Indagini e trattamenti mirati per l'ipertensione

All’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria è attivo un ambulatorio dedicato e gestito dalla Medicina Generale che indaga le cause dell’ipertensione offrendo un trattamento personalizzato in base all’anamnesi e allo studio completo del paziente

E’ uno dei fattori di rischio più diffusi, e se non curata può portare a conseguenze anche gravi a carico dell’apparato cardiovascolare, dell’encefalo, del sistema renale e visivo.

Stiamo parlando dell‘ipertensione arteriosa a cui, da circa 20 anni, l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria riserva un ambulatorio specialistico.

Se all’inizio era dedicato ai pazienti ipertesi (sistolica e diastolica rispettivamente superiori a 140 e 90) che venivano ricoverati, anche per altre patologie, e dimessi dalla Medicina Generale, con gli anni l‘ambulatorio, sempre tenuto dai medici del reparto di Medicina Generale, è stato aperto anche ai pazienti esterni, inviati dal territorio, o dal Pronto Soccorso, o da altri specialisti dell’ospedale.

L’obiettivo è di offrire un trattamento personalizzato, in base a un’anamnesi e uno studio completo del paziente”, sottolinea il dottor Guido Arcaro, direttore della Medicina Generale.

La prima visita avviene presso l’ambulatorio divisionale dedicato. Ulteriori accertamenti possono essere invece effettuati in reparto. “Oltre al monitoraggio delle 24 ore della pressione – prosegue il medico – in reparto è possibile effettuare l’ecocolordoppler cardiaco, l’ecografia vascolare, l’Holter cardiaco, esami che ci consentono di eseguire una buona parte della ricerca del danno d’organo e di effettuare studi di fisiopatologia dell’ipertensione”.

Proprio l’ipertensione arteriosa nei suoi aspetti fisiopatologici e di studio delle complicanze cardio-vascolari è oggetto da anni dell’attività scientifica dell’Unità Operativa Complessa di Medicina Generale, in collaborazione con altri reparti dell’Ospedale e con Centri italiani ed esteri, studi che hanno dato vita a numerose pubblicazioni su riviste scientifiche.

La decisione di intraprendere una terapia antiipertensiva – spiega il dottor Luca Scala, che assieme ai dottori Filippo Valbusa e Davide Agnoletti condivide la gestione dell’ambulatorio per l’ipertensione – si base sull’entità dei valori pressori, ma anche sulla presenza o meno di un danno agli organi bersaglio (cuore, arterie, occhio, rene), e dal risultato dello screening di altri fattori di rischio cardiovascolare, come diabete, ipercolesterolemia…“.

Circa il 95% degli ipertesi soffre di un’ipertensione essenziale, sostanzialmente su base genetica. L’altra piccola percentuale è affetta da ipertensione secondaria, generalmente dovuta ad un malfunzionamento ghiandolare (tiroide, surrene), che se curato comporta un miglioramento netto dei valori pressori. L’ipertensione essenziale, invece, viene trattata con i farmaci specifici, accompagnati da modificazioni di stile di vita.

L’ipertensione può essere asintomatica – riprende il dottor Valbusa – o i sintomi avvertiti dal paziente possono non essere specifici: come alterazioni della vista, ‘cerchio alla testa’, stanchezza e affaticabilità. Tra i fattori che influenzano in modo determinante i valori pressori, va ricordata una diretta proporzione tra peso corporeo ed ipertensione. Inoltre una dieta ricca di sodio favorisce la pressione alta in quanto comporta ritenzione di liquidi. Un fattore di rischio è anche la vita sedentaria: un’attività aerobica costante aiuta a mantenere la pressione nei giusti limiti”.

Altro capitolo importante è l’ipertensione in gravidanza. “In collaborazione con i colleghi ginecologi – spiega il dottor Scala – seguiamo, ambulatorialmente o direttamente nel reparto di Ginecologia ed Ostetricia, le donne in gravidanza che già soffrivano di pressione alta o con ipertensione insorta durate la gravidanza stessa. La presa in carico continua anche dopo il parto, e durante il periodo di allattamento. Sappiamo quanto sia importante monitorare la pressione durante la gestazione per prevenire l’insorgenza di preeclampsia, pericolosa sia per la vita della mamma che del nascituro”.

L’ambulatorio per l’ipertensione arteriosa è collocato nell’area dei Poliambulatori di Casa Nogarè e si tiene ogni giovedì. Per informazioni e prenotazioni (con impegnativa): 045.6013257.

elena.zuppini@sacrocuore.it

(Nella foto: da sinistra il dottori Luca Scala, Filippo Valbusa, Davide Agnoletti e Guido Arcaro)


Al "Sacro Cuore" il test genetico per la prevenzione dei tumori ereditari femminili

L’Anatomia Patologica effettua il test, dopo consulenza genetica, per la ricerca delle mutazioni a carico dei due principali geni coinvolti nelle forme ereditarie dei tumori al seno e alle ovaie, BRCA1 e BRCA2: un potente strumento preventivo

L’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar offre un ulteriore servizio alle donne affette da tumore al seno e all’ovaio. Recentemente l’Anatomia Patologica ha avviato il test per la ricerca delle mutazioni a carico dei due principali geni coinvolti nell’ereditarietà dei tumori al seno e alle ovaie, BRCA1 e BRCA2, che il grande pubblico ha imparato a conoscere dopo la vicenda di Angelina Jolie.

 

L’attrice americana avendo scoperto di essere portatrice di questa mutazione, si è sottoposta all’asportazione delle tube e delle ovaie e a mastectomia bilaterale, pur essendo sana, per ridurre drasticamente il rischio di ammalarsi di cancro in quelle sedi come è avvenuto per alcune donne della sua famiglia (vedi anche articolo).

 

Infatti per le donne portatrici di una mutazione ereditaria dei geni BRCA1 e/o BRCA2, il rischio di ammalarsi di carcinoma mammario durante la vita è del 50-80%, e del 20-40% per il carcinoma ovarico a seconda dei casi.

 

Da circa due anni all’ospedale di Negrar è attivo un Servizio di consulenza genetica in oncologia che identifica le pazienti e le donne ad aumentato rischio di mutazione, ma fino allo scorso aprile l’esame genetico del campione di sangue delle donne con sospetta mutazione veniva effettuata all’Istituto Oncologico Veneto di Padova.

 

“Con l’acquisizione di tecnologie di sequenziamento del DNA di nuova generazione (definite Next Generation Sequencing-NGS) ora il test viene realizzato in ospedale – sottolinea il professor Giuseppe Zamboni (nella foto con l’équipe), direttore dell’Anatomia Patologica -. Offriamo così alle pazienti la possibilità di conoscere il risultato in poche settimane. Un vantaggio che permette così di pianificare in breve tempo con il medico di riferimento il percorso più adeguato (terapeutico o preventivo) e di estendere l’indagine genetica anche alle parenti più prossime” (per ogni informazione numero verde del Cancer Care Center 800143143).

 

Ma per chi è indicato questo test?

Solo il 5-10% delle neoplasie al seno sono di carattere ereditario. Di queste il 50% presenta una mutazione dei geni BRCA1 e BRCA2. I tumori ovarici ereditari sono circa il 10-20% e la maggior parte di essi presenta questa mutazione genetica.

“Di fronte a queste statistiche non avrebbe senso sottoporre l’intera popolazione femminile al test – sottolinea il professor Zamboni -. Diventa invece importantissimo offrire l’esame a tutte le donne che appartengono per storia familiare e personale a categorie ad elevato rischio, in quanto esso rappresenta un potentissimo strumento di prevenzione. Scoprire che una donna è mutata significa anche iniziare un attento controllo nelle sue figlie, sorelle e nipoti e permettere quindi in queste una diagnosi precoce di tumore mammario oppure evitar loro, con adeguati interventi chirurgici, di ammalarsi di carcinoma ovarico”.

 

Ma quali donne appartengono alle categorie a rischio?

Nelle pazienti con diagnosi di carcinoma mammario il test genetico viene proposto valutando diverse caratteristiche personali e familiari: numero di persone in famiglia affette da neoplasia mammaria, l’età all’esordio del tumore, la frequenza di neoplasia mammaria bilaterale, la associazione con il carcinoma ovarico, la presenza di casi carcinoma mammario maschile.

Per quanto riguarda il carcinoma ovarico, invece, è consigliabile considerare l’invio al test BRCA sin dal momento della diagnosi per tutte le pazienti con carcinoma epiteliale ovarico di alto grado, con carcinoma delle tube di Fallopio e con carcinoma peritoneale primitivo. Questo non solo per valutare la predisposizione a sviluppare malattia nei familiari sani ma soprattutto per un eventuale utilizzo terapeutico di peculiari farmaci per cui la mutazione BRCA rappresenta un fattore predittivo di risposta al trattamento.

“Nel nostro ospedale è l’oncologo insieme al genetista oncologo a consegnare il referto – precisa la dottoressa Stefania Gori, direttore dell’Oncologia Medica (nella foto) – perché il risultato deve essere interpretato nel suo esatto significato. Avere una mutazione dei geni BRCA1 e BRCA2 significa avere un’elevata possibilità di ammalarsi durante il corso della vita, ma non la certezza di ammalarsi. Ciò che si eredita è il rischio, non il tumore. Infatti – prosegue – il rischio di contrarre la patologia è determinato sì dalla presenza di una delle due copie del gene mutato, ma la malattia tumorale non si sviluppa fino a quando, nel corso della vita, non si verifica un’altra mutazione nella copia normale del gene: ecco perché non tutte le donne mutate sviluppano un tumore”.

Come, sottolinea il professor Zamboni, “il test diventa quindi non solo un mezzo di prevenzione, ma anche un’opportunità per escludere preoccupazioni inutili per i familiari che non risultano portatori della mutazione ereditaria”.

 

Cosa succede se il test identifica la mutazione genetica?

“Le pazienti con diagnosi di carcinoma mammario e/o ovarico –risponde la dottoressa Gori – sono valutate nell’ambito dei Gruppi multidisciplinari di patologia senologica e ginecologica, al fine di proporre trattamenti adeguati e personalizzati condivisi con la paziente stessa. Le donne sane nelle quali viene identificata una mutazione sono valutate per iniziare percorsi di sorveglianza o di chirurgia profilattica”.

I Gruppi multidisciplinari sono composti da specialisti in Oncologia, Radiologia, Ginecologia, Medicina Nucleare, Anatomia Patologica, Radiologia, Radioterapia, Chirurgia Generale, Chirurgia Senologia, Chirurgia Plastica, Urologia, Medicina Generale e Psiconcologia.

elena.zuppini@sacrocuore.it

 

Nella foto di copertina lo staff del Laboratorio di Biologia Molecolare dell’Anatomia Patologica: le patologhe Anna Pesci e Laura Bortesi, il professor Zamboni, la tecnica di Laboratorio Marcella Marconi, il biologo Giulio Settanni e le tecniche di Laboratorio Silvia Sandrini e Sara Lonardi


La gestione delle attività come strumento per aiutare il prossimo

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Giovedì 8 e venerdì 9 giugno è in programma a Verona l’incontro formativo per tutti i “gestori” delle attività dell’Opera Don Calabria in Italia. Tra i relatori anche Stefano Zamagni, noto economista e co-fondatore della Scuola di Economia Civile.

Bene comune, gratuità e dono. Sono alcuni dei punti che saranno al centro della riflessione nell’incontro di gestione calabriana in programma giovedì 8 e venerdì 9 giugno a San Zeno in Monte (Vr), presso la Casa Madre dell’Opera Don Calabria. Si tratta di un evento formativo a cadenza annuale, al quale partecipano i collaboratori che ricoprono incarichi con responsabilità gestionale nelle varie case del Don Calabria in Italia, tra cui l’ospedale di Negrar (vedi programma incontro).

 

L’incontro dell’8-9 giugno si intitola “La gestione delle Opere calabriane, alla luce della Divina Provvidenza oggi” e tra i relatori vede la partecipazione del prof. Stefano Zamagni, noto economista co-fondatore della Scuola di Economia Civile e già presidente della Agenzia Nazionale per il Terzo Settore. Zamagni parlerà giovedì pomeriggio con un intervento sul principio della gratuità e la logica del dono. Altro relatore del giovedì, nella mattinata, sarà il monaco trappista don Guillaume Jedrejczak, con una riflessione su povertà e bene comune.

 

La seconda giornata dell’incontro, venerdì 9 giugno, prevede approfondimenti mirati sul modo di gestire le attività dell’Opera calabriana, con interventi di fratel Gedovar Nazzari, presidente dell’ospedale Sacro Cuore ed economo generale dell’Opera, e di Claudio Cracco, direttore amministrativo del Sacro Cuore.

 

“Viviamo in una società che cambia a una velocità mai vista prima, con organizzazioni che diventano sempre più complesse. Per questo, se vogliamo gestire bene le nostre attività, non dobbiamo stancarci di stare aggiornati anche sugli aspetti gestionali ed economici. Io credo che questo sia un punto fondamentale per poter prestare un servizio sempre migliore e all’altezza della nostra missione di aiuto al prossimo”, dice fratel Nazzari.

 

L’incontro è organizzato dalla Delegazione Europea dell’Opera Don Calabria, in collaborazione con l’amministrazione generale della Congregazione e con il Centro di Cultura e Spiritualità Calabriana. Oltre ai rappresentanti del “Sacro Cuore”, ci saranno i gestori delle altre case italiane, sia di Verona sia di altre città: Roma, Ferrara, Brescia, Napoli, Termini Imerese, Lamezia Terme (vedi elenco delle case e attività della Delegazione Europea).

 

L’ingresso è su invito, ma per chi desidera sarà possibile seguire gli interventi in diretta sul canale youtube dell’Opera, al seguente indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=qx4FSJ9gt6M.


"Grazie, non fumo": la prima cura contro il cancro al polmone

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Il 31 maggio è la Giornata mondiale senza tabacco, il cui consumo è responsabile dell’80% dei casi di tumore al polmone. La Chirurgia Toracica di Negrar è uno dei centri di riferimento veneti per la cura della neoplasia che interessa sempre più le donne

Il 31 maggio ricorre la Giornata senza tabacco, un appuntamento annuale indetto per la prima volta nel 1988 dall’Organizzazione mondiale della sanità per sensibilizzare l’opinione pubblica sui danni causati dal tabagismo (in allegato il poster)

Molto è stato fatto per ridurre il consumo di sigarette, ma resta ancora tanto da fare visto che le malattie cardiovascolari rimangono la prima causa di morte nei Paesi industrializzati e che l’80% dei casi di cancro al polmone sono diagnosticati nei fumatori. Senza contare che in generale quattro casi di tumore su 10 possono essere evitati con un sano stile di vita, in cui non sono contemplate le “bionde”.

“Sono dati che rileviamo anche nella nostra esperienza clinica. La grandissima parte dei nostri pazienti sono forti fumatori o ex fumatori”. La conferma arriva dal dottor Alberto Terzi (nella foto Udali), responsabile della Chirurgia Toracica del Sacro Cuore Don Calabria, ospedale che con il numero di interventi all’anno per cancro al polmone è considerato dalla Regione uno dei quattro centri di riferimento veneti per la terapia chirurgica di questa neoplasia.

“Chi smette di fumare – riprende il chirurgo – riduce drasticamente il rischio di ammalarsi (che è di 14-20 volte superiore rispetto a chi non fuma), ma non lo riporta al livello della popolazione non fumatrice. Il fumo infatti danneggia i meccanismi di riparazione del DNA delle cellule dell’apparato respiratorio. Si formano così delle cellule geneticamente mutate responsabili delle neoplasie. Tutto questo però in soggetti predisposti. Infatti ci sono persone che pur fumando molto non si ammalano”.

Un 20% però contrae il cancro senza aver mai messo in bocca una sigaretta. Colpa del fumo passivo? “I cosiddetti fumatori passivi sono da collocare tra i consumatori di sigarette. Chi ha vissuto decine di anni accanto a un forte fumatore o ha lavorato in ambienti intrisi di fumo (come per esempio erano i locali pubblici prima dell’introduzione del divieto) ha probabilità di ammalarsi tanto quanto un fumatore. Le cause dei tumori al polmone in un non fumatore invece possono essere molteplici: genetiche o ambientali, come l’inquinamento“.

Nel 2016 sono stati registrati 41mila nuovi casi di carcinoma polmonare (oltre 4mila nel Veneto) con un aumento del numero di pazienti donne (circa il 33% dei casi). Tanto che questa neoplasia è diventata la prima causa di decesso per tumore anche nel sesso femminile, sorpassando il cancro alla mammella. La causa è ancora una volta il fumo. Mentre negli uomini si registra un calo del numero di fumatori, nella popolazione femminile avviene esattamente il contrario.

“Nonostante si siano fatti passi in avanti nella ricerca farmacologica e nell’ambito delle terapie chirurgiche – riprende Terzi – la sopravvivenza a cinque anni rimane fissa al 15%. Purtroppo questo è un tipo di tumore asintomatico soprattutto nelle sue forme periferiche e i primi sintomi che portano poi alla diagnosi si presentano tardivamente quando ci sono già metastasi. Su cento casi che afferiscono alla nostra Chirurgia, soltanto 20-25 sono candidati per l’interventoPer questo è raccomandabile ai forti fumatori di sottoporsi dopo i 50 anni a una TC Spirale a basso dosaggio per un controllo preventivo”.

Le scelte terapeutiche per il carcinoma polmonare sono determinate dal tipo di tumore (a piccole cellule o non piccole cellule) e dallo stadio della malattie. Oggi le armi a disposizione sono la chirurgia, la radioterapia e le terapie mediche quali chemioterapia, farmaci a bersaglio molecolare e l’immuno-oncologia.

“L’obiettivo – sottolinea il chirurgo – è offrire al paziente una cura personalizzata tramite un approccio multispecialistico. Nel nostro ospedale ogni caso viene studiato da un team formato dall’oncologo, dal radioterapista oncologico, dall’anatomopatologo, dal chirurgo toracico, dal medico nucleare, dall’endoscopista, dal radiologo, dal geriatra e dal medico di medicina interna“.

L’intervento chirurgico è il trattamento di scelta quando i tumori sono a non piccole cellule e allo stadio iniziale. “Oltre il 70% degli interventi che effettuiamo avviene in videotoracoscopia – precisa Terzi – una metodica di chirurgia mininvasiva che prevede due piccoli incisioni (rispettivamente da 1 cm e da 3-4 cm) per l’inserimento della telecamera e degli strumenti chirurgici, senza divaricazione delle costole. Di conseguenza il recupero del paziente è molto più rapido e i giorni di degenza sono normalmente quattro, salvo complicazioni. L’intervento può essere risolutivo – conclude il chirurgo – ed è seguito da un follow up molto ravvicinato almeno nei primi due anni, in quanto è stato rilevato che la malattia tende a ripresentarsi più frequentemente in questo lasso di tempo”.

Quando il tumore non è operabile una speranza arriva dall’immuno-oncologia, la terapia medica che “risveglia” il sistema immunitario in modo che torni a riconoscere le cellule tumorali come nemico da sconfiggere.

E’ proprio di questi giorni la notizia che l’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) ha approvato l’uso di un farmaco immuno-oncologico, il pembrolizubab, in prima linea, cioè somministrabile prima di effettuare la chemioterapia. Uno studio su 300 casi ha dimostrato la sopravvivenza dopo un anno del 70% dei pazienti trattati con pembrolizubab rispetto al 50% dato dalla chemioterapia. Inoltre è stata osservata anche la riduzione del 50% dei rischio di progressione della malattia e la sopravvivenza libera da progressione a un anno è del 48% contro il 15% della chemioterapia. Senza contare che i farmaci immuno-oncologici si caratterizzano per una tollerabilità migliore rispetto ai chemioterapici.

elena.zuppini@sacrocuore.it


Tumore al seno: la Radioterapia che ha a cuore... il cuore

Il protocollo innovativo della Radioterapia Oncologica di Negrar è in grado di colpire il tumore riducendo il rischio di malattie cardiovascolari che possono presentarsi con il tempo soprattutto nella donna giovane

La Radioterapia che cura il tumore al seno proteggendo il cuore. E’ il trattamento per il carcinoma alla mammella avviato da alcuni mesi dalla Radioterapia Oncologica dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona), diretta da Filippo Alongi, professore associato di Radioterapia all’Università di Brescia (nella foto).

“La radioterapia nelle pazienti con tumore al seno – spiega il medico – ha l’obiettivo di eliminare le eventuali cellule cancerose rimaste dopo l’asportazione del tumore. Per questo intento solitamente è necessario irradiare ampi volumi anatomici che oltre al tessuto mammario residuo all’intervento possono coinvolgere organi sani limitrofi come il cuore e il polmone.

Recenti studi hanno inoltre dimostrato come con la radioterapia convenzionale possa esserci un rischio maggiore di eventi cardiovascolari anche dopo molti anni dal trattamento, sebbene in un sottogruppo di pazienti predisposte“.

Per ridurre o azzerare il rischio, il protocollo consente per le mammelle sinistre, anatomicamente più vicine all’organo cardiaco, di monitorare il movimento del respiro e irradiare la mammella solo quando il cuore è lontano dalla parete toracica, cioè in fase di massima inspirazione.

“Minimizzando la dose che riceve il cuore – sottolinea Alongi – proteggiamo soprattutto le donne più giovani quindi potenzialmente più lungo-sopravviventi dopo la guarigione dal tumore“.

Una percentuale, quella delle donne sotto i 50 anni, sempre più alta delle circa 400 pazienti affette da carcinoma al seno curate ogni anno dalla Radioterapia Oncologica di Negrar.

Il trattamento innovativo è reso possibile grazie alle conoscenze biologiche e cliniche del carcinoma al seno e allo sviluppo tecnologico in campo radioterapico, con l’acceleratore lineare Truebeam in dotazione all’ospedale veronese, che consente la massima irradiazione della sede tumorale in pochi secondi salvaguardando i tessuti sani.

“Ma la tecnologia non basta – sottolinea il professor Alongi – deve sempre essere accompagnata da una grande esperienza umana e professionale per ottimizzare i risultati per i nostri pazienti e quindi non solo guarire ma anche evitare strascichi dei trattamenti stessi negli anni successivi”.

La Radioterapia Oncologica del “Sacro Cuore Don Calabria” tratta ogni anno un migliaio di pazienti, il 20% dei quali proviene da altre regioni, anche da Lombardia e Emilia Romagna, realtà sanitarie qualificate. Poderosa è anche la produzione scientifica, con la pubblicazione all’anno di circa 50 studi con un Impact Factor di oltre 230, pari alle più importanti strutture di Radioterapia delle Università e degli istituti accreditati a livello internazionale.


Le parole che curano: il Premio Letterario Federica

Sabato 27 maggio alla Gran Guardia (Verona) si terranno le premiazioni della seconda edizione del concorso nazionale di medicina narrativa promosso dalla Fondazione AIOM e rivolto a pazienti oncologici, familiari e operatori sanitari

Sabato 27 maggio, alle 17, nell’Auditorium della Gran Guardia ospiterà le premiazioni della seconda edizione del “Premio Letterario Federica – Le Parole della Vita”, concorso nazionale di medicina narrativa rivolto a pazienti oncologici, familiari e operatori sanitari (in allegato la locandina).

Il concorso è organizzato dalla Fondazione AIOM (Associazione Italiana Oncologia Medica) di cui è presidente il dottor Fabrizio Nicolis, direttore sanitario dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, in collaborazione con il Comune di Verona e la Fondazione Verona per l’Arena.

Un’iniziativa che vuole dare parola ai “protagonisti” della malattia oncologica e offrire a loro l’opportunità di “aderire” a una terapia, che non è fatta di atti medici, ma del racconto del proprio vissuto, delle proprie emozioni.

Il concorso è dedicato a Federica Troisi, giovane donna veronese, scomparsa di recente a causa di un tumore, che ha combattuto la malattia con determinazione, continuando a scrivere, sognare , lavorare, amare e progettare.

La cerimonia di consegna dei premi vedrà momenti di spettacolo a cui parteciperanno il pianista Roberto Corlianò, la violinista Kaori Ogasawara, i ballerini di tango Valentina Bertanzon e Marco Morari, il soprano Dimitra Theodossiou e il tenore Fabio Armiliato, il chitarrista Francesco Buzzurro, il fisarmonicista Pietro Adragna, l’armonicista Giuseppe Milici e il coro A.Li.Ve. diretto da Paolo Facincani.

L’ingresso è libero fino ad esaurimento dei posti disponibili. Per maggiori informazioni Fondazione per l’Arena, tel. 045.592544, email info@veronaperlarena.it.

Questi i vincitori delle diverse sezioni: Pazienti (sezione A) e Familiari e medici (sezione B), suddivisi nelle categorie “racconti” e “poesie”.
Racconti sezione A: 1° Cecilia Maria Tollot (Torino), 2° Rita Menta (Brescia), 3° Daria Passacantando (Roma); segnalati dalla Giuria per una menzione speciale: Daniela Orsini e Piero Lorenzi (Gorizia). Poesie sezione A: 1° Alina Rizzi (Castelmarte – Como), 2° Alessio Del Ry (Buti-Pisa), 3° Graziella Trentini (Valsamoggia- Bologna).
Racconti sezione B: 1° Paola Librizzi (Palermo), 2° Veronica Coltro (Fumane – Verona), 3° Monica Vaccaretti (Vicenza). Poesie sezione B: 1° Gisella Colombo (Palermo), 2° Enzo Melari (Terni), 3° ex equo Lea Petrella (Roma) e Vincenzo Marra (San Benedetto del Tronto – Ascoli Piceno).


Passi avanti sull'Alzheimer, ma la strada è ancora lunga

Gli esperti fanno il punto della situazione sulle terapie disponibili e sugli esami per la diagnosi precoce della malattia nelle video-interviste raccolte a margine di un recente convegno sul decadimento cognitivo realizzato al “Sacro Cuore”

Quali sono le terapie a disposizione per la malattia di Alzheimer? Quanto è importante la diagnosi precoce e quali esami la rendono possibile? E quali sono le frontiere della ricerca sulle cause e sui nuovi farmaci con l’obiettivo di bloccare la malattia o di prevenirla? Di tutto questo si è parlato al Sacro Cuore nel recente convegno intitolato “Decadimento cognitivo: aspetti clinici e radiologici”.

 

Nella video-gallery sono raccolte le interviste ad alcuni esperti che hanno partecipato ai lavori. Tra loro il professor Giovanni Frisoni, uno dei maggiori esperti di Alzheimer a livello internazionale, che parla dei più recenti studi sulle cause e sui possibili fattori di rischio per lo sviluppo della malattia. Intervengono poi la dottoressa Zaira Esposito, responsabile del Centro Decadimento Cognitivo del Sacro Cuore, e la dottoressa Paola Poiese, psicologa e psicoterapeuta del medesimo Centro, che parlano delle terapie farmacologiche e comportamentali attualmente in uso.

 

Infine il dottor Giovanni Carbognin, direttore della Radiologia, e il dottor Alberto Beltramello, consulente scientifico di Neuroradiologia del Sacro Cuore, fanno il punto sul ruolo degli esami radiologici nella diagnosi precoce della malattia. Con loro il dottor Matteo Salgarello, direttore della Medicina Nucleare, disciplina che riveste un ruolo sempre più importante sia a livello diagnostico sia terapeutico in questo campo.


Settimana della tiroide: gli specialisti incontrano la popolazione

Mercoledì 24 maggio i medici del gruppo multidisciplinare sulle patologie della tiroide incontreranno i cittadini al Centro di via San Marco (Verona): si parlerà di prevenzione e cura delle malattie tiroidee

In occasione della Settimana mondiale della tiroide, che si tiene dal 21 al 27 maggio, e che quest’anno avrà per tema “Tiroide e Benessere”, mercoledì 24 maggio gli specialisti dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar incontrano la popolazione al Centro Diagnostico Terapeutico di via San Marco 121 a Verona.

Un’occasione per conoscere meglio una ghiandola fondamentale per il buon funzionamento del nostro organismo, per prevenirne le malattie e per informarsi su qual è il percorso di cura quando la tiroide si ammala.

Il programma della giornata inizia alle 10 con un incontro aperto al pubblico a cui interverranno il dottor Lino Furlani, responsabile del Servizio di Endocrinologia, il dottor Stefano Rodella, esperto nella procedura diagnostica dell’Agoaspirato, il dottor Alessandro Sandrini, responsabile della Chirurgia endocrina, e il dottor Matteo Salgarello, direttore della Medicina Nucleare e del Servizio di Terapia Radiometabolica.

Gli specialisti saranno poi a disposizione fino alle 16.30 per ulteriori informazioni. A tutti i presenti sarà donato un gadget “amico della tiroide”.

“Controllare la salute della nostra della tiroide è molto importante – spiega il dottor Lino Furlani – . Questa ghiandola endocrina ha il compito di produrre gli ormoni tiroidei che svolgono un ruolo essenziale nella regolazione del metabolismo basale, sull’apparato cardiovascolare, sul metabolismo dei grassi e degli zuccheri e su quello osseo ed inoltre rivestono un ruolo centrale nello sviluppo nervoso e scheletrico del feto e del bambino“.

Circa il 15% della popolazione italiana (6 milioni di persone) è affetto da una malattia della tiroide (ipotiroidismo, ipertiroidismo e patologie nodulari), un numero che è aumentato rapidamente negli ultimi 20 anni. Inoltre se sottoposto ad ecografia, circa il 35-40% della popolazione presenterebbe dei noduli. Tuttavia solo il 4-5% sono neoplasie, generalmente curabili in modo efficace purché diagnosticate precocemente.

Nella logica del Cancer Care Center (Numero Verde per la cura del tumore 800143143), al “Sacro Cuore-Don Calabria” il paziente con patologia tiroidea oncologica viene preso in carico da un’équipe multidisciplinare composta dall’endocrinologo, dal radiologo, dall’anatomopatologo, dal medico nucleare, dal chirurgo endocrino e dall’oncologo.

Un’offerta terapeutica a 360° grazie alla presenza di professionalità di rilievo e di dotazioni tecnologiche fondamentali per il trattamento completo delle patologie tiroidee.

Quello di Negrar è infatti il solo Centro nel Veronese e uno dei pochi nel Veneto a disporre di un Servizio di Terapia radiometabolica a cui il paziente oncologico accede, se è necessario, dopo l’intervento. La terapia con radio-iodio è anche un’alternativa all’operazione chirurgica in casi selezionati di ipertiroidismo, una disfunzione della tiroide caratterizzata da un’eccessiva produzione di ormoni.

La Chirurgia endocrina di Negrar esegue circa 200 interventi all’anno, nel 25-30% dei casi si tratta di tumori, di cui il 20% maligni. L’intervento viene effettuato con tecniche mininvasive e il tasso di complicanze, il più delle volte transitorie, è raro ed in linea con gli standard dei Centri chirurgici maggiormente competenti in patologia tiroidea.


Morbo di Crohn e Colite Ulcerosa: i pazienti si incontrano al "Sacro Cuore"

Sabato 13 maggio l’incontro primaverile dell’Associazione AMICI in collaborazione con il Centro multispecialistico per le Malattie retto-intestinali di Negrar

In prossimità della Giornata mondiale delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI), che si celebra il 19 maggio, il “Sacro Cuore Don Calabria” (Sala Perez) ospita il tradizionale incontro primaverile dedicato ai pazienti affetti da queste patologie.

L’appuntamento è in programma sabato 13 maggio, con inizio alle 9.30, ed è promosso dall’associazione A.M.I.C.I in collaborazione con i medici del Centro multispecialistico Malattie retto-intestinali dell’ospedale di Negrar, di cui è responsabile il dottor Andrea Geccherle. Saranno presenti anche il presidente nazionale dell’Associazione, Salvo Leone, e la responsabile provinciale, Nadia Lippa.

Durante la mattinata si parlerà di diritto alle cure in un momento di difficoltà economica del Servizio sanitario nazionale, con l’intervento del dottor Fabrizio Nicolis, direttore sanitario dell’ospedale di Negrar. Ma anche dell’importanza di una corretta alimentazione e dell’attività fisica per i pazienti affetti dal morbo di Crohn o dalla Colite ulcerosa. Interverranno in proposito le dottoresse Manuela Fortuna ed Emanuela Capoferro sempre del “Sacro Cuore Don Calabria”,


Psicologi a confronto sull'accoglienza del dolore

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Accogliere il dolore altrui destabilizza anche coloro che svolgono una professione di aiuto. Una risorsa arriva dalla “fusione” di due modelli della psicologia cognitivo-comportamentale come spiegherà l’esperto Martin Brock al “Sacro Cuore”

La perdita e il lutto sono esperienze destabilizzanti non solo per coloro che le vivono, ma anche per chi svolge una professione di aiuto, come gli psicologi e gli psicoterapeuti.

Immergersi in un’esperienza di dolore risveglia paure comuni a tutti gli esseri umani, che possono essere sottoposti alla tentazione di allontanarle, ergendo barriere emotive, quando invece è fondamentale per accogliere la sofferenza altrui accettare i propri “demoni”.

Di perdita e lutto dalla prospettiva degli psicologi e psicoterapeuti si parlerà venerdì 12 maggio in un workshop esperenziale promosso all’ospedale di Negrar dal Servizio di Psicologia clinicadel “Sacro Cuore Don Calabria”, diretto dal dottor Giuseppe Deledda (in allegato il programma).

Per la prima volta in Italia vengono proposti come complementari due modelli terapeutici della Psicologia cognitivo-comportamentale: l’ACT (Acceptance and Commitment Therapy) e e l’CFT (Compassion Focused Therapy) grazie alla presenza come relatore del dottor Martin Brock, dell’Università di Derby (Inghilterra).

Con più di 40 anni di esperienza clinica, Broke è docente del Post-Laurea Compassion Focused Therapy e del Master in psicoterapia cognitivo comportamentale. La giornata formativa alternerà momenti teorici ad esercizi esperienziali. Interverrà oltre al dottor Deledda, presidente del Gruppo di interesse speciale “ACT for Health”per ACT Italia e Association for Contextual Behavioral Science (ACBS), anche la dottoressa Lisa Rabitti, che si occupa di cure palliative presso l’Auls Reggio Emilia e di ricerca presso l’Unità di Psico-oncologia dell’IRCCS Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia.

“L’approccio cognitivo-comportamentale ACT – spiega il dottor Deledda, coordinatore veneto della Società italiana di Psico-Oncologia – è basato sull’incremento della flessibilità psicologica, partendo da un atteggiamento di accettazione e sulla messa in atto di comportamenti coerenti con i propri (e del paziente) obiettivi e valori. Tale metodo – sottolinea lo psicologo – si è mostrato efficace per la gestione della relazione con il paziente e per fornire risposte coerenti con la domanda del paziente e in sintonia con gli obiettivi di cura. Inoltre l’approccio ACT è applicato con buoni risultati per la prevenzione del burn-out degli operatori che lavorano in ambito sanitario”.

All’interno del modello della Terapia Focalizzata sulla Compassione CFT, le condizioni per il cambiamento non possono prescindere da una sensibilità verso la propria sofferenza e quella degli altri, accettandola senza averne paura e senza respingerla. “All’interno dei modelli dell’ACT e del CFT – conclude Deledda – il dolore viene visto come esperienza umana universale che, se da un lato rappresenta una sfida emotiva, dall’altro offre l’opportunità di familiarizzare con le proprie emozioni difficili, a servizio di ciò che si considera importante nella propria vita”.