale dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretta dal dottor Giacomo Ruffo (vedi video-intervista in fondo a questo articolo).

L’applicazione digitale è stata presentata nel corso del congresso nazionale sulla chirurgia del tumore del retto che si è tenuto oggi presso il Palazzo della Gran Guardia a Verona.

Il meeting scientifico, giunto alla quarta edizione e organizzato dal dottor Ruffo, ha avuto tra i temi principali la qualità di vita del paziente sottoposto a chirurgia per tumore del retto. Si tratta di una delle neoplasie più diffuse nei Paesi Occidentali: nel 2019 sono previste in Italia 15mila nuove diagnosi, 1.200 nel Veneto, 200 quelle stimate nella provincia di Verona.

Nonostante l’approccio chirurgico mini-invasivo (chirurgia laparoscopica e robotica) si sia, ormai da alcuni anni, imposto come la metodica più efficace e conservativa per il trattamento di questa neoplasia, persiste un tasso di sequele funzionali relative ad alterazioni della sfera sessuale, urologica e relative alla continenza.

Su questo tema si sono confrontati i maggiori specialisti italiani e personalità di rilievo internazionale. Tra questi Cobi Reisman, presidente della Società europea di sessuologia, e Anthony Antoniou e Joannis Constantinides del St’s Marks Academic Institute di Londra, realtà di riferimento mondiale per la chirurgia del retto.

L’App “Colorectal Digital Checklist”, che sarà scaricabile da ogni piattaforma digitale a partire da gennaio, è uno strumento digitale che aiuta il paziente ad aderire in maniera ottimale al protocollo ERAS (Enhanced Recovery After Surgery) che ha come obiettivo principale il miglioramento del recupero dopo la chirurgia accelerando la ripresa post-operatoria e riducendo le complicanze cliniche.

Il protocollo ERAS è stato introdotto a Negrar da circa un anno per quanto riguarda la chirurgia colo-rettale. Ogni anno la Chirurgia Generale di Negrar effettua 500 interventi di resezione intestinale, dovuta a tumori del colon retto, malattie infiammatorie croniche dell’intestino, endometriosi. Il protocollo sarà esteso a breve anche alla chirurgia ginecologica, urologica e toracica. Il protocollo viene applicato grazie alla collaborazione di un team multidisciplinare e composto da chirurgo generale, anestesista, farmacista ospedaliero, dietista, fisioterapista e personale infermieristico. L’anestesista in particolare ha un ruolo fondamentale sia nella fase intra-operatoria sia in quella post-operatoria per la gestione del controllo del dolore.

 

Che cos’è l’APP

L’App “Colorectal Digital Checklist” – applicazione per smartphone, tablet e computer, dotata di tutti i dispositivi per la protezione dei dati – è una sorta di diario digitale che assume una funzione sia nella fase pre-operatoria sia in quella post-operatoria.

Prima dell’intervento

Nel periodo pre-operatorio l’applicazione fornisce una serie di informazioni per l’educazione del paziente e ricorda quotidianamente (mediante una notifica) gli obiettivi da raggiungere. Il paziente viene educato attraverso informazioni utili sul regime alimentare da seguire, sul significato e sulla modalità di assunzione di alcuni integratori e sulle modalità di ottimizzare lo stato fisico pre-operatorio attraverso alcuni esercizi aerobici e non, che vengono spiegati attraverso immagini e video. Il paziente quindi compilerà l’adesione o meno ai vari obiettivi giornalieri con la possibilità di riportare eventuali problematiche e invierà il tutto al medico.

Durante la degenza

Nella fase post-operatoria, durante la degenza ospedaliera, il paziente viene educato all’utilizzo quotidiano dell’APP per riportare una serie di parametri che andranno monitorati anche dopo la dimissione.

 

Dopo le dimissioni

Una volta a casa il paziente compila quotidianamente il questionario relativo a specifici parametri (presenza di febbre, controllo del dolore, validità dell’alimentazione e modalità di canalizzazione) e lo invia al medico. In caso di parametri anomali il paziente sarà contattato direttamente dal medico. Il paziente in caso di dubbi può scrivere tramite l’applicazione al medico, il quale viene allertato tramite una nodifica. Una volta accertato dal medico un ottimale stato post operatorio, il paziente esce dall’applicazione e tutti i dati vengono trasferiti sulla cartella clinica elettronica in totale sicurezza. Di solito questo avviene in concomitanza con il controllo post operatorio, dopo cinque giorni.

foto di copertina: il dottor Giacomo Ruffo, direttore della Chirurgia generale

Nella PhotoGallery alcune delle immagini del congresso e la presentazione della App

1. Mario Piccinini, amministratore delegato dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria

2. Carlo Sartori, medico chirurgo a Negrar e presidente onorario del Congresso

3. Nicolò De Manzini, direttore della Chirurgia generale dell’AOU di Trieste

4-7 Il dottor Ruffo presenta la APP

8. Il Congresso dall’alto

9. Il dottor Ruffo con i giornalisti

10. Cobi Reisman, presidente della Società europea di Sessuologia


Quali sono i fattori di rischio dei tumori?

Ecco i principali fattori di rischio delle malattie tumorali, ma è bene ricordare che la malattia neoplastica è per definizione a “genesi multifattoriale”, esiste quindi un concorso di cause che la determinano.

 

Le cause note delle alterazioni del DNA nella genesi del cancro sono di vari ordini: si ipotizza cause di tipo ambientale, genetiche, infettive, legate agli stili di vita e fattori causali.

Negli Usa (fonte American Association For Cancer Reasearch) il fumo di tabacco da solo è responsabile del 33% delle neoplasie;

un altro 33% è legato ai cosiddetti stili di vita (dieta, sovrappeso, abuso di alcol e inattività fisica).

I fattori occupazionali sono causa del 5% delle neoplasie.

Le infezioni sono responsabili di circa l’8% dei tumori (Papilloma virus 16-18 per cervice uterina, Epstein-Barr per lesioni linfoproliferative e del cavo orale, Herpes-virus 8 per sarcoma di Kaposi e linfomi; Helicobacter pylori per carcinoma dello stomaco e linfoma MALT, virus dell’epatite B e C per carcinoma epatocellulare). Le infezioni parassitarie da Trematodi sono chiamate in causa per il colangiocarcinoma e quelle di Schistosoma per carcinoma alla vescica.

Le radiazioni ionizzanti e l’esposizione ai raggi UVA sono responsabili del 2% dei tumori e l’inquinamento ambientale contribuisce per un altro 2%.

L’ereditarietà ha un’incidenza molto bassa nella genesi tumorale: meno del 2% della popolazione è portatrice di mutazioni con sindromi ereditarie di rischio neoplastico. Noti sono i geni BRCA1 e 2 che aumentano il rischio di cancro alla mammella e all’ovaio; PALB 2 e MSH2 e MLH1 per tumori del colon-retto non poliposici (HNPCC).

La lista dei fattori di rischio chiamati in causa nell’eziologia dei tumori è molto ampia e in continua evoluzione: non è facile determinare un singola fattore di rischio associato a una sola sede tumorale perché la malattia neoplastica è per definizione a “genesi multifattoriale”. Esiste quindi un concorso di fattori di rischio che si sommano e si moltiplicano nel determinare la malattia. A questi va ad aggiungersi le capacità di reazione dell’organismo sia con meccanismi di difesa immunitaria sia come processi di riparazione del DNA.

(Fonte: I numeri del cancro in Italia 2019, versione per pazienti e cittadini a cura della Fondazione AIOM), presieduta dalla dottoressa Stefania Gori