Se il bambino tarda a nascere ci pensa un “palloncino”

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Anche l’induzione di travaglio può essere naturale grazie a un catetere di Foley, una metodologia che sarà illustrata sabato 6 maggio in un convegno organizzato dal dottore Marcello Ceccaroni, direttore della Ginecologia e Ostetricia

Il titolo sembra contenere una contraddizione in termini: “Partorire naturalmente: l’induzione di travaglio”. Eppure nella logica dell’umanizzazione delle cure anche un travaglio indotto può essere naturale.

Di questo si parlerà sabato 6 maggio nella sala Congressi della Cantina Valpolicella (via Ballarin 2, a Negrar, vedi programma) dove il tema sarà trattato dal punto di vista dei medici e delle ostetriche, figure essenziali quest’ultime che affiancano la donna per tutto il tempo della gravidanza, durante il parto e nelle prime settimane dopo la nascita.

L’appuntamento scientifico è organizzato dal dottor Marcello Ceccaroni (nella foto), direttore del Dipartimento per la tutela della salute e della qualità della vita della donna dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, e avrà inizio alle 8.30. Fra i relatori anche i professori Pantaleo Greco e Federico Mecacci, rispettivamente dell’Università di Ferrara e di Firenze, e il dottor Giuseppe Battagliarin dell’ospedale di Rimini.

L’induzione di travaglio è una procedura che viene effettuata ogniqualvolta la continuazione della gravidanza, anche pretermine, rappresenti un pericolo per la mamma o il bambino. Oppure quando la gestazione è giunta alla 41° settimana, un limite di tempo che già di per sé è un rischio per il nascituro.

“Dal 2012 assieme al responsabile del modulo di Ostetricia, il dottor Sante Burati, abbiamo introdotto a Negrar una metodologia di induzione che ha l’obiettivo di dilatare il collo dell’utero in modo naturale e soprattutto non doloroso per le partorienti, rispetto alle vecchie tecniche, come la dilatazione manuale da parte dell’ostetrica – spiega il dottor Ceccaroni -. Si tratta dell’introduzione di un catetere di Foley (una sorta di palloncino) che viene riempito progressivamente di una certa quantità d’acqua e lasciato nel corpo della donna al massimo 48 ore con lo scopo di sollecitare le contrazioni”.

Durante il convegno l’ostetrica Annapaola Isolan presenterà i dati dello studio realizzato assieme alle colleghe Alessandra Cavalleri, Paola Vicentini e Tania Iurati, condotto su 4.684 parti avvenuti al “Sacro Cuore-Don Calabria” dal 2012 al 2016. La ricerca ha rilevato che l’utilizzo del Foley ha ridotto del 27% il rischio di taglio cesareo nelle donne in cui l’induzione di travaglio era indicata per motivi fetali, dimostrandosi una metodica indolore e a vantaggio del benessere della mamma e del bambino.

L’introduzione di questa metodologia ha portato alla realizzazione di un protocollo per l’induzione di parto suddiviso in varie fasi e condiviso fin dall’inizio con la partoriente. Il primo step è proprio l’introduzione del Foley, il cui utilizzo non è solo quello di indurre le contrazioni, ma anche, nel caso in cui fallisse, di favorire l’effetto dei farmaci, come le Prostaglandine (seconda fase), poco efficaci in assenza di dilatazione del collo dell’utero. L’induzione prosegue poi con la rottura delle membrane e se è necessario con la somministrazione di un altro farmaco, l’Ossitocina.


La complessità del dolore nell'anziano oncologico

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Quello multidisciplinare è l’unico approccio per dare una risposta efficace a un problema così complesso come quello del dolore oncologico nelle persone anziane. Se ne parla in un convegno giovedì 27 aprile al “Sacro Cuore Don Calabria”

Quella del controllo del dolore è sempre una sfida difficile, qualsiasi età abbia il paziente sofferente. Ma lo è ancora di più quando si tratta di una persona anziana e la questione diventa ulteriormente complessa nel momento in cui l’anziano è un paziente colpito da tumore.

Proprio di terapia del dolore nell’anziano oncologico si parlerà giovedì 27 aprile all’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, nell’ambito degli incontri di aggiornamento del Dipartimento Oncologico (vedi Cancer Care Center), diretto dalla dottoressa Stefania Gori. (vedi programma allegato).

Un tema che interessa una grande fetta di popolazione in quanto con l’aumento della vita media la maggior parte dei pazienti affetti da tumore fanno parte della cosiddetta terza età.

“L’argomento sarà affrontato in maniera multidisciplinare con il contributo di medici geriatri, oncologi, esperti in cure palliative, radioterapisti e algologi – spiega la dottoressa Gori -. Conoscere la fisiopatologia dei differenti tipi di dolore, i metodi di valutazione in tipologie diverse di popolazione, le terapie antalgiche attualmente disponibili (farmacologiche e non farmacologiche) è condizione essenziale per poter assistere al meglio i malati con dolore in ogni momento della loro storia di malattia”.

Ma perché la terapia dei dolore nei pazienti anziani oncologici è particolarmente complessa? “Per le comorbidità e la fragilità che spesso condizionano il quadro clinico; ogni fase del percorso diagnostico-terapeutico è resa difficile dalla scarsità di elementi obiettivi e talora da situazioni di inaffidabilità descrittiva del paziente, che rendono incerta l’interpretazione del tutto”, risponde la dottoressa Emanuela Turcato, responsabile della Geriatria, che aprirà e concluderà l’incontro.

“Nell’anziano il dolore acuto è accompagnato da aspetti fisici ed emozionali disturbanti perché fortemente intrisi di ansia, depressione, alterazioni del sonno che si influenzano e si esacerbano scambievolmente – prosegue – In altri casi esiste un dolore negato, quello scontato, quello misconosciuto, talora accompagnato da un’esagerata riluttanza a somministrare antidolorifici maggiori, una sorta di ‘oppio-fobia’. Infine, l’anziano con decadimento cognitivo può convivere con il dolore manifestandolo solo indirettamente”.

A tutto questo va aggiunto, sottolinea la geriatra, che “una volta definita la presenza di dolore, di una sede precisa e di una diagnosi clinica, la decisione di trattamento è subordinata ad una valutazione globale del rischio di effetti collaterali, che nei pazienti con rilevanti comorbidità e pluritrattati è sempre presente. Per questo l’approccio multidisciplinare può essere di grande aiuto nello sconfiggere una sintomatologia così complessa ed invalidante”.

“Il sollievo del dolore nel paziente oncologico, anziano e giovane, è un compito che spetta a tutta l’équipe curante – afferma il dottor Roberto Magarotto, responsabile dell’Unità cure palliative e di supporto del Dipartimento Oncologico -. Esso inizia dall’operatore, che mobilizza e accudisce il paziente, nell’evidenziare il dolore da movimento o da procedura; continua con l’infermiere che aiuta il malato a precisare l’intensità del suo dolore, superando resistenze e paure e lo tiene monitorato nel tempo; infine l’intervento antalgico si concretizza col medico che sulla base del quadro clinico e della sua conoscenza della psicologia del paziente imposta una terapia del dolore la più facile da gestire e la meno gravata da effetti collaterali. La filosofia dell'”Ospedale senza dolore” vuol dire proprio questo: che in qualsiasi reparto il paziente oncologico sofferente venga accolto, il suo dolore sia trattato con la medesima professionalità”.


Mario Piccinini riconfermato alla guida dell'Aris del Triveneto

L’amministratore delegato del Sacro Cuore Don Calabria è al suo terzo mandato come presidente dell’Aris del Triveneto che riunisce 21 strutture sanitarie, 235 in tutta Italia

Mario Piccinini, amministratore delegato dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, è stato riconfermato alla guida dell’Aris Triveneto, l’Associazione religiosa degli istituti socio-sanitari che a livello nazionale riunisce 235 strutture sanitarie cattoliche.

La riconferma del dottor Piccinini, che è al suo terzo mandato, è avvenuta all’unanimità da parte degli associati del Veneto, Friuli Venezia Giulia e delle Provincie autonome di Trento e Bolzano.

All’Aris Triveneto aderiscono 21 strutture di cui sei ospedali classificati, cioè equiparati a quelli pubblici, un Istituto di Ricovero e Cura a carattere scientifico, la Fondazione Istituto San Camillo di Venezia, e sette Centri di riabilitazione oltre a numerose case di cura.

A Verona fanno parte dell’Aris oltre alla Cittadella della Carità di Negrar (che comprende l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria e le Rsa Casa Perez e Casa Nogarè) anche il Centro Polifunzionale Don Calabria e l’ospedale Villa Santa Giuliana.

Mario Piccinini, laureato in Giurisprudenza, dal dicembre del 2015 è amministratore delegato dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar in cui ha ricoperto anche il ruolo di direttore amministrativo. Nell’ambito dell’Aris nazionale è consigliere e membro della Commissione nazionale per i rinnovi contrattuali di medici e non medici.


Aneurisma dell'aorta addominale: la prima cura è la prevenzione

Ospedale Sacro Cuore Don Calabria - Journal

La rottura dell’anaurisma dell’aorta addominale provoca ogni anno 6mila decessi che potrebbero essere evitati se la patologia venisse diagnosticata in tempo, come spiega il dottor Antonio Jannello, direttore della Chirurgia Vascolare

Ha compiuto 90 anni il primo paziente operato di aneurisma addominale dell’aorta dalla Chirurgia vascolare dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Sta bene e a dimostrarlo sono le immagini dell’EcoColorDoppler effettuato pochi giorni fa.

 

Dall’intervento sono passati 15 anni. Era infatti il 2002 quando il dottor Antonio Jannello (nella foto) debuttò come direttore dell’Unità operativa portando dal San Raffaele di Milano a Negrar un intervento allora innovativo, ma oggi ampiamente utilizzato per il trattamento della patologia dilatativa aortica.

 

“Si tratta della tecnica endovascolare – spiega il dottor Jannello – che consiste nell’esclusione dal flusso sanguigno del tratto di aorta dilatato inserendo una protesi all’interno del lume del vaso. Questo impedisce la rottura del vaso o l’embolizzazione di materiale trombotico proveniente dalla sacca formata dall’aneurisma. La particolarità di questo trattamento è che tutto avviene senza effettuare incisioni sull’addome ma entrando con dei fili guida nell’aorta addominale attraverso l’arteria femorale partendo dalla regione inguinale”.

 

Oggi l’80% degli interventi effettuati a Negrar (circa sessanta all’anno) avviene con questa tecnica, che non sempre è possibile, ma è praticabile in base alla conformazione morfologica dell’aneurisma e dell’aorta del paziente.

 

“L’alternativa è l’intervento chirurgico open o in laparascopia. Entrambi consistono nella sostituzione del segmento arterioso dilatato con un segmento protesico suturato all’arteria sana (a monte e a valle della dilatazione), ma differiscono per le tecniche di preparazione dei vasi. In pratica si esegue un ‘bypass'”, prosegue il chirurgo.

 

Con gli anni il trattamento endovascolare si è imposto su quello chirurgico innanzitutto per la rapida ripresa del paziente che pochissimi giorni dopo l’intervento può tornare a casa e riprendere da subito le sue normali attività quotidiane.

 

“Inoltre le protesi utilizzate, insieme alle procedure, si sono evolute – sottolinea il dottor Jannello – permettendoci di curare anche pazienti molto compromessi dal punto di vista generale, come le persone cardiopatiche, con difficoltà respiratorie o con alle spalle una storia di altri interventi”.

 

L’aneurisma dell’aorta addominale è una patologia spesso asintomatica che consiste nella dilatazione del vaso causata da alterazioni strutturali della parete arteriosa. “Il paziente non avverte disturbi se si eccettua uno strano pulsare in regione ombelicale solo quando l’aneurisma ha raggiunto dimensioni molto grandi, di circa 6-7 cm – spiega il direttore della Chirurgia Vascolare – E naturalmente quando l’arteria si rompe nel punto dilatato. Allora subentra un forte dolore, seguito da uno shock ipovolemico dovuto alla perdita di sangue”.

 

La rottura dell’aneurisma dell’aorta addominale causa in Italia 6mila decessi all’anno: l’80% delle persone colpite muore prima di arrivare in ospedale, dove la mortalità degli interventi eseguiti in emergenza ha una percentuale del 50%. “Un rischio che si riduce al 3% quando il trattamento viene programmato”, sottolinea con forza Jannello.

 

Quindi diventa fondamentale la prevenzione in particolare nei confronti della popolazione più soggetta alla malattia. “Gli uomini con età superiore ai 65 anni hanno un rischio di sviluppare l’aneurisma dell’aorta addominale quattro volte superiore rispetto alle donne della stessa età e la familiarità incide con la medesima percentuale – prosegue il medico -. Fumo, ipertensione, ipercolesterolemia, obesità e una preesistente arteriopatia occlusiva sono tutti fattori che favoriscono la dilatazione del vaso”.

 

Lo strumento di più largo utilizzo per la diagnosi precoce è l’EcoColorDoppler, un esame ecografico rapido e non invasivo, ma, se eseguito in centri specialistici, di alta sensibilità e specificità. “Il trattamento dell’aneurisma è indicato solo se la dilatazione ha raggiunto una dimensione superiore ai 50mm – sottolinea Jannello – altrimenti, salvo casi particolari, si consiglia di tenere monitorato il vaso con controlli periodici. Purtroppo non esistono terapie mediche in grado di curare la patologia aneurismatica, anche se un adeguato trattamento dell’ipertensione potrebbe diminuire il rischio di crescita e rottura di aneurismi piccoli e non ancora ‘chirurgici'”.

 

Se l’EcoColorDoppler segnala la presenza di un aneurisma, si procede con l’AngioTC, che effettuata con mezzo di contrasto permette al chirurgo vascolare di definire la struttura e l’anatomia del tratto di aorta aneurismatico attraverso ricostruzioni tridimensionali in maniera tale da scegliere il trattamento più adatto (chirurgico o endovascolare) per ogni singolo paziente.

 

“Per esemplificare quanto sia importante la prevenzione – conclude il dottor Jannello – ricordo i dati di uno screening nazionale “Un minuto vale una vita” che abbiamo svolto anche nei comuni veronesi della Valpolicella nel 2012, promosso in collaborazione con la Società italiana di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare. Sono stati sottoposti ad esame EcoColorDoppler 1.279 cittadini con età superiore ai 65 anni, di questi 15 avevano una dilatazione dell’aorta significativa ma non tale da indicare un immediato intervento, mentre 4 sono stati trattati repentinamente per alto rischio di rottura. Nessuno era al corrente di avere una piccola bomba ad orologeria nel proprio corpo”.

 

elena.zuppini@sacrocuore.it


Quando Giovanni Paolo II visitò il "Sacro Cuore"

Il 17 aprile 1988 il papa visitava la Cittadella della Carità durante il suo viaggio pastorale nella diocesi di Verona. Una ricca galleria fotografica ripercorre le tappe di quell’evento memorabile che ancora oggi è vivo nel ricordo di molti

Il 17 aprile 1988, esattamente 29 anni fa, papa Giovanni Paolo II visitava la Cittadella della Carità di Negrar (vedi l’ampia galleria fotografica).

 

Era una domenica pomeriggio e il papa arrivava in Valpolicella nel corso della sua visita pastorale alla diocesi di Verona. Al mattino, in uno stadio Bentegodi gremito in ogni ordine di posto, aveva presieduto alla celebrazione per la beatificazione di don Giovanni Calabria e mons. Giuseppe Nascimbeni. Subito dopo pranzo ecco un altro bagno di folla per l’incontro in Arena con 20mila giovani di tutto il Triveneto. E a metà pomeriggio l’arrivo a Negrar, tra due ali di folla che accompagnavano la “papa mobile” fino al viale Rizzardi che conduce all’ingresso del “Sacro Cuore”.

 

Ecco come “L’Amico”, periodico dell’Opera Don Calabria, descriveva l’ingresso di Giovanni Paolo II:

 

“Il Papa entra direttamente all’ospedale Sacro Cuore, compiendo adagio le ultime centinaia di metri in piedi sulla vettura, benedicendo. Lo spazio disponibile è zeppo. In prima fila circa 2000 ammalati e infermi qui trasportati a cura dell’UNITALSI. Il Papa ne è affascinato. Percorre e ripercorre, una fila dopo l’altra, il cammino della sofferenza. Baci, abbracci, segni di croce sulla fronte, paziente ascolto di qualche effusione soffocata dalle lacrime. Si vede che il Papa ha dimenticato orario e scadenze. Se li porterebbe via tutti quei nostri fratelli, i prediletti del Signore. Alle finestre molti degenti sono affacciati e applaudono. Molti altri non possono muoversi dal letto, ma bevono ogni parola o suono, partecipando. Dove non è possibile vedere il Papa, sono installati schermi giganti in modo che ognuno possa seguire […] Tutto il personale ospedaliero (centinaia di persone) oggi è a disposizione per il servizio d’ordine e offrirà al Papa una cospicua somma per la sua carità” (L’Amico, giugno 1988).

 

Dopo il saluto dell’allora presidente dell’ospedale, fratel Francesco Guidorizzi, e del direttore sanitario Gastone Orio, ecco il discorso del Papa che parla del valore cristiano della sofferenza e della carità verso i malati (vedi discorso). Nell’occasione il Papa benedice due targhe di marmo che rappresentano la “prima pietra” di due enti nati all’ospedale proprio in quell’occasione: il Centro di Formazione e Solidarietà e la Fondazione per le Malattie Tropicali.

 

La visita di Giovanni Paolo II prosegue all’interno dell’ospedale Don Calabria, dove incontra le Piccole Suore della Sacra Famiglia. E poi a Casa Perez, per portare il saluto ai malati e incontrare i religiosi e le religiose di don Calabria, guidati dal Casante don Pietro Cunegatti e dalla Madre Lisetta Canteri. Al termine il Papa si allontana sulla “papa mobile” per recarsi al campo sportivo di Negrar; qui lo attende l’elicottero per il santuario della Madonna della Corona, dove si sarebbe conclusa la sua visita pastorale.

matteo.cavejari@sacrocuore.it


«L'amore pasquale si esprime nel servizio al prossimo»

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Padre Miguel Tofful, superiore generale dell’Opera Don Calabria, porta il suo messaggio di speranza e di coraggio per tutti coloro che frequentano la Cittadella della Carità di Negrar in occasione della Pasqua

“Vivere è l’infinita pazienza di risorgere, di uscire fuori dalle nostre grotte buie, di togliere le bende dagli occhi e partire di nuovo per camminare verso una vita nuova di amore e servizio soprattutto ai più poveri e sofferenti”.

 

Con queste parole padre Miguel Tofful, Casante dell’Opera Don Calabria, ha voluto ricordare che proprio la dimensione del servizio è fondamentale per vivere pienamente la Pasqua in un luogo come la Cittadella della Carità di Negrar, dove sono ospitate tante persone in situazione di sofferenza e malattia.

 

Padre Tofful ha incontrato il personale della Cittadella, proponendo una riflessione basata sul Vangelo della lavanda dei piedi. Quel Vangelo, cioè, nel quale Gesù insegna ai suoi discepoli il valore del servizio. “Il gesto compiuto da Gesù intende mostrare che il vero amore è concreto e si traduce in azioni tangibili di servizio – ha detto il Casante – Il servizio e le relazioni che scaturiscono dalla croce e dalla Pasqua di Gesù sono il segno concreto che Lui è vivo in mezzo a noi. Coraggio, l’amore vince la morte” (vedi riflessione completa).

 

Nel concludere il suo messaggio, padre Tofful ha trasformato il brano del vangelo in una toccante preghiera che è un inno di speranza e incoraggiamento. Inizia così:

 

“Signore Gesù, Tu ci hai amato sino alla fine,

e ci hai insegnato che l’amore vince la morte.

Aiutaci ogni giorno che entriamo nella cittadella della carità,

a deporre le nostre vesti, spogliandoci di noi stessi…” (vedi preghiera completa)

 

* In allegato gli orari delle celebrazioni nella domenica di Pasqua (vedi programma).


Per togliere il "tappo al naso" ci vuole un po' di calore

L’Orl di Negrar vanta una delle più ampie casistiche italiane sulla chirurgia mini-invasiva dei turbinati, i “filtri del naso” che quando si gonfiano cronicamente creano difficoltà respiratorie

E’ uno dei sintomi più fastidiosi che si presentano quando ci aggredisce un raffreddore o una crisi allergica: il naso si chiude improvvisamente e soprattutto durante la notte respirare diventa una fatica.

I responsabili di questo “tappo al naso” sono molto spesso i turbinati (Photo Gallery 1), strutture spugnose all’interno delle cavità nasali, in grado di gonfiarsi e sgonfiarsi fisiologicamente regolando finemente il flusso d’aria e di proteggere i nostri polmoni dall’infiltrarsi di batteri o inquinanti.

Non di rado a causa di ripetuti raffreddori, di crisi allergiche o per esposizione lavorativa a fumi o polveri sottili, l’ipertrofia dei turbinati si trasforma in una condizione cronica.

All’inizio l’ostruzione del naso avviene in maniera incostante, poi sempre più continua peggiorando notevolmente la sera, al momento di coricarsi poiché la posizione supina favorisce un ristagno di sangue nei turbinati che si gonfiano a dismisura.

Gli spray decongestionanti se all’inizio danno un immediato sollievo, a lungo andare hanno un effetto di durata sempre più breve e, a fronte di un uso eccessivo, provocano una ostruzione stabile.


L’ipertrofia dei turbinati può essere affrontata chirurgicamente
. Nel corso del tempo si è passati dall’asportazione dei “filtri nasali” (anni Settanta) a un intervento di riduzione, la cosiddetta turbinoplastica. Quest’ultima veniva praticata in forma classica con la resezione di una parte del turbinato, poi si è passati alla chirurgia a radiofrequenze e recentemente alla risonanza quantica molecolare, con l’uso di apparecchiature tecnologicamente più avanzate.

Dal 2003 allo scorso anno, l‘Unità operativa di Otorinolaringoiatria dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretta dal dottor Sergio Albanese, ha svolto 2.869 interventi di chirurgia dei turbinati, registrando una delle casistiche più ampie d’Italia. (foto équipe)

“La turbinoplastica con radiofrequenza e con risonanza quantica molecolare sono interventi mini-invasivi (Photo Gallery 2) che consentono in day hospital, senza ricorrere all’anestesia generale e ai tamponi nasali, di risolvere problemi di respirazione dovuti all’ipertrofia dei turbinati“, spiega il dottor Albanese.

“Entrambe le tecniche si servono di un elettrodo che viene introdotto all’interno del turbinato e si basano sulla denaturazione termica del fibrogeno che si trasforma in fibrina dando via al processo di coagulazione del sangue e quindi alla riduzione del volume del turbinato. A differenza della turbinoplastica a radiofrequenze, la risonanza quantica molecolare sottopone i turbinati a temperature inferiori scindendo i legami molecolari in modo atermico, per cui gli effetti collaterali del riscaldamento (edema, iperemia e necrosi tessutale) sono marcatamente ridotti“, sottolinea il dottor Alberto Fraccaroli, responsabile dell’Orl pediatrica.

L’intervento ha una durata di circa 20 minuti e viene effettuato in anestesia generale solo per i bambini. “All’inizio per gli adulti somministravamo per via endovenosa il Paracetamolo combinato con il Tramadolo, ma li abbiamo sospesi perché i pazienti lamentavano nausea – prosegue il dottor Albanese -. Pertanto abbiamo optato per la Petidina, che ha il grande vantaggio di ridurre in modo consistente il dolore medio-alto”Il paziente può lasciare l’ospedale poche ore dopo l’intervento e riprendere le normali attività quotidiane nei giorni immediatamente seguenti.

“L’intervento dà risultati eccellenti – sottolinea il dottor Fraccaroli -. Abbiamo effettuato uno studio sui pazienti sottoposti a turbinoplastica a radiofrequenze: il 70% è ritornato a respirare bene. La percentuale sale all’80% con la risonanza quantica molecolare”.

Non rimuovendo le cause dell’ipertrofia, l’intervento non garantisce un risultato definitivo. “La nostra casistica rileva che nel 33% dei casi si verificano delle recidive a distanza in media di quattro anni – precisa di direttore dell’Orl -. Ma abbiamo il vantaggio che l’intervento può essere ripetuto più volte senza che venga danneggiato il tessuto“.

elena.zuppini@sacrocuore.it


Da temere è il morbillo non il vaccino

Cala la copertura vaccinale e inevitabilmente aumentano i casi di morbillo, una malattia infettiva che può avere gravi complicanze come la polmonite interstiziale e l’encefalite. Ecco perché è doveroso sottoporre i bambini alla vaccinazione

I numeri parlano da soli. Nei primi mesi del 2017 sono stati registrati in Italia la quasi totalità dei casi di morbillo rilevati durante tutto il 2016. Lo scorso anno sono state infatti 884 le persone che si sono ammalate, più di 700 quelle che invece si sono infettate da gennaio a marzo, con un incremento del 230% nel primo trimestre di quest’anno.

Un gigantesco passo indietro sulla strada della scomparsa nel nostro Paese di un virus che nel mondo, là dove non viene praticata la vaccinazione di massa, provoca ancora 158mila morti all’anno.

“E’ l’inevitabile conseguenza del calo della copertura vaccinale”, afferma il dottor Antonio Deganello (nella foto), direttore della Pediatria dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, dove nel corso del 2017 sono stati ricoverati due bambini per morbillo. “Quando ci si allontana dalla percentuale del 95% che garantisce la non circolazione del virus proteggendo anche coloro che non possono vaccinarsi, le infezioni aumentano. Soprattutto se si tratta di un virus altamente contagioso come quello del morbillo”. Da quel 95% l’Italia si è allontanata di molto toccando nel 2015 la media, secondo l’Istituto superiore della Sanità, dell’82,29%. Oggi sono in atto campagne d’informazione, con l’obiettivo di contrastare un’ideologia anti-vaccini priva di qualsiasi base scientifica e ricca di leggende metropolitane. La bufala più grande finora diffusa è la correlazione tra il vaccino trivalente o Mpr (Morbillo, Parotite e Rosolia) e l’autismo.

Un falso scientifico che ha origine da uno studio inglese pubblicato nel 1998 sulla prestigiosa rivista medica “The Lancet”. L’ipotesi emersa è stata successivamente valutata da numerosi studi in Europa e negli Stati Uniti, nessuno dei quali ha confermato un rapporto di causa-effetto tra il vaccino Mpr e l’autismo, tanto che la rivista “The Lancet” ha ritirato lo studio nel 2010 scusandosi per l’abbaglio. La ricerca non solo presentava errori di natura epidemiologica, ma è stato provato che uno degli autori, Andrew Wakefield, aveva falsificato la storia medica dei pazienti per supportare i dati e che l’intero studio era stato alterato per interessi economici. Wakefield è stato radiato dall’Ordine dei medici inglesi, ma un documentario che lo vede protagonista viene ancora proiettato creando danni enormi.

“Grazie ai vaccini abbiamo dimenticato le malattie che i vaccini stessi hanno fatto scomparire e insieme ad esse anche le gravi complicanze di queste patologie – prosegue il dottor Deganello -. E’ legittimo e doveroso che i genitori s’informino prima di sottoporre il loro figlio ad un atto medico. Ma devono farlo attraverso i giusti canali: rivolgendosi al pediatra di fiducia e consultando sul web i siti di realtà scientifiche credibili“.

Dottor Deganello, cos’è il morbillo?

E’ forse la malattia infettiva più contagiosa, tra tutte le malattie infettive cosiddette infantili. Colpisce in genere i bambini tra 1 e 3 anni. La sua alta trasmissibilità è dovuta al fatto che il contagio avviene per via aerea, tramite le goccioline respiratorie che si diffondono nell’aria quando il malato tossisce o starnutisce.

Quali sono i sintomi?

La malattia esordisce in genere come un raffreddore (tosse, catarro, starnuti) a cui si aggiunge la febbre che può raggiungere anche il 40°. Può presentarsi anche una congiuntivite, con occhi rossi e lacrimanti e naturalmente l’esantema maculo-papulare, i classici puntini rosso vivo, prima dietro le orecchie e sul viso e poi su tutto il resto del corpo. La malattia persiste tra i 10 e i 20 giorni.

Quando sorgono questi sintomi è necessario portare il bambino in ospedale o è possibile curarlo anche a casa? Ci sono farmaci specifici da somministrare?

Il bambino può essere curato anche a domicilio isolandolo da eventuali familiari che non hanno passato il morbillo. Non ci sono farmaci specifici, ma solo sintomatici, come gli antipiretici per far abbassare la febbre”.

Quali sono le complicanze?

Si va dalla bronchite alla polmonite fino alla polmonite interstiziale. Si tratta di una polmonite che colpisce l’interstizio, cioè il tessuto di rivestimento degli alveoli polmonari. La polmonite interstiziale può presentarsi nel 6% dei casi di morbillo, ma il 15% può avere esiti mortali. La complicanza più grave resta l’encefalite, l’infiammazione dell’encefalo. L’incidenza dell’encefalite è un caso ogni mille di morbillo, ma nel 15% dei casi comporta delle sequele neurologiche e può portare anche alla morte.

A quale età si devono vaccinare i bambini?

Il vaccino viene somministrato tramite un’iniezione sul deltoide o sulla coscia tra i 12 e i 15 mesi di vita, insieme al vaccino anti rosolia e parotite (trivalente). E’ un vaccino molto efficace e già alla prima somministrazione ha un’ottima copertura. Tuttavia è consigliabile il richiamo dopo dieci anni.

Anche gli adulti si possono vaccinare?

Certamente. Il vaccino è altamente consigliabile anche per gli adulti che non hanno potuto (perché il vaccino non era ancora in commercio) o non hanno voluto vaccinarsi in passato. Le complicanze della malattia sono le stesse sia per i bambini sia per gli adulti. Naturalmente parliamo di adulti che non sono mai stati contagiati, chi ha già passato la malattia è immune”.

Il vaccino dà effetti collaterali?

Essendo realizzato con un virus vivo attenuato può avere effetti imprevisti. Tuttavia per gravità e per frequenza, le complicanze sono trascurabili rispetto ai vantaggi dati dal vaccino”.

I genitori che non sottopongono i figli alla vaccinazione oltre a manifestare timori verso il vaccino, si giustificano dicendo che da bambini si sono ammalati ed è stata una banale malattia infettiva…

“La loro esperienza può anche essere vera, ma non viene meno la realtà dei fatti: le complicanze gravi del morbillo, come di altre malattie per cui anni fa non c’erano i vaccini, sono le stesse oggi come 30 anni fa. Io ero già un pediatra quando non era stato ancora introdotto il vaccino anti-morbillo e ho visto tante polmoniti interstiziali ed encefaliti. E purtroppo anche decessi”.

elena.zuppini@sacrocuore.it


Un decalogo per riconoscere le malattie reumatiche ai primi sintomi

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Sabato 8 aprile si terrà al “Sacro Cuore” il X Simposio di Reumatologia della Valpolicella. Sotto la lente di ingrandimento alcune delle più diffuse malattie reumatiche per le quali rimane fondamentale un trattamento precoce e mirata

Sono circa 150, dai nomi più disparati e occupano il secondo posto, dopo le malattie cardiovascolari, quali causa di invalidità. Sono le malattie reumatiche di cui in Italia soffrono oltre 5 milioni e mezzo di persone e più di 300 milioni nel mondo. Nel nostro Paese circa il 27% delle pensioni di invalidità è dovuto a queste malattie.

Proprio alle più comuni di queste patologie è dedicato il X Seminario di Reumatologia della Valpolicella (in allegato il programma), promosso dal Servizio di Reumatologia dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, di cui è responsabile il dottor Antonio Marchetta.(foto nella Gallery)

L’incontro si terrà sabato 8 aprile a partire dalle 8.30 nella sala convegni “Fr. Perez” ed è rivolto in particolare ai medici di medicina generale, primi interlocutori dei pazienti quando insorgono i sintomi.

“Faremo il punto sugli straordinari progressi che la Reumatologia ha fatto nell’ultimo decennio – afferma il dottor Marchetta – Sia nell’ambito diagnostico ma soprattutto in quello terapeutico con l’avvento di nuovi e rivoluzionari farmaci (i biotecnologici) che hanno radicalmente modificato la prognosi delle malattie reumatiche e cambiato in meglio la qualità della vita dei pazienti”.

Il simposio si soffermerà in particolare sull’osteoporosi, l’osteoartrosi, la gotta e l’iperuricemia, infine la polimialgia reumatica. Interverranno come relatori i reumatologi (tra cui Leonardo Punzi, titolare della cattedra di Reumatologia dell’Università di Padova), immunologi, fisiatri e gli stessi medici di medicina generale.

Quelle reumatiche si possono distinguere in patologie di tipo degenerativo (come l’artrosi), infiammatorio (per esempio l’artrite reumatoide o quella psoriasica) o dismetabolico, cioè legate a disturbi metabolici (acido urico, diabete, dislipidemia, obesità). Poi vi è un capitolo importante delle connettiviti (Lupus erimatoso sistemico, sclerodermia, sindrome di Sjogren) e delle vasculiti sistemiche.

Un aspetto fondamentale da sottolineare è che le malattie reumatiche non sono esclusivamente patologie delle ossa e delle articolazioni, ma possono frequentemente interessare tutti gli organi e gli apparati (pelle, cuore, reni, polmoni, sistema nervoso cemtrale e periferico, sistema circolatorio, occhi…). Hanno tutte in comune un andamento evolutivo cronico e possono comparire a qualunque età.

Ma come riconoscere i primi sintomi delle malattie reumatiche?Ecco il decalogo della Società italiana di Reumatologia, uno strumento concreto per arrivare a una diagnosi precoce di queste patologie che, se non curate, possono portare progressivamente all’invalidità.

  1. Dolore e gonfiore alle articolazioni delle mani e/o dei polsi che persiste più di tre settimane
  2. Rigidità articolare che dura da più di un’ora al mattino, dopo il risveglio
  3. Gonfiore improvviso, associato o meno a dolore ed arrossamento locale, di una o più articolazioni in assenza di trauma
  4. Nel giovane: dolore di tipo sciatico fino al ginocchio che va e viene, cambiando anche di lato, che aumenta durante il riposo notturno e si attenua con l’attività fisica.
  5. Sbiancamento delle dita delle mani all’esposizione al freddo o per variazioni climatiche o per emozioni.
  6. Sensazione di secchezza o di sabbia negli occhi, associata a secchezza della bocca e a dolori articolari o muscolari.
  7. Arrossamento al viso, sul naso e guance o attorno agli occhi, che peggiora con l’esposizione solare anche lieve e associato a dolori articolari.
  8. Nelle persone che hanno oltre 50 anni: improvvisa comparsa di dolore ad entrambe le spalle, con impossibilità di pettinarsi o allacciarsi il reggiseno e anche con difficoltà ad alzarsi da una poltrona, specie se accompagnato da mal di testa e calo di peso.
  9. Nella donna in post-menopausa o nel paziente che assume cortisone: dolore improvviso alla schiena particolarmente dopo uno sforzo o un sollevamento di peso.
  10. Nei soggetti affetti da psoriasi o con familiari affetti dalla stessa malattia: comparsa di dolore alle articolazioni o alla colonna vertebrale o al tallone.


La salute del nostro cuore vien mangiando... bene

Il professor Enrico Barbieri, direttore della Cardiologia del “Sacro Cuore Don Calabria”, spiega perché è importante per la salute del cuore inserire nella nostra dieta determinati alimenti che hanno la proprietà di proteggere le nostre arterie.

Le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte in Italia, essendo responsabili del 44% di tutti i decessi. Sono chiamate le “patologie del benessere”, perché hanno una notevole incidenza nei Paesi ad alto tenore di vita.

Quindi un’alimentazione ricca di grassi saturi e di zuccheri, il fumo e uno stile di vita in cui la sedentarietà e lo stress hanno un ruolo non marginale, sono gli alleati principali per fare ammalare il cuore.

La prevenzione delle malattie cardiovascolari inizia dallo stile di vita e dalla tavola. In quali alimenti si celano i grassi saturi? Perché la frutta e la verdura ma anche il cioccolato proteggono il cuore? Qual è il valore ottimale del colesterolo e il livello del famigerato LDL dipende sempre da cosa si mangia? Infine le statine si possono assumere senza temere effetti collaterali?

A tutte queste domande risponde il professor Enrico Barbieri, direttore della Cardiologia del “Sacro Cuore Don Calabria”, ospite della trasmissione di Telepace “Il medico a casa tua”.